Tornata dall’ospedale tagliuzzata per bene, informo il gentile pubblico che sono viva. Adesso torno a letto, appena riesco a tornare operativa mi rifarò sentire.
barbara
Tornata dall’ospedale tagliuzzata per bene, informo il gentile pubblico che sono viva. Adesso torno a letto, appena riesco a tornare operativa mi rifarò sentire.
barbara
Per difendersi dall’invasore russo? Non diciamo puttanate per favore
14 settembre
17 settembre
E nel frattempo si vota per il referendum, nonostante la pioggia battente e i continui bombardamenti ucraini per tentare di dissuadere la popolazione
Ho visto in giro un sacco di commenti sarcastici sul “referendum farsa” sotto la sorveglianza di soldati armati, fingendo di credere che siano lì per intimidire i votanti, fingendo di ignorare che sono lì per sventare i più che probabili, se non ci fossero loro, attentati terroristici da parte degli ucraini.
Nel frattempo c’è chi si dà da fare per evitare che la guerra possa finire.
L’UCRAINA È IN MACERIE, MA LA UE RILANCIA L’ESCALATION
Nuovo massiccio invio di armi a Kiev. I russi soffrono, ma alla Von der Leyen non basta: “Zelensky deve vincere”. E l’Italia è ormai appaltata da Washington
La nuova, cervellotica campagna di guerra lanciata dalla sig.ra Ursula Von der Leyen sulla pelle degli ucraini, non lascia spiragli a una (eventuale) trattativa che possa condurre verso una tregua. Così, per la gioia di Blinken – al quale Draghi ha poche ore fa giurato fedeltà ribadendo, in sostanza, che l’Italia è un appalto della Nato – e per il riarmo di Zelensky, che è al riparo nel suo bunker di Kiev e continua a mandare in onda i suoi show televisivi, la UE dichiara ancora guerra a Mosca. «L’Ucraina vincerà», ha affermato la Presidente della Commissione europea a seguito di alcuni territori rioccupati da Kiev e da cui, per la verità, i militari russi hanno presumibilmente spostato le loro operazioni. Ipse dixit. Una Russia sconfitta sappiamo tutti che è un’evenienza che non potrà in alcun modo verificarsi, a meno di un ricorso all’arma nucleare e l’interessamento di paesi terzi. Europa che ha lasciato intendere, tra l’altro, di voler cacciare l’Ungheria di Orban perché non allineata al piano anti-Putin commissionato da Washington (la scusa dell’antiabortismo è una pagliacciata). Entriamo nel merito, riportando, come è nostro uso, fatti e riscontri.
La nuova escalation promossa dalla Casa Bianca, ratificata da Bruxelles e messa a punto dai singoli membri della UE (l’Italia, tanto per cambiare, è scattata sull’attenti), ha i suoi risvolti nei nuovi pacchetti di armi in partenza per Kiev e nella discriminante relativa alla messa al bando dall’Ungheria di Orban, rea di non seguire alla lettera le politiche militariste e sanzionatorie euroatlantiche. Per Budapest, si prospettano i tagli dei fondi del Pnrr e l’eventuale proposta di esclusione dall’unione, magari per lasciare spazio proprio all’Ucraina, che di diritti civili ha ancora molto da imparare. Ma veniamo al punto. Lascia un tantino perplessi, ancora una volta, la quasi totale inconsistenza di una iniziativa autonoma da parte dei singoli stati, a fronte di una situazione che va purtroppo peggiorando di giorno in giorno. La Germania si trova in difficoltà ed è oggetto di un crescente dissenso della sua opinione pubblica, con il quale dovrà prima o poi fare i conti; la Francia, salvo l’ipotesi di tagliare le forniture elettriche all’Italia per due anni, è tra i pochissimi superstiti a riuscire a confrontarsi (telefonicamente) ancora con Mosca, ma sembra piuttosto immobile e in balia degli eventi; abbiamo già detto di Draghi, per cui però bisogna apporre una postilla. Il 25 settembre in Italia ci saranno le elezioni, e ciò che si prospetta è solo un rimpasto che porterà a ricalcare in fotocopia la linea degli ultimi 6 mesi. Questa è la sensazione, nata da una serie di indizi derivati dai proclami e dalle politiche messe in atto dai partiti maggiori e dai loro consimili. L’ex Goldman Sachs ha soltanto preparato il terreno.
I movimenti di destra, centro e sinistra sono letteralmente appiattiti, salvo poche voci isolate, su posizioni che non fanno presagire un cambio di passo circa la diplomazia internazionale e le (enormi) difficoltà di undici milioni di italiani che Eurostat ha definito “in povertà”. Proprio in queste ore di campagna elettorale, infatti, stanno per essere inviati – si parla del decreto aiuti – altri settecento milioni di euro a Kiev, mentre nelle Marche si è verificata un’alluvione che ha messo in ginocchio interi paesi e località. Sarebbe curioso sapere quanto intende stanziare in merito il dimissionario governo, che evidentemente sembra di nuovo più concentrato su ciò che accade agli ucraini anziché ai suoi connazionali. Se queste sono le premesse, compreso l’acquisto di materiali energetici in ordine sparso (anche dall’Iran, dove poche ora fa è stata linciata un’altra ragazza perché con il velo in disordine), a prezzi maggiorati e non certo dalle più illuminate democrazie, l’autunno sarà sanguinoso. Ma tutto fa brodo, purché venga danneggiata Mosca. In questa maniera, ci si chiede, quale tipo di supporto potranno ricevere gli italiani di fronte alla dilatazione delle bollette, del caro-vita che non accenna a ridimensionarsi o di fronte all’aumento dei carburanti?
UCRAINA, ALTRE PURGHE – La Procura generale ucraina ha autorizzato l’arresto dell’ex ministro degli Esteri Konstantin Grishchenko e del ministro della Giustizia Oleksandr Lavrynovych, accusati di alto tradimento. Dopo questa decisione verranno avviate le procedure di richiesta dell’estrazione dei due ex ministri, che vivono all’estero. Grushe ko e Lavrynovich, in sostanza, sono considerati traditori per aver ratificato, nel 2010, i cosiddetti Accordi di Khar’kiv, che estendevano di 25 anni il diritto della flotta russa a servirsi del porto ucraino di Sebastopoli. Questo, secondo la Procura, Avrebbe consentito alla Russia di rafforzare la propria presenza in Crimea, contribuendo così alla riannessione del 2014.
Marco Giuliani, qui.
E nel frattempo:
La denuncia di Putin sul sabotaggio dei negoziati di pace con l’Ucraina da parte dell’Occidente ad aprile viene confermata da un articolo pubblicato sul Ron Paul Institute. Ne avevamo già scritto in note pregresse, ma tale articolo riferisce ciò che scrivono Fiona Hill e Angela Stent su Foreign Policy, un media più che autorevole degli Stati Uniti. Da qui l’importanza della conferma.
Così sul FP: “Secondo diversi ex alti funzionari statunitensi con cui abbiamo parlato, nell’aprile 2022, i negoziatori russi e ucraini sembravano aver concordato provvisoriamente i contorni di un primo accordo negoziato: la Russia si sarebbe ritirata nella sua posizione il 23 febbraio, quando già controllava parte del Donbass e tutta la Crimea, e in cambio, l’Ucraina si impegnava a non chiedere l’adesione alla NATO e a ricevere invece garanzie di sicurezza da un certo numero di paesi”.
Non solo, il sito di Ron Paul rilancia anche quanto scrisse a inizi maggio Ukrainska Pravda, media vicino al governo di Kiev, in un articolo dal titolo: “Le possibilità di un colloquio tra Zelenskyy e Putin è decaduta dopo la visita di Johnson” [a Kiev].
Così nell’articolo: “Fonti vicine a Zelenskyy” hanno affermato che “la posizione di [Boris] Johnson era che l’Occidente… ora percepiva che Putin non era davvero così potente come avevano immaginato in precedenza, e che c’era l’opportunità per ‘pressarlo’”. L’articolo proseguiva spiegando che “tre giorni dopo il ritorno di Johnson in Gran Bretagna, Putin ha detto pubblicamente che i colloqui con l’Ucraina ‘‘erano finiti in un vicolo cieco‘”.
Tale finestra di opportunità, aperta a fine aprile, verrà sigillata da un evento traumatico: la scoperta delle torture e delle esecuzioni sommarie di civili ucraini da parte dei russi a Bucha, rivelata ai primi di maggio.
Una messinscena raffazzonata in modo volgare da parte dei registi di questa guerra per procura contro la Russia, tanto rozza che induce a pensare che sia stata improvvisata sul momento, per rafforzare la pressione di Johnson e chiudere ogni possibilità al dialogo (sul punto abbiamo scritto in note pregresse, ad esempio questa: cliccare qui).
Scambi di prigionieri e contropartite
Convincere il mondo che quei crimini fossero stati effettivamente perpetrati non è stato difficile. A tale scopo è stata mobilitata la stessa arma di persuasione di massa che aveva già convinto il mondo che Saddam era un pericolo globale da eliminare.
Se in questa nota ricordiamo quanto avvenuto a Bucha è perché il teatro messo in scena in quella località stava per essere replicato a Izyum: per giorni i media occidentali hanno ripetuto di come gli ucraini, sottratta tale cittadina al controllo dei russi, vi avevano rinvenuto una fossa comune con cadaveri che presentavano segni di torture. Crimini che sarebbero stati confermati anche dalle testimonianze raccolte sul posto.
Insomma, tutto presagiva che ci sarebbe stata una replica di Bucha. Ma da ieri tale notizia, nonostante fosse ribadita e accreditata come assolutamente veritiera, è sparita dai media. Semplicemente non se ne parla più.
Immaginare che i registi occulti di questa guerra abbiano cambiato idea è ingenuo. Per capire cosa è successo bisogna stare alla cronaca, la quale dice che proprio in questi giorni si è svolto “uno scambio di prigionieri a sorpresa”, come enfatizza la Reuters, tra Ucraina e Russia. I russi hanno riportato a casa 55 soldati, gli ucraini 215, tra i quali “tre britannici, due americani, un croato e uno svedese”, aggiunge l’agenzia di stampa britannica.
In realtà, lo scambio è stato di più alto livello. Gli ucraini hanno concesso la libertà anche al leader del partito di opposizione ucraino, arrestato all’inizio delle ostilità, Viktor Medvedčuk, ma alla controparte è stato concesso molto di più.
L’elenco dei prigionieri liberati dai russi si può leggere sul sito succitato, Ukrainska Pravda, e comprende 10 cosiddetti volontari stranieri, tra i quali si annoverano alcuni “condannati a morte” (probabile che siano i britannici catturati alle Azovstal, da tempo al centro di un’accesa controversia tra Mosca e Londra).
Non solo, tra i liberati ci sono anche “Denis Prokopenko “Redis”, Sergei Volynsky “Volina”, Svyatoslav Palamar, Denis Shlega, Oleg Khomenko – comandanti delle Azovstal – i quali sono già al sicuro”, spiega ancora UP. Si tratta dei comandanti del battaglione Azov, anch’essi pressi a Mariupol. Sempre del battaglione Azov, continua UP, sono stati liberati “Nikolai Kushch (Frost) e Konstantin Nikitenko (Fox), che gli invasori volevano giustiziare”.
Insomma, uno scambio asimmetrico e alquanto inquietante, se si tiene presente la statura criminale degli ucraini liberati. che interpella sul contraccambio ricevuto dai russi, evidentemente squilibrato. Probabile, quindi, che oltre a questo manipolo di soldati e al leader politico, Mosca abbia chiesto anche la rinuncia di fare di Izyum una nuova Bucha.
D’altronde, non c’è una necessità urgente di una nuova Bucha: quella messinscena servì a far proseguire la guerra e a macchiare d’infamia l’immagine di Putin e dell’esercito russo. Ora queste cose sui media vanno di default…
Il referendum. Il Dombass diventa “Russia”?
Chiudiamo con una considerazione banale, ma non troppo. A fine settimana, nelle regioni del Donbass controllate dai russi, si svolgeranno dei referendum per l’annessione di tali territori alla Russia, cosa che sarà sicuramente sancita.
Un passo verso il quale urgevano da tempo le comunità russe che abitano tali regioni, alle insistenze dei quali Putin ha dovuto cedere, nonostante le complicazioni che tale evoluzione comporta,
Infatti questo sviluppo se da una parte rende impossibile l’ipotesi di un ritorno di tali territori all’Ucraina, dal momento che Mosca sarà costretta a tenerle a tutti i costi, dall’altra potrebbe cambiare la natura della guerra. Le armi Nato, infatti, saranno usate contro il territorio russo, cosa che comporta nuovi rischi.
