Ovvero la lunga e dolorosa storia dei miei occhi. La storia è cominciata quando avevo tre anni, e in seguito a una febbre – stando almeno a quanto mi è stato raccontato – sono diventata strabica (febbre. All’epoca non c’erano le vaccinazioni infantili, quindi nessuno tenti di incolparne qualche vaccino come hanno fatto per l’autismo e mille altre cose). Un lunga serie di esercizi di ginnastica oculare mi hanno trasformato uno strabismo unilaterale in strabismo bilaterale alternato; il perché mi è stato spiegato solo recentissimamente: lo strabico in genere usa un occhio solo; io, grazie al risultato della ginnastica, uso un solo occhio per volta, però alternati, e quindi ho evitato di perderne uno, come succede quando uno non viene mai usato. A dieci anni sono stata operata; un oculista specializzato in strabismo, che non operava ma programmava dettagliatamente gli interventi degli altri, aveva programmato tre interventi: due, a distanza di qualche mese uno dall’altro, un occhio per volta, tagliando un po’ meno del necessario, poi aspettare un anno per l’accomodamento e infine dare l’ultimo piccolo ritocco per portare tutto alla perfezione, e non avrei mai più dovuto portare gli occhiali. Poi lui si è trasferito, mi hanno operata in due (Moro e Chinaglia, che siano stramaledetti) contemporaneamente, un occhio per ciascuno, e hanno tagliato più del dovuto, trasformando uno strabismo convergente in strabismo divergente e non più rimediabile. E dunque sono rimasta strabica per sempre, e sempre di più col passare degli anni e dei decenni. Lo strabismo non è solo un problema estetico: è anche un problema relazionale, tanto per cominciare (tipo: scolaro che fa casino, io lo guardo con aria feroce, lui continua a fare i fatti suoi mentre quello due banchi più in là schizza su strillando “Beh, cosa ho fatto adesso?!”); è poi un problema tecnico, perché usando un solo occhio per volta il campo visivo è ridotto, e perché senza l’aggiustamento dato dalla visione bioculare non ho la capacità di calcolare le distanze (per parcheggiare per esempio devo sempre fare almeno una manovra in più per la paura di andare a toccare, perché fra 5 e 50 centimetri non percepisco alcuna differenza, per cui, per non rischiare disastri, devo necessariamente fare conto che siano 5. Tranne la volta che in garage mi sono detta dai basta con questa storia, lo sai benissimo che c’è almeno mezzo me-SBAM!) Qualche anno fa sono arrivate le cataratte, quasi sicuramente di origine traumatica per via del mio famoso incontro intimo con una Ford Focus (nota per i lettori recenti: centrata in pieno sulle righe senza neanche toccare i freni, volo di diversi metri e infine scaraventata di faccia sull’asfalto). Insieme alla visione offuscata è comparsa, ed è andata via via aumentando, questa cosa qui
quando avevo davanti una fonte di luce (solo, con i raggi più filiformi). Quando l’ho spiegato all’oculista, ha confermato che era una conseguenza della frantumazione del cristallino, che ovviamente sarebbe sparita con l’intervento e la sostituzione del cristallino frantumato e difettato con quello artificiale nuovo di zecca. Sono stata operata lo scorso gennaio, e la mia visione in presenza di una fonte di luce è diventata questa
Col passare dei mesi quel raggio centrale di uno o due gradi in cui era concentrata la maggior parte della luminosità si è andato aprendo come un ventaglio e ha aumentato l’ampiezza dell’angolo e il raggio del cerchio fino a tornare alla stessa situazione di prima dell’intervento. Sia lui che un’altra oculista che ho consultato hanno detto che la cosa migliore era un trattamento laser (rigorosamente privato, e abbastanza costoso) per “pulire”. Vabbè, martedì scorso l’ho fatto e adesso, in presenza di una fonte di luce, il mio occhio destro vede questo
Non così totalmente coprente, ma la distribuzione dei raggi luminosi è sostanzialmente questa. I singoli raggi, essendo meno numerosi, sono più luminosi, perché la luminosità totale è sempre la stessa. E mentre prima i raggi di luce erano bianchi, ora sono iridati. Si tenga presente che in questa zona le luci stradali sono dei piatti con quattro basi costituite ognuna da 20 lucine led, vale a dire 80 per ogni lampione, moltiplicate per alcune decine che arrivo a vedere in un rettilineo, moltiplicate per due per i due lati della strada, più le luci delle molte decine di auto che mi vengono incontro (doppie quando le luci di posizione sono separate), più i fanalini di quelle che vanno nella mia direzione, più le luci esterne delle case più le insegne e le vetrine dei negozi più i semafori e più, fra poco, le luminarie di Natale. Il tutto moltiplicato per due in caso di pioggia. E per ogni singola luce io vedo questa cosa qui. Fine.
ed è andato ai piedi del letto e ha cominciato a scuoterlo violentemente. Poi mi sono svegliata e l’uomo non c’era ma il letto che ballava sì. Violentemente. Praticamente così
Riporto alcuni degli “argomenti” degli israelisti trovati in rete:
“è nato in Israele” – E dunque? Il luogo di nascita è forse una catena ancorata al muro?
