Parlo di Pino Arlacchi, che chi ha un po’ di anni sulle spalle sicuramente ricorderà. Comincio con un vecchio articolo, per inquadrare la situazione.
AFGHANISTAN / FALLITO IL PIANO ONU
Così Arlacchi perse la guerra dell’oppio
Distruzione dei papaveri in cambio di 400 miliardi. Lo propose lo zar antidroga ai talebani. La produzione, al contrario, è raddoppiata
Sulla carta sembrava proprio un progetto bello e possibile: ridurre in dieci anni del cinquanta per cento le coltivazioni di droga nel mondo, sostituendole con colture alternative. Spesa prevista 500 milioni di dollari (mille miliardi di lire attuali).
L’ideatore dell’ambizioso piano, com’è noto, è l’italiano Pino Arlacchi, vicesegretario delle Nazioni Unite in quanto direttore dell’Undcp (United nations drug control programme). Ma a tre anni dalla crociata dello “zar dell’antidroga”, come è stato soprannominato, il progetto ha fatto flop. E proprio in Afghanistan, il paese dove fin dall’inizio le prospettive di successo erano tutt’altro che rosee. Ma lui, da buon calabrese cocciuto, ha voluto lanciare la sua sfida. Con un risultato finora tutto al negativo.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Onu, nel paese al crocevia dell’Asia, retto dai talebani, i campi di papavero si sono talmente estesi nel corso dell’ultimo anno da produrre 4.600 tonnellate di oppio. Una cifra record che non ha precedenti e corrisponde al doppio del raccolto del 1998. Un balzo in avanti per l’Afghanistan che dal cinquanta per cento è passato a coprire per due terzi il mercato globale dell’eroina. E che fa impennare del 60 per cento la produzione mondiale della polvere bianca. Una montagna di droga mai raggiunta prima e che attraverso l’antica via della seta, dove una volta passavano carovane cariche di tessuti, spezie, gemme, porta la morte coprendo per l’80 per cento i mercati europei.
Arlacchi, pur essendo stato allertato fin dall’inizio dai media di mezzo mondo, ha voluto credere alle promesse dei talebani. A suo tempo si recò a Kandahar, la storica capitale dell’Afghanistan, per incontrarli. Promise oltre 400 miliardi di lire in dieci anni se avessero sradicato le coltivazioni di papavero. Non ti fidare gli dicevano in molti, quei soldi servono a comprare armi, a prolungare la guerra civile e a esportare il credo oscurantista degli studenti islamici al potere a Kabul. «Non finanziare un regime integralista che annulla le libertà e mortifica le donne», diceva l’allora commissario europeo Emma Bonino. Ma a tutti Arlacchi, dal suo quartier generale al settimo piano del palazzo dell’Onu a Vienna, dove ha varato programmi, impartito ordini, spostato uomini, cambiato organigrammi, ha risposto duramente agli attacchi di ieri, ostentando sicurezza e ottimismo.
E oggi? Proprio in questi giorni il problema Afghanistan è stato messo sul tappeto dal comitato tecnico dell’Onu. Ma Arlacchi non demorde, e per bocca del suo portavoce Sandro Tucci risponde che l’incremento della produzione del papavero è dovuto sì «a un aumento del 23 per cento della superficie coltivata ma anche alle ottime condizioni climatiche». Prevede una forte riduzione, attorno al 30 per cento per il prossimo raccolto, questa volta per le «avverse condizioni climatiche». Insomma sembrerebbe proprio un piano in gran parte affidato ai capricci di Giove.
Su quel 23 per cento di superficie in più coltivata e non distrutta, Arlacchi ha la sua risposta. Le colture servono a «sfamare un milione e 400 mila contadini». Di conseguenza lo Stato, ovvero il governo dei talebani, non può distruggere quelle coltivazioni, presenti in dieci delle 29 province afghane su un totale di 60 mila ettari di terreno e per il 96 per cento sotto il loro controllo. E allora perché continuare a finanziare piani che vengono disattesi? «C’è la guerra, e possiamo fare poco. E per rendere più difficile il contrabbando, avremmo bisogno di più soldi per aiutare i paesi limitrofi a combatterlo», dice Tucci. «Inoltre il leader dei talebani ci ha assicurato di aver emesso un editto che invita a ridurre la produzione di oppio».
