LA STORIA DI ROBERT

Simone Pillon

Oggi vi racconto la storia di Robert Hoogland.

Questo padre canadese, nel 2017 scopre che sua figlia, a soli 12 anni, viene trattata come un maschio da tutta la scuola e che, aiutata dal suo consulente scolastico, ha scelto anche un nuovo nome maschile. Fino ad allora nessuno lo aveva informato: le direttive Sogi (Sexual Orientation and Gender Identity) alle quali il ministero della Pubblica istruzione ha imposto agli istituti della British Columbia di adeguarsi, proteggono la riservatezza dello studente e conoscere sesso genere o nome preferito della ragazza a scuola non è prerogativa del genitore.
All’insaputa del padre la ragazzina aveva infatti iniziato ad essere seguita da un celebre psicologo e attivista Lgbt che la indirizza a un ospedale pediatrico per iniziare a ricevere iniezioni di testosterone.
In teoria serviva il consenso di entrambi i genitori per procedere al trattamento, ma visto che il padre si era rifiutato, convinto che per la ragazzina fosse bene aspettare la maggiore età per prendere qualunque decisione definitiva sul suo corpo e la sua identità di genere, il BC Children’s Hospital lo informò che il trattamento sarebbe iniziato lo stesso ai sensi del BC Infants Act senza autorizzazione dei genitori: “Il team concorda che il trattamento proposto è nel suo migliore interesse (…) né lei né sua madre potete prendere questa decisione per lui”.
Robert fece causa, ma il 27 febbraio 2019, la Corte Suprema della British Columbia stabilì che la figlia, all’epoca diventata quattordicenne poteva sottoporsi a un trattamento a base di iniezioni di testosterone per cambiare sesso senza il consenso dei suoi genitori. E che se madre o padre fossero stati sorpresi riferirsi a lei utilizzando un pronome femminile, o chiamandola col suo nome di nascita, o ancora cercando di farla desistere dal trattamento, sarebbero stati riconosciuti colpevoli di violenza familiare ai sensi del Family Law Act.
Robert tuttavia non si è rassegnato a quanto stavano facendo alla sua bambina. La polizia canadese (cybercrime unit) ha stilato per i giudici un lungo rapporto che documenta ogni volta in cui l’uomo ha citato i medici e si è riferito pubblicamente a sua figlia come a una femmina e ha usato i pronomi femminili al posto di quelli maschili.
Robert è stato arrestato.
È notizia di questi giorni che Robert Hoogland ha dovuto patteggiare 6 mesi di reclusione e 30 mila dollari di multa.
“Questo non potrebbe mai accadere” dicevano quanti definivano allarmista la mia posizione contro la Bill C16», ha commentato il professore di psicologia dell’Università di Toronto, Jordan B. Peterson, protagonista di un’infuocata battaglia contro la legge voluta da Trudeau che dal 2017 aggiunge “identità o espressione di genere” all’elenco dei motivi di discriminazione vietati nel Canadian Human Rights Act e all’elenco delle caratteristiche dei gruppi identificabili protetti dalla propaganda d’odio nel codice penale, esattamente come vuole fare Zan.
Allora Peterson preconizzava un futuro in cui un canadese sarebbe stato incriminato se si fosse rifiutato di utilizzare i pronomi di genere. Gli diedero del visionario bigotto, proprio come accade a chi oggi contesta la legge Zan che al pari della Bill C-16 consegna spazio immenso alla discrezionalità interpretativa del giudice circa cosa rappresenti libera manifestazione di pensiero o condotta discriminatoria da punire in ambito pubblico o privato. «Ho letto la legge e al contrario, era inevitabile», dice Peterson del caso Hoogland. Inevitabile quanto il fatto che un padre violasse una legge bavaglio: «Voglio che mia figlia sappia che ho fatto davvero tutto il possibile, semmai tra 5 o 10 anni dovesse pentirsi di ciò che le hanno fatto subire da bambina».
Vi invito a verificare la storia, pubblicata su “Tempi” del 15 aprile 2021, ma riportata anche su “La nuova bussola” e, per chi preferisce qualcosa di più laico, su “Feministpost” del 24 marzo 2021.
Per chi mastica l’inglese vi è ampia copertura di notizie e video semplicemente googlando il nome di Robert Hoogland.
Non ho visto nulla sui giornaloni, e la cosa ovviamente non mi stupisce affatto.
Ecco spiegato, non con parole ma con la sofferenza di un padre e della sua bambina di 12 anni, perché ci opponiamo e sempre ci opporremo al ddl Zan.

