LA LEGGE DEL CONTRAPPASSO

Il nonno lo ha rapito perché, ha detto, non ha fiducia nella giustizia italiana. Ora la giustizia israeliana ha stabilito che, essendo cresciuto in Italia, deve tornare in Italia: c’è giustizia finalmente, per dirla Tramaglino-style. Lui comunque ha detto che non si arrende e darà battaglia, vale a dire che continuerà a tenere il bambino in bilico, a farlo sballottare di qua e di là, senza certezze, senza stabilità, senza pace. C’è qualcuno che voglia ancora raccontare e raccontarsi che a quell’uomo interessa il bene del bambino? Quello che è certo è che, purtroppo, il trauma subito a causa di quell’uomo, lo sradicamento, il lavaggio del cervello, il girotondo di persone intorno a lui, le tensioni, difficilmente lo lascerà indenne.

barbara

Una risposta

  1. E’ purtroppo l’ennesima dimostrazione che molti vedono i bambini come animali domestici o peggio…
    Se un parente pensasse VERAMENTE al bene del piccolo si preoccuperebbe di sconvolgerne il meno possibile l’esistenza.
    Invece vediamo quasi tutti i giorni madri, padri e parenti vari che non esitano a strappare bambini dagli ambienti nei quali sono cresciuti per pura brama di possesso…

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  2. come ho scritto, sono allibito dai commentatori ai miei post. I commentatori dimenticano che cosa significhi essere bambini. Oltretutto sono ebrei che stando comodamente in Italia, dicono che Eitan deve assolutamente andare in Israele, che quella è la sua casa, che quella è la casa di ogni ebreo. Mi ricordano la canzoncina ironica: “Noi siamo dei veri sionisti: / in Israele nessuno ci ha visti ;/ amiamo Israele,/ la terra del latte e del miele../ Aliyà°! Per gli altri! Aliyà!/ Aliyà, Aliyà/ com’è bello stare qua!/ Israel, Israel,/ da lontano quanto è bel!”

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  3. Per molti ebrei, anche italiani, vivere in Israele è una missione. Mi fanno ridere (ed anche un po’ schifo) i soloni ipocriti che continuano a fare distinguo tra ebrei e sionisti. Vivendo nel ghetto di Roma, vi assicuro che la differenza non c’è. Molti giovani vengono inviati per lunghi periodi in Israele, sia per studiare che per servire nell’esercito: sta poi a loro decidere se e quando tornare in Italia. La comunità, spesso, si autotassa per fare trasferire in Israele le famiglie che si trovano in difficoltà economica. In linea di massima comprendo, ma non giustifico, il ramo paterno della famiglia di Etan. Se invece, fosse vero che il nonno starebbe puntando ad amministrare il patrimonio ereditato dal nipotino, non potrei che provare disprezzo per un simile individuo.

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    • Per smontare la differenza, e quindi la capziosa distinzione fra antisionismo e antisemitismo, basterebbero gli attentati “antisionisti” a sinagoghe, istituzioni ebraiche e singoli ebrei all’estero, oltre a tutti quei discorsi che cominciano con “israeliani”, proseguono con “sionisti” per arrivare inevitabilmente a “ebrei”. Detto questo, degli ebrei nel mondo circa la metà vivono fuori da Israele, una discreta parte anche molto religiosi e magari anche di sentimenti sionisti. Conosco diverse famiglie i cui figli, finito il liceo, sono andati a studiare in Israele e ci sono rimasti, raggiunti poi dai genitori quando sono andati in pensione. Tanti altri però sono andati durante le vacanze scolastiche a fare volontariato in kibbutz ma poi sono tornati. Ma fra quelli che sono andati lì e rimasti ed Eitan c’è una differenza fondamentale: loro hanno scelto in età adulta, probabilmente spinti anche da un’educazione sionista, ma è stata comunque una loro decisione coerente con il loro ideale, non sono stati rapiti e portati lì per un ideale altrui. Quello che sta in Israele comunque è il ramo materno.

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