Rimane il fatto che il regime teocratico dei talebani alla fin fine vorrebbe la scomparsa non tanto delle piantagioni di papavero quanto degli «infedeli», ovvero degli occidentali.
Dina Nascetti, 18.05.2000, qui.
Già: credere alla parola dei talebani non è proprio una buonissima idea, e l’arlacchino nostro ci ha sbattuto pesantemente il naso – anche con quelle sue tremende arrampicate sugli specchi. E ora, ventun anni dopo, che cosa ci racconta il nostro genietto di casa?
Pino Arlacchi: “E’ con l’invasione Usa che esplose la produzione illecita di oppio in Afghanistan”
Cari amici, interrompo il mio lungo silenzio, dovuto alla scrittura di un nuovo libro, per un commento sull’#Afghanistan dopo la vittoria talebana.
Mi occupo di quel paese da quasi 25 anni, ed ho formulato due proposte di soluzione dei suoi problemi più impellenti. La prima è stato il piano di eliminazione delle coltivazioni di oppio che ho elaborato durante il mio mandato ONU. Piano coronato da completo successo nell’estate del 2001. [Questo articolo di fine ottobre 2001 dice esattamente il contrario]
I talebani al potere, pressati dal programma che dirigevo e dal Consiglio di sicurezza, decisero di far rispettare la proibizione di coltivare l’oppio con il risultato di azzerarla quasi totalmente. [Eh, una paura si sono messi con le tue pressioni, ma una paura guarda…]
L’invasione americana dell’ottobre di quello stesso anno sloggiò i talebani dal governo e fu seguita da un accordo con i signori della guerra che riportò in pochi anni la produzione illecita ai livelli precedenti il 2001.
Nel gennaio del 2011 il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza la mia proposta per una soluzione non militare della crisi afghana. Sul mio sito https://pinoarlacchi.it/en/mission-in-afghanistan potete leggere il testo della mia “Nuova strategia dell’Unione Europea per l’Afghanistan”.
A differenza del mio piano sull’oppio di dieci anni prima, questa strategia non ha avuto alcun seguito. È stata ignorata dalla Commissione europea e dagli Stati membri, che hanno persistito nel seguire le direttive americane. Il risultato finale (disastroso) è ora sotto i nostri occhi. [Il tuo risultato finale (disastroso) invece, sotto quale tappeto lo hai spazzato? E quante armi hanno comprato i talebani coi tuoi 400 miliardi di dollari? Quante persone hanno ammazzato con quelle armi? Quanto sangue hai sulle mani?]
In alcuni post successivi commenterò i principali temi sul tappeto.
Pino Arlacchi, 20/08/2021, qui.
E prosegue, sempre autoincensandosi.
Pino Arlacchi – Cosa succede in Afghanistan al di là del delirio mediatico
Invito chiunque mi legga e mastichi una qualsiasi lingua straniera a informarsi sull’ Afghanistan evitando di leggere i maggiori quotidiani italiani. Quel paese sembra essere stato vittima di una invasione di mostri pervenuti dallo spazio e dotati di poteri sconfinati. Mostri che sono riusciti a far scappare da Kabul, terrorizzate, le forze del bene. Mostri assetati di vendetta e di sangue, soprattutto femminile, e che si apprestano a far diventare l’Afghanistan il santuario del narcotraffico e del terrorismo mondiale. [E pensare che invece sono tanto buoni, soprattutto con le donne, che trattano con una delicatezza che neanche i trovatori del dolce stil novo, che non farebbero male a una mosca, vendetta poi non sanno neanche come si scrive]
Delirio mediatico.
Cosa è successo invece, e cosa sta accadendo in Afghanistan in questi giorni?
Non c’è stata, innanzitutto, alcuna invasione di alieni, ma lo sbocco finale di due guerre. Una guerra civile tra i talebani ed i loro avversari iniziata quasi trent’anni fa, ed una guerra di liberazione contro una potenza occupante iniziata venti anni fa esatti.