“parla ebraico” – Falso: Eitan è bilingue, dote preziosa che quasi sicuramente perderebbe se si trasferisse in Israele,
“i suoi nonni sono lì” – E dunque? Sta scritto nella Carta Universale dei Diritti Umani il diritto dei nonni di avere i nipoti con sé? A parte questo, stiamo discutendo del benessere del bambino o di quello dei nonni?
“violando i diritti civili dell’intera famiglia materna” – Qualcuno potrebbe cortesemente citarmi l’articolo esatto della suddetta Carta Universale dei Diritti Umani, o della Costituzione italiana o della legislazione israeliana che sancisce i diritti civili delle famiglie materne? A parte questo, stiamo discutendo del benessere del bambino o dei diritti della famiglia materna?
“una zia che ha grado di parentela di 3° grado e non ai nonni che hanno parentela di 2° grado” – Bambini smistati in base a un algoritmo? Se assomigliassi a quelli che amano fare certi paragoni, direi che l’esperimento di trasformare le persone in numeri lo ha già fatto qualcuno, e non è stata una bella esperienza. A parte questo, stiamo discutendo del benessere del bambino o dei diritti dei parenti?
“in Israele eitan ha una grande famiglia.in Italia due zii e due cuginetti” – Eh, ma che schifo quei due zii e quei due cuginetti! E poco importa che quelli siano stati per sei anni la sua frequentazione abituale e gli altri no. La quantità, per qualcuno, vale più della qualità.
“Il futuro di Eitan è scritto, sfortunatamente, nei gamberetti conservati nel frigorifero della zia” – Di questo commento non saprei dire se sia più grande la volgarità o la meschinità.
“e nella scuola dalle suore scelta per lui dalla stessa zia” – Falso: scelta dai genitori che gli avevano fatto frequentare lì anche la scuola materna, probabilmente per lo stesso motivo per cui a Torino diversi genitori cattolici hanno iscritto i propri figli, quando ne hanno avuto la possibilità, alla scuola ebraica: perché le scuole religiose sono migliori, più serie, più affidabili (niente scioperi, niente occupazioni, niente “autogestioni” eccetera) e più severe.
“L’Italia gli ha portato via una figlia, un nipotino e i genitori, lasciategli almeno questo” – L’Italia chi? Io? Il presidente della repubblica? Il governo? I sessanta milioni di cittadini? A parte questo, stiamo discutendo del benessere del bambino o del diritto della famiglia materna ad avere Eitan come tappabuchi per compensare la perdita subita?
Di altri pseudo argomenti avevo parlato nel primo post. In pratica, gli unici due argomenti concreti (lingua e scuola) sono falsi, tutti gli altri sono unicamente ideologici, dell’ideologia degli adulti, che tentano di scaricarla su un bambino di sei anni che di ideologie sicuramente non ne ha, oppure attenti ai diritti e agli interessi delle famiglie, e il bambino si fotta. Quanto al nonno rapitore ben deciso a dare battaglia e a tutti quelli che lo incoraggiano a “resistere” e a fanno il tifo per lui, a me, lasciate che lo dica, sembrano tanti avvoltoi intenti a strappare pezzi di carne dal corpo del bambino.
Oggi pomeriggio devo andare a fare un intervento laser all’occhio destro per tentare di risolvere, o almeno di attenuare, il disastro provocato dall’intervento di cataratta, nove mesi fa. Non so se e quali precauzioni dovrò poi prendere, e quindi se potrò usare il computer. Quindi se non mi vedete comparire non preoccupatevi, non sono morta. A meno che il treno non deragli. O il taxi vada fuori strada. O l’oculista sbagli la mira col laser e mi bruci il cervello.
Il nonno lo ha rapito perché, ha detto, non ha fiducia nella giustizia italiana. Ora la giustizia israeliana ha stabilito che, essendo cresciuto in Italia, deve tornare in Italia: c’è giustizia finalmente, per dirla Tramaglino-style. Lui comunque ha detto che non si arrende e darà battaglia, vale a dire che continuerà a tenere il bambino in bilico, a farlo sballottare di qua e di là, senza certezze, senza stabilità, senza pace. C’è qualcuno che voglia ancora raccontare e raccontarsi che a quell’uomo interessa il bene del bambino? Quello che è certo è che, purtroppo, il trauma subito a causa di quell’uomo, lo sradicamento, il lavaggio del cervello, il girotondo di persone intorno a lui, le tensioni, difficilmente lo lascerà indenne.
