1. Lasciamoli cuocere nel loro brodo disgustoso. Tanto nessuno verrà a cercarli nelle loro case. Saranno loro a chiamare l’ambulanza, mentre soffoccano a causa dei polmoni compromessi dal virus. A volte il traffico congestionato delle nostre città può avere la sua utilità.

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  2. Non c’è dubbio che sia in atto un processo di discriminazione. Quella attuale però è una discriminazione per “scelta”. Anche se la scelta è obbligata, rimane una scelta.
    Come avemmo già modo di dire, ogni paragone è a dir poco idiota.
    Quello che però mi rattrista e mi preoccupa è che l’ atteggiamento della “ggente” è immutato. E’ l’unica cosa che a mio avviso resta paragonabile fra le due situazioni: una volta stabilito che io sono diverso da te, e una volta arrivato il comando dall’ alto che questa mia diversità può tranquillamente espormi a soprusi e prevaricazioni in tuo vantaggio, non esiti a darmi addosso e denunciarmi ogni qual volta ti se ne presenti l’ occasione. (E’ un “tu” impersonale, eh ? Sia chiaro, solo per far filare il discorso).
    Ma tanto non impariamo mai.

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    • Questo vale in qualunque ambito: chiunque abbia mezza briciola di potere, se ha quel tipo di attitudine, non esita a sfruttarlo in tutti i modi possibili. Ricordo una preside che abbiamo avuto per ben due volte come presidente agli esami di terza media. Nel regolamento è scritto che gli insegnanti propongono i temi (o i test per matematica) e il presidente decide se approvarli o no. Nella pratica però tutti i presidenti danno per scontato che noi conosciamo le nostre classi, noi abbiamo lavorato con loro, e dunque noi sappiamo che cosa può o non può andare bene per loro. Lei no: lei prendeva il regolamento alla lettera e per mettere in chiaro che comandava lei, rifiutava sistematicamente i titoli presentati. Quelli del primo giorno sono finalmente entrati in classe con i titoli approvati con un’ora e un quarto di ritardo, e ti puoi immaginare lo stato d’animo dei ragazzi. Il secondo giorno toccava a noi di italiano ed eravamo già preparati e quindi più agguerriti – quelli del primo giorno si sono trovati del tutto indifesi perché non era mai successo niente del genere e non se l’aspettavano – e abbiamo dato battaglia, ma comunque più di mezz’ora ci è voluto. Mi ricordo ancora la scena, noi che facciamo presente che i titoli sono basati rigorosamente su ciò che abbiamo fatto, che noi sappiamo e lei no, e lei che esce di corsa e torna dopo due minuti col librone con tutte le norme e ci legge in tono stizzito il paragrafo in cui è detto che i docenti propongono e il presidente SCEGLIE. Addirittura ha trovato da ridire sul test che io e la collega di sostegno avevamo messo a punto per lo scolaro che stavamo seguendo da tre anni con programmi calibrati su misura per lui, relativamente alle sue capacità. Quando è venuta per la seconda volta, anni dopo, è stato stabilito che si sarebbe incontrata con gli insegnanti delle varie materie il pomeriggio prima delle rispettive prove scritte, in modo da evitare ritardi poi la mattina, e pretendeva che presentassimo quattro terne in modo che lei potesse sceglierne tre da mettere nelle buste. Noi abbiamo protestato, perché non si è mai fatto niente del genere, e lei si è lamentata: “Ma allora io cosa posso scegliere?” Poi, dopo un momento, con una sorta di ghigno: “No, in effetti io POSSO scegliere. Va bene, portatene tre.” Il pomeriggio si sono incontrati quelli di tedesco, hanno messo a punto tre terne che potessero andare bene per tutte le classi, hanno stampato i titoli e sono andati in presidenza a portare il foglio. Lei lo ha preso in mano e senza neanche guardarlo lo ha immediatamente restituito dicendo: “Non mi vanno bene, trovate altri titoli”.

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      • Oggi sono in vena di citazioni. Un’ altra persona a me estremamente cara (mio padre) soleva dire: “i regolamenti servono a chi non si sa regolare da solo”.
        Quando metti mano al “regolamento” stai ammettendo la tua sconfitta come essere pensante. Questa presidessa (o présida che dir si voglia) ne è l’esempio lampante.

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        • La seconda volta che è venuta, alla riunione plenaria finale il vicepreside le ha, come di consueto, consegnato un mazzo di fiori dicendo “a nome dei colleghi” e io, che ero in seconda fila, ho detto a voce alta “not in my name”. Quasi tutti i miei presidi sono stati persone indecenti, ma questa li superava davvero tutti.

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    • Beh, a chiamare in causa l’Olocausto, le deportazioni, Mengele, le camere a gas è da un pezzo che hanno cominciato. Ulteriore riprova del fatto che nelle situazioni difficili c’è chi dà il meglio di sé e chi ce la mette tutta a dare il peggio.

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