I talebani sono degli integralisti islamici estremi, portatori di un’ideologia oscurantista che implica la violazione di diritti fondamentali, in primis quelli delle donne. Ma sono anche una forza che ha finito col prevalere contro ogni genere di nemico grazie a un rapporto con la popolazione rurale afghana migliore di quello stabilito dai loro avversari. [Ecco, ve l’avevo detto, benefattori sono, angeli custodi, praticamente la mano destra di Dio]
I talebani che ho conosciuto non erano guerriglieri marxisti e neppure nazionalisti. Non combattevano per i poveri e neppure per costruire uno Stato-nazione. Si ispiravano, e si ispirano, ad una società di virtuosi, governata da precetti coranici, inaccettabile e odiosa ai nostri occhi [mentre agli occhi degli afghani è il paradiso in terra. È per quello che stanno accorrendo a Kabul da tutte le parti del Medio Oriente, per godere anche loro del paradiso]. Ma la società dei talebani è una società di afghani, non la Umma universale di altri estremisti. Gli studenti del Corano, perciò, non hanno mai operato al di fuori del loro paese e non sono interessati ad esportare il loro credo altrove [e dunque?].
Come sono allora riusciti a godere di quel minimo di consenso dal basso, o di semplice neutralità, che ha consentito loro di conquistare il Paese ed entrare a Kabul senza sparare un colpo?
Finanziamenti, armi e aiuti dall’estero?
Quasi zero [ehm… La domanda, come si suol dire, è d’obbligo: ci sei o ci fai?], visto che il rubinetto saudita si è chiuso dopo il 2001 e visto che le grandi potenze regionali sono state a guardare aspettando che il frutto afghano cadesse nelle loro mani dopo la debacle euroamericana.
Puntualmente avvenuta. Questa sì che è intelligence! O era sufficiente solo leggere i giornali e fare due più due? [Cioè adesso l’Afghanistan è caduto in mano alle grandi potenze regionali? Me la spieghi meglio, che non l’ho mica tanto capita questa?]
È bastato perciò ai talebani sedersi sulla riva del fiume ed aspettare. [I talebani?! Come i talebani? Ma non è nelle mani delle grandi potenze regionali che è caduto l’Afghanistan? Sei sicuro, come si dice dalle mie ex parti, di avere tutte le tazze nella credenza?]
Cioè resistere, garantire ordine e sicurezza alle zone sotto il loro controllo, assicurarsi perlomeno la neutralità della popolazione. Ed attendere ciò che era prevedibile già dieci anni fa: il crollo della baracca di corruzione, inettitudine militare ed amministrativa, indifferenza per i bisogni dei civili, messa in piedi dalle forze di occupazione. [Veramente Trump ha deciso il ritiro all’inizio del 2019 perché aveva stabilito che non avevano più niente da fare lì; tutto il resto, baracca di corruzione eccetera si trova nella fervida fantasia del signor Arlacchi. E davvero questo signore ha l’impressione che gli afghani, e le donne in particolare, preferissero i talebani agli americani? E come le spiega le fughe? Come spiega gli assalti all’aeroporto? Come spiega le madri che lanciano i figli oltre il filo spinato dell’aeroporto nella speranza di sottrarli all’inferno che aspetta tutti loro – come le madri ebree nel disperato tentativo di salvarli dai nazisti? Di disonestà intellettuale ne stiamo vedendo tanta, ma quella di quest’uomo le supera tutte]
L’analisi che avevo fatto nel 2011 per il Parlamento europeo parlava chiaro. Non c’era speranza di una soluzione militare, e senza una svolta radicale delle politiche occidentali l’Afghanistan sarebbe caduto nelle mani dei talebani. [Eh già, l’unico che ha capito tutto, ma vaffanculo, va’] [Ma poi perché “caduto”? Non hai appena finito di dire che non è vero che sono dei mostri, che hanno il sostegno popolare, che la gente preferisce loro agli americani?]
