LA SCIAGURA DI NASCERE DONNE

al tempo del progressismo (e qualcuno etichetta l’atteggiamento di chi non è d’accordo come “ostinato conservatorismo”).

Deve gareggiare con maschi che si dicono femmine. Protesta, ma viene censurata

Caterina Giojelli 29 maggio 2021 Esteri

L’incredibile caso di Chelsea Mitchell. La ragazza più veloce del Connecticut denuncia l’ingiustizia con una tribuna su Usa Today, che le cambia il testo sostituendo a “maschi” la parola “transgender”

Zitta, femmina cisgender. È il senso della sforbiciata sprezzante dei redattori di Usa Today alla tribuna firmata da una atleta del Connecticut, pubblicamente redarguita per avere osato utilizzare un «linguaggio offensivo» sulle colonne del celebre quotidiano americano. E cosa ha scritto di così offensivo da richiedere un intervento a gamba tesa della redazione? Ha usato la parola “maschio”.

Usa Today censura Mitchell

Riassunto: Chelsea Mitchell era la ragazza più veloce del Connecticut, finché, come molte altre atlete, è stata costretta a gareggiare contro due velocisti «fisicamente avvantaggiati». Cioè due maschi che si identificano come donne e come tali partecipano (e vincono) tutti i più importanti campionati scolastici e statali di atletica. Lasciando indietro le coetanee, stabilendo nuovi record, soffiando loro trofei e medaglie.

Ebbene, la scorsa settimana Chelsea Mitchell invia un “opinion” a Usa Today per affrontare il tema e raccontare perché ha deciso di imbarcarsi insieme a tante altre ragazze in una causa contro la Connecticut Interscholastic Athletic Conference. Per farlo ha osato scrivere che «i corridori maschi hanno enormi vantaggi fisici» rispetto alle colleghe femmine. Apriti cielo. Pubblicata il 22 maggio, il 26 maggio la tribuna di Mitchell veniva stravolta con tanto di pecetta: «Nota dell’editore: questa colonna è stata aggiornata per riflettere gli standard e le linee guida di stile di Usa Today. Ci dispiace che sia stato usato un linguaggio offensivo».

Vietato scrivere “maschi”

Stravolta: sì perché nell’articolo la parola “maschi” viene sostituita con «transgender». Con tante scuse, stigma e tanti saluti al senso del pezzo di Mitchell. La redazione non si limita infatti a prendere posizione ma le mette in bocca termini che lei non ha mai usato. E come avrebbe potuto rivendicando il diritto alla concorrenza leale?

Ovviamente Mitchell non è stata informata della revisione. L’avvocato Christiana Holcomb della Alliance Defending Freedom (Adf), che rappresenta le ragazze nella causa contro la politica del Connecticut, ha accusato Usa Today di aver messo mano alla tribuna della ragazza quando si è scatenata un’orda inferocita di lettori sui social.

Costretta a perdere

Ha scritto Mitchell: «Ogni volta che arrivo alla linea di partenza, mi ripeto che posso superare le ingiuste probabilità – posso vincere, anche se la gara è contro di me». È successo una volta sola. Poi Mitchell ha perso quattro titoli del campionato statale femminile, due premi del New England e numerosi altri posti sul podio, sbattuta al terzo posto nella corsa di 55 metri nel 2019. Davanti a lei solo loro, due sprinter maschi, ops “transgender”Tempi vi aveva già raccontato la storia di Terry Miller e Andraya Yearwood che dal 2017 vincono tutto. Non hanno mai fornito dettagli sulla loro transizione, di loro si sa che sono sottoposti a trattamenti ormonali e che sono nati maschi.

Il che significa una cosa sola, come ha spiegato Alanna Smith, tra le ragazze difese dalla Adf: «Ogni volta che scendiamo in pista conosciamo il risultato prima ancora che inizi la gara. Un’ingiustizia biologica non scompare grazie a ciò che qualcuno crede sull’identità di genere». Una ingiustizia che ha portato le ragazze a perdere borse di studio e opportunità, «quando i college hanno esaminato il mio record, non hanno visto la ragazza più veloce del Connecticut. Hanno visto un secondo o terzo classificato», ha spiegato Mitchell.