Così veniamo alle recenti dichiarazioni del presidente della Serbia Aleksandar Vucic: “Ritengo che dalla prima fase, caratterizzata da un’operazione militare speciale ci stiamo avvicinando a una grande guerra; adesso la domanda che si pone è dove siano i confini di tale conflitto e se nel futuro prossimo, un mese o due, ci troveremo coinvolti in un grande conflitto mondiale” (Anadolu).
Continuare a ripetere che l’Occidente deve sostenere l’Ucraina per consentirgli di vincere sui russi è semplicemente folle. Un piccolo barlume di speranza resta acceso in Francia, con Macron che, unico leader d’Occidente, continua a ribadire la necessità di un dialogo con Mosca. (Qui)
A proposito dei “crimini” di Izyum, state a sentire questa quanto è carina:
IZYUM – Amnesty International ha fatto sapere di non poter verificare le notizie sulle “stragi russe” a Izyum: non ha accesso al sito perché il ministero della Difesa ucraino ha revocato l’accredito dell’organizzazione. https://t.me/azmilitary11/21689 (qui)
Capito? L’Ucraina racconta di una strage efferata, crimini di guerra, fosse comuni e chi più ne ha più ne metta, Amnesty International raccoglie il grido di dolore e decide di verificare e le vittime del crimine cosa fanno? Non glielo permettono. Esattamente come per la “strage di Bucha” la Russia ha chiesto all’Onu di indagare e la Gran Bretagna ha opposto un netto rifiuto. Quousque tandem Ucraina abutere patientia nostra? E quousque tandem coglioni teste di cazzo immonde continuerete a credere alle menzogne naziste? Siete gli infami fratelli di sangue di quelli che si sono serenamente bevuti la messinscena di Theresienstadt e ad Auschwitz non hanno visto gli scheletri ambulanti e non hanno sentito il puzzo di tonnellate di carne umana bruciata, vi si possano putrefare le budella da vivi.
Ancora un’analisi della situazione da parte di uno del mestiere.
L’Intervista
Generale dopo l’offensiva ucraina è arrivata la risposta russa contro le infrastrutture elettriche del paese. Siamo ufficialmente passati, dal punto di vista russo, dall'”operazione speciale” alla guerra propriamente detta?
Non ancora ma ci stiamo avvicinando. Non si tratta di una questione formale, come molti pensano, e nemmeno di un pleonasmo, dato che ciò che vediamo è una guerra de facto, come molti altri affermano. Non è neppure una guerra che riguarda “altri”, come s’illudono la Nato e tutti i suoi azionisti. Per la Russia il passaggio è sostanziale e Putin lo sa bene, per questo resiste alle insistenze dei suoi falchi. Il solo parlare di guerra per ogni Stato serio è una cosa grave. Uno Stato in guerra deve adottare provvedimenti eccezionali anche se si tratta di una guerra che si intende combattere ad un basso livello. Uno Stato in guerra non ammette e non può ammettere dissidenze interne, deve derogare a molte prerogative e diritti dei cittadini, deve chiedere e pretendere sacrifici, deve trovare le risorse per sostenerla e le coperture internazionali per non cadere nell’illecito giuridico che aggiungerebbe crimine al crimine della guerra stessa. La Russia finora non ha chiesto nulla di ciò ai propri cittadini in maniera esplicita e diretta anche se ha già adottato molte misure necessarie per lo stato di guerra. L’Ucraina stessa non ammette di essere in guerra contro la Russia ma dichiara di resistere ad una “aggressione” e si guarda bene dal colpire obiettivi all’interno dello stato “nemico”. Gli Stati Uniti e gli altri membri della Nato e dell’Unione Europea sono anche più ambigui e ipocriti. Sono state adottate misure di guerra aperta e diretta contro la Russia; siamo apertamente cobelligeranti con l’Ucraina ma non è stata adottata nessuna misura giuridica, economica e politica per riconoscere tale status. La fornitura di armi è un atto di guerra, le sanzioni economiche sono atti di guerra ai quali la Russia risponde con altrettanti atti di guerra, ma i provvedimenti sembra riguardino una semplice congiuntura transitoria, come si potrebbe fare in caso di sciopero dei distributori o dei trasportatori per il rinnovo del contratto di lavoro. Gli Stati Uniti, un po’ per la lontananza dal teatro bellico e un po’ per convenienza politico-sociale, non hanno emesso un solo provvedimento analogo o similare a quelli eccezionali adottati in occasione della dichiarata “guerra al terrore”. Eppure la popolazione, a causa di questa guerra da essi preparata, voluta e sostenuta, sta sostenendo sacrifici e disagi ben più gravi di quelli provocati dalla guerra al terrore dall’ 11.9 in poi.–
Sull’offensiva ucraina. Vede paralleli con la ritirata russa dall’area di Kiev e dal punto di vista militare è una grave sconfitta strategica?
Più che paralleli, vedo lo stesso modo di operare. D’altra parte queste manovre di arretramento e riposizionamento sono classiche specialmente quando si vuole sbloccare una situazione di stallo. I russi si sono ritirati in disordine, ma su ordine. La fretta nel lasciare le posizioni è evidente da ciò che si sono lasciati dietro, ma più che una sorpresa tattica degli ucraini dimostra che l’ordine è stato impartito in ritardo. In ogni caso, il caos delle ritirate non ci deve sorprendere. Sono finiti i tempi di Rommel che con un esercito più volte decimato si ritirò dall’Egitto alla Tunisia continuando a combattere. Da Saigon a Kabul le ritirate di eserciti “imbattibili” sono sempre state caotiche. Lo stesso risultato ottenuto dagli ucraini è senz’altro molto significativo in termini di propaganda, ma sul terreno le condizioni non sono mutate di molto. Anzi, in un certo senso peggiorano per gli ucraini che in uno spazio vuoto dovranno sostenere il fuoco russo. Il valore della manovra dovrà essere valutato quando il soldato eroico e vittorioso tra le macerie e sotto i bombardamenti si porrà la domanda: e adesso?
– Come confermato dal NYT l’offensiva ucraina ha avuto il supporto decisivo dell’intelligence Nato. Considerando le armi inviate e i tantissimi mercenari Nato che combattono sul campo, si può dire che ha ragione Papa Francesco quando parla di terza guerra mondiale iniziata?
Il supporto decisivo dell’Intelligence Nato è un eufemismo: gli ucraini possono accontentarsi delle medaglie, ma il supporto degli Stati Uniti (più di quello di tutti gli altri paesi della Nato) è stato il vero motore dell’operazione. Non solo sono state fornite informazioni e armi, ma anche piani, obiettivi e la direzione stessa delle operazioni. Papa Francesco parla della guerra moderna avendone colto il vero senso universale, che prescinde dalla teconologia e dalle tattiche: l’uso della forza non è più uno strumento, ma il fine. La violenza, l’inganno e la disumanità sono fini. Sono cose che molti politici e anche molti generali faticano a comprendere. Il Papa è tuttavia ottimista: pensa che la terza guerra mondiale sia appena cominciata e possa essere fermata. A me sembra che proprio nel senso indicato la prima e la seconda non siano mai finite.– Il conflitto in Ucraina è praticamente assente dalla campagna elettorale in corso in Italia, nonostante sia chiaramente l’evento che più condizionerà le vite degli italiani nei prossimi mesi. Da che cosa deriva questo silenzio? E come può l’Italia farsi volano di pace nei prossimi mesi
La posizione assunta dal nostro paese nella questione ucraina è talmente imbarazzante da costituire un brutto argomento elettorale. Per tutto il mese di febbraio potevamo fare qualcosa perché la guerra non cominciasse. Sarebbe bastato discutere sulla politica, gli interessi e la sicurezza dell’Europa invece di accettare ad occhi chiusi una versione distorta della realtà come quella prospettata dagli Usa, dalla Ue e dalla Nato. Sarebbe bastato leggere le norme del Trattato atlantico e quello dell’Unione per rendersi conto che chi si professava atlantista ed europeista le stava calpestando. Volevamo il ripristino della sovranità dell’Ucraina, il disimpegno dalla dipendenza energetica dalla Russia, maggiore sicurezza in Europa? Tutto questo si poteva ottenere discutendo e negoziando. Se non altro per guadagnare tempo. È stata scelta la strada della guerra, l’abdicazione della diplomazia, la rinuncia alla politica di sicurezza per far prevalere Cultura, Valori e interessi altrui su quelli nostri e quelli genuinamente europei. Una guerra vile, fatta fare agli altri, per le loro fobie e le loro vendette. Ora, gli autori di questo scempio si dovrebbero svergognare da soli spiegandolo agli italiani e implorando il loro voto? Meglio tacere. Poi, dopo le elezioni, un modo per favorire la pace ci sarebbe: leggere i trattati, assolvere gli impegni assunti per la pace e denunciare quelli che pur parlando di pace e sicurezza conducono inesorabilmente alla guerra.
Alessandro Bianchi, qui.
E in Ucraina nel frattempo continuano le purghe, fabbricando norme retroattive – casomai dovessimo dimenticare che quella è una democrazia per la quale dobbiamo essere pronti a sacrificare tutto, anche la nostra vita.
UCRAINA, ALTRE PURGHE – La Procura generale ucraina ha autorizzato l’arresto dell’ex ministro degli Esteri Konstantin Grishchenko e del ministro della Giustizia Oleksandr Lavrynovych, accusati di alto tradimento. Dopo questa decisione verranno avviate le procedure di richiesta dell’estrazione dei due ex ministri, che vivono all’estero. Grushe ko e Lavrynovich, in sostanza, sono considerati traditori per aver ratificato, nel 2010, i cosiddetti Accordi di Khar’kiv, che estendevano di 25 anni il diritto della flotta russa a servirsi del porto ucraino di Sebastopoli. Questo, secondo la Procura, Avrebbe consentito alla Russia di rafforzare la propria presenza in Crimea, contribuendo così alla riannessione del 2014. (qui)
Perché la NATO, Biden e la sua cricca e l’Unione Europea hanno deciso che dobbiamo morire: segniamocelo. Ma dal momento che il Titanic è destinato ad affondare, concediamoci almeno di ballare un po’ nel tempo che ci rimane (GUARDATELO FINO ALLA FINE, CHE C’È UN PICCOLO DELIZIOSO BIS)
barbara
Dobbiamo proprio crederci?
Vincitore del Premio Campiello: quanto sono ancora radicati gli stereotipi antisemiti….
I premi letterari italiani di grande prestigio nazionale sono pochissimi e senza dubbio il Campiello è fra questi: nato sessant’anni fa per volontà degli industriali veneti, attribuito in cornice di gala a Venezia, ha laureato fra molti altri celebri scrittori anche Primo Levi (due volte) e Giorgio Bassani. Quest’anno il riconoscimento è andato a un’opera prima (il che non è frequente) di un ventisettenne, Bernardo Zannoni di Sarzana, intitolata in maniera piuttosto enigmatica I miei stupidi intenti.
Si tratta di una specie di fiaba ambientata in un mondo animale fin troppo umano, un po’ alla maniera di Disney: le tane di volpi, cinghiali, faine hanno camere, tavoli, finestre; gli animali parlano, perfino alcuni di loro leggono e scrivono, hanno sentimenti di odio e di amore, nostalgie, sogni, rivelazioni mistiche. Una scrittura molto scorrevole e precisa rende plausibili queste strane circostanze, senza farci cadere nella fantasy. Il protagonista è una faina, un maschio che si chiama Archy, il quale si azzoppa cadendo da un albero, non serve più per cacciare e allora viene venduto a una vecchia volpe, che di professione fa l’usuraia e all’inizio lo maltratta molto ma poi lo educa nell’arte della lettura, gli insegna una sua bizzarra religione e gli muore fra le braccia. C’è un grande amore, ci sono lotte selvagge, c’è la composizione di un libro, la fame, il sangue, la famiglia. Alla fine Archy morirà ucciso da un suo stesso figlio abbandonato, ma in qualche modo contento per quel che ha imparato della vita.
Insomma uno strano romanzo di formazione, in cui i buoni sentimenti si mescolano a uno sguardo abbastanza lucido sulla durezza della natura. Senza dubbio un lavoro che si può leggere facilmente e che ha una sua originalità nella mescolanza di cultura umana e mondo animale.
Tutto bene, dunque? Purtroppo no, ci sono alcuni dettagli che stonano terribilmente. La volpe usuraia si chiama Salomon, il libro che essa legge è una Bibbia probabilmente ebraica, dato che si citano solo brani della Torà. In questo libro la volpe crede e lo studia continuamente, tanto da citare storie come la punizione dell’uomo che raccoglieva legna di sabato, o le dieci piaghe d’Egitto, o il fatto che “Dio ha quasi fatto uccidere Isacco da Abramo”. Fra l’altro la volpe dice di aver intrapreso la professione di strozzino “poco dopo aver scoperto Dio, grazie ai suoi insegnamenti”. Si cita anche il popolo ebraico, in maniera piuttosto ambigua: “Gli ebrei erano il suo popolo e li faceva combattere con altri che non lo conoscevano o lo ripudiavano”.
