Quella della Cina che, grazie ai modi rigorosissimi che, non essendo una democrazia, può permettersi di attuare, ha sconfitto il covid in quattro e quattr’otto. Che grazie a questo, pur avendo quasi un quinto dell’intera popolazione mondiale, se l’è cavata praticamente con una manciata di morti, non più di qualche migliaio, paragonabili più o meno a quelli della Liguria. Ecco, di quella barzelletta lì parlo.
Gli eroi cinesi e i covidioti d’Occidente
Sta morendo in carcere la blogger che mise il naso a Wuhan. Gli scomparsi, i murati vivi in galera, i morti. Colpevoli di essere stati giornalisti migliori della Botteri. Dov’è la nostra solidarietà?
“Siamo quasi estinti”, ha detto Liu Hu, un giornalista detenuto dal regime cinese per un anno. “Nessuno è rimasto a rivelare la verità”.
Zhang Zhan sta scontando una condanna a quattro anni di carcere, emessa il 28 dicembre 2020 al termine di un processo durato solo tre ore, come si faceva in Unione Sovietica. Zhan aveva denunciato gli insabbiamenti del regime cinese sull’epidemia di coronavirus a Wuhan. “Il modo in cui il governo ha gestito l’epidemia è stato solo intimidazioni e minacce, è la tragedia di questo paese”, aveva detto Zhan. La famiglia ora dice che Zhan sta morendo in carcere dopo l’inizio di uno sciopero della fame. Mentre i media cinesi (e la stampa italiana) elogiavano la gestione di Pechino, Zhan filmava i corridoi degli ospedali pieni di letti e barelle e i crematori saturi, incapace di conteggiare i morti. Il regime vorrebbe farle fare la fine di Liu Xiaobo, lo scrittore Premio Nobel per la Pace morto in carcere.
ll “paziente zero” di questa spaventosa repressione cinese è il dottor Li Wenliang, morto a soli 34 anni. Fu arrestato per aver diffuso “voci false” (cioé aver detto la verità quando il regime insabbiava) e costretto a firmare un documento di mea culpa. Wenliang aveva detto poco prima di morire: “Credo che una società sana non dovrebbe avere una sola voce”. Stava criticando la verità di stato, la censura, la repressione di informazioni e la mancanza di pluralismo del Partito Comunista Cinese.
In uno dei suoi video più diffusi da Wuhan, Chen Qiushi disse di conoscere i rischi che stava affrontando andando a Wuhan. “Ho paura. Di fronte a me c’è la malattia, dietro di me c’è il potere legale della Cina, ma finché sarò vivo, parlerò di ciò che ho visto e di ciò che ho sentito. Non ho paura di morire. Perché dovrei avere paura di te, Partito comunista?”. Chen si era già inviso il regime quando si era recato a Hong Kong sfidando la narrazione voluta dai media statali cinesi secondo cui i manifestanti erano violenti separatisti. Qiushi è scomparso per mesi e adesso vive sotto stretta sorveglianza del regime.
Non si hanno notizie di Fang Bin, rivelava a ottobre il Wall Street Journal, il commerciante di Wuhan che ha filmato gli ospedali al collasso. In un video virale, Fang mostra otto sacchi per cadaveri ammassati su un furgone fuori da un ospedale.
E’ stato condannato a 18 anni di carcere il miliardario cinese Ren Zhiqiang, scomparso dopo che in un blog aveva definito Xi Jinping “un clown nudo” per la gestione del coronavirus in Cina.
Il regime ha arrestato Chen Zhaozhi per “aver provocato problemi”. L’ex professore dell’Università di Scienza e Tecnologia di Pechino aveva pubblicato commenti online, tra cui “la polmonite di Wuhan non è un virus cinese ma un virus del Partito comunista cinese”. Un giornalista, Li Zehua, è riapparso dopo essere scomparso per due mesi mentre indagava sull’insabbiamento di Wuhan. Ma addomesticato. In contrasto con il tono del suo resoconto da Wuhan, il nuovo video di Zehua lo mostra elogiare il regime che lo ha detenuto: “Durante l’intero processo, gli agenti di polizia hanno agito in modo civile e legale, assicurandosi che stessi riposando e mangiando bene, si sono presi cura di me, ho fatto tre pasti al giorno, mi sono sentito al sicuro con le guardie e ho potuto guardare le notizie ogni giorno”. Sono le tragiche conseguenze della repressione cinese.
Il famoso professore di legge Xu Zhangrun, che in un saggio aveva criticato il Partito Comunista sul coronavirus, è agli arresti domiciliari. “Questo forse è l’ultimo pezzo che scrivo”, aveva scritto Zhangrun. “Posso prevedere con troppa facilità che sarò sottoposto a nuove punizioni. Lasciate che le vostre vite brucino con una fiamma di decenza; sfondate l’oscurità che si diffonde e date il benvenuto all’alba”. Oggi Zhangrun è oggetto di un terrificante monitoraggio del regime nella sua città, che non può lasciare, come Andrei Sacharov a Gorky.
Mentre infatti molti in Occidente pensavano che l’Unione Sovietica fosse un paradiso, una manciata di eroi oltre la Cortina di ferro ebbero il merito di farci conoscere i gulag, la polizia segreta, la censura, la repressione, in breve che il paradiso era più un inferno. Se ne potrebbero ricordare un centinaio, come il drammaturgo Václav Havel, lo scienziato nucleare Andrei Sakharov, lo scrittore Alexander Solzhenitsyn, il fisico Robert Havemann nella Germania dell’Est e il filosofo Jan Patočka. Allo stesso modo, oggi, se sappiamo qualcosa sulle responsabilità della Cina, lo dobbiamo a questi pochi desaparecidos. E non all’“utile covidiota della Cina”, come il Telegraph ha definito il giornalista collettivo occidentale.
Forse si spiega così il motivo per cui nel mondo cosiddetto “libero” non ci sono state petizioni alle autorità cinesi perché questi attivisti e giornalisti fossero liberati. I nostri media da due anni passano soltanto le veline di Pechino.
Giulio Meotti
La cosa buffa e che ci sono tantissimi che ancora non si sono accorti che è una barzelletta e la raccontano credendo che sia vera: la Cina sì che ci sa fare, vedi per esempio in Cina dove usano il pugno di ferro, in Cina il virus non circola più, la Cina ha risolto il problema, se tutti facessero come la Cina. Quos vult perdere Jupiter…
barbara