QUEL MALSANO VIZIO DI CAMBIARE NOME ALLE COSE

E l’ondata di calore dopo “Apocalisse”, come la chiamiamo?

Anche sul clima nessuno chiama più le cose con il loro nome: l’Onu parla di «suicidio collettivo», la religione ambientalista insiste nella sua caccia alle streghe (alla faccia della scienza)

Nello scorso fine settimana sono scoppiati incendi in diversi paesi dell’Europa e in Nord America. Il caldo estremo ha battuto record di temperature elevate in molte zone del mondo negli ultimi mesi, e ondate di caldo hanno colpito l’India e l’Asia meridionale, la siccità parti dell’Africa ed entrambi i poli nei mesi scorsi hanno registrato temperature ben oltre la media. Si può stare di fronte a questi dati di realtà in diversi modi, eppure l’unico accettato è quello catastrofista, che ha una caratteristica ben chiara: non chiama le cose con il loro nome.

Le ondate di calore e il «suicidio collettivo» del mondo

Parlando ieri a Berlino ai ministri di 40 nazioni riuniti a discutere di cambiamenti climatici, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha detto che gli incendi e le ondate di calore di questi giorni dimostrano che l’umanità è di fronte a un «suicidio collettivo». «Metà dell’umanità si trova in zone di pericolo, a causa di inondazioni, siccità, tempeste estreme e incendi. Nessuna nazione è immune. Eppure continuiamo ad alimentare la nostra dipendenza dai combustibili fossili».

Secondo gli esperti nel sud della Francia in questi giorni è in corso una «apocalisse di caldo», e Apocalisse 4800 è il nome dato dai media all’anticiclone africano in arrivo nei prossimi giorni in Italia. La riunione dei ministri in Germania è stata come sempre “l’ultima occasione” (ovviamente sprecata) per trovare un accordo in vista della prossima Cop (anche quella ultima e decisiva occasione, come le ventisei precedenti). Nella narrazione giornalistica di questi giorni l’Europa è «un continente in fiamme», i cambiamenti climatici stanno portando «devastazione» e le ondate di caldo sono ormai un «inferno».

Apocalisse ed emissioni

Suicidio, devastazione, apocalisse, inferno: l’uso e l’abuso di parole sempre più estreme non dice la verità della cosa che raccontano. A Guterres che prevede morti e distruzione per l’aumento delle temperature globali andrebbe risposto con le previsioni degli esperti dell’IPCC, il panel intergorvernativo che studia il clima e fa parte proprio dell’Onu: persino loro scrivono che anche nel caso in cui si verificasse lo scenario peggiore, quello con l’aumento più alto delle temperature, il benessere medio globale della popolazione mondiale continuerà a crescere. Nonostante gli allarmi sull’aumento delle conseguenze distruttive dell’emergenza climatica, il numero di persone che muoiono in disastri legati al clima è crollato in modo clamoroso negli ultimi cento anni.

Eppure le parole d’ordine sono “apocalisse”, “inferno”, e “colpevole”. La religione ambientalista è entrata in piena fase millenarista, le nuove streghe (da non bruciare però, produrrebbero troppe emissioni) sono i ricchi, i consumatori di combustibili fossili, i guidatori di automobili. Come gli abitanti di Sodoma e Gomorra abbiamo attirato su noi stessi per i nostri comportamenti peccaminosi la punizione divina: basta ricordare i vari «La natura si ribella» sentiti e letti dopo la tragedia della Marmolada, cinicamente sfruttata da troppi commentatori per dire l’ennesimo «io l’avevo detto», e spiegare che se limitiamo le emissioni nessuno morirà più in montagna. Il fatto è che, lo scriveva Brendan O’Neill sullo Spectator, «l’ambientalismo ha riabilitato in forma pseudoscientifica l’antica tentazione di cercare la strega o il peccatore responsabile delle disgrazie della società». Ma soprattutto, dopo “Apocalisse”, come la chiamiamo la prossima ondata di calore?
Piero Vietti, 19/07/22, qui.

La mia impressione è che un sacco di gente, avendo una vita di merda, senta il bisogno di fabbricarsi emozioni forti inventandosi di stare vivendo sull’orlo dell’abisso, sentendosi magari come Mosè che si adopera e si danna per portare in salvo il recalcitrante popolo dalla dura cervice.
E sempre in tema di cambiare nome alle cose:

Il politically correct nuoce «irreparabilmente» a donne e bambini

Ricci Sargentini alla premiazione a Caorle: «Dall’elogio della prostituzione a scuola all’utero in affitto, è un crescendo di follia che sarebbe comica se non fosse tragicamente dannosa»

Pubblichiamo il discorso pronunciato da Monica Ricci Sargentini, giornalista del Corriere della Sera, domenica 17 luglio 2022 nella Sala Rappresentanza del Comune di Caorle durante la cerimonia di consegna del Premio Luigi Amicone, al termine della festa di Tempi dedicata al coraggio di “Chiamare le cose con il loro nome”.

