L’OSPEDALE AL TEMPO DEL (PRESUNTO) POST CORONAVIRUS

Dovevo fare un esame ginecologico, prenotato prima del blocco. Poi come per tutte le altre prenotazioni,  in prossimità della scadenza mi hanno telefonato per avvertirmi che per il momento era tutto sospeso, e che sarei stata ricontattata quando fosse possibile ripartire. Un paio di settimane fa finalmente mi è arrivata una telefonata registrata in cui si informava che si ripartiva e che ci si doveva rivolgere al CUP per le prenotazioni. E dunque vado al CUP, mi faccio dare una nuova data per quella prenotazione, e oggi vado all’ospedale. Arrivo con qualche minuto di anticipo, quindi mi siedo in sala d’aspetto e mi metto a leggere. L’appuntamento era  alle quattro e tre quarti; alle cinque, non vedendo arrivare nessuno e non sentendo alcun rumore all’interno mi alzo, entro, e comincio a girare per i corridoi. Dopo un po’ finalmente vedo una dottoressa e le spiego che avevo appuntamento alle quattro e tre quarti, mostrandole la carta del CUP. Nonostante la mascherina si nota chiaramente lo sconcerto: “Ma… noi non facciamo esami, solo le urgenze, per il resto è tutto fermo… Ma le hanno telefonato?” Confermo che sì, lei continua a restare perplessa. Alla fine prende una decisione: “Beh, visto che è qui gliela faccio”. Prima però prova a telefonare: vuole che qualcuno le confermi che è autorizzata a eseguire l’esame. Non rispondono e quindi decide da sola. Le propongo di tornare un’altra volta, non vorrei che passasse qualche guaio per quella decisione, e sembra proprio che il rischio ci sia, comunque esegue l’esame e mi dà il referto. Ora, riflettiamo: c’è il medico, c’è la paziente, c’è l’apparecchiatura in funzione (non l’ha accesa al momento per me: stava funzionando da prima), ma in base al regolamento non avrebbe dovuto eseguire l’esame. Poi quando sono scesa avevo bisogno di andare in bagno e sono andata alla radiologia, dove ce ne sono due: quattro lunghissimi corridoi, tutti i sedili con metà sedie sbarrate col nastro adesivo in modo da creare la distanza necessaria, e non un solo paziente, non una sola luce di radiografia in corso accesa, non un rumore di personale medico e paramedico proveniente dalle stanze. In un giorno in cui in tutta la regione sono stati registrati 0 pazienti in terapia intensiva e 26 ricoverati con sintomi. Ho poi letto che tutti quelli che telefonano al CUP per prenotare, si sentono sistematicamente rispondere “Non prima di agosto”. E mi chiedo: quando finalmente riapriranno, in che modo smaltiranno gli arretrati? E nel frattempo, quanti tumori non diagnosticati, quante avvisaglie di infarto non riconosciute, quanti principi di insufficienze renali trascurati, in due parole: quanti morti in più dovremo contare in attesa di arrivare al fantomatico “rischio zero” per il coronavirus?

Sinceramente, sono sempre più sgomenta.

barbara