E LA MARTORIATA MARIUPOL NEL FRATTEMPO?

La martoriata Mariupol, finalmente del tutto liberata, riprende a vivere. E si rimbocca le maniche: non è stata ad aspettare che gli sciacalli americani ed europei abbiano finito di spartirsi la torta della ricostruzione: se la stanno ricostruendo loro.

Mariupol oggi, restauro della città, 9 luglio

Mariupol oggi, 12 luglio: la vita, ricostruire la città. Un incontro inaspettato di nonno Vova al mercato

Mentre in Europa, nel frattempo:

Associazione industrie chimiche tedesche: embargo totale sul gas minaccia di “colpire al cuore” l’economia tedesca

Le sanzioni che dovevano mettere in ginocchio la Russia colpiscono forte chi le ha imposte, penalizzando particolarmente alcuni paesi, come Germania e Italia, che sono fortemente dipendenti dalle importazioni energetiche dalla Russia. 
Un embargo totale sulle importazioni di gas potrebbe provocare “un attacco di cuore” per l’economia tedesca, ha dichiarato Christian Kullmann, presidente dell’Associazione dell’Industria Chimica del Paese, in un’intervista alla Süddeutsche Zeitung
La possibile mancanza di gas è particolarmente preoccupante per l’industria chimica e farmaceutica, dove viene utilizzato come fonte di energia e materia prima. Secondo i dati dell’Associazione tedesca dell’industria chimica, questo settore utilizza il 15% del gas ed è quindi il maggior consumatore del Paese.
La scorsa settimana, Uniper, il principale importatore di gas naturale russo in Germania, ha chiesto aiuto al governo federale a fronte di una “estrema pressione finanziaria”. 
“Uniper è stata la compagnia più colpita dalla riduzione del gas russo e, di conseguenza, è sottoposta a un’estrema pressione finanziaria. Dalla metà di giugno, Uniper ha ricevuto dalla Russia solo il 40% dei volumi contrattuali e ha dovuto acquistare quantità sostitutive sul mercato a prezzi notevolmente più alti”, ha dichiarato la società madre finlandese Fortum.
L’azienda ha inoltre riferito di essere in procinto di “negoziare in modo costruttivo” con il governo tedesco alla ricerca di una soluzione per “stabilizzare Uniper, sia in termini di rischi commerciali che di posizione finanziaria”, dato che la sicurezza delle forniture di gas al Paese dipende da questo.
Il capo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), Fatih Birol, ha dichiarato a giugno che l’Europa deve prepararsi senza indugio a un’eventuale interruzione totale delle forniture di gas dalla Russia il prossimo inverno. “L’Europa deve essere preparata nel caso in cui il gas russo venga completamente tagliato”, ha dichiarato Birol, sottolineando che il motivo dell’urgenza è la diminuzione delle forniture energetiche russe alla regione.
Per la Germania sembra concretizzarsi quanto paventato dal CEO della Basf: “Senza gas russo, l’economia collasserà”.  
Intervistato dal quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung aveva contrapposto alla retorica bellicista di USA, NATO e megafoni del mainstream, la dura realtà: “Mettendo la questione in termini brutali, un eventuale stop alle forniture di Mosca trascinerebbe l’economia tedesca nella peggior crisi dal secondo dopoguerra e distruggerebbe la nostra prosperità. Soprattutto per molte piccole e medie aziende, questo potrebbe rappresentare la fine, Non possiamo prendere un rischio simile!”. 
Adesso la Germania è davanti a una scelta irrevocabile: se dovesse decidere di continuare su questa strada, immolandosi sull’altare degli interessi di Washington, andrà incontro a de-industrializzazione e povertà crescente. 
La redazione de l’antidiplomatico, 13luglio, qui.

Occhio poi, che quando avrete finalmente deciso di non arrivare all’embargo totale, o magari addirittura fare marcia indietro, non sia Putin a dirvi grazie, ma ho già trovato altri acquirenti e non mi avanza più niente per voi: dato che avete deciso che è il Male Assoluto, peggio di Hitler + Stalin + Pol Pot + Bokassa + Idi Amin Dada + Erode + Dracula messi insieme, non glielo vogliamo concedere un dispettuccio, una ripicchetta, uno sberleffino?
E ora due parole sulla propaganda in uno splendido articolo di due settimane fa che ho ripescato per voi (vedete quanto sono buona?)