La legge discrimina le donne

La ragazza non ha offeso nessuno. Ha solo affermato l’ovvio, cioè che il corpo di chi nasce maschio è in media «più grande e forte» di quello di chi nasce femmina. Rivendica il diritto alla concorrenza leale, difesa dal Titolo IX, la legge federale sui diritti civili, che in Connecticut (ma non solo, sono 18 gli Stati che consentono agli studenti transgender di gareggiare senza restrizioni) ha innescato un incredibile cortocircuito del politicamente corretto: non si capisce se tuteli di più i trans in quanto transgender o tuteli di più le donne in quanto cisgender. Secondo la Connecticut Interscholastic Athletic Conference, a cui i giudici hanno sempre dato ragione, «gli studenti che si identificano come donne devono essere riconosciuti come donne» e come tali dovrebbero essere tutelati. «Fare diversamente non sarebbe solo discriminatorio, ma li priverebbe della significativa opportunità di partecipare ad attività educative, compresi gli sport scolastici, basati su stereotipi sessuali e pregiudizi che si cerca di prevenire col Titolo IX».

Nel dubbio non chiamateli maschi. Mai. Neanche se lo sono. Può essere un crimine scrivere e chiamarli tali? Mentre in Italia assistiamo all’assurdo allineamento della stampa che ha deciso che Ellen Page non è mai nata femmina, piuttosto ha interpretato “ruoli femminili”in America Usa Today ha deciso di riparare evidenti torti e crimini biologici cancellando la parola «maschio» dal vocabolario di una femmina: «Ci dispiace che sia stato usato un linguaggio offensivo». (qui)

Non vorrei che arrivassimo a dover rimpiangere i tempi bui in cui non potevamo votare e l’abbandono del tetto coniugale, qualunque ne fosse la causa, era reato penale. Consolante comunque apprendere che “maschio” è diventato un termine offensivo.

barbara

PER CHI AVESSE INTENZIONE DI ANDARE ALL’ESTERO

e avesse poi la malaugurata idea di volere anche rientrare in Italia: preparatevi.

