L’AMBIENTE È UNA COSA TROPPO SERIA

per lasciarla in mano agli ambientalisti. Delle devastazioni immani provocate da questi pazzi criminali e ignoranti come peggio non si potrebbe, ho già parlato qui, qui, e qui. Oggi vedremo qualche altro disastro.

Il più grande parco fotovoltaico d’Italia si trova a Foggia: è costato 94,5 milioni di euro

Il più grande parco fotovoltaico d’Italia è costato 94,5 milioni di euro e si estende per l’equivalente di 200 campi da calcio. Si trova in provincia di Foggia.

Il fiore all’occhiello delle rinnovabili italiane si trova in provincia di Foggia, nella località di Troia. È il più grande parco fotovoltaico d’Italia ed è stato finanziato con un maxi-investimento da 94,5 milioni di euro — grazie alla partecipazione dei colossi Natixis e Unicredit.
È stato inaugurato a giugno dell’anno scorso, in un anno che nonostante sia stato caratterizzato dalle prime ondate della pandemia non è riuscito a fermare alcuni progetti altamente innovatici e strategici per il futuro della nazione.
Le dimensioni sono estremamente importanti: si estende per 1.500.000 metri quadrati, ossia – come notava all’epoca dell’annuncio il Giornale di Puglia – l’equivalente di circa 200 campi da calcio. È in grado di alimentare una città da 200.000 abitanti. Con una potenza di 103 MW, produrrà 150.000.000 KWh di energia pulita all’anno.
Dietro al progetto troviamo la European Energy, azienda leader di nazionalità danese.
“L’Italia è un mercato molto importante per noi, siamo pronti ad investire all’incirca altri 800 milioni nei prossimi anni in progetti nel vostro paese dove, come noto, i giorni di sole aiutano il ritorno su questo tipo di investimenti”
aveva spiegato Knud Erik Andersen, CEO di European Energy.
L’inaugurazione dell’enorme parco fotovoltaico di Troia, notano diverse persone esperte di questo fenomeno, segna anche un accelerata importante su un trend che preoccupa più di qualcuno: ossia la dismissione di sempre più ettari di terreno una volta occupati dai granai e oggi occupati dalle distese di pannelli fotovoltaici.
Quello di Troia non è l’unico parco fotovoltaico di dimensioni importanti nel nostro Paese. Il podio vede, rispettivamente nella seconda e terza posizione, gli impianti di Montalto di Castro (84MW) e Rovigo (70MW). L’impianto di Foggia, per dimensioni e potenza, è il 17esimo in Europa.
Umberto Stentella, qui.

Io, per dare l’idea delle dimensioni, più che ai campi di calcio farei riferimento ai campi di grano, o a giardini, prati, boschi: quanta roba buona ci hanno rubato per mettere al suo posto quell’obbrobrio? (e quanti soldi hanno rubato dalle nostre tasche per realizzarlo?) Israele in questo campo (anche in questo campo) è all’avanguardia nel mondo, ma i suoi impianti fotovoltaici li ha costruiti in mezzo al deserto, dove non rubano niente alla natura e agli uomini, e inoltre il sole è garantito sempre.

E altre catastrofi ambientali incombono:

Paesaggi della Tuscia

Catastrofe ambientale in Tuscia
La piccola Irlanda dell’Alto Lazio.
Presto trasformata in una distesa/discarica di migliaia di pannelli fotovoltaici

Aggiungo questo scambio, in merito, fra Fulvio Del Deo e David Perlmutter:

Fulvio Del Deo

E non hai idea dello scempio che si sta facendo anche nel piccolo delle ristrutturazioni “energetiche” finanziate col super bonus 110%! Alle villette accanto a casa mia, hanno tolto delle ottime persiane in pino douglas che finiranno in discarica, per fare posto a porcherie probabilmente di alluminio e plastica simil legno.