Ci ha pensato la boldrinessa, che tra un match e l’altro con le sue collaboratrici cattive cattive che dicono tante brutte cose di lei, si preoccupa indefessamente del bene dell’Italia, e guardate quante idee geniali ha partorito la sua mente vulcanica!
Boldrini: “Bibbia e proverbi contro le donne”/ Libro choc “serve Ddl Zan, più aborti”
Laura Boldrini e il libro per “salvare le donne in Italia dal potere dei maschi”: la lista shock da più Ddl Zan, meno obiezione coscienza, stop proverbi e passi della Bibbia
L’Italia, in particolar modo il mondo femminile, si può salvare con meno obiezione di coscienza (dunque con più aborti) con il Ddl Zan approvato, con la parità di genere nella toponomastica e perfino su WhatsApp, per non parlare delle “devastanti” storture presenti nei proverbi della tradizione e perfino nella Bibbia.
È un concentrato di “desideri” e “proposte” l’ultimo libro di Laura Boldrini‘recensito’ oggi da “La Verità” che non risparmia nulla alla deputata Pd. Il titolo del libro dice già molto, se non tutto “Questo non è normale. Come porre fine al potere maschile sulle donne”, ma è poi nei contenuti anticipati da Francesco Borgonovo nel suo articolo di decostruzione del “Boldrin-pensiero” che si scoprono questioni assai molto controverse. Ad esempio i proverbi come «Donna pelosa, donna virtuosa»; «donna baffuta, sempre piaciuta»; «donne e buoi dei Paesi tuoi», e simili, non possono più essere accertati secondo l’attivista politica in difesa del mondo femminile, perché «sono il succo di pregiudizi millenari e di discriminazioni stratificate ai danni del genere femminile, specchio di superstizioni e di un pensiero che non guarda alle donne con occhio benevolo, frutto di una cultura patriarcale e maschilista dalla quale non abbiamo ancora preso le distanze». Ma è la stessa Bibbia, a proposito di tradizione, a non essere particolarmente sopportata dall’ex Presidente della Camera: colpevole di aver proposto il “modello Eva”, andrebbe “riesumata” l’antica tradizione ebraica sulla figura di Lilith, la quale «esigeva di essere trattata alla pari, non voleva giacere con Adamo a comando, si rifiutava di servirlo e obbedirgli»*
IL LIBRO DI LAURA BOLDRINI E LA “LISTA” SHOCK
La lista di cambiamenti, precetti e regole che dovrebbero cambiare in Italia (e non solo) per raggiungere la fantomatica “parità dei generi” è molto lunga e Laura Boldrini spazia ogni campo della cultura e della politica per “dimostrarli”. «Non è normale avere un’ottima legge sull’interruzione volontaria di gravidanza e non poterne usufruire a causa dell’obiezione di coscienza», lamenta la deputata Dem nel suo libro pro-femminismo. Dall’aborto ai temi LGBT, il passo è breve: «va approvato il Ddl Zan al più presto», scordandosi però in questo passaggio la buona fetta di mondo femminista** che su quella proposta di legge ancorata al Senato ha avuto e ha ancora molto a cui contestare (specie sul concetto di autodeterminazione inserito nel disegno di legge che consentirebbe a chiunque di dichiararsi donna al 100%). Se la prende poi con l’Inno di Mameli, i completamenti di WhatsApp nel dizionario automatico e tanto altro ancora: un punto però su tutti ci ha colpito, quando cioè Boldrini provando a spiegare la necessità di fiabe e storie per bambini diverse dalla “tradizione maschilista e patriarcale” arriva a citare Chesterton. «Come diceva Chesterton, le fiabe non servono per dire ai bambini che esistono i draghi, ma per far capire loro che i draghi possono essere sconfitti»; ecco, si dimentica forse anche di dire – come giustamente nota “La Verità” – che il buon GKC spiegava anche tramite i suoi capolavori come la fiaba in quanto tale non è “sessista” ma aiuta le bambine a scoprire sé stesse (citando Marie-Louise Von Franz) attraverso la conoscenza del maschile, ovvero il principe azzurro. In un Paese libero, vivaddio, le opinioni sono libere e pure le castronerie (di cui ognuno è foriero, non dimentichiamolo): certo però che guardare la realtà solo con le lenti ‘speciali’ dell’ideologia, alla lunga, rischia di nuocere gravemente alla realtà stessa. Niccolò Magnani, qui.