La settimana scorsa sul Times ho letto che la commissaria inglese per i bambini Rachel de Souza ha aperto un’indagine su come viene insegnata l’educazione sessuale a scuola (è obbligatoria dal 2020) dopo una serie di denunce piuttosto sconvolgenti. In alcune scuole, ci racconta il Times, viene insegnato ai bambini che la prostituzione, o meglio il “sex work”, è un lavoro molto appagante e addirittura viene promosso il sesso cosiddetto kink, in cui ci si diverte a farsi chiudere in gabbie, farsi picchiare e schiaffeggiare. In alcune classi delle elementari si promuove l’uso di pronomi neutri al posto di “lei” o “lui” in modo da non urtare i bambini che potrebbero sentirsi non binari.
Sempre in Gran Bretagna, a Telford, nella contea dello Shropshire, un’inchiesta indipendente ha rivelato come per trent’anni sia andato avanti un giro di prostituzione minorile nella comunità asiatica e come la polizia ne fosse a conoscenza ma abbia evitato di agire per paura di essere giudicata razzista e poco politically correct. Almeno mille le bambine e ragazzine abusate.
Come saprete, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d’America sono la patria delle cose che non vengono chiamate con il loro nome. Le donne diventano “persone con capacità gestazionali”, le madri surrogate vengono chiamate “portatrici” e così via in un crescendo di follia che sarebbe anche comica se non fosse tragicamente dannosa per le donne.
Per fortuna ci sono forti segnali di marcia indietro, come il recente annuncio di una revisione di tutti i casi di transizione di genere della Tavistock Clinic di Londra. E uno dei candidati a sostituire Boris Johnson, Rishi Sunak, ha detto a chiare lettere che se diventerà premier si adopererà per cancellare il linguaggio neutrale perché «dobbiamo poter chiamare una madre una madre e poter parlare di allattamento al seno». Della stessa opinione altre due candidate, Suella Braverman e Kemi Badenoch.
Ma non crediate che il resto del mondo sia immune dal contagio. In Spagna è al vaglio del Parlamento la Ley Trans che consentirebbe ai maggiori di 16 anni di cambiare sesso all’anagrafe con una semplice autodichiarazione, in Germania il governo Scholz ha proposto un provvedimento simile, in Italia ci si è provato con il ddl Zan che è stato ripresentato ma difficilmente potrà passare. In compenso nei licei assistiamo a un fiorire di “carriere alias”, a studenti invitati a fare coming out nelle assemblee plenarie, a un sindaco, quello di Milano, Beppe Sala, che scavalca le leggi dello Stato e propone di registrare all’anagrafe i figli di due padri e di due madri.
Nel nostro paese un gruppo di madri e padri alle prese con i figli affetti da disforia di genere lotta perché essi non vengano sottoposti a un trattamento dagli esiti incerti e soprattutto irreversibili, le trovate sui social: si chiamano “Genitori Degeneri”. Hanno subìto duri attacchi e sono state costrette a chiudere l’account per qualche tempo.
Non parliamo di fenomeni marginali: il numero dei bambini sottoposti a trattamenti di genere nel Regno Unito è aumentato del 1.000 per cento tra i maschi e del 4.400 per cento tra le femmine in soli dieci anni. Negli Stati Uniti nel 2007 c’era una sola clinica dedicata, a Boston, oggi sono oltre mille, di cui 300 pediatriche, il numero di giovani e giovanissimi che si identificano come transgender è raddoppiato.
In Italia purtroppo non abbiamo dati su quanti minori siano sottoposti al percorso di transizione. Da giornalista dico che bisognerebbe ottenerli quei dati per evitare che anche qui scoppino scandali come quello che ha travolto il Karolinska Institutet in Svezia, che ha ammesso di aver danneggiato «irreparabilmente» la salute dei bambini, o quello della Tavistock & Portman di Londra denunciato dagli stessi medici.
Intanto cominciare a chiamare le cose con il loro nome è già un buon punto di partenza.
Monica Ricci Sargentini, 19/07/22, qui.

Questa gente va fermata, con qualunque mezzo, esattamente come qualunque mezzo è stato – giustamente – considerato lecito per fermare Hitler.

barbara