Insomma, questa volpe che fa l’usuraio e si chiama Salomon e ha un grande cane feroce che a sua volta si chiama Gioele, appare molto vicina all’immagine che degli ebrei hanno gli antisemiti. I miei stupidi intenti è un romanzo antisemita? Il caso è stato sollevato da Elisabetta Fiorito su Shalom , il magazine della Comunità ebraica di Roma. L’autore intervistato dal Giornale ha negato: “Sono profondamente colpito che la rivista Shalom abbia intuito riferimenti antisemiti nel mio romanzo. Davvero, mi addolora. Ho sempre provato fascino per l’ebraismo, per le sue storie dense di significati, i nomi più belli che esistano a questo mondo. Certo, nel libro ci sono riferimenti a loro, non ne ho potuto fare a meno, nemmeno ho voluto. […] Se qualcuno si è sentito offeso non era mia intenzione e mi dispiace molto”.
Si tratta però di una smentita che non cambia nulla, o forse peggiora il problema. Possiamo certamente credere che Zannoni non si senta antisemita e non voglia esserlo. Resta il fatto però che ha condito il suo romanzo con una dose di pregiudizi e di stereotipi che sono oggettivamente antisemiti: c’è un usuraio di nome Salomon, che magari ha qualche saggezza e bizzarria, ma non esita a fa ammazzare al suo Gioele chi non paga i suoi interessi da strozzo, c’è un’ispirazione assai violenta che gli viene dalla Torà e non, poniamo dai Veda o dal Corano, c’è un Dio presentato come violento e vendicativo: molto di quello che per secoli è stato descritto come la follia e il carattere criminale degli ebrei.
Che Zannoni non se ne sia reso conto e che nessuno dei giurati del Campiello abbia sollevato la questione, mostra quanto questi pregiudizi siano ancora diffusi, ottant’anni dopo la Shoah.
Ugo Volli, qui.
Nessun autore mette a caso i nomi dei propri personaggi: a chi potrebbe venire l’idea si mettere in scena un milanese fiero della propria milanesità da sette generazioni e chiamarlo Gennaro Gargiulo? Così come non sono mai messi a caso certi dettagli: se il mio personaggio è una suora di clausura, tranne il caso che sia una versione aggiornata della monaca di Monza, difficilmente la troveremo intenta alla lettura di Cinquanta sfumature di grigio. È dunque credibile che un Salomon che legge – anzi, studia – la Bibbia e fa l’usuraio sia piovuto nel romanzo per puro caso? È plausibile il suo cadere dal pero noncredevononpensavononvolevo? Davvero non saprei dire se sia peggio il libro o quelle ridicole scuse.
E poi c’è quest’altra.
La “storiella” raccontata da Lorenza Rosso al termine del suo intervento per la giornata europea della cultura ebraica continua a suscitare polemica. La presidente della Comunità ebraica, Petraroli: “Stupita dal basso livello culturale: scriverò al sindaco”.
GENOVA– La barzelletta che nessuno si aspettava è piombata nel mezzo della mattAnnamaria Coluccia,inata nella sinagoga genovese, durante una delle iniziative organizzate ieri anche nel capoluogo ligure per la Giornata europea della cultura ebraica.
«Una volta un mio amico ebreo mi ha raccontato questa storia: “Sai perché gli ebrei hanno un naso grande? Perché l’aria è gratis”. Ecco, direi che questo accomuna ancora di più questa città a questa comunità». A raccontarla è stata l’assessore comunale ai Servizi sociali Lorenza Rosso, delegata dal sindaco Marco Bucci a rappresentare l’amministrazione cittadina al convegno.
L’assessore si difende: “E’ una battuta razzista? Forse non me ne rendo conto”
di Annamaria Coluccia
GENOVA – Assicura di non aver avuto alcun intento offensivo nei confronti della loro comunità ebraica, e si scusa se le sue parole sono state interpretate diversamente. Ma Lorenza Rosso, l’assessore nell’occhio del ciclone, è anche stupita dalle polemiche provocate dalle sue parole.
– La sua barzelletta ha suscitato sconcerto nella comunità ebraica e sta sollevando molte polemiche.
«Ma non è stato e non voleva essere affatto un affronto. Me l’aveva raccontata un amico, ebreo, che non c’è più, e io volevo mettere in evidenza un atteggiamento che accomuna ebrei e genovesi. Come poteva avere un significato negativo? Allora ho fatto uno sgarro anche a tutti i genovesi?».
– Però c’è chi vi ha letto uno sfondo razzista, antisemita.
«Ma è possibile interpretarla così? Perché magari io non me ne rendo conto».
– Ma non pensa che fosse una barzelletta quanto meno inopportuna in quella giornata e in quel contesto?
«Mi scuso moltissimo se ho offeso qualcuno. Non è proprio il mio essere quello di offendere le culture, e religioni, le libertà in generale. Tutto il discorso che ho fatto credo lo abbia dimostrato, probabilmente sono stata fraintesa. Ho raccontato quella barzelletta in un’ottica di comunanza in una giornata importante. Ho evidenziato che la comunità ebraica ha anche una funzione sociale in città, più di così… Come poteva essere travisata la barzelletta? Non lo capisco. Se lo è stata me ne scuso e se occorre presenterò scuse formali».
– Ma lei si è accorta delle reazioni che aveva suscitato?
«No, assolutamente, nessuno mi ha detto niente. Prima di andarmene sono andata salutare il rabbino, e non mi ha detto nulla».
– Le opposizioni in Comune chiedono le sue dimissioni da assessore.
«Se dovrò dare le dimissioni, le darò. Tutti pensano che io sia attaccata alla poltrona, ma non è affatto così».
(Il Secolo XIX, 19 settembre 2022)
Resta da capire se è tonta a livelli inverosimili o se sta tentando di salvarsi in corner recitando la parte della tonta: per “accomunare” ebrei e genovesi non trova di meglio che tirare fuori uno dei peggiori stereotipi antisemiti, ci aggiunge il nasone come caratteristica fisica attribuita agli ebrei dalla peggiore propaganda antisemita
(che oltretutto nessuno, che io sappia, ha mai attribuito ai genovesi), e parla di “interpretazione”? Parla di “fraintendimento”? Si vanta addirittura di avere “evidenziato che la comunità ebraica ha anche una funzione sociale in città” (“più di così…”)? Ma che razza di gente abbiamo nelle istituzioni?
barbara
Grande idea: compriamolo dagli azeri!
I barbari che tagliano la testa alle madri cristiane quanto hanno pagato l’omertà dell’Europa?
I soldati azeri hanno violentato quest’armena madre di tre figli, decapitata, tolto gli occhi, tagliato le dita e infilate in bocca. Per sostituire lo zar ci siamo affidati al Tamerlano islamico
Si chiamava Anush Apetyan. I soldati azeri del regime di Aliyev hanno violentato questa soldatessa armena madre di tre figli, l’hanno decapitata, le hanno tolto gli occhi sostituendoli con pietre, le hanno tagliato le dita e gliele hanno infilate in bocca. E hanno filmato tutto. Anush è il simbolo di questo paese povero e martire, “il primo stato cristiano della storia”, questa Lepanto caucasica senza sbocco sul mare, nostalgico della vita del villaggio, delle sue tradizioni, dei suoi balli e canti durante i matrimoni e le feste, che ha la caratteristica (e la colpa?) di essere un’antica nazione cristiana in un ambiente musulmano. “Barbarie, odio e abominio, questo è ciò di cui è colpevole l’Azerbaijan e per questo non possiamo rimanere indifferenti o muti”, commenta Renaud Muselier, presidente della Costa azzurro francese, sul video di Anush.
La storia per gli armeni si ripete. Furono ingoiati durante la Prima guerra mondiale. Il console russo di Khoi raccontò con queste parole il passaggio del popolo condannato a morte: “I pozzi sono pieni di sangue. Legano le vittime e le fanno scendere nei pozzi sino a che il corpo sia immerso lasciando emergere solo la testa. Poi con un colpo di spada le decapitano. La testa infilata in un palo è esposta in piazza”. Prelevati dai villaggi e dalle città, spogliati di tutto, gli armeni si trascinarono strisciando, lasciandosi dietro solo scheletri.
Sono mesi, anni, che azeri e turchi fanno di nuovo a pezzi, letteralmente, gli armeni.
Bella Harutunyan, 72 anni, era rimasta indietro con suo marito Ernest. Ernest è stato ucciso dopo che le forze azere sono entrate nella sua città e il suo corpo mutilato è stato trovato diversi mesi dopo. “Lo hanno ucciso, gli hanno strappato la pelle dove aveva i tatuaggi… Chi pensava che questo genere di cose, decapitazioni e mutilazioni, sarebbero state possibili oggi?”, ha detto Bella. Slavik Galstyan, 68 anni, non voleva lasciare il villaggio. Suo figlio, Ashot, chiamato all’obitorio per identificarne il corpo, ha raccontato: “La sua testa era schiacciata, era come se tutte le ossa del suo corpo fossero state rotte”. Le Monde ha visionato una dozzina di video che mostrano scene di cadaveri con l’uniforme armena accoltellati. La BBC ha il video di altri due civili armeni uccisi a sangue freddo. Come Valera Khalapyan e sua moglie Razmela, assassinati nella loro casa dai soldati azeri, che poi hanno tagliato loro le orecchie. Uccisi come “cani” (così il dittatore azero Alyev chiama gli armeni). Come Alvard Tovmasyan, i parenti hanno identificato il suo corpo nel cortile di casa in un villaggio dell’Artsakh. Piedi, mani e orecchie di Tomasyan erano stati tagliati. In una pagina sono raccolti video atroci realizzati dai soldati azeri contro gli armeni, civili e militari: un giovane armeno decapitato e i soldati azeri che ridono mentre uno di loro usa un coltellaccio da cucina per tagliargli la gola; un anziano armeno che implora per la vita, mentre un soldato azero lo tiene e gli taglia la gola; soldati azeri che trascinano civili armeni fuori dalle case e poi li uccidono; soldati azeri che mutilano i soldati armeni, tagliando loro parti del corpo; soldati azeri che bruciano il corpo di un armeno. E così via, di orrore in orrore. Fino ai video degli anziani armeni decapitati dalle forze azere nel Karabakh. “È così che ci vendichiamo, tagliando le teste”, dice un soldato azero fuori campo. Genadi Petrosyan e Yuri Asryan, 69 e 82 anni, non volevano lasciare il loro villaggio.
L’Europa è presentata da Erdogan e dai suoi soci come un campo di guerra destinato a insediarvi il terrore dell’islamizzazione. L’Europa non si muove, non fa nulla, non dice nulla, è sottomessa. Il destino degli uiguri ha innescato nell’opinione pubblica europea grandi esplosioni di copertura mediatica. Nella società dello spettacolo, a ciascuno il suo Rohingya. Ma in quest’Europa dell’emozione automatica, dove la presidente della Commissione ha appena indossato i colori giallo-blu di un altro paese, non una candela, non un cuoricino con le dita, non un orsacchiotto, per l’Armenia in ginocchio, che non soddisfa i criteri per l’adesione alla pietà globale: gli armeni non sono multiculturali, non sono fluidi e non si lasciano portare come pecore al macello. “Un cristiano con i baffi che beve vino nelle montagne, all’ombra di un campanile fatto saltare in aria da un drone azero, non smuove il pubblico cyber-globale come un rifugiato saheliano”, ha scritto sugli armeni il romanziere francese Sylvain Tesson. Per questo non sentiamo parlare contro questa aggressione all’Armenia. Gli armeni sono, come i cristiani d’Oriente, i grandi dimenticati dalle grandi cause alla moda. Ma non possiamo capire nulla della storia dell’Europa, della sua architettura, della sua arte, dei suoi paesaggi e della sua democrazia se evitiamo di pensare che siamo stati cristiani. E per questo motivo, abbiamo trascurato quello che è successo in Armenia. Pensiamo che sia Oriente, ma no, è una torre di guardia dell’Occidente che era cristiano e che sta cadendo. Erdogan si considera il grande Khan delle steppe turche, la sua mappa va dal Bosforo a Ulan Bator, copre il Caucaso meridionale, il Mar Caspio, i deserti turkmeni, l’oasi uzbeka, le steppe kazako-kirghise. L’Armenia va cancellata perché impedisce il collegamento tra l’altopiano anatolico e le coste del Caspio e perché sono “i resti della spada”. Ma se domani i panturchi attaccheranno Cipro (ne occupano ancora metà) o le isole dell’Egeo o i serbi del Kosovo, in quale risacca di ipocrisia ci nasconderemo? E dove si fermerà Erdogan? A Vienna?