דוד פרלמוטר

Fulvio Del Deo

considerando l’inquinamento emesso per materiali, costruzione, manutenzione e smaltimento e l’impatto ambientale che si ha nell’oscurare vaste aree rivestendole di pannelli [per non parlare delle famigerate pale eoliche, aggiungo io], concludo per aiutare l’ambiente bisognerebbe fermare gli ambientalisti.

E passiamo alla benemerita Greenpeace.

Greenpeace è come l’ ‘uomo in frac’ di Modugno

Analisi di Antonio Donno

Greenpeace, nel suo piccolo, ha ripercorso la storia del comunismo marxiano, dagli splendori rivoluzionari dei primi tempi alla triste agonia di oggi. Dalla povertà proletaria iniziale alla ricchezza di una multinazionale, con uffici e impiegati in trenta paesi del mondo, Greenpeace ha percorso a ritroso il tragitto storico che Marx aveva preconizzato nelle sue opere: e così, il proletariato ambientalista si è fatto capitalista, accumulando una fortuna molto ragguardevole. Nel corso della sua esistenza, Greenpeace si è trasformata da un’organizzazione che difende l’ambiente ad una versione capovolta che usa la difesa dell’ambiente per far soldi. Oggi, di fronte all’ultima trovata di Greenpeace, sarebbe opportuno prendere atto della sua smisurata potenza economica: è il caso, dunque, di abbandonare la “pace verde” (Greenpeace) e modificarla in “Goldpeace”, la pace d’oro.

Molti di coloro che hanno fatto parte di Greenpeace, spesso ai livelli di vertice, se ne sono ritratti accusando quell’organizzazione di essere divenuta il contrario di quello che era all’atto della sua fondazione. Con il passare degli anni, la politica dell’organizzazione ha ripercorso la strada della “corsa all’oro”, magnificamente descritta nei romanzi di Jack London dedicati al Klondike, la regione dell’Alaska reputata ricca di giacimenti d’oro. Fu la corsa di molti disperati alla ricerca di fortuna, mentre, nel caso di Greepeace, è stata la corsa di un’organizzazione ferrea, un vero e proprio sistema militare, perfettamente gerarchizzato, che ricorda la struttura piramidale del sistema comunista descritto nelle pagine memorabili di 1984 di George Orwell.

La battaglia di Greenpeace contro i prodotti ogm è stata la dimostrazione più eclatante dell’ignoranza dell’organizzazione e della sua malafede. Dichiarati dall’organizzazione ambientalista pericolosi per la salute pubblica, tutte le ricerche scientifiche indipendenti hanno dimostrato che i cibi ogm sono privi di qualsiasi controindicazione. La loro coltivazione ha sottratto una parte considerevole dell’umanità alla fame cronica, ma Greenpeace è contraria al loro uso, scontrandosi con le posizioni di molti paesi del Terzo Mondo, che vedono nell’uso degli ogm un percorso di uscita dalla fame di intere popolazioni del continente. Ma la potenza intimidatoria di Greenpeace ha raggiunto vette così alte da condizionare i governi di molti paesi del mondo, in particolare quelli che fanno parte dell’Unione Europea.

Greenpeace è una sorta di “Grande Fratello”, uno spettro che si aggira in ogni angolo del mondo, spiando, insinuandosi, progettando denunce, attacchi, contestazioni. La vicenda degli ogm è paradigmatica della natura e degli scopi di Greenpeace. Essi rispecchiano i tre slogan del Partito in 1984 di Orwell: “La guerra è pace/La libertà è schiavitù/L’ignoranza è forza”. E così, la nostra organizzazione ambientalista ha finito per occuparsi di una molteplicità di eventi che spesso nulla hanno a che vedere con l’ambientalismo, trasformandosi in un potere sovranazionale che, influenzando l’opinione pubblica, ricatta i governi, costringendoli a piegare la testa per non essere esposti al ludibrio generale.