* Quando, dopo il peccato, Dio comunica le punizioni che dovranno subire, dice ad Adamo: “Mangerai pane col sudore del tuo volto” e a Eva: “Partorirai i figli con doglia e avrai desiderio di tuo marito”. Nella Bibbia è dunque già enunciato il desiderio sessuale della donna, e automaticamente riconosciuto come legittimo, contrariamente a quanto sostenuto dalla cultura maschilista e patriarcale, e in anticipo di quasi tremila anni sulle più rivoluzionarie femministe. Inoltre, che cosa produce l’uomo con fatica e con dolore? Cose che si consumano. Che cosa produce la donna con fatica e con dolore? La vita! La signora boldrinessa parla della Bibbia senza averne letta una sola pagina.
** E anche di quello omosessuale.
Nel suo libro la signora boldrinessa si batte anche, come scrive Francesco Borgonovo, a favore della toponomastica «paritaria» come se parificare il numero delle vie dedicate a donne e uomini potesse realmente migliorare la condizione femminile. E niente, quando una è cretina ce la mette proprio tutta a essere cretina a tutto tondo, dalla testa ai piedi, dai capelli alle budella, senza lasciarne fuori una sola cellula, una sola molecola, un solo atomo. E guardate quanto è bella con questo splendido velo verde-islam!
Visto coi miei occhi: “Siamo come il Cile di Pinochet”, “No, peggio”; “Siamo peggio della Corea del Nord”… Ma perché non ci andate cazzo! E parlando del governo non possiamo esimerci da
E qualcuno, a proposito della seconda, ha chiesto se non ci sia per caso un doppio senso… No, non c’è un doppio senso: ce n’è uno solo. Ora due parole sul razzismo
E infatti
Una brutta notizia per gli amici vegani
E una buona per la scienza: finalmente scoperta la causa dell’estinzione dei dinosauri
Qualche istruzione per l’uso per chi si trova ad avere a che fare con una donna congenita
Un suggerimento in merito ai vaccini
(ma non ci sarà qualche conflitto di interessi?)
Un’importante messa in guardia
E infine un’importante riflessione sull’imminente ricorrenza di Halloween
Post ad alto contenuto esibizionistico e autoreferenziale. Chi si addentra lo fa a proprio rischio e pericolo.
7-7-7 sta per sette decenni, sette mesi e sette giorni. È stato l’altro ieri, e l’altro ieri sono state fatte queste foto (alcune le ho dovute censurare: non mi ero resa conto che quella roba, messa in tensione, diventa completamente trasparente. E meno male che quando l’ho avuta addosso in pubblico – folto pubblico – sotto avevo un collant nero piuttosto spesso. Fine della digressione).
La sinistra meno: si sa che la sinistra è handicappata per difetto congenito
Anche qui la sinistra meno, nonostante l’intenso esercizio l’abbia fatta notevolmente migliorare, ma non abbastanza da raggiungere la parità
La risalita: uno
due
tre
quattro
cinque
e sei!
E meno anche qui, non c’è niente da fare
Questo non è venuto bene perché nelle scorse settimane ho avuto un inconveniente che mi ha lasciato il braccio sinistro semiparalizzato, e non ho ancora recuperato del tutto
Sì, le ali di pipistrello sono orrende, però guardate che bel muscoletto sono riuscita a farmi! L’hula hoop: sessant’anni fa ero decisamente più brava, ma bene o male riesco ancora a tenerlo su
E anche a saltare, sì
Alla faccia degli anni. E degli acciacchi. E delle malattie. E delle operazioni e degli incidenti e degli infortuni. E di chi mi vuole male. E della signora che mi immagina come una di quelle bellocce senza cervello che si rifanno le tette per attirare i maschi allupati – che poi se sono già allupati per conto loro non si capisce mica bene perché una dovrebbe darsi da fare – e come argomento forte della discussione mi spara che pertua informazione ho una quinta naturale di reggiseno, convinta evidentemente che a tutti piacciano le mucche da latte (e che coltiva la simpatica abitudine di parlare di me con altri commentatori senza mai fare il mio nome ma rendendomi assolutamente riconoscibile, rovesciandomi addosso fango a badilate, e simpaticamente qualificandomi come “sergente dell’esercito israeliano”, e non posso immaginare niente di più indegno che degradare senza motivo un ufficiale superiore). E conclude il discorso sentenziando che A proposito di insindacabili giudizi: prima di giudicare le donne maltrattate e vittime di violenza in famiglia, sciacquati la bocca col sapone. Per parlare di certe realtà, bisognerebbe conoscerle. E queste sono le situazioni in cui se avessi davanti l’interlocutore lo pesterei fino a fargli sputare sangue. Tutto quello che ha in corpo, intendo, e ancora continuerei a pestarlo da cadavere. Senza la più piccola ombra di rimorso.
