COVID: PERCHÉ AUMENTANO I RICOVERI

Mettetevi comodi che adesso ve lo faccio spiegare per bene.

Niente cure, balzo dei ricoveri: «Ci sono altre priorità»

I dati generali di ieri parlano di un aumento sensibile dei ricoveri. Il commissario lombardo Guido Bertolaso parla già di una terza ondata, il governatore Luca Zaia ha rimarcato come per la prima volta dal 31 dicembre ci sia un aumento dei ricoveri che «fa preoccupare». Aumenti di posti letto occupati anche in Piemonte. 

Sembra di ritornare nel solito corto circuito: una gestione della pandemia ospedalocentrica, e ora anche vaccinocentrica. Ma di mettere al centro della strategia sanitaria nazionale le cure contro il covid non se ne parla. È un bug di sistema inquietante, o se vogliamo un cane che si morde la coda mentre tutto continua come è da oltre un anno: con la vigile attesa alla quale sono condannati i pazienti sintomatici che devono accontentarsi delle scarne raccomandazioni del medico a base di paracetamolo. E poi, se va male, si aprono le porte degli ospedali, come sta accadendo in queste ore.

Nessuno si interroga però sul perché i ricoveri stiano aumentando: scoprirebbe che la colpa non è dei ragazzini che escono al pomeriggio, ma ancora una volta della sbagliata gestione terapeutica. 

Il tema del covid at home non ha conosciuto evoluzioni positive negli ultimi tempi. Anzi. La consapevolezza che incentivare la cura precoce del virus sia inversamente proporzionale ai ricoveri in ospedale aleggia nell’aria, ma senza iniziative. La conseguenza è che tutto è affidato alla buona volontà dei medici che credono nel primato della cura su tutto il resto, anche sulla vaccinodipendenza che non è una cura, è un’altra cosa.

Sempre meno sono i media che ne parlano, meritorio in questo senso quanto ha fatto la redazione di Fuori dal coro di Mario Giordano, che sta battendo il tasto da settimane sullo scandalo delle cure a domicilio assenti intervistando medici, pazienti guariti e cercando di stanare i decisori, ma ricevendo in cambio le solite e italiche promesse vaghe e negligenti.

«Speriamo ancora che Aifa possa modificare qualcosa». A parlare alla Bussola è il dottor Andrea Mangiagalli, creatore con una chat di medici di una rete di cure domiciliari spontanea che in questo anno ha curato senza mai mandare i pazienti in ospedale. Ormai è diventato un simbolo del covid at home.

Lo avevamo incontrato in autunno e ci aveva raccontato di come stesse crescendo a dismisura la platea dei medici interessati a curare e a non temporeggiare. Con lui abbiamo seguito la vicenda del ricorso vinto in Consiglio di Stato per l’utilizzo dell’idrossiclorochina, proprio mentre a fine novembre il ministero emanava attraverso una circolare il primo protocollo di cura domiciliare.

Che fu insufficiente, una presa in giro, con la sola Tachipirina in vigile attesa come unico presidio e tutto il resto (cortisonici, farmaci alternativi, eparina e antibiotici) visti di malocchio.

Ma nei mesi successivi si è continuato a chiedere la revisione di quei protocolli di cura a disposizione dei medici. Perché la Tachipirina può falsare il decorso della malattia e perché, se preso per tempo, aggredito adeguatamente fin da subito, il covid si sconfigge facilmente. Il contrario della vigile attesa raccomandata dal ministero guidato ancora da Roberto Speranza. Ma in tutti questi mesi non si è arrivati a una revisione dei protocolli di cura.

Mangiagalli quindi, dice di sperare nell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco che potrebbe rivedere i protocolli nell’ottica della cura e non della vigile attesa.

«Ho sollecitato da tempo il ministro Speranza sulla revisione dei protocolli di cura domiciliare – spiega il presidente Aifa Giorgio Palù alla Bussola -, da quello che so ha incaricato l’Agenas di occuparsene». Chiediamo se conosce le tempistiche e gli esiti: «Guardi – allarga le braccia sconsolato -, mi è stato riferito che ci sono altre priorità. Deve sentire direttamente all’Agenas». 

Altre priorità? Quali sono le altre priorità se di fronte abbiamo un virus da curare? Forse il vaccino? Probabile, ma da qui all’immunità di gregge tanto sperata del 65% della popolazione – se mai ci arriveremo – passeranno anni, ormai si è capito. Nel frattempo, non si cura? Non si può apparecchiare un piano di cura rigoroso per fermare il covid fuori dagli ospedali e consentire così politiche di lockdown meno umilianti e stringenti?

No, evidentemente non si cura. Si sta in vigile attesa, sperando che la cosa non sfugga a molti e non ci si debba presentare in massa davanti all’ospedale per quella che qualche esperto si sta azzardando a chiamare già la “terza ondata”.