Il settimanale Le Point in edicola fa il punto della situazione: “Lo scoppio delle violenze nel Caucaso meridionale tra le forze armene e azere, che negli ultimi giorni ha ucciso più di 200 persone (tra cui almeno 135 soldati armeni), riflette la volontà di Baku di sfruttare una configurazione geopolitica sempre più favorevole. La guerra in Ucraina ha cambiato la situazione di tre attori chiave della regione: Russia, Unione Europea e Turchia, ogni volta a scapito degli interessi della Repubblica d’Armenia. Risultato: l’Armenia è sempre più debole e isolata. Gli europei, che fanno affidamento sul gas azero per compensare il calo delle forniture russe, hanno sempre meno mezzi di pressione su Baku. I loro acquisti di gas sono aumentati del 30 per cento nei primi otto mesi dell’anno fino a raggiungere i 7,3 miliardi di metri cubi. Gli europei hanno scambiato la loro dipendenza energetica da Mosca con una nuova su Baku. Questo non è senza conseguenze. La Turchia ha consolidato l’influenza nel Caucaso grazie alla guerra in Ucraina. In trentun anni di indipendenza, l’Armenia non è mai stata così in cattive condizioni come oggi”.
120.000 armeni sono oggi circondati nell’enclave del Nagorno Karabakh dall’esercito azero, che negli ultimi mesi ha attaccato i villaggi armeni. Se l’Azerbaijan, sostenuto dalla Turchia e dai jihadisti siriani, si impadronirà del Karabakh, ci saranno altre pulizie etniche e religiose in Armenia. E potrebbero portare, nel peggiore dei casi, allo sterminio definitivo degli armeni nel loro paese. L’Armenia così sprofonda nella certezza della propria maledizione. Per loro, il dolore è una seconda natura. Chi ha radici, spesso crolla più rapidamente di chi non ne ha e le civiltà sono più a rischio dei barbari, perché le profondità sono più vulnerabili delle superfici.
Su La Tribune Juive, il saggista Maxime Tandonnet denuncia la doppia morale: “Ursula von der Leyen si è recata a Baku, capitale dell’Azerbaigian, il 18 luglio per annunciare con grande clamore il raddoppio delle importazioni di gas. ‘Baku rivendica il sud dell’Armenia, ma anche parte del centro, persino la capitale Yerevan’, ricorda Tigrane Yegavian. Tale annessione significherebbe la completa estinzione dell’Armenia come paese indipendente. L’attacco dell’Azerbaigian all’Armenia ha causato diverse centinaia di morti, distruzione e sembra l’inizio di un’invasione. Niente è più sconcertante del silenzio generale dei leader occidentali e dei media, che ignorano questo evento e si astengono accuratamente dallo schierarsi e denunciare la responsabilità dell’invasore. L’attacco all’Ucraina da parte della Russia mobilita da mesi la cronaca in nome del diritto internazionale e dell’intangibile rispetto dei confini. Sull’Armenia, invece, grande silenzio, totale indifferenza, di fronte a un’invasione codarda, illegale e barbara. Questo doppio standard, così palese, così evidente, solleva interrogativi sulle motivazioni profonde del mondo occidentale”.
Ma se temiamo che la Russia di Putin non si fermerà al Donbass, questi barbari islamici non si fermeranno alla “piccola” Armenia. Odiano l’Europa, l’Occidente, la nostra civiltà, la nostra storia, le nostre libertà. Quello che sta accadendo in Armenia è da collegare a quello che sta succedendo in Europa da anni. E chi fa finta di non vedere che non ci siano differenze fra un paese cristiano e un paese musulmano, fra una democrazia che conta le teste e dei barbari che le tagliano, è destinato a perdere la propria.
Giulio Meotti
E mentre ci sveniamo per armare i nazisti, chiudiamo occhi e orecchie sulle vittime vere di un progetto di sterminio che sta andando avanti da oltre un secolo: non c’è che dire, siamo davvero nelle mani del governo dei migliori – e il discorso vale per TUTTI i governi europei e in particolar modo per questa orrida gallina starnazzante e sghignazzante sulla nostra pelle
E soprattutto dei più onesti, e dei più bravi a scegliere la parte dei buoni.
PS: Giulio Meotti, per rispetto, ha scelto di non postare il video; io ho scelto di non postare neppure le foto. Chi desiderasse comunque vederle può andare sul suo profilo FB.
barbara
Tradotto: co uno ze mona, zé mona. E il signor Gramellini modestamente lo nacque e lo è.
Laura ciao
Se alla tv spagnola Laura Pausini avesse cantato «Bella Ciao», oltretutto a meno di due settimane dal voto, i politici e i commentatori di destra le avrebbero dato della comunista e oggi tirerebbero fuori le foto di lei che serve i tortellini a qualche festa dell’Unità o i ritagli di giornale del maggio scorso in cui i profughi cubani la definivano filo castrista [processo alle intenzioni, nonché proiezione sulla controparte delle abituali attitudini della propria parte]. Poiché invece si è rifiutata di farlo per evitare strumentalizzazioni di parte, è stata strumentalizzata da entrambe le parti, con la destra che adesso la considera Giovanna D’Arco e la sinistra Claretta Petacci [BUM! Qualcuno ha sentito in giro qualcosa del genere? Il signor Gramellini non deve confondere il proprio cervello col baco con quello della gente normale].
Con maggiore prontezza di spirito, ma non è facile averla in certi momenti, forse avrebbe potuto intonare quella meravigliosa canzone dedicandola al popolo ucraino invaso da Putin [nel senso che sarebbe stata una buona idea dedicare Bella ciao ai nazisti? Nel senso che anche girandola così avrebbe in ogni caso dovuto cantarla? E non sfiora l’eccelsa mente del Nostro l’idea che potrebbe non avere fatto questa cosa non per mancanza di prontezza di spirito – altra illazione del tutto gratuita – bensì perché è un’idea troppo stupida per poter venire in mente a una persona normale?]. Avrebbe sparigliato le carte [forse sfugge al mona di turno che Laura Pausini fa di mestiere la cantante, non la sparigliatrice di carte] e spostato un po’ il tiro [spostato il tiro in che senso? Spostato quale tiro?], mentre la decisione di non cantarla le ha tirato addosso accuse di vigliaccheria e di fascismo che francamente appaiono esagerate [e sei riuscito a sbagliare anche questa: non sono esagerate, sono totalmente prive di fondamento: sono due cose diverse. Lo so che per certe menti è un concetto difficile, quindi non lo dico nella speranza che tu possa capire: lo dico e basta, semplicemente perché è così, e questo va detto].
«Bella ciao» inneggia all’amore e alla libertà [La libertà ok, ma l’amore dove sta esattamente nella canzone? Non dirmi che fumi roba così forte da darti addirittura le visioni], e chi ne ha fatto la colonna sonora della propria esistenza dovrebbe riconoscere a tutti la libertà di cantarla o di non cantarla, senza sottoporre l’una o l’altra scelta al verdetto di un autoconvocato tribunale della Storia intento a misurare il tasso di ideologia degli interlocutori [e allora perché dici che avrebbe dovuto avere la prontezza di spirito di cantarla dedicandola al popolo ucraino che da otto anni e mezzo sta massacrando i russofoni?]. È davvero un peccato che la canzone italiana più conosciuta al mondo dopo «Volare» venga percepita solo in Italia per ciò che non è: un canto di parte [ora ti spiego, visto che oltre che tonto sei anche ignorante. Se una parte, a guerra finita, cioè dopo che quelli che combattevano per la libertà hanno finito di combattere e sono tornati a casa, fabbrica a tavolino una canzone nuova che prima non esisteva prendendo la musica di una canzone che parla di tutt’altro, e la canta alle proprie manifestazioni reggendo la propria bandiera, sempre, regolarmente, senza eccezione, e tratta da nemico della propria parte chi, per qualunque ragione, non la vuole cantare, come potrebbe essere definita questa canzone? No, non preoccuparti di rispondere, è solo una domanda retorica, non vorrei davvero che a sforzarti troppo ti grippasse il cervello]. Vado a sentirmi «Bella ciao». In cuffia, così non disturbo nessuno [e scommetto che con questa battuta del cazzo sei anche convinto di essere ironico e spiritoso].
In compenso l’Oca Signorina riesce a fare perfino quasi peggio di lui
Laura, guarda: Bella ciao è una canzone che condanna la violenza della guerra, i soprusi contro i popoli aggrediti, la sacrosanta legittimità da parte di chi è oggetto di violenza di difendersi anche contro le armi [addirittura ANCHE contro le armi?! Ma roba da non credere!], la dignità che questa scelta comporta e anche la sofferenza che chi la compie è costretto ad affrontare, sia per sé che per i propri cari [no, quella per i propri cari nella canzone non c’è]. È una canzone politica, incredibilmente politica, squisitamente politica, ma di quella politica bella [cioè quella della tua parte], fatta dai cittadinə [purtroppo gli articoli omnigender non li hanno ancora inventati quindi per il momento tocca sopportare questi orrendissimi ibridi, ma vedrete che prima o poi riusciremo a scovare qualcosa anche lì], perché spiega che la libertà e [ma rileggere un momentino no? Proprio no?] la sola cosa per cui vale la pena combattere [io dopo “vale la pena” ci metterei un “di”: cosa ne dici prof con laurea, master e otto miliardi di titoli aggiuntivi che spari regolarmente in faccia a chi azzarda mezza briciola di critica?], rischiare la vita, perderla se necessario. È una canzone semplice e bella [non esistono cose belle: esistono cose che piacciono; tu per esempio ti piaci un sacco, ma non sarei pronta a giurare che tutti concordino con te], proprio perché dice tutte queste cose in maniera che tuttə possano capirle, e canticchiarle facilmente perché non richiede conoscenze di musica e forse neppure una grande intonazione. È una canzone del popolo, per il popolo, dalla parte del popolo. Quel popolo di cui tu però ti sei sempre fatta vanto di fare parte.
E quindi Laura, fammi capire: perché caspita non la vuoi cantare, eh? [Ma saranno cazzi suoi?! E mi raccomando, non dimenticarti il tuo “eh?” con la tua voce stridula e gracchiante, il dito puntato, il cipiglio severo e la mascella dura mussoliniana]
Ma non bastano tutte le disgrazie che abbiamo, da dover sopportare anche questi branchi di deficienti?
E adesso ascoltate questa bella canzone klezmer del 1919
barbara
Perché in Florida sono tutti così felici?
Tratto e tradotto da un articolo di opinione di Jeffrey A. Tucker per The Epoch Times
Negli ultimi sei anni, la Florida aveva dominato nelle statistiche sul guadagno netto di abitanti per mezzo della migrazione interna diretta verso lo Stato, con New York e la California che hanno invece perso il maggior numero di residenti. La follia del COVID-19 ha solamente accelerato drasticamente questa tendenza.
Il governatore della Florida, Ron DeSantis, ha commesso alcuni errori all’inizio, cedendo alle sirene del lockdown – errori per i quali si è effettivamente scusato – ma poi ha riaperto completamente lo Stato già più di due anni fa. Ha imparato dalla scienza vera e propria e ha deciso di mettere la libertà al primo posto. Questo ha portato ad un enorme guadagno per l’intero Stato.
I media nazionali americani hanno gridato all’orrore e previsto una moria di massa (l’hashtag #deathsantis aveva fatto tendenza su Twitter) che non è mai arrivata.
La Florida e la California hanno ottenuto risultati approssimativamente simili, in particolare per quanto riguarda le statistiche su contagio e morti da COVID-19, pur avendo adottato politiche opposte. Questo perché il rigore non ha fatto alcuna differenza nel modo in cui il virus ha attaccato la popolazione.
La grande differenza riguarda la cultura e l’impresa. Ora lo Stato della Florida pullula di nuovi residenti. Il livello di prosperità che si percepisce qui – una prosperità che va a vantaggio di tutti – è in sorprendente contrasto rispetto al New England, che soffre ancora in modo massiccio dei suoi terribili errori sulle chiusure e sulle restrizioni.
Le perdite a livello educativo tra i ragazzi nelle scuole sono state minime. Le imprese si sono riprese rapidamente. Le imprese non sono mai rimaste fondamentalmente traumatizzate. La salute pubblica ha sofferto pochissimo, perché il sistema sanitario è tornato rapidamente a funzionare normalmente. Oggi le mascherine sono molto rare nello Stato, a differenza del New England che pullula ancora di cittadini spaventati che si nascondono da un virus.
Sembra che una persona su tre che si incontri a Miami sia un nuovo residente e che sorrida da un orecchio all’altro per questa decisione. Molte di queste persone se ne sono scappate dalla California, da New York, dal Massachusetts, dal Connecticut e da altri Stati chiusuristi per pura esasperazione. Le chiusure erano già abbastanza tristi, ma alla fine sono stati gli obblighi ad aver fatto prendere questa decisione a centinaia di migliaia di persone.