Moduli e privacy   

Trovandomi in Svizzera, ho dovuto compilare il dPLF – digital passenger locator form – il nuovo documento digitale richiesto da oggi per entrare in Italia dall’estero.
Ci ho messo una buona mezz’ora per la mole delle informazioni richieste e alcune incongruenze. Per esempio è necessario indicare il secondo numero di telefono, campo obbligatorio. E chi non ce l’ha? Dopo vari tentativi, ho inserito per due volte lo stesso numero, ed è stato accettato.
Ma al di là dell’incombenza in sé, mi è parsa una misura preoccupante per la nostra libertà, una forma di controllo alla “1984”, il profetico “Big Brother is watching you” di George Orwell. Mi sono vaccinata con entusiasmo, non sono una cospirazionista, non credo alle potenze occulte che ci manipolano, ai complotti di entità oscure che vogliono prendere il controllo del mondo. E sono convinta che sia necessaria qualche forma di tracciamento per evitare un nuovo picco del Covid, soprattutto in periodo di vacanze estive e di rinato turismo internazionale. Infatti ho scaricato, appena sono uscite, l’app Immuni e anche la corrispondente SwissCovid, per i periodi in cui soggiorno in Svizzera. Ma queste app, che sono state studiate bene, garantiscono l’anonimato, e le informazioni rimangono sul telefono dell’utente, salvo nel caso in cui non sia necessario tracciare le persone con cui ha avuto contatti, se si dovesse palesare la malattia.
Il dPLF invece, che forse andrebbe definito dPCL – passenger control form – va compilato online, fornendo il numero di targa, se si viaggia in macchina, l’indirizzo di residenza e quello di destinazione, l’orario di partenza e di arrivo previsto e anche eventuali tappe intermedie – e se si cambia itinerario o si è vittime di qualche contrattempo che provoca un cambiamento di programma? – il numero della carta di identità, i membri del proprio nucleo famigliare, se ci accompagnano, il proprio indirizzo email e il numero di telefono e un contatto telefonico in caso di emergenza… Tutte queste informazioni vengono poi spedite a un cervellone, non si sa dove, che ci restituisce il formulario compilato da stampare e portarsi dietro, con il codice QR, senza il quale teoricamente almeno non è possibile varcare la frontiera, imbarcarsi su un treno, su un autobus, su un aereo o su una nave. L’autocertificazione precedentemente richiesta era un modulo che si scaricava da Internet e si compilava, con l’obbligo di tenerlo con sé ed esibirlo in caso di controllo – la mia esperienza e quella di parecchi amici è che i controlli fossero sporadici. E comunque, come per tutti i documenti cartacei, si suppone che dopo un po’ finissero nel cestino… Stavolta invece è evidente che tutto finisce nell’insaziabile bocca di un supercomputer, che potrà verificare, anche a distanza di anni, i nostri movimenti, i nostri soggiorni, le nostre scappatelle amorose, i nostri viaggi di piacere o di lavoro. È una necessità sanitaria, o uno strumento – potenzialmente pericoloso – di controllo della popolazione, che in futuro potrebbe cadere in mano di parti politiche estremiste, di investigatori privati, dei servizi segreti, di tecnici capaci di hackerare il sistema, o più semplicemente di qualcuno che fa ricerche su di noi?
Basta alzare lo sguardo per vedere il numero di telecamere che ci spiano in ogni momento. I nostri telefoni cellulari, grazie al sistema di localizzazione, di pagamento digitale, dei cookies di navigazione, sono diventati una fonte di informazioni accessibile a chiunque sulla nostra vita privata, i nostri gusti, i nostri acquisti, le nostre ricerche. Ora arriva anche il Big Brother che ingoia tutte le informazioni sui nostri spostamenti da e per l’estero. Si tratta, va chiarito subito, di un formulario richiesto dalla Comunità Europea al quale l’Italia ha aderito con grande sollecitudine. Mi chiedo se, prima di farlo entrare in vigore, non sarebbe stato giusto aprire un pubblico dibattito, come si sta facendo in Svizzera, che non ha ancora aderito. Comprendere qual è la “corazza” normativa che garantirà la riservatezza dei nostri dati. A chi andranno in mano? Che cosa succederà nel futuro? Con che criteri saranno catalogati? Quali pericoli presentano per la nostra privacy?
Sì è molto discusso sul cosiddetto “passaporto vaccinale” che garantirebbe libertà di movimento ai vaccinati. Pare non sia stato ancora approvato per le proteste di chi rifiuta il vaccino ma si ritiene discriminato dal fatto di non poter godere della libera circolazione concessa agli altri. Ma il passaporto, magari unito al tampone, mi sembra darebbe maggiori garanzie sanitarie del dPLF senza comportarne i rischi di violazione della privacy.
Forse dovremmo chiederci seriamente a quanta libertà siamo disposti a rinunciare per i benefici della sicurezza, sia essa sanitaria o di altro tipo. Per chi come me ha vissuto una lunga vita sentendosi libera, il dPFL è una seccatura a livello psicologico. Ma i nostri figli e i nostri nipoti, in che mondo vivranno? E non c’è il rischio che, come nel bellissimo film “Truman show”, un giorno scopriranno di non vivere la realtà, ma un mondo fasullo come un set televisivo, manipolati, fin dalla nascita, da un deus ex-machina di cui nemmeno sospettano l’esistenza?

Viviana Kasam, ‍‍24/05/2021, qui.

Mi sto sempre più chiedendo se non arriverà il giorno in cui dovremo concludere che Orwell era un ingenuo dilettante.

barbara

L’IDENTITÀ DI GENERE SPIEGATA BENE

Qual è la prima necessità di un bambino, la più assoluta, la più imprescindibile? No, non è l’essere accudito: quello viene dopo. E non è neanche l’essere nutrito, no: anche quello viene dopo. Perché quando le cose di cui hai bisogno per sopravvivere non puoi procurartele da solo, la prima necessità, perché qualcuno provveda a procurartele, è quella di essere accettato. L’essere accettato è alla base di tutto il resto, se manca quello, tutto il resto non arriva.

Mio padre, visto che proprio gli toccava diventare padre, voleva almeno che fosse un maschio. Purtroppo, per sua disgrazia, il figlio che gli è nato era totalmente privo di pendagli. Ha quindi dovuto rinunciare ad avere un maschio, ma non ha rinunciato a crescere un maschio: a quattro anni mi ha fatto il saccone da box; a sei mi ha convinta, non ricordo con quali argomenti, che i miei boccoli biondi non erano per niente virili e da allora, fino a 16 anni, mi ha fatta rapare dal barbiere dei militari; a sette ha cominciato ad addestrarmi all’uso delle armi – armi vere, non armi giocattolo; a otto anni, quando ce ne siamo andati dal centro, impraticabile per un bambino, e siamo andati a stare in periferia, ho avuto la mia prima bicicletta, ed è stata una bicicletta da uomo.