Parlare con il direttore dell’Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, non è semplice. Lui, Domenico Mantoan, è stato il capo della sanità in Veneto e da qualche tempo guida l’ente che dipende dal Ministero della Salute.

È a lui che ci rivolgiamo per chiedere a che punto è la revisione del protocollo di cure domiciliari che sono, a detta di tutti, sempre più insufficienti. La risposta lascia di sasso: ci viene fornito il protocollo del 30 novembre. Facciamo notare che stiamo parlando proprio della revisione di quel protocollo che il ministro ha affidato all’Agenas. E qui, un altro muro di gomma ci si para davanti: «Non abbiamo avuto ancora incarico dal Ministero della Salute di lavorare su protocolli di cure domiciliari Covid. Abbiamo appena concluso linee giuda su setting assistenziali sui ricoveri ospedalieri e strutture intermedie covid».

Capito l’antifona? Il Ministero non si è ancora peritato di incaricare una revisione delle cure domiciliari, ma nel compenso ci ha messo quattro mesi per mettere a punto quello ospedaliero.

È evidente che si tratta di una decisione politica: il covid non si vuole curare subito, non si vuole curare precocemente. Roberto Speranza, ministro riconfermato anche nel governo Draghi porta anche questa enorme responsabilità: l’Italia non vuole curare precocemente il covid. Bisogna pensare al vaccino e per tutto il resto c’è l’ospedale e quindi l’aumento dei ricoveri che determina i lockdown.

Lo scaricabarile degli enti regolatori e delle agenzie statali certifica che effettivamente ci sono altre priorità. Quali? Di sicuro non la cura dei pazienti. Ma Speranza deve sapere che ogni morto oggi in ospedale era un malato che ieri poteva essere curato con successo a casa.
Andrea Zambrano, qui.

Domenico Mantoan. Non so se sia più adatto Cicciobello o Vispo Tereso.

Quindi abbiamo praticamente tutto: il crimine, gli esecutori – altrimenti detti assassini – e i mandanti. Manca il movente, ma magari con un po’ di fantasia riusciamo a indovinare anche quello. E chi sperava che col cambio di governo potesse cambiare qualcosa di sostanziale, non ci ha messo molto a doversi ricredere. Qualcuno ha detto che Draghi è un Conte coi congiuntivi giusti, e mi sembra una buona definizione.
E adesso state a sentire quest’altra bella storiella.

Censure su YouTube, il braccio violento dell’Oms

Dopo 11 mesi e mezzo di lockdown e restrizioni della libertà, sono ancora poche le iniziative di protesta da parte di numerosi settori colpiti e di comuni cittadini. Ma non possono essere pubblicizzate sul social network più diffuso per la condivisione dei video, YouTube, se sono considerate contrarie alle disposizioni dell’Oms e delle autorità sanitarie nazionali.
La protesta più gettonata dai media è stata quella dei teatri, che il 22 febbraio hanno riacceso le luci per manifestare contro il prolungarsi delle chiusure forzate e nessuna certezza sulla data di riapertura. Il 15 gennaio, in tutte le città italiane, era stata invece la volta dei ristoranti che con l’iniziativa Io Apro avevano forzato il blocco della nuova zona rossa. Avendo meno influenza politica e meno amici fra i giornalisti, i ristoratori hanno ricevuto tantissima pubblicità negativa. Ha fatto particolarmente scalpore un’iniziativa dell’editore Leonardo Facco (il cui libro Coronavirus: stato di paura è stato recentemente rimosso dal catalogo Amazon): con una cinquantina di amici e sostenitori del suo Movimento libertario, è andato a cena in un ristorante di Modena il 30 gennaio. Una cena è ormai considerata un atto di grave insubordinazione e, benché l’iniziativa abbia ottenuto il plauso anche su siti d’oltre oceano (di orientamento libertario e conservatore), in Italia ha attirato le ire di giornalisti e commentatori, con accuse di diffusione deliberata della pandemia e sollecitazione di interventi delle forze dell’ordine. Per dimostrare che non c’è stata alcuna diffusione, deliberata e non, della pandemia, l’editore lombardo ha ripetuto l’iniziativa il 22 febbraio, dimostrando che tutti i partecipanti fossero vivi e in buona salute, così come i loro amici, parenti e conoscenti. A questo punto è scattata la censura di YouTube, che ha rimosso video e commenti.