Perché vivere in uno Stato in cui il governo non ha alcun rispetto per la libertà e i diritti? Non ha senso. Nel frattempo, in Florida, il governatore ha pubblicizzato in modo aggressivo la sua alta considerazione per la libertà ed ha preso misure attive per cacciare la polizia anti-COVID dallo Stato, arrivando persino a vietare l’uso delle mascherine a scuola.
Per molti di coloro che si sono trasferiti, è stata una decisione molto difficile. Per molti versi, questo Paese, nonostante la sua vastità e la mancanza di restrizioni ai viaggi, è ancora molto campanilistico. Molti abitanti del Massachusetts occidentale non sono mai stati a New York, tanto meno hanno visitato il Sud. Lo stesso vale per la California. Questa tendenza sostiene una forma di bigottismo geografico.
Vivevo nel New England quando la Florida ed il Texas hanno riaperto completamente ed in rapida successione nell’agosto del 2020. Gli atteggiamenti che ho incontrato sono stati davvero scioccanti. Gli abitanti del New England consideravano gli Stati che avevano riaperto come chiaramente infestati dalle malattie ed i loro governatori come dei bifolchi di destra a cui non importava nulla della morte e della sofferenza. Le spaccature politiche negli Stati hanno esacerbato i pregiudizi regionali, cosicché la gente del New England si immaginava pulita e libera dal virus, mentre nei luoghi primitivi del Sud la malattia circolava ancora incontrollata.
Lo si percepisce leggendo il New York Times: i giornalisti parlano della Florida come se fosse su Marte.
Questo pregiudizio si è intensificato quando l’amministrazione Biden si è messa sul piede di guerra contro i non vaccinati. Lo hanno fatto in parte e proprio perché così facendo avrebbero incoraggiato l’odio ed il disgusto per gli Stati Repubblicani che hanno sostenuto Donald Trump. Non era sufficiente che l’amministrazione Biden si opponesse alle loro politiche; ha dovuto fare un ulteriore passo avanti per annunciare alla nazione che anche loro erano degli immondi diffusori di malattie.
È davvero imbarazzante. Ciò che invece i newyorkesi che si sono sradicati hanno scoperto trasferendosi in Florida è stato glorioso. Hanno trovato giornate di sole, città prospere, uno degli skyline più belli al mondo a Miami, spiagge ovunque, palme a bizzeffe, una popolazione estremamente variegata ma totalmente integrata, prezzi molto più bassi per tutto, arte e musica, oltre a persone sorridenti con una bellissima etica del servizio.
Nessuno dei miei amici che si è trasferito in Florida se ne è pentito. Si chiedono perché abbiano aspettato tanto! Guardano la città scintillante, si godono la vita notturna, si godono il palcoscenico musicale ed artistico, conoscono le spiagge che sono davvero calde e meravigliose e si stupiscono di aver ritardato il trasferimento. In effetti, rispetto alla sporca e squallida New York, per non parlare della stanca e malconcia Boston, Miami ha l’aria del paradiso terrestre.
In questo momento la Florida è in testa alla classifica nazionale nella creazione di nuove imprese, ma a parte la situazione economica, anche la cultura trasuda salute e ottimismo. Il motivo: i residenti non hanno subito due anni di abusi da parte del loro governo. Questo tende a far bene allo spirito umano.
La verità è che il futuro della crescita economica degli Stati Uniti favorisce il Sud in generale. Persiste ancora l’opinione che il Nord-Est sia il posto giusto per le persone ambiziose, ma quanto potrà durare ancora quando non sarà più vero?
L’aria condizionata fu installata per la prima volta alla Borsa di New York nel 1902, ma alla fine degli anni ’40 si era diffusa in tutto il Paese. L’invenzione stessa provocò un cambiamento drammatico nella vivibilità del Sud. Non c’era più alcun aspetto negativo nella migrazione ed oggi i migliori sistemi di condizionamento dell’aria del mondo prosperano nelle regioni più calde come la Florida.
Riflettendo sulle implicazioni di questo fenomeno, ci si rende conto che è solo per questioni di viaggio e di tecnologia della climatizzazione che il centro della cultura americana sia finito a Boston e a New York piuttosto che a Miami o a Dallas. Lo shock delle chiusure ha indotto milioni di persone a ripensare a tutto e a fuggire dai despotismi stagnanti del Nord-Est (New Hampshire escluso, naturalmente) per provare cosa significa libertà in Florida.
Il contrasto culturale ed economico non potrebbe essere più netto. Ciò suggerisce che le tendenze continueranno proprio in questa direzione, dato che gli interessi radicati negli Stati Democratici continuano a far crollare le loro economie e a tagliare le opportunità ai loro cittadini. Finché gli americani avranno la libertà di muoversi, migreranno gradualmente da Stati meno liberi a Stati più liberi, come quelli del Sud e dell’Ovest, rifuggendo dalle tasse e dai controlli del Vecchio Mondo.
Come nota finale, e forse la caratteristica più sorprendente della Florida di oggi, è che i visitatori incontrano qualcosa che oggi manca in molte parti del Paese: persone felici. Sorrisi. Le buone maniere. Gioia. Fiducia. Esuberanza. Ottimismo. Queste cose sono contagiose e tanto difficili da misurare quanto ovvie per chi le vede per la prima volta. Non c’è da stupirsi che così tante persone si siano trasferite. Il baricentro culturale ed economico degli Stati Uniti si è spostato. La Florida di oggi assomiglia al futuro.
Jeffrey A. Tucker è fondatore e presidente del Brownstone Institute ed autore di molte migliaia di articoli sulla stampa scientifica e popolare, oltre che di dieci libri tradotti in cinque lingue, il più recente dei quali è “Liberty or Lockdown”. È anche l’editore di The Best of Mises. Scrive una rubrica quotidiana di economia per The Epoch Times e parla diffusamente di economia, tecnologia, filosofia sociale e cultura. (Qui)
E qui siamo ancora a mascherine distanziamento precauzioni e “ci aspettiamo un picco di centocinquantamila casi al giorno” e senza soldi per pagare le bollette e le ditte che falliscono però bisogna trovare soldi per mandare armi ai nazisti e per pagare i loro insegnanti, andassero affanculo tutti quanti.
barbara
Le immagini sono un film, la telefonata è autentica.
Ricordando Todd Beamer e il resto degli eroi che hanno combattuto i terroristi e si sono rifiutati di lasciare che il loro aereo diventasse un altro missile diretto al Campidoglio o alla Casa Bianca. Invece l’aereo si è schiantato in un campo vuoto a Shanksville, in Pennsylvania.
Trascrizione effettiva: Todd: Pronto… Operatore… mi ascolti… non posso parlare molto forte. Questa è un’emergenza. Sono un passeggero di un volo United per San Francisco… Abbiamo una situazione qui… Il nostro aereo è stato dirottato… mi capisce?
Lisa: (espirando tra sé e sé) Capisco… I dirottatori possono vederla parlare al telefono?
Todd: no
Lisa: Può dirmi quanti dirottatori ci sono sull’aereo?
Todd: Ce ne sono tre di cui siamo a conoscenza.
Lisa: Riesce a vedere qualche arma? Che tipo di armi hanno?
Todd: Sì…. non hanno pistole… hanno coltelli hanno preso il controllo dell’aereo con i coltelli.
Lisa: Intende… come i coltelli da bistecca?
Todd: No, questi sono coltelli da rasoio… come taglierini.
Lisa: Può dire da quale paese provengono queste persone?
Todd: No….non lo so. Dall’accento sembrano provenire dal Medio Oriente.
Lisa: Hanno detto che cosa vogliono?
Todd: Qualcuno ha annunciato dalla cabina di pilotaggio che c’era una bomba a bordo. Ha detto che era il capitano e di stare ai nostri posti e stare calmi.
Ha detto che stavano soddisfacendo le richieste di questi uomini e stavano tornando all’aeroporto… Era un inglese molto stentato e… glielo dico io… suonava falso!
Lisa: Ok signore, per favore mi dia il suo nome.
Todd: Mi chiamo Todd Beamer.
Lisa: Ok Todd….Mi chiamo Lisa… Sa il numero del suo volo? Se non ricorda, è sul suo biglietto.
Todd: È il volo United 93.
Lisa: Ora Todd, può provare a dirmi esattamente cosa è successo?
Todd: Due dei dirottatori erano seduti in prima classe vicino alla cabina di pilotaggio. Un terzo era seduto vicino al fondo della classe turistica. I due su davanti sono entrati in qualche modo nella cabina di pilotaggio; c’era un grido. Il terzo dirottatore ha detto che aveva una bomba. Sembra una bomba. Ce l’ha legata alla vita con una specie di cintura rossa.
Lisa: Quindi la porta della cabina di pilotaggio è aperta?
Todd: No, i dirottatori l’hanno chiusa dietro di sé.
Lisa: Qualcuno è stato ferito?
Todd: Sì, … loro… hanno ucciso un passeggero seduto in prima classe. Ci sono state molte urla. Non sappiamo se i piloti sono vivi o morti. Un assistente di volo mi ha detto che il pilota e il copilota erano stati costretti a lasciare la cabina di pilotaggio e potrebbero essere stati feriti.
Lisa: Dov’è il terzo dirottatore ora Todd?
Todd: È vicino al fondo dell’aereo. Hanno spinto la maggior parte dei passeggeri in prima classe. Siamo in quattordici qui dietro. Cinque sono assistenti di volo. Non si è accorto che mi sono infilato in questa dispensa per prendere il telefono. Il tipo con la bomba ci ha ordinato di sederci per terra in fondo all’aereo………. oh Gesù.. Aiuto!
Lisa: Todd….sta bene? Mi dica cosa sta succedendo!
Todd: Pronto….. Stiamo andando giù…. Penso che stiamo per schiantarci…… Aspetti aspetti un minuto. No, ci stiamo stabilizzando…. stiamo bene. Penso che forse stiamo virando….. Ecco, abbiamo cambiato direzione. Mi sente… stiamo volando di nuovo verso est.
Lisa: Ok Todd…. Cosa sta succedendo agli altri passeggeri?
Todd: Tutti sono… davvero spaventati. Alcuni passeggeri col cellulare hanno telefonato ai parenti. Un ragazzo, Jeremy, stava parlando con sua moglie poco prima che iniziasse il dirottamento. Gli ha detto che dei dirottatori hanno fatto schiantare due aerei contro il World Trade Center… Lisa è vero??
Lisa: Todd…..devo dirti la verità….. è molto brutta. Il World Trade Center è sparito. Entrambe le torri sono state distrutte.
Todd: Oh Dio aiutaci!
Lisa: Un terzo aereo è stato preso dai terroristi. Si è schiantato contro il Pentagono a Washington DC. Il nostro paese è sotto attacco… e temo che il tuo aereo possa far parte del loro piano.
Todd: Oh mio Dio. Caro Dio…….Lisa, farai qualcosa per me?
Lisa: Ci proverò… se posso… Sì.
Todd: Voglio che chiami mia moglie e i miei figli per me e dica loro cosa è successo. Promettimi che chiamerai..
Lisa: Prometto che chiamerò.
Todd: Il nostro numero di casa è 201 353-1073…….Hai lo stesso nome di mia moglie… Lisa…. Siamo sposati da 10 anni. È incinta del nostro terzo figlio. Dille che la amo…….(gli si strozza la voce).. La amerò sempre..(schiarendosi la voce) Abbiamo due ragazzi.. David, ha 3 anni e Andrew 1….. Diglielo…… (gli si inceppa la voce) digli che il loro papà li ama e che è così orgoglioso di loro. (schiarendosi di nuovo la voce) Il nostro bambino nascerà il 12 gennaio…. ho visto un’ecografia…. è stato fantastico…. non sappiamo ancora se è una femmina o un maschio……… Lisa?
Lisa: (a malapena in grado di parlare) Glielo dirò, lo prometto Todd.
Todd: Ora torno nel gruppo, se posso tornare…
Lisa: Todd, lascia questa linea aperta… ci sei ancora?…
Lisa: (compone un numero..) pronto, FBI, mi chiamo Lisa Jefferson, sono un supervisore telefonico per GTE. Devo denunciare un dirottamento terroristico di un volo United Airlines 93… Sì, resto in linea.
Goodwin: Salve, sono l’agente Goodwin.. Ho saputo che ha una situazione di dirottamento?
Lisa: Sì, signore, ho parlato con un passeggero, un certo Todd Beamer, sul volo 93 che è riuscito a raggiungere un telefono senza essere notato.
Goodwin: Da dove è partito questo volo e qual era la sua destinazione?
Lisa: Il volo è partito da Newark, nel New Jersey, alle 8:00 diretto a San Francisco. I dirottatori hanno preso il controllo dell’aereo poco dopo il decollo e alcuni minuti dopo l’aereo ha cambiato rotta e ora sta volando verso est.
Goodwin: Sig.ra Jefferson… ho bisogno di parlare con qualcuno a bordo di quell’aereo. Può collegarmi al telefono dell’aereo?