Per poter essere accettata dovevo smettere di essere femmina, ed è quello che ho fatto. Attenzione, non ho fatto finta di crederlo, non ho recitato una commedia con la coscienza di stare recitando una commedia: il bambino non conosce la tecnica brechtiana dello straniamento, e neanche il bispensiero: il bambino diventa ciò che gli adulti da cui dipende vogliono che lui sia, e ci crede con tutto se stesso; qualunque cosa si vuole che lui sia, lui lo diventa: vuoi che sia uno spietato assassino? Diventerà uno spietato assassino. Vuoi che sia un delatore dei propri famigliari? Diventerà un delatore dei propri famigliari. Vuoi che sia di un sesso diverso da quello in cui è nato? Diventerà una persona di un altro sesso.  Io ho smesso di credere che nell’essere donna potesse esserci qualcosa di positivo, ho smesso di sentirmi donna, ho smesso di percepirmi come donna, ho smesso di pensare a me stessa come a una donna. Ho smesso di presentarmi come donna: “sesso neutro” mi definivo. E ci credevo. Sbagliavo, naturalmente: chi non ti accetta per quello che sei, semplicemente non ti accetta tout court, e non c’è niente che tu possa fare per modificare questo dato di fatto, non c’è niente che possa renderti accettabile e accettato, ci sarà sempre qualcosa che farà scattare la repulsione, il rifiuto, il castigo, il relegarti nell’angolo dei reprobi, il cancellarti dal paradiso degli eletti, dei meritevoli di vivere, la negazione di te come persona. Ma questo lo capisci a settant’anni, magari anche a cinquanta, forse a trenta, ma non a quattro, non a dieci, non a quindici.  A venti magari cominci a sentirti maledettamente a disagio in quella pelle che tu stesso ti sei cucito addosso, ma il perché non lo sai.

Ecco: l’identità di genere è tutta qui. Quando sentite un bambino, un ragazzino, un ragazzo dichiarare che lui si sente di un genere diverso dal sesso genetico, prendete una lente di ingrandimento gigante e andate a studiare i suoi genitori, o almeno quello dominante.

A essere nati settant’anni fa c’è, per lo meno, il vantaggio di non avere avuto a portata di mano ormoni in grado di trasformare, forse irreversibilmente, il corpo, e con un po’ di fortuna e tanta sofferenza, magari si riesce a recuperare ciò che la natura ci aveva fatti, e a diventare – a ridiventare – una donna felice e fiera di esserlo. Magari così:

barbara

OGGI VI SCODELLO UN PAIO DI ARABI

Uno

Mus’ab Hasan Yusuf, figlio di un capo di Hamas

e due

Questo invece è un ebreo che si finge arabo

E qui ci sta bene questo incredibile scambio (il signore è noto per questo genere di disgustose provocazioni, e davvero non so dove Deborah trovi la pazienza di continuare a rispondergli invece di mandarlo colà dove merita di essere mandato).

Resto anch’io oltremodo stupito quando in alcune delle lettere pubblicate lamentele ed accuse (generiche a dire il vero) nei confronti dell’Europa colpevole, a giudizio degli scriventi, di “essere contro Israele”. E’ un’accusa che non sta nè in cielo nè in terra, a voler essere obiettivi! Non c’è politico europeo che non abbia manifestato piena solidarietà a Israele , da Macron alla Merkel, da Johnson ai nostri rappresentanti di governo, a cominciare dal patetico Giggino, sedicente ministro degli esteri, pronto, pur di conservare il prestigioso incarico, a qualsiasi voltafaccia rispetto alle posizioni del passato del suo gruppo politico. Senza parlare dei Paesi del nordest europeo, Austria, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia, tutti a gara nel manifestare la propria solidarietà al povero Israele. Non vedo quindi nessuna ostilità da parte dell’Europa nei confronti dello stato ebraico, tutt’altro. Non capisco come si vogliano travisare i fatti a meno che non si voglia fare del vittimismo sempre e comunque. Dispiace infine notare nelle diverse lettere la mancanza totale di un minimo di umana compassione dei confronti delle centinaia di vittime della parte avversa, quantomeno i bambini palestinesi. E’ qui, mi dispiace dirlo, che noto il discrimine fra la morale cristiana e quella ebraica, perlomeno in quella parte del mondo ebraico che, senza se e senza ma, difende le ragioni di Israele senza riconoscere alla controparte neppure la dignità di esseri umani.  

