Il pezzo mi è venuto un po’ sanguigno. D’altra parte io SONO sanguigna: fatevene una ragione.
Partiamo dai dati di fatto: Eitan è stato portato in Italia all’età di un mese; da allora è andato frequentemente in Israele, ma “casa sua” è sempre stata qui, a Pavia. Qualcuno dice che ora casa sua deve diventare Israele: con tutta la buona volontà non riesco a trovare una sola ragione al mondo che giustifichi questa idea. Meno che mai dopo un trauma spaventoso che ha totalmente stravolto la sua vita: gli sono stati strappati i genitori, gli è stato strappato il fratellino, gli sono stati strappati i bisnonni, gli è stata strappata tutta la sua vita di prima: gli vogliamo strappare anche il suo mondo, quello che ha sempre conosciuto come suo, il paesaggio che da sempre lo circonda, gli zii di riferimento, i cugini, gli amici, i compagni dell’asilo? Non gli vogliamo lasciare proprio niente niente niente di quella che fino a sei mesi fa è stata la sua vita? Si può immaginare una crudeltà più grande?
Qualcuno dice: ma i suoi genitori avevano intenzione di tornare in Israele.
UNO: le intenzioni, finché non vengono realizzate, restano mere intenzioni. Conosco uno che è venuto a studiare qui perché in Israele a quel tempo la facoltà che gli interessava non c’era ancora. Probabilmente avrà avuto intenzione di tornare, ma poi una volta qui sono arrivati gli amici e le donne, poi il lavoro, poi la donna giusta, poi i figli con conseguenti asilo scuola amici… Chissà, magari un giorno tornerà davvero ma per il momento, dopo trentanove anni, è ancora qui, e con lui i suoi figli. E i genitori di Eitan lo avevano iscritto a scuola qui: difficile pensare a programmi di trasferimento a breve termine.
DUE: avevano intenzione di rientrare. Tutti insieme. Non di spedire lui lì da solo. Il giorno in cui lo avessero fatto il bambino sarebbe stato comunque sradicato, ma avrebbe avuto accanto i genitori e il fratello.
TRE: avevano manifestato l’intenzione di rientrare, ma poi sono successe alcune cose: i sostenitori del trasferimento in Israele se ne sono accorti? Avete bisogno che vi spieghi che cosa? Vi serve un disegnino per capire meglio? Cioè, dopo uno sconquasso di quel genere voi vorreste ripartire con un heri dicebamus come se non fosse successo niente? Sulla pelle di un bambino? Come se non fosse già abbastanza provato? Non vi sembra follia pura? Cos’altro volete fargli passare ancora? Ma veramente non vi sentite un po’ aguzzini? Proprio neanche un pochino?
Mi è capitato di sentir dire: il nonno ha più diritti degli zii perché è un parente più stretto.
UNO: se, per dirne una, mi sono separata perché mi sono accorta che mio marito molestava mio figlio e poi mi capita una disgrazia, è giusto dare il bambino al padre anziché a mia sorella perché lui è un parente più stretto? Il grado di parentela è l’unico criterio da prendere in considerazione? Due è più stretto di tre quindi tocca a lui, come a carte, chi ha l’asso vince e gli altri a cuccia? Ma voi avete il baco nel cervello, gente. Ma soprattutto
DUE: diritti del nonno?! Stiamo parlando di un bambino che ha subito il più tremendo dei traumi, che sta faticosamente riprendendo a vivere, e voi mi venite a cianciare di diritti del nonno?! Ma voi avete una intera colonia di bachi nel cervello, siete da ricovero immediato e camicia di forza!
Ho addirittura letto che “deve stare col nonno perché lui ha perso la figlia e un nipote e quindi è giusto che gli venga dato il nipote superstite”. Qualcuno riesce a immaginare qualcosa di più mostruoso, di più immondo, di più cinico, di più infame? Il bambino sarebbe sopravvissuto alla tragedia – grazie soprattutto alla prontezza di riflessi del padre che nei pochi secondi intercorsi fra il distacco della cabina e lo schianto mortale lo ha avvolto col suo corpo per attutire il più possibile l’impatto – non per vivere la propria vita ma per andare a fare da tappabuchi al povero nonno orbato? Ma veramente non vi vergognate a suggerire una cosa simile? Non vi fate schifo? Non vi viene da sputarvi addosso quando vi guardate allo specchio?
Adesso ci vengono a raccontare che sta bene, che è sereno: vero, ci sono le foto a documentarlo. È sereno perché l’infame che lo ha rapito non gli ha detto ti porto in Israele per sempre, non vedrai mai più Pavia, non vedrai mai più gli zii, non vedrai mai più i cuginetti, non vedrai mai più gli amici, non vedrai mai più i compagni dell’asilo. Gli ha raccontato che lo portava a fare una gita: e quale bambino non sarebbe strafelice di fare una gita, oltretutto fuori programma? E che cosa succederà quando scoprirà la verità, se i giudici israeliani dovessero malauguratamente decidere di farlo restare lì? E quali saranno le conseguenze dell’interruzione dei trattamenti, riabilitativi e di sostegno psicologico, che stava seguendo a Pavia? E quali, inoltre, le conseguenze della continua esposizione mediatica a cui quell’uomo sta sottoponendo un bambino che avrebbe bisogno unicamente di tranquillità?
Da qualunque parte la si esamini, è una storia talmente sporca che riesce davvero difficile liquidare come maldicenze i sospetti che dietro il rapimento ci siano interessi molto materiali. Ma soprattutto è impossibile credere che chi ha messo in atto un’azione tanto infame, accuratamente pianificata e con un discreto numero di complici in loco, abbia avuto in mente, anche per un solo secondo, il bene del bambino.
barbara