Anyway. Qui invece ero più giovane di 17 giorni:
si vede che ero molto più ganza, vero? A proposito, io in spiaggia ci vado così
Poi dite che non sono un genio! Certo, prima ero decisamente meglio
ma insomma non posso neanche lamentarmi. E già che ci sono, per concludere, vi mostro anche la mia ultima creazione
(No, non ho il culo così largo, è solo che è spiaccicato sul bordo del divano) Vero che sono bravina? (Altro qui, qui e qui) (I sali aromatizzati, gli oli aromatizzati, i liquori, le salse, le marmellate e tutte le altre diavolerie che mi invento invece non ve li mostro e dovrete accontentarvi di immaginarli)
Che è sempre la stessa della “gender archaeology”. Il suo pippone è una palla pazzesca, ma lo dovete leggere perché dentro ci sono alcuni miei commenti, che non vi potete assolutamente perdere.
Ieri su Instagram stavo seguendo la diretta di un amico che per altro stimo molto, e a cui voglio un gran bene. Si parlava di Montemagno e del suo video su cosa devono fare o non fare le donne, in generale. L’amico invitava a riflettere le donne sul fatto che hanno il diritto di vestirsi come meglio credono, certo, ma che se indossano la minigonna in determinati contesti e quartieri, poi devono rendersi conto che rischiano fischi, molestie o peggio, e quindi sarebbe meglio non metterla. Come sarebbe meglio non andare in giro sole di notte in certi posti, perché si rischia. E che questa è una questione di buon senso, una misura transitoria mentre lui, che è psicologo, si occupa certo di educare i maschi e la società si evolve fino ad accettare che le donne possano indossare quello che vogliono e andare in giro quando a loro pare.
Io confesso mi sono incazzata. E non tanto con lui, ma con il ragionamento sotteso. Che sarà fatto in nome del buonsenso, e vuole magari essere pratico, ma di fatto non lo è, e persino peggiora la situazione.
1. La minigonna
A parte il fatto che davvero a me cascano le braccia a pensare che nel 2021, in Italia, cioè un paese occidentale avanzato, si debba consigliare una donna di non mettere la minigonna (o la scollatura, o i leggings) in determinati contesti perché rischioso. Ma stiamo scherzando? Se la mettevano le nostra nonne e noi ancora qui stiamo? [Tu hai 49 anni e no, tua nonna non portava la minigonna, a meno che sia tua madre che tua nonna non abbiano partorito a 15 anni] Ma che razza di società abbiamo costruito se ancora la minigonna è considerata… boh, pericolosa? [Non so come si chiami – né se abbia un nome – l’equivalente orale dell’analfabetismo funzionale; tu comunque hai quella cosa lì]
2. La minigonna in pubblico e le molestie
No, non è la minigonna. O i leggings. O la scollatura. Piantiamola una volta per tutte di dire che le molestie (che possono andare dal fischio per strada all’aggressione sessuale) sono motivate dai vestiti che una indossa. Le donne sanno bene che riceviamo commenti sconci ovunque, e non solo nei quartieri degradati o pericolosi, e comunque siamo vestiti. A me capitò in dipartimento all’università, e quello che commentò a voce alta il mio c*lo era uno stimatissimo professore universitario, attorniato dai suoi alliev* [preposizione articolata maschile, aggettivo possessivo maschile, ma alliev* con l’asterisco: lo vedi che sei cretina?]. Ah, ero vestita in jeans,per la cronaca [cioè l’indumento in assoluto più adatto a mettere in risalto il culo]. E l’asterisco è dovuto al fatto che nel gruppo a ridacchiare c’erano anche allieve femmine.