Lisa: Ho ancora quella linea aperta, signore, posso collegarla in teleconferenza… aspetti un mo…
Todd: Pronto Lisa, Lisa ci sei?
Lisa: Sì, sono qui. Todd, ho chiamato l’FBI, l’agente Goodwin è in linea e parlerà anche con te.
Todd: Gli altri sanno tutti che questo non è un normale dirottamento. Jeremy ha chiamato di nuovo sua moglie sul cellulare. Gli ha detto di più sul World Trade Center e tutto il resto.
Goodwin: Pronto Todd. Sono l’agente Goodwin dell’FBI. Abbiamo monitorato il tuo volo. Il tuo aereo è in rotta per Washington, DC. Questi terroristi hanno lanciato due aerei contro il World Trade Center e un aereo al Pentagono. La nostra migliore ipotesi è che abbiano in programma di mandare il vostro aereo sulla Casa Bianca o sul Campidoglio.
Todd: ho capito… aspetta… io… torno…
Lisa: Mr. Goodwin, quanto tempo hanno prima di arrivare a Washington?
Goodwin: Non molto, signora. Hanno cambiato rotta su Cleveland; ora si stanno avvicinando a Pittsburgh. Washington potrebbe essere a venti minuti di distanza.
Todd: (respirando un po’ più pesantemente) L’aereo sembra cambiare leggermente direzione. Sta diventando piuttosto duro quassù. L’aereo sta volando in modo davvero irregolare… Non ne usciremo vivi. Ascoltami… voglio che tu senta questo… ho parlato con gli altri… abbiamo deciso che non saremo delle pedine in questo complotto dei dirottatori suicidi.
Lisa: Todd, cosa hai intenzione di fare?
Todd: Abbiamo escogitato un piano. Quattro di noi si getteranno sul dirottatore con la bomba. Dopo averlo eliminato, faremo irruzione nella cabina di pilotaggio. Una hostess sta preparando dell’acqua bollente da gettare sui dirottatori ai comandi. Li prenderemo… e li porteremo fuori. Lisa, …..farai un’ultima cosa per me?
Lisa: Sì… Che cosa?
Todd: Pregheresti con me?
Pregano: Padre nostro che sei nei cieli
Sia santificato il tuo nome,
Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà
in terra come in cielo.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
E perdonaci i nostri peccati
Come noi perdoniamo i nostri trasgressori,
E non indurci in tentazione
Ma liberaci dal male
Poiché tuo è il regno, la potenza e la gloria
Per sempre…..Amen
Il Signore è il mio pastore, non mancherò di niente…
Mi fa riposare su pascoli erbosi
Mi conduce presso acque tranquille
Rinfranca la mia anima
Mi guida su sentieri di giustizia
per amore del suo nome
Sì, anche se cammino attraverso la valle dell’ombra della morte
Non temerò alcun male, perché tu sei con me…
Todd: (più piano) Dio mi aiuti… Gesù aiutami… (si schiarisce la voce e più forte)
Ragazzi siete pronti?……..
Andiamo……………………
Eddie Dvir, qui, traduttore automatico con correzioni e aggiustamenti miei.
Qui potete ammirare gli entusiastici festeggiamenti dei palestinesi – così come l’intero mondo arabo-musulmano – per il meraviglioso successo dell’impresa; questa invece è la moglie di Todd Beamer.
barbara
Che aspettiamo, raccolti nella piazza?
Oggi arrivano i fascisti.
Perché mai tanta inerzia nel Senato?
E perché i senatori siedono e non fan leggi?
Oggi arrivano i fascisti.
Che leggi devon fare i senatori?
Quando verranno le faranno i fascisti.
Perché l’imperatore s’è levato
così per tempo e sta, solenne, in trono,
alla porta maggiore, incoronato?
Oggi arrivano i fascisti
L’imperatore aspetta di ricevere
il loro capo. E anzi ha già disposto
l’offerta d’una pergamena. E là
gli ha scritto molti titoli ed epiteti.
Perché i nostri due consoli e i pretori
sono usciti stamani in toga rossa?
Perché i bracciali con tante ametiste,
gli anelli con gli splendidi smeraldi luccicanti?
Perché brandire le preziose mazze
coi bei ceselli tutti d’oro e argento?
Oggi arrivano i fascisti,
e questa roba fa impressione ai fascisti.
Perché i valenti oratori non vengono
a snocciolare i loro discorsi, come sempre?
Oggi arrivano i fascisti:
sdegnano la retorica e le arringhe.
Perché d’un tratto questo smarrimento
ansioso? (I volti come si son fatti gravi)
Perché rapidamente le strade e piazze
si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?
S’è fatta notte, e i fascisti non sono più venuti.
Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di fascisti non ce ne sono più.
E adesso, senza fascisti, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente.
Niente, può bastare così.
Si ringrazia il signor Kostantinos Kavafis per la cortese collaborazione.
ANZI NO, c’è una notizia dell’ultim’ora:
barbara
Che è una cosa che non fa mai male.
PERCHÉ I SOLDATI UCRAINI SI FANNO MASSACRARE DA ZELENSKY CHE A SUA VOLTA PRENDE ORDINI DA WASHINGTON E LONDRA?
Chi mi legge abitualmente s’informa tramite i media indipendenti nel web e quindi presumo sia al corrente dell’offensiva che Zelensky ha lanciato a fine agosto contro l’oblast di Cherson nel sud dell’Ucraina.
Ha voluto essere di parola, anche se ha scelto l’ultimo giorno dopo numerosi rinvii, aveva ripetutamente promesso da mesi una controffensiva entro agosto che avrebbe spazzato via i russi dai territori conquistati, almeno quelle erano le intenzioni.
Tutti gli analisti militari e geopolitici seri e indipendenti lo deridevano, pensando a un bluff, invece anche i comici e buffoni, seppur criminali, corrotti e incapaci, possono essere di parola, soprattutto quando la vita la fanno rischiare ad altri.
Appena sono riusciti a raccogliere il maggior numero possibile di mezzi corazzati (soprattutto polacchi) e concentrare circa 40mila soldati nell’area, Zelensky nonostante la netta contrarietà dello Stato Maggiore Militare che poneva scarsa o nulla fiducia nella riuscita del piano, ha ordinato l’offensiva, commettendo il classico errore dello stratega da salotto, addestrato a giocare a Risiko (forse manco a quello).
Anziché concentrare tutte le forze in un solo punto per avere maggior impatto e possibilità di sfondamento, li ha divisi in cinque aree e quindi cinque direzioni di attacco diverse, disperdendo le forze che già non sarebbero state sufficienti per un solo attacco in un unico punto, considerando la potenza di fuoco dell’artiglieria e aviazione russa. Così ha disperso la forza d’attacco su un fronte di poco meno di 200 km. Considerando che di solito ad attaccare sono il 50% delle forze, l’altra metà rimane di riserva nelle retrovie per compensare le perdite o rinforzare i punti deboli, se dividete per cinque 20mila soldati su 200 km, vi renderete conto che l’impatto non poteva che essere lieve per i russi, i quali applicano la stessa tattica da mesi, a ogni offensiva ucraina.
Arretrano e li lasciano avanzare e poi man mano che si trovano sempre più allo scoperto in un territorio pianeggiante, senza riuscire ad arrivare a centri abitati (l’unico modo che hanno per trovare riparo e trincerarsi), i russi iniziano a bombardarli senza tregua arrecando loro gravissime perdite.
E’ la tecnica militare del “tritacarne”, una tattica di logoramento lenta e inesorabile che riduce gradatamente il numero dei soldati e dei mezzi degli ucraini fino a che saranno costretti alla resa o a far intervenire le forze di altri paesi della NATO, che in questo caso non potrebbero invocare l’articolo 5 del Trattato Atlantico, perché non sono loro a essere attaccati ma ad attaccare.
Com’è possibile che Zelensky ripeta sempre gli stessi errori? E soprattutto come mai gli ucraini si prestano a farsi massacrare, anziché fuggire, per non essere arruolati oppure finire in prigione per essersi rifiutati di indossare la divisa? Cercherò di rispondere a entrambe le domande essenziali per capire l’esito e lo sviluppo di questo conflitto.
Zelensky non ha alcuna capacità strategica, gli unici ordini che sa impartire sono quelli di attaccare e resistere senza cedere un metro, combattere fino all’ultimo uomo. Vi ricorda qualcuno? Un certo Hitler, quando ormai era impazzito e drogato fino al midollo (altra analogia con Zelensky) e psichicamente alterato perché l’esito della guerra non corrispondeva alle sue attese e tutti i suoi comandanti lo deludevano e li sostituiva in continuazione.
Zelensky prende decisioni a scopo politico, per influenzare i suoi sponsor angloamericani e UE, che ultimamente lo stanno sostenendo sempre meno.
Ha assolutamente bisogno di una vittoria, seppur minima, per continuare a mungere i suoi finanziatori, ben sapendo che una cospicua parte di questi finanziamenti non finisce al fronte ma nelle tasche dei numerosi oligarchi e comandanti corrotti, a tutti i livelli, che vendono le armi ricevute facendo finta siano andate distrutte dai bombardamenti russi.
E questo in parte spiega anche la seconda domanda, come vedremo meglio in seguito.
Inoltre una cospicua parte di questi lauti finanziamenti sono utilizzati per pagare tutto l’apparato militare, con stipendi che per i canoni ucraini sono piuttosto elevati.
Zelensky compie scelte ciniche e spietate esclusivamente per motivi economici, personali e del suo entourage di sostenitori interni, neonazisti e nazionalisti in primis. Della vita dei suoi soldati non gliene frega nulla, per cui non esita a mandarli a morte certa.
Ora veniamo al perché i soldati si prestano a farsi massacrare.
L’Ucraina è da parecchio tempo in miseria, in particolare dall’inizio del conflitto che dura ormai da sei mesi, il paese vive prevalentemente di un’economia di guerra, gli unici soldi che arrivano e circolano sono quelli che alimentano la guerra. E per convincere la gente a combattere, occorre prima averli ridotti nella miseria, privi di scelte di lavoro, ai limiti della sopravvivenza, dopo di ché gli fornisci degli incentivi convincenti perché si arruolino, oltre all’obbligo, che però funziona poco, perché molti si sottraggono emigrando e nascondendosi o rifugiandosi all’Estero, Russia compresa (ne ospita circa due milioni).
Quelli rimasti in patria che scelta hanno per sopravvivere economicamente se non arruolandosi?
Per comprendere perché sono disposti a rischiare la vita, facciamo un paragone con la situazione italiana, così vi sarà più chiaro.
Un Carabiniere appena assunto in Italia percepisce uno stipendio netto di circa 1200 euro mensili, un maresciallo maggiore anziano poco meno di 2000 euro mensili e un capitano poco più di 2000, gli scatti di grado non sono particolarmente rilevanti in termini salariali, poche centinaia di euro l’anno.
Nell’esercito ucraino in seguito allo stato di guerra gli stipendi sono tutta un’altra cosa, proporzionalmente al potere di acquisto che si ha nel loro paese. Utilizzando l’esempio italiano sarebbe come se un soldato ucraino prendesse in Italia 2800 euro al mese, un maresciallo maggiore anziano circa 10mila, e un capitano 15mila. A queste somme erogate diciamo legittimamente dalle istituzioni governative, aggiungiamo la corruzione diffusa capillarmente, cioè le rendite che provengono dai saccheggi, dalle estorsioni ai civili, dalla vendita di armi, ecc., e ci rendiamo meglio conto di quanto possano accumulare i combattenti, soprattutto sottufficiali e ufficiali, che riescono a sopravvivere (magari ricorrendo a cinismo, furberie e sotterfugi), facendo perlopiù rischiare la vita ai loro sottoposti.
In due o tre mesi di guerra, se sopravvivono, possono accumulare una piccola fortuna che gli consentirà di vivere agiatamente per tutto il resto della loro vita (inflazione permettendo).
Quindi la motivazione primaria è l’avidità e la mancanza di alternative. Ecco perché gli ucraini combattono una guerra per procura, è l’unico lavoro di cui dispongono, l’Occidente li foraggia per questo scopo, combattere e morire al posto degli occidentali.
Ma c’è un problema che si sta facendo sempre più grave, diventa sempre più difficile sopravvivere alla guerra.
Prendiamo l’esempio degli ultimi due giorni, tra fine agosto e inizio settembre.
Zelensky ha appunto ordinato l’attacco in cinque aree diverse, e inoltre ha ordinato l’incursione notturna alla centrale nucleare di Zaporižžja, da parte delle forze speciali ucraine, per cercare di riprenderla prima che arrivasse la delegazione dell’AIEA dell’ONU che doveva ispezionare la centrale, probabilmente per poi utilizzare la delegazione come scudo umano contro i russi, come fanno abitualmente gli ucraini, che di crimini di guerra ne hanno commessi a iosa.