Ucraina: la propaganda di guerra c’è, ma non si vede…

“Un russo è imbarcato su un aereo di linea diretto verso gli Stati Uniti e l’americano seduto accanto gli chiede: ‘Cosa ti porta negli Stati Uniti?’ Il russo risponde: ‘Sto studiando l’approccio americano alla propaganda’. L’americano dice: ‘Quale propaganda?’ Il russo dice: ‘Questo è quello che voglio dire”‘ Battuta posta in esergo di un articolo di Robert Wrigth su Responsibile Statecraft che spiega come i russi sappiano perfettamente che i loro media sono consegnati alla propaganda, perché dipendenti dallo Stato. Ma la diversità di fonti informative dell’Occidente non vuol dire che in questa parte di mondo non esista la propaganda di guerra, eppure non si nota…
“La ragione principale di questa differenza di atteggiamento – continua Wright – non è che gli americani siano più creduloni dei russi. È che l’America è una democrazia liberale con un sistema mediatico abbastanza complesso”.
“È più difficile in questo sistema pluralistico […] per un singolo o un’istituzione potente creare un’unica narrativa dominante. Quindi, se la qui c’è la propaganda, dovrà avvenire in modo meno diretto che in Russia, con meno controllo centralizzato. E ciò rende più difficile individuarla”.
“In altre parole: un sistema pluralistico, mentre in qualche modo rende più difficile il prevalere della propaganda, offre anche alla propaganda che prevale  una buona mimetizzazione”.
Nel caso della guerra ucraina, uno degli strumenti usati per diffondere la narrativa di guerra è stato l’Institute for the Study of War, che fornisce ai media, soprattutto quelli mainstream, esperti e analisti sul campo. “Non passa giorno che l’ISW non sia citato da un giornalista o sul New York Times o sul Washington Post o sul Wall Street Journal”, insomma da tutti media mainstream…
Una cosa già vista: durante la guerra siriana, quando i giornalisti occidentali dipendevano in modo massivo dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, dal quale ricevevano notizie, analisi e approfondimenti.
Nel caso siriano, si trattava di un tizio che abitava a Londra e diceva di aver fonti sul campo, mentre l’ISW è un organismo più complesso con “radici neoconservatrici ed è gestito da falchi piuttosto estremi. Nel corso degli anni ha ottenuto finanziamenti da vari settori dell’industria delle armi: la General Dynamics, Raytheon e altre aziende che lavorano per la difesa, più o meno grandi più o meno note, come la General Motors che, se anche non hanno legami diretti con la difesa, ma hanno però contratti con il Pentagono”.
Per Wright, l’ISW non diffonde falsità, ma è “selettivo sulle verità che promuove e tattico nel modo in cui le dispone”. Ad esempio, nel caso siriano, se l’esercito di Damasco sbagliava mira e colpiva un mercato l’eccidio veniva subito denunciato, se i ribelli moderati, in realtà terroristi, facevano lo stesso, o la notizia non veniva data o, se data, bastava renderla anodina, tipo “bomba cade sul mercato”, lasciando in dubbio il responsabile (ricorda qualcosa?).
Ma tornando all’ISW, Wright lo descrive così: “Il presidente e fondatore dell’Institute for the Study of War è Kimberly Kagan, una esperta di storia militare sposata con Frederick Kagan, che ha la stessa specializzazione e lavora anch’egli per l’ISW. Frederick è un noto neoconservatore, anche se non come suo fratello Robert. Quest’ultimo, negli anni ’90, insieme a Bill Kristol (che è nel Consiglio di amministrazione di ISW), ha fondato il Project for a New American Century, che secondo alcuni osservatori ha svolto un ruolo importante nel convincere George W. Bush a invadere l’Iraq” (in realtà, secondo tanti).
I Kagan hanno ottimi rapporti con la Difesa, tanto che il Washington Post nel 2012  scriveva  che il generale David Petraeus, comandante in capo dell’esercito Usa, aveva de facto reso i due i suoi “più importanti consiglieri”.
[…] “La moglie di Robert Kagan, Victoria Nuland, è il funzionario del dipartimento di stato che ha sostenuto pubblicamente la Rivoluzione Maidan del 2014 in Ucraina” e attualmente è l’incaricata per gli Affari politici e già incaricata per gli Affari europei nel Dipartimento di Stato.
“Nel caso della guerra in Ucraina, le attività giornalistiche e di analisi dell’ISW sono straordinarie. L’Istituto pubblica aggiornamenti quotidiani sul campo di battaglia, completi di mappe […]. Questi report sono scritti in modo intelligente e chiaro […]. Se fossi un giornalista che scrive sulla guerra li troverei attraenti”.
Report intelligenti, appunto, che giorno dopo giorno incrementano la narrativa, con piccole “sfumature” qua e là che servono a supportare le narrazioni del governo ucraino. Inoltre, mentre le informazioni di fonte ucraina vengono riprese come dogmaticamente veritiere, quelle russe sono presentate sempre come prive di fondamento.
L’ISW non è l’unico organismo a fornire informazioni, analisi ed esperti ai media. Tanti sono i think tank che si propongono o vengono interpellati. Ma “non ci sono  think tank meno aggressivi che forniscono analisi giornaliere elaborate della guerra in Ucraina, in parte perché meno si è falchi, più è difficile ottenere finanziamenti. Non ci sono grandi aziende i cui profitti sono legati alla moderazione militare”, mentre tanti finanziamenti fluiscono dall’apparato militar industriale ai think tank che sostengono politiche muscolari. D’altronde, come ricorda Wrigth, l’Ucraina è inondata di armi e le industrie militari di soldi…
“Ecco perché se vedete un articolo sull’Ucraina – o sull’Afghanistan o sull’Iran o altro – scritto da qualche esponente di un think tank, ci sono buone probabilità che tale think tank abbia ottenuto denaro dalle aziende che lavorano per la Difesa”. Idem per la Tv.
“Per non parlare del fatto che, come hanno  documentato Aditi Ramaswami e Andrew Perez sul sito Jacobin, molti opinionisti che parlano della guerra in Ucraina ottengono soldi dagli stessi fabbricanti di armi (proprio come è accaduto per molti opinionisti durante la guerra in Afghanistan)”.
Detto questo, “i think tank non pagano le persone per dire cose in cui non credono. Semplicemente assumono persone che credono già alle cose che i finanziatori dei think tank vogliono che tutti, te compreso, credano”.
“La sincerità con cui questi esperti possono così professare le loro convinzioni è una delle ragioni per cui la propaganda americana è poco appariscente. Un altro motivo è la diversità delle istituzioni: diversi giornali, diversi canali Tv, diversi gruppi di riflessione!”.
“Questa diversità è certamente preferibile all’omogeneità, ed è uno dei tanti motivi per cui preferisco vivere in America piuttosto che in Russia. Tuttavia, a volte la diversità nasconde un’unità narrativa più profonda, un’unità fondata sul potere e su interessi particolari molto forti. E questo è particolarmente vero quando l’argomento è la sicurezza nazionale“.
“Sostenere l’Ucraina è una buona causa – conclude RS – Ma il sostegno dato a occhi chiusi non è mai una buona politica. E soprattutto non è bene nella situazione attuale”, dal  momento che parliamo di una guerra che coinvolge una superpotenza nucleare. Anche per questo rischio “dovremmo cercare di identificare e superare qualsiasi filtro che impedisca una visione chiara di ciò che sta accadendo in Ucraina. E se mi chiedete: ‘Quali filtri?’ la risposta è: ‘Questo è ciò che voglio dire’”.