Il fisico e matematico Tullio Regge ebbe così a definire l’azione di Greepeace: “L’aggressione dei fanatici di Greenpeace è un ritorno al medioevo malamente mascherato da operazione di salvataggio”. Ora, tuttavia, i tempi stanno cambiando e la politica di Greenpeace va incontro a sempre più dure contestazioni alle sue elucubrazioni antiscientifiche. L’abbandono di molti suoi adepti è la dimostrazione che si è superato ogni limite di credibilità: si sono lasciati alle spalle il puritanesimo dei fanatici di Greenpeace, per i quali vale quanto scrisse Nathaniel Hawthorne in La bambina di neve: “Ma, infine, non vi è nulla da insegnare a uomini saggi. (…) Sanno tutto, oh, certo! tutto ciò che è stato e tutto ciò che è e tutto ciò che, per ogni possibilità futura, debba essere. E se qualche fenomeno della natura (…) dovesse trascendere il loro modo di pensare, essi non lo ammetterebbero mai”. (qui)

E a completare l’opera dei disastri ambientali perpetrati in nome della difesa dell’ambiente, ecco entrare in scena anche il governo italiano, comprensivo di “ministro della Transizione Ecologica” – qualunque cosa possa significare questa ridicola espressione.

Addio alle foreste e ai boschi italiani

Boschi e foreste italiani sotto attacco, anche il governo apre agli abbattimenti. L’importante è fare cassa

disboscamento in Calabria

Il 7 aprile scorso, Stefano Patuanelli, ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, ha scritto sulla sua pagina Facebook«Questa mattina con Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica, Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili, e con altri esperti e membri di Governo, ci siamo confrontati sul IV Rapporto Annuale sul Capitale Naturale. Capitale al quale le foreste e i boschi italiani possono fornire un contributo fondamentale in termini di valorizzazione delle biodiversità, turismo verde, produzione di legno. Basti pensare che l’80% del fabbisogno di legno per l’industria manifatturiera italiana è coperto dall’importazione di materia prima.

Gestione sostenibile dei boschi italiani?

Dobbiamo quindi avviare una gestione forestale sostenibile dei boschi italianiincrementando i prelievi laddove le realtà boschive lo consentano: in questo modo riduciamo l’importazione di legno e miglioriamo la gestione di boschi. C’è una forte convergenza tra i ministeri coinvolti, in merito alle azioni che coinvolgono il capitale naturale del Paese.Con una visione incentrata sulla sostenibilità, la riduzione dei rischi di dissesto idrogeologico, la produzione eolica, la conservazione delle foreste. Temi che trovano ampio spazio anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che comprenderà anche fondi specifici per la creazione di filiere forestali».

La visione utilitaristica dei boschi

Il post di Patuanelli esprime concetti devastanti attraverso parole edulcorate che possono trarre in inganno. Il confronto tra i vari ministri sul Capitale Naturale, cioè sulle foreste e sui boschi italiani, lascia perplessi.
Si evince chiaramente la visione utilitaristica del governo sul patrimonio forestale italiano. Il ministro afferma che le foreste e i boschi del Paese possono fornire un contributo fondamentale in termini di produzione di legno.
Abbattimenti, dunque. E, visto che l’80% del legname è di importazione, si deve – secondo il ministro – “avviare una gestione forestale sostenibile dei boschi italiani, incrementando i prelievi”.

Aumentare gli abbattimenti?

In altri termini, bisogna aumentare gli abbattimenti! Come se in tutta la penisola non fosse già in atto una distruzione senza precedenti del patrimonio boschivo.
Ma non finisce qui, poiché il ministro fa riferimento anche alla forte convergenza tra i dicasteri coinvolti (tutti complici per la devastazione) “in merito alle azioni che coinvolgono il capitale naturale del Paese”. Tenendo presente “la riduzione dei rischi di dissesto idrogeologico” (ma il ministro sa che gli abbattimenti aumentano questo rischio?), “la produzione eolica”, che non genera alcun vantaggio per il cittadino, ma ha distrutto interi paesaggi, “la conservazione delle foreste” (con i tagli?). Delirante e in continuità con il governo Gentiloni.