Alessandro Bortolami

Gentile Alessandro,

Le risponderò con una battuta di Boris Johnson detta proprio in questi giorni durante un collegamento con i media: “Metà di voi sono antisemiti” Lo speaker che lo intervistava ribatte “Lei deve ritrattare questa affermazione” e Johnson ” Ha ragione, metà di voi non sono antisemiti”.  Lei asserisce che l’Europa non sia antisemita e che, travisando, facciamo solo del vittimismo. Bene, mi dica però una cosa che mi riesce difficile da capire. Come mai agli europei piace tanto il vittimismo degli arabi palestinesi che prima ci aggrediscono con 4300 missili e quando noi rispondiamo per difenderci vanno a piagnucolare all’ONU che vogliono il cessate il fuoco? E come mai l’Europa continua a mandare miliardi ai palestinesi sapendo che li usano solamente per armarsi e scavare tunnel attraverso i quali penetrare in Israele ad ammazzare civili? E come mai l’Europa parla sempre di occupazione israeliana dal momento che Gaza è occupata da Hamas, organizzazione terrorista legata all’Isis? E come mai dopo lo sfratto di quattro famiglie dal quartiere di Sheikh Jarrah, tutti a urlare “pulizia etnica”, a pappagallo, e senza sapere di cosa stavano parlando? Erano famiglie morose che non pagavano l’affitto da decenni, di generazione in generazione. Dopo l’ultimo invito rifiutato (ultimo in 54 anni, pensi che pazienza), sono state finalmente e giustamente sfrattate. Mi risulta succeda in ogni paese del mondo magari anche prima di lasciar passare mezzo secolo.  In 70 anni i palestinesi sono stati sommersi di denaro, a miliardi, ma lo sviluppo dove sta? Nelle ville con piscina dei capi, nei missili, nei tunnel. La figlia di Arafat ha ereditato dal padre defunto 8 miliardi di dollari! E lei mi parla di dignità del popolo palestinese che noi non sentiremmo nei loro confronti. Loro non hanno dignità perché i loro dittatori gliel’hanno rubata, insieme ai soldi dei donatori internazionali,  incolpando Israele per far crescere l’odio a dismisura. Sono tenuti nell’ignoranza e cresciuti nell’odio e voi europei, anziché riconoscerlo e aiutarli a liberarsi dal giogo delle loro feroci dittature accusate noi israeliani di ogni malefatta. Lei scrive che tutti i paesi d’Europa hanno espresso solidarietà a Israele e non è vero, alcuni lo hanno fatto, altri hanno messo sullo stesso piano Israele che si difendeva (avvisando sempre quando doveva bombardare le basi terroristiche per non colpire civili, (quale paese in guerra lo fa?) a Hamas , terrorista, che lo aggrediva. L’Europa crede ad ogni menzogna di Hamas e di Abu Mazen, persino all’uccisione di un’intera famiglia a Gaza da parte di Israele mentre quella povera gente è stata uccisa da un missile palestinese. Su 4300 missili almeno 800 se li sono tirati in testa ma i morti e i feriti sono stati poi attribuiti a Israele. L’Europa ha sempre preso sotto la sua ala protettrice gli arabi palestinesi fregandosene altamente dei curdi, degli uiguri, dei tibetani, degli yemeniti e di decine di altri popoli sottomessi e massacrati. Nelle capitali d’Europa hanno fatto manifestazioni oceaniche urlando alla morte e distruzione di Israele, 3000 a Londra, migliaia a Berlino, 3000 a Milano, a Napoli, a Palermo, a Trieste. Si è gridato alla distruzione d’Israele ed alla morte degli ebrei, si respirava la stessa aria degli anni 70/80. Concludo con una frase di Golda Meir, laburista, non certo donna di destra: “Ci dicono: tornate ai confini del 67 e ci sarà la pace. Ma noi eravamo sui confini del 67 e ci hanno fatto la guerra. Come mai? Gli arabi non vogliono un territorio, semplicemente si rifiutano di pensare che abbiamo diritto di esistere”. E questo è anche il pensiero di buona parte dell’Europa, media compresi. (qui)