L’incursione è finita malissimo, nonostante pensassero che il piano fosse ottimo, utilizzando imbarcazioni silenziose con motori elettrici e poi delle chiatte che trasportavano il grosso delle forze e dei mezzi da sbarco.
Tutte le imbarcazioni e le chiatte sono state distrutte e affondate dalle forze aeree russe, la maggioranza degli incursori sono morti o fatti prigionieri. Si stima fossero circa 500, il minimo necessario per compiere un’operazione di questa portata, considerando che la centrale nucleare di Zaporižžja è la più grande d’Europa, estendendosi su una superficie gigantesca.
Anche le forze attaccanti nel resto del fronte non hanno subito una sorte migliore. Si stima che le perdite in vite umane subìte dall’esercito ucraino siano di oltre mille al giorno. Molto probabilmente fra qualche giorno saranno costretti a ritirarsi, lasciando sul campo quasi tutti i mezzi corazzati impiegati.
A Zelensky non rimarrà altro da giocare che la carta della commiserazione: “Avete visto con quale coraggio combattono gli ucraini?” “Come si sacrificano per il bene dell’Occidente?” “Meritano di essere sostenuti di più, dovete aumentare le risorse e i finanziamenti!”
Una carta cinica e ignobile ma l’unica che gli rimane, possibilmente prima che i comandi militari si stanchino di lui e lo facciano fuori con un colpo di stato. Magari con il beneplacito degli anglosassoni. Altrimenti non rimarrà che far combattere anche i polacchi e i baltici, i più fanatici russofobi che ci siano in Europa. I polacchi e i baltici saranno fanatici ma non sono stupidi, sono consapevoli che se non ci sono riusciti gli ucraini a sconfiggere i russi, che dopo otto anni di addestramento e armati fino ai denti erano diventati l’esercito più potente d’Europa, come potrebbero riuscirci loro che sono anche inferiori di numero (militarmente) rispetto agli ucraini? Perché mai dovrebbero seguirne la sorte? Solo per fanatismo? No. Per farlo prima dovrebbero essere ridotti alla fame anche loro, e sono sulla buona strada per riuscirci, dopo le ultime demenziali mosse politiche ed economiche che hanno compiuto contro la Russia e contro la Cina, le cui ritorsioni si stanno facendo sentire pesantemente.
I porti baltici ad esempio non lavorano più. Tra non molto anche loro potranno sopravvivere solo tramite l’economia di guerra. Una tale situazione diverrà insostenibile da mantenere per l’Occidente, diventerà peggiore di un “buco nero” per le finanze già travagliate dei paesi occidentali.
Ormai i paesi occidentali hanno oltrepassato il precipizio e come riferisce l’aneddoto “ se guardi a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te …”. E probabilmente stiamo già precipitando nell’abisso, dobbiamo solo toccare il fondo.
CLAUDIO MARTINOTTI DORIA, 11/09/22, qui.
In realtà non è da sei mesi, come detto nell’articolo, che la Russia usa quella tattica, bensì da 320 anni, avendo cominciato esattamente nel 1700 con Carlo XII di Svezia, per proseguire poi con Napoleone e in seguito con Hitler, ma la storia, evidentemente, è maestra di vita solo per chi ha la voglia di studiarla e l’intelligenza di capirla. Mancano soprattutto, la voglia e l’intelligenza, a chi ora sta esultando per i grandi successi della controffensiva ucraina che “sta riconquistando i territori invasi dalla Russia” e magari arriva addirittura a citare “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.” Fenomenale poi Lorenzo Cremonesi – che non a caso è stato per anni uno dei peggiori disinformatori e demonizzatori di Israele – che scrive impavido: “Gli esperti del Pentagono cominciarono a parlare delle difficoltà russe attorno a Kiev già a fine febbraio”. Poi è passato marzo poi è passato aprile poi è passato maggio poi è passato giugno poi è passato luglio poi è passato agosto poi è passato quasi metà settembre…
E quanto la fatidica reconquista ucraina sia una buffonesca messinscena – la miliardesima messinscena da parte del buffone di corte -, c’è chi per fortuna ha provveduto a documentarlo: il nostro Vittorio Rangeloni
e Graham Phillips, quello a cui ha dichiarato guerra la primiera (carte denari e settebello) Liz Truss a causa delle sue documentazioni sulla guerra in Donbass
Nel frattempo in giro per l’Europa
GERMANIA – Centinaia di cittadini tedeschi sono scesi in strada per protestare contro la fornitura di armi all’Ucraina. A Kassel, hanno bloccato l’ingresso della fabbrica di armi Rheinmetall AG. La polizia ha usato manganelli e gas lacrimogeni contro i manifestanti. L’autunno non e’ ancora iniziato ma le proteste contro i governi che stanno conducendo l’Europa al suicidio si fanno gia’ sentire. Dalla Moldavia alla Repubblica Ceca, dalla Germania alla Francia, dall’Inghilterra all’Italia, l’onda del malcontento e della protesta cresce e potrebbe travolgere una classe politica inetta e asservita. Anche se chiamarla “classe politica” e’ improprio, trattandosi in realta’ di imbonitori e propagandisti manovrati da un’elite sovranazionale. @LauraRuHK
Mentre nella democraticissima Ucraina, per la cui democrazia ci stiamo svenando e per giunta annientando il futuro dei nostri figli e nipoti
Una cosa è certa: ci faremo tutti molto molto male, ma qualcuno se ne farà di più. Molto di più. Quando il Terzo Reich è ignominiosamente crollato, parecchi di quelli che con fede religiosa avevano creduto nella sua incrollabilità e nella sua possibilità di vincere, si sono suicidati: non mi dispiacerebbe se un po’ dei nazisti di casa nostra ne seguissero l’esempio (è noto che le situazioni eccezionali tirano fuori da qualcuno il meglio e da qualcuno il peggio: io per oggi ho deciso di lasciar sgorgare il peggio: è una questione di salutare equilibrio psicofisico).
POST SCRIPTUM molto OT, ma lo devo mettere: in almeno una cosa gli inglesi sono di sicuro infinitamente superiori a noi: non applaudono i cadaveri
barbara
È un libro autobiografico, narrato in terza persona, di un giornalista e scrittore svedese trovatosi ad assistere alle Olimpiadi del ’72, che sto leggendo in questo momento; proprio ieri ho letto il capitolo relativo alla vicenda, e ritengo interessante proporlo.
È come dovrebbe essere, fino alla mattina in cui tutto diventa come non avrebbe mai dovuto essere.
Ricorda il momento preciso.
È mattina presto in sala stampa, l’incomparabile Mark Spitz mostrerà al mondo le sue sette medaglie d’oro, ma è in ritardo e il capo ufficio stampa, Klein, annuncia invece nel suo solito modo estremamente corretto e distinto che quella mattina presto, dieser frühe Morgen, è successo qualcosa che ha sconvolto il mondo; anche se utilizza parole diverse: che un gruppo di terroristi, verosimilmente arabi, si è introdotto negli alloggi israeliani, uccidendo un partecipante e prendendo gli altri in ostaggio. Il gruppo in seguito avrà un nome, Settembre Nero, e pretenderà la liberazione di alcuni prigionieri palestinesi.
Poi, dopo una mezz’ora di attesa, viene fatto entrare Mark Spitz, pallido come un morto e con lo sguardo assente. Gli fanno domande a cui risponde a malapena. Poi iniziano le trenta ore di caccia.
Ha sempre sognato di trovarsi al centro quando la storia cambia direzione. Ma al centro, se per caso ci si ritrova davvero, è difficile vedere. In ogni caso vedere nel futuro: che le Olimpiadi di Monaco avrebbero segnato l’inizio di una nuova forma di guerra, basata non su eserciti che si affrontano in campo aperto per annientarsi a vicenda, ma sulla lotta tra eserciti invincibili ma impotenti e terroristi nei loro covi inaccessibili. Questo nessuno era in grado di vederlo.
Ma è quello che è successo. Il centro è un punto sopravvalutato.
Diciassette anni dopo si troverà a Praga nel novembre del 1989, nella notte in cui cade il muro e centinaia di migliaia di persone affollano piazza Venceslao, ma non capisce niente, si trova così vicino al centro che la folla oscura la storia, e vorrebbe più che altro dormire. Anche adesso non capisce niente, può solo provare dolore. Era tutto così divertente. Scriveva così bene. Si muoveva così facilmente, senza la minima stanchezza; aveva sognato di assistere a quei giochi sportivi per tutta la vita, di guardare e scrivere. Adesso solo dolore.
Si rende conto che quello che era il tema principale de Il secondo, il ruolo della politica nello sport, sarà spietatamente confermato.
Se c’era qualcuno che avrebbe dovuto saperlo, era lui.
A Monaco si costruisce un palcoscenico fantastico. Il mondo intero ammira quello spettacolo, sono tutti lì. La scena è illuminata, le telecamere puntate, la stampa mondiale si dispone sugli spalti. Si annunciano dei giochi che parleranno solo di sport. Per due settimane la realtà se ne starà fuori.
Ci si sbagliava. Quel teatro e quel palcoscenico sono troppo ben illuminati, quell’attenzione troppo intensa e allettante. Dato che tutto il mondo guarda quel palcoscenico, sono in molti a volerci salire, attori freddi come il ghiaccio con scopi ben diversi dallo sport. E infatti arrivano. Saltano sul palco e mettono in scena un gioco che parla del mondo fuori. Uomini mascherati di nero saltano su, inscenano un dramma chiamato il Conflitto palestinese.
A posteriori, era così facile da capire. La politica avrebbe fatto un solo boccone di quello spettacolo sportivo, e il gioco sarebbe finito. Cosa aveva detto la signora Meckel? Non aveva forse pregato il Salvatore Gesù Cristo di risparmiarlo dal veleno della politica?
Si domanda cosa starà pensando adesso.
La sala stampa dei giochi di Monaco, che veniva chiamata la Fossa, diventa il centro del mondo.
Per chi scriveva, la Fossa era il cuore stesso dei giochi: un’enorme buca imbottita al centro dell’edificio, piena di poltrone in pelle e tavolini bassi, con centinaia di monitor che in ogni istante trasmettevano lo spettacolo molteplice delle varie arene. Ci si poteva nascondere lì dentro, senza mai mettere piede negli stadi, ma quella frühe Morgen all’improvviso la Fossa sembrava logora, quasi sudicia. Normalmente non era popolata solo da quelli che scrivevano, ma anche dalle hostess incredibilmente belle e vestite di azzurro, il cui compito era assistere, guidare, sorridere e rispondere alle domande; si diceva che fossero cinquemila. Aveva notato che all’inizio dei giochi apparivano non solo belle e gentili ma anche quasi asetticamente irraggiungibili, plastificate, quasi divine.
Poi in un certo senso persero la loro freschezza.
Quelle con cui parla il giorno dell’inaugurazione, due settimane dopo non sono più le stesse: hanno qualcosa di rassegnato. Le Campanule, come venivano chiamate, verso la fine sono molto stanche, quasi implorano un po’ di contatto. Non sono più distanti, ma esauste; all’inizio consapevoli della loro incredibile bellezza, a mano a mano che passano i giorni e le settimane sembrano stancarsi dei giochi olimpici e della troppa birra, ne hanno abbastanza della Fossa e dei monitor, ingrassano quasi impercettibilmente, vogliono attaccare discorso su qualunque argomento tranne lo sport, qualsiasi cosa, e alla fine, fumando disperate in cerca di contatto per rompere la noia, non vedono l’ora che i giochi finiscano, per liberarsi dalla prigione dei media e riprendere i loro ruoli naturali in tutta libertà.
Qualunque questi siano. Supplente a Enköping, o regina di Svezia.
C’è qualcosa nell’appassire delle Campanule che lo tormenta in modo confuso. È forse al romanzo di Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, che pensa, il romanzo sul ritratto che invecchia, mentre il modello umano resta per sempre giovane?
Sta osservando il suo stesso ritratto?
E poi le Olimpiadi di Monaco del 1972 esplodono.
Le settimane prima dell’esplosione sono meravigliose. Scriverà un reportage sulle Olimpiadi, ma si rende conto di avere le sue debolezze.
È un osservatore timido. Alto e silenzioso, passeggia e osserva. È quello il suo metodo.
Un pino ambulante.
Nelle ore successive all’annuncio del rapimento, va a cercare alcuni amici della delegazione svedese al villaggio olimpico. È ancora possibile muoversi quasi liberamente. Per il momento niente sbarramenti attorno al villaggio e agli ostaggi, sempre che si riesca a sbarrare un posto del genere. Il villaggio è un formicaio, con innumerevoli corridoi e passaggi sotterranei, non sorvegliati. Quei giochi dovevano essere caratterizzati dalla gioia, die Heiterkeit, non dalla disciplina tedesca e dai controlli militari. Le Olimpiadi di Monaco avrebbero dovuto lavare via la germanicità dalla storia.
I dodici anni sotto Hitler sarebbero stati cancellati.