Il TUFF

Il governo Gentiloni, nei suoi ultimi giorni di attività, quando si sarebbe dovuto occupare solo dell’ordinaria amministrazione, licenziò il Testo Unico in materia di Foreste e Filiere Forestali.
Il TUFF equipara boschi e foreste italiane a vere e proprie “miniere energetiche”. Questo ha dato il via libera allo sfruttamento della risorsa legnosa, depauperando i boschi di molti esemplari. Alberi immolati nelle voraci fauci delle centrali a biomasse, sorte come funghi nell’intera penisola. Si distruggono i boschi per produrre energia classificata come rinnovabile. Ma la legna non è una risorsa rinnovabile. Gentiloni, dunque, assoggettò il patrimonio boschivo “alle esigenze socio-economiche locali, alle produzioni legnose e non legnose, alle esigenze di fruizione e uso pubblico del patrimonio forestale”. Come dire che dalla legna dei boschi si può/deve trarre un beneficio economico.

Boschi e mafie

L’affare dei boschi, peraltro, è un business milionario che arricchisce le organizzazioni criminali alla pari degli altri traffici illegali. Nella “Relazione sull’attività delle Forze di polizia sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata” di qualche anno fa, nella sezione dedicata alle nuove minacce in ordine alla tutela ambientale, si legge: «Nel 2015 inoltre, anche a causa della crisi economica, si è assistito ad una recrudescenza di fenomeni di illegalità nei confronti della risorsa forestale. Da fenomeni più banali, quali il taglio condotto con modalità non conformi, si arriva ad irregolarità via via più gravi, con reati che assumono la dimensione del reato associativo, fino alla turbativa d’asta pubblica». L’operazione “Stige” condotta dalla DDA di Catanzaro un paio di anni fa è stata la dimostrazione di ciò che la relazione ha enunciato.
E il 27 aprile scorso, la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, ha assestato un colpo durissimo alle cosche con il sequestro di beni, mobili e immobili, per 50milioni di euro all’azienda Spadafora.

Il monopolio ‘ndranghetistico sui boschi

La Sila è gestita da decenni dalle cosche crotonesi che controllano l’imprenditoria agricola, il mercato degli animali, la guardiania dei fondi rustici, il taglio degli alberi e la vendita del legname.
Attività molto floride in mano soprattutto alla famiglia Spadafora che, secondo la DDA di Catanzaro, sarebbe collegata alla cosca Farao Marincola di Cirò. Dalle indagini è emerso che le imprese della famiglia Spadafora gestivano, in regime di monopolio ‘ndranghetistico, l’offerta di legname proveniente dai tagli boschivi effettuati nel territorio silano.
Gli Spadafora avevano costituito un cartello di controllo mafioso dei boschi, manovravano l’aggiudicazione delle gare d’appalto boschive con metodo mafioso, provocando danneggiamenti alle ditte che non intendevano allinearsi alle disposizioni della criminalità organizzata. Alcuni componenti della famiglia Spadafora sono stati posti sott’inchiesta e condannati a conclusione della maxinchiesta “Stige” (169 arresti), che ha ricostruito le infiltrazioni delle ‘ndrine crotonesi in Sila. 