L’unica cosa che non avevo considerato nel mio rapporto era l’identità del vero futuro vincitore della guerra dell’Afghanistan: la Cina. [Ah, non le grandi potenze regionali? Non hai appena detto che è nelle loro mani che è caduto il frutto afghano?]
Pino Arlacchi, 22/08/2021, qui.
Per sapere perché il ritiro si è trasformato in una rotta disastrosa [Caporetto? Adua?] è meglio leggere qualcosa di più serio.
Niram Ferretti
EXIT STRATEGY
“Sono abbastanza vecchio per avere bene in mente la caduta di Saigon nel 1975…ce l’ho nel mio archivio dei ricordi”, ha dichiarato il generale Jim Jones, che ha servito come consigliere per la sicurezza nazionale sotto il presidente Barack Obama. “Fu molto doloroso da guardare. Questo è, almeno finora, ancora più doloroso”.
Costernazione.
“Quando si fanno questo tipo di cose, per quanto grandi o piccole siano, la prima cosa che si è fa è di evacuare i civili e le famiglie, poi il personale del governo degli Stati Uniti se necessario. E in seguito le ultime persone che se ne vanno sono generalmente i militari che forniscono la sicurezza per una evacuazione ordinata. Mi risulta che abbiamo fatto esattamente il contrario e non so perché.”
La risposta, per quanto sconcertante, è, per palese incompetenza. Inutile cercare improbabili moventi oscuri, ricorrere a fantasiose dietrologie. Il modo in cui gli Stati Uniti si sono lasciati dietro l’Afghanistan consegnandolo nelle mani dei talebani, resterà nei libri di storia come un degli esempi più clamorosi di come non si effettua un ritiro militare.
Il responsabile principale di tutto ciò è, ovviamente, il Commander in Chief, ovvero il presidente, colui che alla fine ha dato il via all’operazione, l’ha avallata, ha posto il suo sigillo.
Uscire di scena così non è degno di una grande potenza, non è degno di una piccola potenza. E’ semplicemente grottesco e surreale.
Incompetenza, senza dubbio. Ma non solo.
Parla Mike Pence: Biden ha rotto il nostro accordo con i Talebani
Mike Pence: Questa è un’umiliazione di politica estera diversa da qualsiasi altra cosa il nostro paese abbia mai sopportato sin dalla crisi degli ostaggi in Iran.
“La probabilità che ci siano i Talebani a dominare tutto e a controllare l’intero paese [l’Afghanistan] è altamente improbabile”, ha proclamato fiduciosamente Joe Biden a luglio. “Non ci saranno circostanze in cui vedrete persone sollevate dal tetto dell’ambasciata”.
Un mese dopo, lo scenario che il signor Biden riteneva impossibile è diventato una realtà terrificante. Negli ultimi giorni, il mondo ha visto civili in preda al panico aggrapparsi ad aerei militari statunitensi nel disperato tentativo di sfuggire al caos scatenato dalla ritirata sconsiderata del signor Biden. I diplomatici americani hanno dovuto implorare i nostri nemici di non prendere d’assalto la nostra ambasciata a Kabul. I combattenti talebani hanno sequestrato decine di veicoli militari americani, fucili, artiglieria, aerei, elicotteri e droni.
Il disastroso ritiro dell’amministrazione Biden dall’Afghanistan è un’umiliazione di politica estera diversa da qualsiasi altra cosa il nostro paese abbia mai sopportato sin dalla crisi degli ostaggi in Iran.
Ha messo in imbarazzo l’America davanti alla scena mondiale, ha portato gli alleati a dubitare della nostra affidabilità ed ha incoraggiato i nemici a mettere alla prova la nostra determinazione. Peggio di tutto, ha disonorato la memoria degli eroici americani che hanno aiutato a consegnare i terroristi alla giustizia dopo l’11 settembre, e tutti coloro che hanno servito in Afghanistan negli ultimi 20 anni.
Nel febbraio 2020, l’amministrazione Trump aveva raggiunto un accordo che richiedeva ai Talebani di porre fine a tutti gli attacchi al personale militare americano, di rifiutare ai terroristi un porto sicuro e di negoziare con i leader afgani la creazione di un nuovo governo. Finché queste condizioni fossero state soddisfatte, gli Stati Uniti avrebbero condotto un graduale e ordinato ritiro delle forze militari.