Il punto è che le molestie non nascono dal desiderio sessuale, e la provocazione che il molestatore sente non è quella della pelle scoperta o del sesso. Le molestie sono il modo con cui qualcuno ti “rimette a posto”. Il compito professore universitario non era in realtà attratto dal mio c*lo, che per altro non è mai stato granché. Era infastidito perché non lo filavo, e gli dava fastidio che in quella che considerava la sua biblioteca e il suo territorio di potere una ragazza caruccia e senza potere non mostrasse per lui alcuna attrazione e pensasse di potersi laureare senza la sua intercessione o protezione. Minavo le sue sicurezze [“visto gente quanto sono potente? Eh? Ho mandato in crisi il professore!”], per questo mi voleva rimettere a posto e chiarire che io potevo anche credermi libera e intelligente, ma in realtà ero e dovevo rendermi conto di essere solo un oggetto a sua disposizione. [E di fronte a questo sublime saggio di socio-psico-antropologia noi restiamo putrefatti]
Le molestie e le aggressioni partono da questo, servono a rimettere a posto, al “loro” posto, le donne che “alzano la testa”. Si mettono i vestiti che pare a loro, decidono di essere seducenti a prescindere dal fatto di avere un maschio che le protegge e a cui appartengono, ridono, scherzano, parlano a voce alta, si divertono, escono da sole. Devono essere ricondotte quindi al loro ruolo con le offese, la pubblica umiliazione, se serve le mani addosso per picchiarle e per stuprarle. Così capiscono che non si fa. E così le altre capiscono che chi lo fa viene punita. [Vedi sopra. E si constata che la Signorina non deve avere mai sentito parlare di ormoni]
3. Per questo dire di non vestirsi o comportarsi in un certo modo [che NON è quello che il tizio ha fatto] NON è la soluzione
Se il punto è che le molestie ti vogliono “rimettere a posto” [tesoro dolce, tu hai deciso che il fischio o il commento vogliono dire quello: confondere le proprie personali e spesso bizzarre opinioni con la verità assoluta si configura come una psicopatia grave e pericolosa. Per sé e per gli altri] insegnandoti che certi comportamenti tu, da donna, non te le puoi permettere, dire alle donne che non devono indossare la minigonna in certi contesti, o andare in giro da sole è profondamente sbagliato, inutile, è pericoloso.
Perché così il molestatore ottiene esattamente quello che voleva. Le donne accettano l’idea che NON devono fare certe cose. E che per altro, prevenire le molestie o le aggressioni è un problema loro, non della società. Perché sono loro che hanno comportamenti a rischio.
Per la società questo è un alibi comodo, perché il problema viene risolto per rimozione. Se il quartiere è pericoloso, non si prendono provvedimenti per migliorare la sicurezza. Basta che le donne stiano a casa o non escano vestite in maniera provocante. È una soluzione a costo zero che scarica il problema sulle vittime. [I film che riesce a farsi questa, ragazzi, è roba da non credere. E pensate che anche i suoi “libri di Storia” li costruisce così, e guai a farle notare che, per esempio, quella cosa lì al tempo di Giulio Cesare non c’era ancora: tuoni e fulmini si scatenano immantinente sul malcapitato]
È un po’ come dire che se ti pigliano in giro perché sei grasso, la soluzione è che ti metti a dieta così non ti prendono più in giro.
Poi ti prendono in giro lo stesso, magari, ma sono problemi tuoi, non della società. Ti intestardisci a essere grasso, nero, gay oppure donna, e a voler fare una vita come tutti gli altri. È chiaro che provochi, a questo punto.
4. Se la minigonna e un problema, allora usciamo tutt* in minigonna. [l’asterisco è per dire che oltre alle donne devono uscire in minigonna anche tutti gli altri sessi?]
Caspita, eppure sembra semplice da capire. Se dici alle donne che non devono uscire vestitite in un certo modo, o in certi orari, o non da sole, o in certi posti, non le aiuti. Perché rendersi ancora più difficile uscire o indossare determinati abiti a chi lo vuole [?]. Se x mette la minigonna da sola, si prende una caterva di fischi e il quartiere considera figo chi fischia, perché è l’uomo forte che la rimette a posto. Risultato nessuna più metterà la minigonna, per evitare i fischi e per evitare di essere considerata una sgu@ldrina. Risultato, il problema sarà peggio di prima.
Se tutte nel quartiere escono con la minigonna, anche la madre e le sorelle del tizio che fischia, il problema si risolve.
Per cui no, non dobbiamo dire alle donne che non devono vestirsi in un certo modo, e nemmeno che non devono postare su Instagram come fa Montemagno foto svestite perché sennò non vengono “prese sul serio”. Dobbiamo dire alle donne che invece devono fare QUELLO CHE VOGLIONO E FARLO DI PIÙ. e se serve organizzare nei quartieri a rischio manifestazioni in cui tutte andiamo in giro con la mini e la scollatura, e ci muoviamo alle due di notte da sole, per costringere le autorità e la società a capire che il problema esiste e siamo stufe di vedere limitata la nostra libertà.
E non è accettabile che ci si dica che dobbiamo arrangiarci noi e autolimitarci e portare pazienza finché la società non diventa pronta. La società si deve dare una smossa, perché noi pronte lo siamo e non vogliamo più aspettare.
Perché finché non faremo così, non ci muoviamo, metaforicamente e letteralmente.
E io sono stufa di essere una cittadina con meno diritti solo perché sono donna, ecco. (qui)
Stendendo un velo pietoso sul solito piagnisteo, dopo una serie di commenti osannanti, arriva una che dice:
Mah. Io evito le situazioni di rischio, mettiamola così. Se so che in un determinato contesto potrei incorrere in situazioni spiacevoli, evito e basta. Mi piacerebbe molto pensare ad un mondo giusto che mi prende per mano in caso di pericolo ma la vedo dura al momento. Questo non mi ha impedito di cambiare nazione, affermarmi sul lavoro ed essere autonoma/indipendente. Diciamo che le situazioni vanno valutate caso per caso. Sia chiaro: IO mi regolo così, non deve valere per tutte.