Sono significative le motivazioni scritte della rimozione. Non solo il video viola gli standard della community, ma proprio: “YouTube non tollera contenuti che mettano in discussione l’efficacia delle linee guida fornite dalle autorità sanitarie locali o dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) in relazione alle misure di distanziamento sociale e autoisolamento e che possano portare le persone ad agire in contrasto con tali linee guida”. Le parole sono importanti. YouTube “non tollera” contenuti che “mettono in discussione” un’autorità statale ed una sovranazionale. Può anche darsi che una linea sia sbagliata: l’Oms inizialmente non approvava l’uso delle mascherine e fino a marzo 2020 si opponeva alla strategia di test a tappeto con i tamponi. Ma l’utente deve comunque obbedire [com’era quella cosa? Ah sì: credere obbedire combattere. E per Benito Mussolini eia eia alalà]. Nel caso specifico, in Italia è permesso pranzare in un ristorante, ma una cena, come quella organizzata dall’editore Facco, nelle stesse condizioni e con uguale numero di persone, è considerata sovversiva. Non si può affermare (e dimostrare) che le linee guida siano contraddittorie.

Suonavano già ambigue le parole di Susan Wojcicki, amministratrice delegata di YouTube, quando, il 23 aprile annunciava che la piattaforma avrebbe eliminato notizie “prive di fondamento scientifico” e faceva alcuni esempi: “C’è gente che consiglia di prendere la vitamina C o la curcuma, perché ‘ti cureranno’”.* Abbiamo dunque l’amministratrice di un social che si erge già a medico e giudice pronta a tracciare una riga su ciò che (al momento) è ritenuto disinformazione su una malattia che, allora, conoscevamo da appena tre mesi. Si poteva ben immaginare come questo criterio si sarebbe poi esteso, senza freni, dalla medicina alla politica di contenimento della pandemia. Quindi non solo a una materia empiricamente verificabile, ma anche ad una serie di scelte politiche.

Il problema di fondo, poi, è che, non solo a causa della pandemia di Covid, ma anche a seguito delle elezioni presidenziali americane, la censura è stata completamente sdoganata. Viene accettato come “fatto privato” ed apprezzabile l’oscuramento dell’account Twitter di un ex presidente e la censura online di tutti i suoi post quando era ancora in carica e competeva per la rielezione. Ormai limitare la libertà di opinione, anche quando non viene violata alcuna legge, è diventato possibile e i giornalisti sono fra i primi a chiedere ancora più censura. Basta invocare la minaccia dell’argomento “privo di fondamento scientifico” o, nel caso delle elezioni “privo di prove” per far scattare l’oscuramento.

Un’altra ossessione è diventata quella dei contenuti “razzisti”. Gli algoritmi che permettono di individuare e rimuovere un video giudicato offensivo per qualche minoranza sono talmente onnicomprensivi che, questa settimana hanno portato alla rimozione di un video di scacchi. Perché “il bianco attacca il nero”. Il verbo “attaccare” è comunque a rischio censura, figuriamoci se poi è accompagnato da termini ormai sensibili come il bianco e il nero. Ma queste cose avvenivano solitamente solo in Cina, almeno fino al decennio scorso, quando i locali algoritmi rimuovevano tutte le cifre e i termini che potessero ricondurre a informazioni sgradite sul massacro di Piazza Tienanmen. Ma era Cina, appunto, un regime totalitario. Se i social network iniziano a comportarsi così anche nel mondo libero?

Paradossalmente, si usano ancora i termini cattolici per descrivere la tendenza censoria, come “inquisizione” o “indice”. Però sono i cattolici fra le prime vittime di questa tendenza oscurantista. Basti pensare come il sito Life Site News, contrario all’aborto, sia stato improvvisamente privato del suo popolare canale YouTube, uno scherzetto che è costata loro la perdita improvvisa di più di 300mila followers. Ed è difficile, adesso, stabilire quali siano i nuovi limiti del censore. Tutti noi siamo a rischio.
Stefano Magni, qui.

* Qualche tempo fa ho visto su YT un video in cui veniva spiegato che mangiando tre o quattro teste d’aglio al giorno si guarisce dal cancro al cervello gola esofago stomaco intestino retto ano polmoni reni fegato vescica seno prostata ovaie pelle linfoghiandole – e se ne manca qualcuno è solo perché io l’ho dimenticato. E, per inciso, l’unica preoccupazione della stragrande maggioranza dei commenti era “Ma per l’alito come si fa?” Perché c’è in giro gente talmente scema che se gli dici che mangiando rane vive si diventa ricchi quelli lo fanno. E nessuna autorità contestava la mancanza di documentazione scientifica traendone motivo per rimuovere il video seduta stante.
Comunque mi sembra più che evidente che non è questione di mancanza di documentazione scientifica nelle critiche ai provvedimenti anti covid, o di mancanza di prove nelle accuse di brogli elettorali, e non si tratta di YT o FB o twitter o del conduttore televisivo che silenzia il proprio presidente della repubblica: si tratta dell’assassinio della libertà di pensiero, parola e stampa perpetrato di comune accordo da chiunque abbia il potere di farlo. Praticamente così:

barbara