Se ne è reso conto e gli ha fatto piacere, fino al momento in cui, come tutti gli altri amanti dell’homo ludens, sarà colpito dalle conseguenze sotto forma di morte violenta. Tutte le regole di sicurezza erano state adattate a quell’ideologia della gioia, era possibile muoversi liberamente, quasi senza ostacoli, cosa di cui si erano accorti anche i terroristi, che perciò erano riusciti a entrare senza difficoltà negli alloggi israeliani.
Era quello dunque il centro della storia?
Gli danno una dritta su come arrivare agli alloggi israeliani, attraverso un corridoio sotterraneo. Scende dunque sottoterra come un Dante accreditato, per raggiungere il seminterrato degli alloggi israeliani, che funge anche da parcheggio per gli atleti canadesi.
Ha in mente di liberarli? No, vuole solo arrivare fino a lì e avere conferma della correttezza del suo metodo di lavoro, l’innocenza osservatrice.
Quando scrive di sport, non sa bene qual è il suo ruolo. È quello dell’Investigatore, come quando lavorava ai Legionari, o quello del bambino che al riparo della siepe di rosa canina sentiva i rumori delle partite dei Komet?
Quattordici anni dopo, nel 1986, si troverà in Messico per i Mondiali di calcio; ricopre ancora il ruolo di pino ambulante, molto alto ma silenzioso, a parte il fatto che durante le sue goffe passeggiate vede cose che nessun altro nota.
Ai mondiali del Messico ’86, tutto è accuratamente sorvegliato da migliaia di soldati. Nessuna traccia di Heiterkeit. Ci si aspetta che assista alla partita tra Uruguay e Germania dalla tribuna stampa. Arrivato davanti allo stadio, tra file e file di militari pesantemente armati che devono impedire qualsiasi dimostrazione, vede una troupe televisiva tedesca che, trascinando cavi e telecamere, viene fatta passare tra le truppe in tenuta antisommossa. Un lungo cavo penzola a terra: armato di buona volontà, lo solleva e in quel modo segue la zdf nei meandri della cittadella ben sorvegliata, reggendo passivamente l’estremità di un cavo.
La troupe si piazza dietro una delle porte, a pochi metri dalla linea di fondo. Si siede sull’erba e osserva pensosamente il primo tempo e il lavoro del portiere uruguayano. Una volta dopo l’altra, i bufali tedeschi si lanciano su di lui a folle velocità, facendo rintronare il terreno; dato che ricorda i suoi contributi da portiere nel Bureå if, e la sua codardia quando arrivavano i bufali, prova una profonda empatia. Da quella prospettiva, che non è quella della tribuna alta, la stessa dello spettatore televisivo, la logica del gioco si trasforma. La profondità di visione si riduce, le superfici libere si nascondono e spariscono. Ammira i giocatori che nonostante la prospettiva orizzontale riescono a vedere le superfici, ad agire secondo la prospettiva rialzata della tribuna. Ma lì, da quel punto a poche decine di centimetri dall’erba, ogni idea della “scacchiera del campo” scompare. Proverà poi, per verificare le sue osservazioni, a giocare una partita a scacchi con la scacchiera all’altezza degli occhi: perde rapidamente, e reputa confermate le osservazioni.
Durante l’intervallo si alza con calma e passeggia a bordo campo. È bello potersi sgranchire le gambe. Una volta all’interno di quel muro di Berlino messicano, la sorveglianza è praticamente nulla. A metà della linea laterale, sente un bisognino improvviso e si infila nella discesa da cui sono spariti i giocatori, in cerca di un bagno.
I corridoi sono quasi deserti.
Prosegue verso sinistra per una trentina di metri, niente guardie in giro, c’è una porta aperta, si dirige in quella direzione ed entra. È lo spogliatoio della squadra tedesca, tutti i giocatori sono seduti sulle panche in un silenzio assoluto. Al centro c’è Franz Beckenbauer, l’allenatore, elegante e rilassato; volta la testa verso di lui, non commenta, ma la sua espressione è interrogativa, o forse cortesemente critica nei confronti dell’intruso. Lui dice brevemente, e senza scomporsi, Entschuldigung!, scusate!, poi ripercorre il corridoio deserto e chiede come arrivare alla tribuna stampa, da dove assiste al secondo tempo.
Che conclusioni trae l’Investigatore da tutto ciò? Quasi nessuna, se non la riconquista del ricordo del suo lavoro di portiere, rischioso e poco fruttuoso, nel Bureå if.
Attraverso innumerevoli telecamere, il mondo guarda col fiato sospeso un balcone del villaggio olimpico da cui di tanto in tanto si affaccia un terrorista mascherato; ma lui percorre i corridoi sotterranei nella direzione che gli è stata suggerita, verso il garage dei canadesi, sotto gli alloggi israeliani.
A un certo punto chiede a un poliziotto Potrebbe indicarmi i bagni degli alloggi canadesi, ma per tutta risposta ottiene solo un perplesso e preoccupato cenno negativo della testa. Che apparentemente si lascia dietro un vago senso di colpa per non aver mostrato la gentilezza e la disponibilità prescritte dal principio di Heiterkeit di quei giochi olimpici.
Si rende conto che le colombe non hanno ancora avuto il tempo di riflettere, anche se i falchi sono già arrivati con possenti colpi d’ala e ora stringono gli ostaggi tra gli artigli.
Il sotterraneo è scarsamente illuminato, il garage semivuoto. Più avanza, più si rende conto che è lì che si sta preparando la liberazione; poliziotti che corrono, ombre indistinte, civili armati, soldati che arrivano di corsa. Dato che tanti poliziotti sono in borghese per non attirare l’attenzione, non attira l’attenzione nemmeno lui.
Alla fine si ritrova nel seminterrato situato esattamente sotto gli alloggi israeliani. Non ha bisogno di chiedere. È lì. Si sta preparando la liberazione. Un gruppo di poliziotti e artificieri indica verso l’alto, parlottando a bassa voce. Al soffitto è fissata una massa simile a stucco metallico, probabilmente esplosivo al plastico, sostenuta da alcuni puntelli. Capisce subito cosa stanno progettando. Hanno intenzione di far saltare il pavimento degli alloggi israeliani.
Stanno discutendo sullo spessore della soletta. Qualcuno ha i progetti dell’edificio.
Si ferma vicino a loro, dopo un attimo chiede se hanno intenzione di coordinare l’esplosione con un attacco dall’esterno. Ritiene che dopo tutto sia una domanda importante. Lo guardano e gli chiedono chi è.
Mostra educatamente il cartellino di accredito che ha nascosto sotto la camicia. Lo buttano immediatamente fuori, con gentilezza.
Che conclusioni ne trae?
Parecchie.
Tra le altre cose, che il bel sogno tedesco dell’Heiterkeit viene annientato. Si era sognato di cancellare in modo aperto e giocoso tredici anni di Storia.
E in effetti la storia cambiò direzione, ma non nel modo sognato.
Dodici ore più tardi era sullo spiazzo davanti agli alloggi israeliani, a faccia in su, come tutti gli altri, a guardare l’elicottero che prendeva il volo.
Era carico di morte, ma non lo sapeva ancora nessuno.
Da quel giorno non può vedere un elicottero di quel tipo senza pensare a Monaco ’72. I terroristi e gli ostaggi, come richiesto, sarebbero stati portati in elicottero fino a un aeroporto, per poi partire in aereo per il Cairo, dove sarebbero proseguite le trattative.
Nel frattempo, lo sanno tutti, non si poteva svolgere nessuna gara.
Una certezza improvvisa: o si liberano subito gli ostaggi, o i giochi di Monaco dovranno essere interrotti.
La logica del gioco pretende una liberazione immediata. A ogni costo.
Quella notte avrebbero scritto. Lången Olsson e Janne Mosander e Stig Bodin e Lennart Ericsson e lui, lavorarono in silenzio, con una strana calma, in modo molto tranquillo ed efficace. Quella notte consegnarono diciassette pagine, e a Stoccolma qualcun altro avrebbe proseguito il lavoro impaginando e formattando. Non aveva mai lavorato in quel modo per il giornale, aveva solo scritto degli articoli per la pagina della cultura.
Avrebbe ricordato quella notte per la calma, e per il piacere di lavorare insieme.
Erano come una squadra. Poteva essere anche così.
Quella notte la Fossa non si svuotò mai.
Verso il mattino – quando normalmente c’erano solo una ventina dei più resistenti e ubriachi, accasciati al bar o addormentati sulle poltrone – l’affollamento non fece che aumentare. L’elicottero era atterrato da qualche parte, non a Riem, forse a Fürstenfeldbruck, sì, era lì, un aeroporto militare. Venivano montate continuamente nuove telecamere, e man mano che passavano le ore invece della solita atmosfera alcolica si percepiva un clima più teso e aggressivo.
Fu annunciata una conferenza stampa per le quattro del mattino, ma lui seppe la verità già mezz’ora prima, da un giornalista israeliano che aveva conosciuto da studente all’università di Gerusalemme. Erano in mezzo alla sala stampa, e il giornalista israeliano gli disse con una calma e una precisione innaturali, Sì, li hanno uccisi tutti, lui chiese senza capire Tutti chi? e la risposta arrivò con la stessa gelida calma glaciale Hanno ucciso tutti gli israeliani, è vero, tutti, e poi lui confuso Chi, chi ha sparato? e la risposta, con un’ironia trattenuta appena percettibile, Tutti gli ostaggi sono morti, hanno sparato a tutti, nessuno sa chi è stato, probabilmente i tedeschi o gli arabi, e poi È vero? e con la stessa voce estremamente controllata Hell yes they are all dead it’s true.
A un’estremità della Fossa si accesero i riflettori. Era il momento di spiegare che il tentativo di liberazione era fallito. Che tutti gli atleti israeliani erano stati uccisi, oltre a cinque arabi e un poliziotto. Che in tutto quindici cadaveri restavano sul terreno dopo il massacro a Fürstenfeldbruck, l’aeroporto che fino a quel momento nessuno aveva mai sentito nominare. Tutti morti. Hell yes they are all dead it’s true. Quella notte cinque tiratori scelti tedeschi mal equipaggiati avevano cercato, al buio e da grande distanza, di abbattere i sequestratori che tenevano in ostaggio gli israeliani, e avevano fallito. Erano esplose delle granate, l’elicottero aveva preso fuoco. Nessuno in seguito sarebbe stato in grado di dire chi aveva ucciso chi.
Ma la caccia era finita.
Fu una notte senza stanchezza, ma dopo la conferenza stampa – Alle sind tot! – era sopravvenuto lo sbandamento. La Fossa non si era svuotata e quelli che erano rimasti si erano messi a bere. Si erano sparpagliati sui divani e sulle sedie e sul pavimento in quella sala gigantesca ormai puzzolente e invasa dal fumo delle sigarette, in quella mattinata grigia e chiara in cui regnava una confusione sorda e un senso di sporcizia indescrivibile. Sembrava quasi che un rigurgito di vino acido, di posacenere rovesciati e di vetri rotti si fosse riversato sulla Fossa, avvolgendo tutto in un’indescrivibile atmosfera di sconfitta e di rovina catastrofica. Molti dormivano sdraiati su tavoli e poltrone, con la bocca spalancata e il colletto sbottonato, con i tesserini di accredito, un tempo preziosi, amati e ben custoditi che gli pendevano dal collo, smaltendo col sonno l’abbattimento e la sbornia.
Si sedette in mezzo a loro.
I testi erano stati consegnati. La notte era finita e comunque fossero andate le cose, anche quei giochi olimpici di Monaco ’72 erano finiti. Poi probabilmente sarebbero iniziate le esequie, le Trauerfeier, che avrebbero scritto la parola fine sulle ventesime Olimpiadi dell’epoca moderna, e lui avrebbe assistito anche a quelle.
Trauerfeier, che strana parola. Festeggiare il lutto.
A cosa aveva assistito? Forse a una svolta della storia, non solo la vittoria del terrorismo sullo spirito ludico come sogno, ma anche un esempio concreto del passaggio della guerra moderna da lotta tra eserciti a terrore contro i civili, dalle analisi del grande stratega militare Clausewitz sull’efficacia dei grandi movimenti di truppe all’intifada, all’undici settembre, all’Iraq e alle perquisizioni delle cucine di periferia per identificare il nemico. Se doveva andare così, e in seguito ne sarebbe stato ancora più convinto, le Trauerfeier erano sicuramente giustificate, per rimarcare che la storia aveva ruotato attorno al suo perno.
Mi sembra che di spunti interessanti ce ne siano diversi; in particolare quello che nessuno, credo, ha mai osato dire ad alta voce e che l’autore apprende dall’amico israeliano: nessuno sa per quale mano siano morti gli ostaggi israeliani.
Per Olov Enquist, Un’altra vita, Iperborea (pp.207-217)
barbara