Un cordiale shalom 
Deborah Fait

Ed eccola qui infatti, la grande Golda Meir, che risponde al più ridicolo dei mantra degli antisemiti travestiti da amanti della pace

Infatti, come disse un altro ebreo piuttosto noto:

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci.
Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?
Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi;
un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.
Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco.
Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere».
(Matteo 7, 15-20)

E anche per oggi abbiamo concluso, a voi la linea.

barbara

IL SOLERTE CITTADINO

Il ponte è per tre quarti transennato, perché ci stanno lavorando, e lo spazio che rimane è davvero abbastanza stretto. Lui mi si para davanti, e quasi mi blocca il passaggio, e fissandomi torvo grida:
– La mascherina! Non ha la mascherina! Deve portare la mascherina! Perché non ha la mascherina?
La cosa giusta da dire sarebbe “Perché non sono uno zombie”, ma siccome mi è appena successa una cosa molto bella e sono ancora tutta euforica preferisco non sciupare lo stato d’animo mettendomi a insultare, e rispondo:
– Siamo in strada, mica in un negozio.
– La mascherina è obbligatoria anche in strada!
– Eh, come no.
– È obbligatoria! E vaffanculo, vecchia rimbambita.
Naturalmente a questo punto, stato d’animo o non stato d’animo, gli ho urlato
– Ma vaffanculo tu.
Purtroppo mi è venuto in mente solo un secondo più tardi che avrei dovuto aggiungere “coglione testa di cazzo pezzo di merda”, e certi attrezzi se li impugni anche con solo un secondo di ritardo non solo più utilizzabili.
Per inciso, proprio pochi minuti prima mi era passata di fianco, venendomi incontro, un’auto dei carabinieri, a passo d’uomo perché eravamo in zona pedonale, quindi mi hanno sicuramente vista e non si sono minimamente sognati di fermarsi e dirmi qualcosa, esattamente come la polizia la notte scorsa. Adesso comunque, se dovessi leggere che qualcuno ha chiamato i carabinieri per denunciare qualche pericoloso assembramento di quattro ospiti in casa del vicino o di tre ragazzotti in strada, so di chi si tratta.
La prossima volta comunque lo meno.

barbara

CON LA PAROLA DIO CREÒ IL MONDO

E con le parole ora lo stanno distruggendo.

Torturano le parole per creare l’uomo nuovo

E’ in corso una rivoluzione orwelliana per sostituire l’Archeolingua con la Neolingua (Italia compresa). Padre e madre, Mr e Mrs, ladies and gentlemen… Del passato della lingua bisogna fare tabula rasa

Chi in Inghilterra non ha sentito l’espressione ladies and gentlemen? Da oggi, sui treni inglesi, non sarà più possibile, racconta il Telegraph. Per essere più “inclusivi” hanno detto addio alla celebre formula. Nella “cattolicissima” Irlanda bagni neutri saranno installati questa settimana nelle scuole. L’Università di Manchester ha appena imposto al personale di non utilizzare più i termini “madre” e “padre” ma i neutri “partner” o “tutore” [e con quello che una volta si chiamava asilo e adesso si chiama scuola materna e guai a sbagliare perché “quelli” si incazzano come iene e ti correggono stizziti, come la mettiamo? Tornerà a chiamarsi asilo? O diventerà scuola tutoriale?]. Il Brighton and Sussex University Hospitals NHS Trust è il primo in Inghilterra usa “allattamento al torace” anziché “allattamento al seno” e “genitore che partorisce” al posto di “madre”. Il personale è stato istruito a sostituire anche “latte materno” con “latte umano”. Se IKEA in Australia ha appena introdotto il linguaggio neutro nei suoi magazzini, la città di Salem, in America, quella della caccia alle streghe, ha appena introdotto il linguaggio gender free.