Ps. Per tacere del fatto che tanti cronisti mainstream sono ex agenti Cia, ex funzionari del Pentagono e altro, con rapporti diretti con la Difesa. Sul punto rimandiamo, come esempio, a un articolo di Politico dal titolo, “Le spie che sono entrate nello studio televisivo”, sottotitolo: “Gli ex funzionari dell’intelligence si stanno godendo una seconda vita come esperti televisivi. Ecco perché questo dovrebbe inquietarci”… Ci torneremo.

Infine, sulla disinformazione di guerra, vedi anche Piccolenote.
29 giugno 2022, qui.

Prima di concludere, per rispettare il detto “una sbufalata al giorno leva il medico di torno”, vi ricordate questa immagine che pochi giorni fa ha fatto levare alti lai alle anime bella inorridite dalla perfidia dei russi?

Molti di noi anime brutte, invece, hanno immediatamente avuto il dubbio che si trattasse dell’ennesima bufala smerciata dalla propaganda ucraina e prontamente raccattata, come al solito, dai nostri ossequienti mass media a 90° (e qualcuno, fra cui io, ne ha avuto la quasi certezza). Ebbene, adesso è confermato: era proprio una bufala, gemella di quelle dei palestinesi, che bruciano campi coltivati e boschi israeliani e attribuiscono alla controparte tutti i loro crimini.

Fulvio Del Deo

Smascherata anche quest’altra fake della propaganda del regime di Kiev. Le forze e armate ucraine stanno utilizzando elicotteri per appiccare il fuoco nei campi di grano al confine della regione di Kherson.
Non lo ha detto Putin, lo ha detto il vice capo dell’amministrazione regionale.

E infine, visto che abbiamo evocato Dracula, eccovelo qui in carne e ossa (che sarebbe uno spettacolo davvero magnifico se non ci fossero quei due bastardi che continuano a cianciare per i fatti loro a microfono aperto)

barbara