E l’oca Signorina risponde:
visto che i commenti te li possono fare ovunque, però, non esistono situazioni a rischio. E se passa questo modo di pensare, andiamo in giro in burka. E ancora avrebbero da ridire.
Una cosa la dobbiamo riconoscere: come sa fare le capriole lei non le fa nessuno. Spostando per un momento l’ambito, mettiamola così: se io cammino a mezzogiorno sul marciapiede di una strada cittadina, posso essere sicura al 100% che non mi capiti di essere investita? No, naturalmente: le sicurezze assolute non esistono. Quindi tanto vale che vada a camminare all’una di notte sulla Nazionale in un tratto senza marciapiede e senza illuminazione. Se per andarci mi vesto di bianco e metto le scarpe coi catarifrangenti, posso essere sicura al 100% che nessuno mi investa? E ovviamente la risposta è ancora una volta no. E allora tanto vale che mi vesta di nero, perché io proprio oggi ho voglia di vestirmi di nero e non accetto che il primo imbecille di maschio patriarcale fallocratico mi venga a predicare come mi devo vestire. Ecco: da “non esistono posti sicuri al 100%” e “non esistono situazioni sicure al 100%” la deficiente di turno, con una strepitosa capriola avvitata carpiata scaravoltata, deduce che “non esistono situazioni a rischio”. E quindi entra pure a mezzanotte in un bar pieno di ubriachi in minigonna e tacchi a spillo, che tanto ti possono violentare anche in piazza a mezzogiorno coperta fino ai piedi; vai pure coperta di gioielli in una zona di drogati sempre sull’orlo di una crisi d’astinenza e in cerca di soldi, che tanto ti possono derubare anche in chiesa alla messa di mezzogiorno; ubriacati pure fino a non capire più niente che tanto ti possono aggredire anche da sobria. La cosa strabiliante è l’ottusità con cui continua a ripetere il suo mantra a qualunque argomento ragionevole che le viene opposto – come potrete constatare se avete il tempo e la voglia e soprattutto lo stomaco di immergervi in quella cloaca -, e se il mantra non basta a convincere l’interlocutore, tira fuori dalla roccia la sua infallibile Excalibur: “Tu non hai capito”, e se si ostina a non voler capire lo banna. Il tizio che tanto l’ha fatta indignare e inorridire mi sembra – a quanto riferisce lei – che lo dica chiaro e tondo: io sto lavorando sugli uomini, ma siccome non posso rivoltarli come un calzino da oggi a domani, sarebbe meglio che, nell’attesa della redenzione universale, non gli facilitaste il compito, e questo, nella sua povera testolina da ritardata indottrinata, diventa un tentativo di riversare la colpa sulle donne, di tenerle come schiave, docili e sottomesse. Poi, a suo sostegno, arriva quest’altro fenomeno:
io per andare a lavorare in televisione [si noti: in televisione, che non vi immaginiate che sia una poveraccia che lavora, che so, in un bar, o in qualche altro simile squallido posto] dovevo passare a piedi su un cavalcavia malfamato, così mi cambiavo in studio. Giaccone nero, jeans neri, l’unica cosa che a volte avevo erano i tacchi, eppure ogni santa domenica molestie verbali a manetta. Ho continuato a farlo perché, se fossero passati ai fatti, non volevo dare materiale all’avvocato difensore. Perché nei tribunali il “com’era vestita” è sempre un argomento in voga.