E’ tipico di ogni rivoluzione dominare la lingua per avere un’uniformità di espressione che serva da veicolo all’ideologia dominante. George Orwell in 1984 immortalò la sostituzione dell’Archeolingua con la Neolingua. Quando il governo socialista spagnolo di José Luis Rodríguez Zapatero varò la sua “rivoluzione famigliare”, decise di vietare i tradizionali riferimenti di genere nei documenti relativi alla famiglia. Sui certificati di matrimonio “marito” e “moglie” furono sostituite da “sposo A” e “sposo B”. Nei certificati di nascita, “padre” e “madre” vennero rimpiazzati da due neologismi: “Progenitore A” e “Progenitore B” (anche in Italia da poco è norma “genitore 1” e “genitore 2” nelle carte di identità under 14) [E con quale criterio vengono stabilite le priorità, ossia quale chiamare 1 e quale 2? E se poi quello relegato al secondo posto, o a progenitore di serie B, si offende, o si risente, o si deprime e poi magari si suicida, come la mettiamo? Avranno numero o lettera a giorni alterni scambiandosi i ruoli ogni giorno?]

Nel nuovo libretto di famiglia e nel codice di procedura civile in Francia un tempo campeggiavano in grassetto i termini “sposo o padre” e “sposa o madre”.  Nei nuovi libretti le parole “il padre, la madre” sono state sostituite da “uno dei genitori”. Il sindaco ecologista di Lione ha introdotto la scrittura inclusiva in tutti i documenti ufficiali della città… La scuola elementare Yves Codou, nel comune francese di La Mole, celebra la “festa dei genitori” invece di quella della mamma, per non scontentare le coppie omosessuali. [E quelli che non hanno i genitori? Cosa sono queste vergognose – e, queste sì, autentiche – discriminazioni?]

La Cardiff Metropolitan University, una delle maggiori del Regno Unito, ha stilato una lista di 34 parole che docenti e studenti sono “invitati” a non usare più, sostituendole con altre non “sessiste”. Via “chairman”, a favore del neutro “chair”; “fireman”, pompiere, è sostituito da “firefighter”; casalinga, “housewife”, lascia il posto a “consumer”; umanità, “mankind”, viene rimpiazzata da “humanity” [huMANity? Orrore!!]; anche “homosexual” viene meno a favore di “same sex”; assistente, “right hand man”, diventa invece “chief assistant”. 

Princeton, l’università ha bandito il termine “man” nei suoi vari utilizzi a favore di espressioni più “inclusive”. Via così anche “he” e “she”, a favore di “you” e “your”. A New York, la City University ha deciso che si doveva fare a meno di “Mr” e “Mrs”: perché le donne dovrebbero dire se sono sposate? [sull’eliminare la distinzione fra Miss e Mrs, fra signorina e signora, sarei pienamente d’accordo: la distinzione fra sposati e no non si fa per gli uomini, non vedo perché si debba fare per le donne, e francamente trovo anche ridicolo che qualcuno, a settant’anni, continui a chiamarmi signorina come mezzo secolo fa] Intanto la Elon University eliminava la parola matricola, “freshman”, per usare “first year”. La città di Berkeley ha sostituito termini come “businessman”, “mailman”, “manpower” e “salesman”, per evitare anche solo di evocare il maschile “man”. L’Università del Vermont è stata la prima in America a creare un nuovo pronome, “they”, terzo genere “neutrale”, né femminile né maschile, ma plurale senza genere: “They”, loro. 

“Una volta che la lingua è condannata come fascista, tutto diventa possibile: non merita più rispetto né venerazione” scrive su Le Figaro a fine aprile il filosofo Robert Redeker. “La scrittura inclusiva è in realtà il contrario di ciò che afferma di se stessa: è esclusiva, perché esclude la lingua dalla sua storia. Espelle la lingua dal suo passato, dalla sua tradizione, dalla sua dimora, dalla sua logica. E’ il mito ultrarivoluzionario della tabula rasa: del passato della lingua bisogna fare tabula rasa, al fine di lasciarsi abitare dalle fantasie dei suoi avversari”. 

Torturano le parole per costruire un uomo nuovo…. Ci riusciranno?