Approvato all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’accordo ha immediatamente portato in Afghanistan una stabilità mai vista da decenni. Negli ultimi 18 mesi, gli Stati Uniti non hanno subito una sola perdita in combattimento.
Quando abbiamo lasciato l’incarico, il governo afgano e i Talebani controllavano ciascuno il proprio territorio, nessuno dei due stava montando grandi offensive, e l’America aveva solo 2.500 truppe statunitensi nel paese – la più piccola presenza militare dall’inizio della guerra nel 2001.
La guerra infinita dell’America stava arrivando a una fine dignitosa, e la base aerea di Bagram ci assicurava la possibilità di condurre missioni antiterrorismo fino alla conclusione di quella guerra.
I progressi della nostra amministrazione per ottenere la fine di quella guerra sono stati possibili perché i leader Talebani hanno capito che le conseguenze della violazione dell’accordo sarebbero state rapide e gravi. Dopo che i nostri militari avevano eliminato il terrorista iraniano Qasem Soleimani, e le forze speciali statunitensi avevano ucciso il leader dell’ISIS, i Talebani non avevano dubbi che avremmo mantenuto la nostra promessa.
Ma quando il signor Biden è diventato presidente, ha rapidamente annunciato che le forze statunitensi sarebbero rimaste in Afghanistan per altri quattro mesi senza una chiara ragione per farlo. Non c’era alcun piano per trasportare i miliardi di dollari di attrezzature americane recentemente catturate dai Talebani, o per evacuare le migliaia di americani che ora si affannano a fuggire da Kabul, o per facilitare il reinsediamento regionale delle migliaia di rifugiati afgani che ora chiederanno asilo negli Stati Uniti con poco o nessun controllo.
Piuttosto, sembra che il presidente semplicemente non volesse mostrare di rispettare i termini di un accordo negoziato dal suo predecessore.
Una volta che il signor Biden ha rotto l’accordo, i Talebani hanno lanciato una grande offensiva contro il governo afgano e hanno preso Kabul. Sapevano che non c’era alcuna minaccia credibile di un atto di forza da parte di questo presidente. L’hanno visto inchinarsi a gruppi terroristici antisemiti come Hamas, ripristinare milioni di dollari di aiuti all’Autorità Palestinese e stare a guardare all’inizio di quest’anno mentre migliaia di razzi piovevano sui civili israeliani.
La debolezza istiga il male – e la grandezza del male che ora sta sorgendo in Afghanistan la dice lunga sulle debolezze del signor Biden. Per limitare la carneficina, il presidente ha ordinato più truppe in Afghanistan, triplicando la nostra presenza militare durante un presunto ritiro.
Dopo 20 anni, più di 2.400 americani morti, 20.000 americani feriti e oltre 2.000 miliardi di dollari spesi, il popolo americano è pronto a riportare a casa le sue truppe.
Ma il modo in cui il signor Biden ha eseguito questo ritiro è una vergogna, indegno dei coraggiosi uomini e donne americani in servizio il cui sangue macchia ancora il suolo dell’Afghanistan.
Luca Maragna, qui.
“Piuttosto, sembra che il presidente semplicemente non volesse mostrare di rispettare i termini di un accordo negoziato dal suo predecessore.”
Esattamente come ha fatto con tutto ciò che aveva fatto Trump (a cominciare dalle tasse che T. aveva tagliato, permettendo così di favorire le assunzioni e abbassare drasticamente la disoccupazione, soprattutto fra neri e ispanici, che non a caso hanno votato per lui con percentuali mai viste prima nei confronti di un candidato repubblicano). No, questo non è il marito che si taglia i coglioni per fare dispetto alla moglie: questo è uno che ha tagliato i coglioni a un’intera nazione per fare dispetto a chi, quei coglioni, glieli aveva messi. E adesso, notate bene, si sta cercando di limitare la carneficina. Che difficilmente sarà evitata del tutto.
barbara