Interessi mafiosi sulle biomasse

Le ditte boschive della ‘ndrangheta avrebbero fornito, nel 2016, biomasse per 9.110 tonnellate alla Centrale del Mercure. Più volte è stato lanciato l’allarme di interessi mafiosi nel settore delle biomasse, che in Calabria sembrano intrecciarsi con l’operato di politici e amministratori locali. 
Infatti, in una lettera aperta all’ex presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, nativo di San Giovanni in Fiore, il deputato M5S Giuseppe D’Ippolito gli chiese di «chiarire se ha ricevuto o meno contributi elettorali da una ditta boschiva di San Giovanni in Fiore in odor di ‘ndrangheta… Deve spiegare all’opinione pubblica come sono andati i fatti, che cosa sapeva e perché ha firmato le carte sulle spese elettorali (per le regionali del 2014) vidimate dalla Corte d’Appello, su cui figurava a chiare lettere il nome di un’azienda di legnami, del suo paese di origine, i cui effettivi proprietari erano già noti per specifiche frequentazioni e attitudini, come conferma l’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione ‘Stige’».
Alle vicende degli Spadafora è collegata la posizione del maresciallo dei carabinieri forestali Carmine Greco, finito nelle maglie della maxinchiesta “Stige” e condannato a 13 anni di reclusione per mafia nel dicembre 2020. Greco è stato ritenuto dal Tribunale di Crotone responsabile di concorso in associazione mafiosa, favoreggiamento, rivelazione e omissione di atti di ufficio. Il sottufficiale avrebbe favorito – secondo la ricostruzione del pm antimafia Paolo Sirleo – in più occasioni i titolari dell’impresa boschiva Spadafora di San Giovanni in Fiore.  
Patuanelli e gli altri ministri coinvolti nell’operazione “prelievo nelle foreste” forse non sono a conoscenza che la risorsa forestale è nel mirino delle mafie e voler incrementare i tagli equivale non solo a devastare l’ambiente, ma anche a voler favorire la criminalità organizzata. Cui prodest?
By Francesca Canino, Aprile 29, 2021, qui.

Infine andate a guardarvi questo. Sono cose stranote, ma un ripassino non fa mai male.

barbara

Una risposta

  1. In UK stanno costruendo una nuova centrale nucleare (ovviamente quei rompipalle degli ambientalisti non sono d’accordo). Qui c’è un documento divulgativo che spiega l’impatto ambientale della nuova centrale.

    Fai clic per accedere a sizewell_c_environmental_leaflet_singles_high_res.pdf

    Il dato più significativo è questo. Per produrre la stessa quantità di energia, l’eolico abbisogna di una superficie 3000 volte più grande della centrale nucleare in questione, e i pannelli fotovoltaici vogliono una superficie 1000 volte più grande.

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  2. Ciao Barbara! Una domanda seria: ma a te, cosa te ne puo’ fregare dell’ambiente? Sei in pensione, dici di non avere figli, e ritengo improbabile che tu possa farne. A meno che tu non creda nella reincarnazione, non hai nessun motivo per preocuparti per l’ecologia. Seriamente, cosa ti spinge a preoccupartene? Il nazionalismo, per caso? Io non ho figli, non ne avro’ mai, e non ho nessun popolo che possa considerare come mio, quindi me ne sono sempre sbattuto altamente delle questioni ambientali.

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      • Detto in maniera piu’ semplice: che ce ne cala se l’ambiente se ne va al diavolo? Tanto, nessuno di noi due campera’ a lungo. Se avessi un figlio/a, cercherei di conservare l’ambiente per lui/lei, ma nel mio caso me ne sbatto altamente. Anche se gli ecologisti fanno fesserie e trasformano tutta l’Europa nella Terra dei Fuochi, non mi cambia quasi niente dato che non ci campero’ granche’.

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  3. “E non hai idea dello scempio che si sta facendo anche nel piccolo delle ristrutturazioni “energetiche” finanziate col super bonus 110%! Alle villette accanto a casa mia, hanno tolto delle ottime persiane in pino douglas che finiranno in discarica, per fare posto a porcherie probabilmente di alluminio e plastica simil legno.” Già, perchè grattare, stuccare, riverniciare ogni 2-3 anni le persiane è un lavoretto da niente. Né le vernici inquinano.. Alluminio dippato è praticamente eterno. Ho dei serramenti in Al praticamente intonsi dopo 60+ anni dalla posa (vetri esterni): quelli di legno (interni a questi di Al) li ho già cambiati 2 volte e la 3a li ho messi di PVC.

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    • “I lavoratori di questi stabilimenti rischiano danni alla salute derivanti dall’esposizione al polivinilcloruro e agli altri additivi utilizzati nel processo di lavorazione. Tali rischi per la salute includono angiosarcoma del fegato, cancro ai polmoni, cancro al cervello, linfomi, leucemie, e cirrosi epatica.”

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  4. Pingback: CHI SONO I RESPONSABILI DELLA FAME NEL MONDO | ilblogdibarbara

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