Giulio Meotti

Io direi che ci stanno riuscendo alla grande. E fra un po’ arriveremo anche a

(anche se ci siamo andati molto vicini già più di tre anni fa)  Poi però non stupitevi se

Aggiungo ancora un paio di suggerimenti se dovete fare degli auguri di compleanno

E infine vi spedisco a leggere qui.

barbara

A PROPOSITO DI GUERRA (PIÙ O MENO)

Il violino di Goldstein

Sino alla fine della Seconda Guerra Mondiale il direttore d’orchestra italiano Bernardino Molinari fu direttore artistico dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma (già Orchestra dell’Augusteo); Molinari aderì al regime fascista e Roma non lo dimenticò tanto che il 9 e 12 luglio 1944, in occasione di due concerti (Roma era già stata liberata), fu fischiato e contestato dal pubblico costringendolo a interrompere le esecuzioni e infine a dimettersi dall’Orchestra.
Ciò non impedì al celebre direttore d’orchestra di esibirsi negli anni successivi come guest conductor presso numerose orchestre europee e statunitensi; nel 1945 e 1947 raggiunse la Palestina Mandataria Britannica (futuro Stato d’Israele) e diresse rispettivamente il concerto per violino e orchestra del compositore ebreo austriaco Erich Wolfgang Korngold (costretto a emigrare negli USA nel 1934) e la prima assoluta del poema sinfonico Exodus per baritono e orchestra del compositore ebreo tedesco Josef Tal (anch’egli costretto a emigrare in Palestina Mandataria nel 1934).
Molinari arrangiò per orchestra l’Hatikvah che di lì a poco diverrà inno ufficiale dello Stato ebraico; il suo arrangiamento riscontrò grande apprezzamento da parte di Leonard Bernstein – il quale diresse la Philarmonic Orchestra durante la guerra arabo-israeliana del maggio/giugno 1948 – ed è l’arrangiamento tuttora utilizzato dalle maggiori orchestre dello Stato d’Israele.
Il 29 aprile 1945 le truppe statunitensi entrarono nel Lager di Dachau, il primo militare a varcarne i cancelli fu Robert Bernard Sherman; cantautore, pianista, ebreo eroe di guerra reduce da uno scontro a fuoco con truppe tedesche in ritirata (ferito a un ginocchio, camminava con la stampella).
I giochi della Storia non sono mai lineari e men che meno scontati; soprattutto se a condurre i giochi sono la musica e i musicisti che la creano ed eseguono.
Alla vigilia del Capodanno 1942, durante una breve tregua della battaglia di Stalingrado, il violinista e compositore ebreo sovietico Mikhail Emmanuilovich Goldstein partecipava come soldato dell’Armata Rossa a una festa all’aperto organizzata dai commissari sovietici; Goldstein imbracciò il violino e cominciò a sfornare dal suo repertorio opere di autori russi che si diffusero per tutta l’area circostante grazie agli altoparlanti.
A un certo punto Goldstein attaccò una Sonata di J.S. Bach sebbene le disposizioni sovietiche in materia proibissero ai musicisti al fronte di eseguire musica tedesca e quella di Bach in effetti lo era; ma chi avrebbe osato fermare il violino di Goldstein?
Al termine dell’esecuzione, dal fronte tedesco arrivò tramite altoparlante la richiesta di cessate il fuoco e, al violinista, di continuare a suonare Bach; Goldstein non si fece pregare.
Perché la musica – soltanto essa – è capace di fermare le guerre; dal 1939 al 1945 ogni processo creativo – artistico, poetico, musicale, narrativo – maturato in cattività o sul campo di battaglia, in deportazione o in trincea, poneva faticosamente le basi per un futuro riscatto del genere umano, una pace condivisa, un progresso civile propedeutico – non conseguente – al benessere economico.
Come scrisse a Theresienstadt la 13enne poetessa ebrea ceca Eva Pickovà, morta nel dicembre 1943 a Auschwitz: “Il mondo è nostro e lo vogliamo migliore/Vogliamo far qualcosa/È vietato morire”.
Bemotàm zivu lanu et hachaim; con la loro morte ci hanno comandato di vivere.
È noto come la Torà esordisca nel libro Genesi con la Bet di Bereshit che in realtà è la seconda lettera dell’alfabeto ebraico; bisogna aspettare il capitolo 20 del libro Esodo per trovare la prima lettera Alef di Anochì con la quale la Voce divina si presenta nel primo dei Comandamenti.
Il dopo precede sempre il prima su ogni livello di esistenza; materiale, mentale, spirituale.
Credo fortemente che il futuro ci riserverà esattamente questo: l’inizio della musica e delle idee che accompagneranno il mondo e l’Umanità a venire.

Francesco Lotoro,‍ ‍19/05/2021, qui.

Non so se la Sonata di Goldstein fosse questa; mi sembra che ci stia comunque bene.

E naturalmente

barbara