Ci chiamano bigotti. Ci chiamano retrogradi. Ci chiamano oscurantisti. E trans-omofobi, naturalmente. Ma se abbiamo una legge che punisce qualunque tipo di aggressione e considera come aggravante il movente del pregiudizio, qualcuno mi spiega la necessità di una legge speciale che differenzi una particolare categoria di persone da tutte le altre e ne chieda la tutela come se non fosse già tutelata al pari di chiunque altro? Mi rispondo da sola con un commento che ho lasciato a questo post (assolutamente meritevole di essere letto)  

Fabbricare una legge che punisca chi usa violenza contro una specifica categoria di persone (posso chiederne una per gli insegnanti in pensione?) è più o meno come stabilire il coprifuoco in un’intera nazione con bar pizzerie ristoranti discoteche cinema teatri palestre piscine scuole di recitazione/musica/danza – ossia TUTTI i posti in cui la gente potrebbe andare di sera – rigorosamente chiusi: rende chiaro come il sole che lo scopo è tutt’altro.

Poi c’è sempre qualcuno che, a proposito di identità e ammennicoli vari, vuole fare il primo della classe, ma per fortuna c’è anche qualche genio che sa rispondere con adeguato perculamento. Certo che se provassero a proporre oggi la scena di Loretta,

ho idea che si metterebbe parecchio male. E sempre a proposito di identità reali, identità percepite e identità millantate:

barbara

Una risposta

  1. La risposta alla tua domanda è negli articoli 7 e 8 del DDL; il 7 inserisce fra le varie “giornate” quella contro la transfobia, i cui interventi ovviamente andranno finanziati da pantalone e l’8 stabilisce invece priorità per la spesa dei fondi pubblici:

    Art. 8.
    (…)
    1. All’articolo 7 del decreto legislativo 9
    luglio 2003, n. 215, dopo il comma 2 sono
    inseriti i seguenti: « 2-bis. Nell’ambito delle competenze di
    cui al comma 2, l’ufficio elabora con cadenza triennale una strategia nazionale per
    la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento
    sessuale e all’identità di genere. (…) La strategia è elaborata nel quadro di una consultazione permanente delle amministrazioni locali, delle organizzazioni di categoria e delle associazioni impegnate nel contrasto delle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere e individua specifici interventi volti a prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni di violenza e discriminazione fondati sull’orientamento
    sessuale e sull’identità di genere.

    2-ter. All’attuazione delle misure e degli
    specifici interventi di cui, rispettivamente, al
    secondo e al terzo periodo del comma 2-bis, le amministrazioni pubbliche competenti
    provvedono compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica ».

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  2. La vera domanda è: qual è il loro scopo? Penso che loro ritengano che questo li aiuta a mantenere il potere. Va quindi visto insieme a tutto il resto: ecologia, razza, gender, cancel culture, metoo, antifa etc. Ma anche sistema mediatico, capitalismo finanziario, restrizioni per la nostra salute, prevaricazioni della burocrazia.

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    • Beh, se tu fai qualcosa dicendo che lo fai per me ma a me non serve in alcun modo, è chiaro che serve a te. D’altra parte è da oltre un anno e mezzo che il figlio di Bernardo sta ricorrendo a ogni sorta di manovra sporca per non lasciarci votare e permettere che vinca la parte sbagliata.

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  3. Pingback: ABBIAMO UNA NUOVA EMERGENZA | ilblogdibarbara

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