E, a parte le idee che espone, sembrerebbe che la ragazza, benché figlia e nipote di insigni linguisti, abbia qualche grosso problema con la lingua italiana, ossia sembrerebbe credere che “malfamato” e “pericoloso” siano sinonimi. Ma, contrariamente a quanto sembra credere la spocchiosa ignorantella, i due termini indicano due realtà che occasionalmente possono anche sovrapporsi, ma non necessariamente lo fanno. Mia madre per esempio da ragazza viveva in un borgo malfamato, col bordello e con l’osteria sempre piena di ubriachi, ma non l’ho mai sentita parlare di aggressioni, violenze o altro del genere. Però “malfamato” fa più figo, fa tanto bassifondi di Parigi, Victor Hugo, Émile Zola. A parte questo, chiunque di noi ha sentito parlare di cittadine malfamate, quartieri malfamati, strade malfamate, ma un cavalcavia? Un cavalcavia malfamato? E poi: un cavalcavia sopraelevato, sempre ben illuminato, visibile da molte posizioni? Quanti delitti, quante aggressioni avverranno mai sui cavalcavia? E si noti che anche lei, come l’oca Signorina sembra mettere sullo stesso piano i commenti da una parte e aggressioni, violenze e stupri dall’altra, e una cosa sembra chiara: queste due oche giulive non hanno la più pallida idea di che cosa sia un’aggressione, non hanno la più pallida idea di che cosa sia la violenza, non hanno la più pallida idea delle cose di cui pretendono di parlare. E questa, come per le signorine mitù, è una cosa vergognosa nei confronti di chi la violenza la subisce davvero. Noto infine che, a quanto pare, più sono cozze e più raccontano di fischi e commenti e richiami, come la povera figlia di Eros Ramazzotti, che poverina è davvero tanto bruttina – non brutta, intendiamoci, brutta è un’altra cosa, ci sono donne brutte capaci di farti perdere la testa in un quarto di secondo, ma la bruttina no, non è che dici oddio guarda quella quanto è brutta, no, la bruttina proprio non la vedi – che pubblica articoli per denunciare il catcalling e immediatamente da ogni parte d’Italia un grido di dolore unanime si è levato dal petto di ogni donna onesta dalla virtù insidiata da tale infame pratica (che io poi la volta che a quasi cinquant’anni ho incrociato uno sul marciapiede e poi quello si è girato e dopo avermi guardata ha commentato “bel culetto”, col cazzo che mi sono offesa. Per dire). Quelle due invece appartengono a un’altra categoria ancora, quella delle cozze, appunto. La seconda, quella del povero cavalcavia malfamato, ha purtroppo ereditato dal padre tutta la smisurata bruttezza e tutta la incommensurabile stronzitudine, e visto che gli assomiglia così tanto in tutto, immagino che sicuramente condividerà con lui anche il tifo per hamas. L’oca Signorina invece, oltre che da intellettuale, e da italianista, e da storica, e da antifa con tanto di logo esibito, e da coltissima, e da intelligentissima, se la tira anche da gran gnocca, e riempie il profilo di foto così
(tutte le foto sono pubbliche nel suo profilo, visibili a tutti, quindi non credo di commettere una scorrettezza pubblicandole anch’io). Solo che poi capita che si distrae, e per mostrare quali attitudini intellettuali coltivi e in quali coltissime attività trascorra le sue giornate festive, ne pubblica una, di pochissimo posteriore alla precedente, non più di un anno o due (precisazione assolutamente necessaria) senza filtri e senza photoshop
Aggiungo ancora che ha la buona abitudine, ogni volta che qualcuno le muove una critica, di farci un post per dire peste e corna del malcapitato di turno, magari dopo averlo bannato e bloccato in modo che quello non può vedere le cose che lo riguardano. Questo per dire che quello che sto facendo adesso io sputtanandola nel mio blog, è esattamente quello che lei fa regolarmente una volta alla settimana come minimo. Se poi per caso dovesse venire a conoscenza di questo post e sentirsene offesa, le posso rispondere fin d’ora che non occorre che mi ringrazi: l’ho fatto volentieri.
Comunque, battute e pettegolezzi a parte, questa gente, oltre che cretina, è anche estremamente pericolosa, perché a leggere queste puttanate ci vanno anche ragazze giovani, spesso sprovvedute, che si bevono come coca cola tutte queste ridicole ideologie, che si convincono che “io ho il diritto di andare dove mi pare, vestita come mi pare, e comportarmi come mi pare” e lo fanno, perché tanto poi se succede qualcosa la colpa è dell’aggressore. Il che è vero: la colpa è indiscutibilmente dell’aggressore, ma la lezione su quanto poco la rivoluzione dei costumi assomigli a un pranzo di gala la paghi tu, sulla tua pelle. Per colpa – anche – di quattro galline dal cervello di gallina convinte di potersi mettere in cattedra e impartire lezioni di vita perché la loro ideologia è più bella di quella di chi preferisce evitare, quando può, di sfidare il pericolo. Sono, queste galline, come quei bambini che si mettono due dita sugli occhi e strillano felici “Non mi vedi più! Non mi vedi più!”, ignari che con gli occhi chiusi sono un bersaglio molto più facile. Solo che loro hanno due anni, non cinquanta.
Ma il titolo potrebbe anche essere “Stefano Pregliasco, la vendetta” oppure “Stefano Pregliasco, la belva umana” – anche se sull’aggettivo avrei qualche perplessità – ma insomma, in poche parole, un mona coa facia da mona
che dise monàde. Ve lo avevo già presentato in tutta la sua sfolgorante bellezza nonché intelligenza nonché sapienza nonché saggezza nonché abissale acume qui. Adesso è tornato con l’ennesima genialata
per cui gli dico: “Ciò, tòco de mona, bùtate in canàe e cópate”.