IL BELLO DELL’ACCOGLIENZA

Nel paese che ha accolto tutti, nessuno è al sicuro

La Svezia ha il record di morti da pistola (uno a settimana). Anche la premier di sinistra dice: “Non vogliamo diventare la Somalia”. In soli 15 anni gli immigrati sono passati dal 20 al 30 per cento

“Gli svedesi sono diventati fin troppo familiari con la violenza armata. Ma la sparatoria che ha ferito una madre e il suo bambino in un parco giochi la scorsa settimana ha fornito uno scenario ancora più scioccante e violento alle elezioni parlamentari dell’11 settembre”. Così racconta il Financial Times. Anche il giornale dell’establishment finanziario europeo si è accorto che qualcosa è andato storto nel paese-faro dei buoni costumi e sentimenti.
“Sta peggiorando sempre di più in termini di crimini violenti, preoccupa la gente”, dice Torsten Elofsson, l’ex capo della polizia di Malmö candidato con la Democrazia Cristiana di centrodestra. “Un tempo c’erano solo Stoccolma, Göteborg e Malmö. Ora lo vedi nelle piccole città. Si sta avvicinando sempre di più a dove vive la maggior parte delle persone”. Gli svedesi che desiderano che le loro famiglie siano al sicuro stanno esaurendo i posti in cui nascondersi e trasferirsi, a meno che non decidano di lasciarsi la Svezia alle spalle, come alcuni fanno già. Ne hanno abbastanza di vivere in un paese che ha registrato 342 sparatorie in un anno: quasi una al giorno.
Nell’ultimo decennio, la Svezia è passata da uno dei tassi pro capite di sparatorie mortali più bassi in Europa al più alto, secondo i dati del “Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità”. Quest’anno la Svezia è sulla buona strada per superare un record di sparatorie mortali con un totale di 44 morti entro metà agosto, non lontano dal picco di 47 nel 2020.
Nicholas Aylott, professore alla Södertörn University, dice di aver letto di recente di un 17enne ucciso a colpi di arma da fuoco a Stoccolma, per poi scoprire che la vittima era un amico di suo figlio. “È incredibile, ma in un certo senso inevitabile. Smette di essere qualcosa di cui leggi sui giornali ed è qualcosa che sperimenti. Non potresti avere un simbolo più chiaro di come è cambiata la Svezia”.
Nel paese che ha accolto tutti indiscriminatamente, dal Pakistan come dalla Siria, dalla Nigeria come dalla Somalia, nessuno si sente più al sicuro.
Un parco giochi a Eskilstuna, una città di 100.000 persone, è diventato il centro dell’attenzione dopo che la sparatoria ha scioccato la nazione. La madre e il suo bambino di cinque anni, feriti gravemente, sono rimasti coinvolti nello scontro a fuoco tra bande. Il padre del bambino ha detto al quotidiano Dagens Nyheter: “Come possiamo vivere in un posto dove i bambini rischiano di essere uccisi in un parco giochi? Non c’è più sicurezza”.
“Questo è un attacco a tutta la società e quindi tutta la società deve difendersi”, ha detto il primo ministro di centrosinistra Magdalena Andersson durante una visita a Eskilstuna questa settimana. “Paramedici e vigili del fuoco non sono gli unici a dover prendere precauzioni prima di entrare in queste ‘aree vulnerabili’” scrive Paulina Neuding sullo Spectator. “Il sobborgo di Tensta a Stoccolma ha avuto un parcheggio gratuito per mesi, dopo che l’area è stata considerata troppo pericolosa per l’ingresso dei vigili urbani. Il servizio postale per periodi di tempo non ha consegnato pacchi a un quartiere nel centro di Malmö. Diverse biblioteche pubbliche hanno dovuto ridurre i propri orari di apertura o addirittura chiudere temporaneamente in risposta alle molestie da parte di bande di giovani. In un quartiere a Göteborg, bambini dell’asilo e della scuola materna sono scesi in piazza con i loro insegnanti per protestare contro la violenza delle bande dopo una dozzina di sparatorie nella zona in pochi mesi, di cui una nel cortile della scuola materna. ‘Quando i bambini vengono all’asilo, i genitori ci pregano di tenerli dentro’”.
La città di Malmö (la terza della Svezia) ospita uno dei sobborghi più famosi del paese, Rosengård. “Per molti anni siamo stati messi a tacere e il problema non è stato preso sul serio dai politici o dai media”, dice Torsten Elofsson, aggiungendo che “c’erano segni crescenti di società parallele e versioni locali della sharia”. A Linköping in una bicicletta sono stati nascosti 15 chili di esplosivo che hanno provocato danni a un intero isolato, ferendo 25 persone. Il criminologo Amir Rostami, citato dalla BBC, ha paragonato la situazione svedese a quella messicana.
Al centro commerciale Emporia, non lontano dal ponte che collega Malmö e Copenaghen e che fu molto usato dai migranti per entrare nel paese nel 2015, una donna dice al Financial Times di “non essere mai stata a Rosengård e spero di non farlo mai”. Due giorni dopo, un uomo è stato ucciso a colpi di arma da fuoco nello stesso centro commerciale. A Landskrona, altra città della Svezia meridionale – 35.0000 abitanti – dal dicembre 2018 ci sono state sette esplosioni o attentati dinamitardi. Hanno fatto saltare in aria anche l’ingresso del municipio. A Uppsala, la pittoresca città universitaria, l’80 per cento delle ragazze non si sente al sicuro nel centro urbano. E i funzionari di Uppsala cosa hanno detto alla stampa? “Incoraggiamo le ragazze che non si sentono al sicuro a pensare ciò che devono fare per sentirsi al sicuro, come non camminare da sole per strada, assicurarsi che qualcuno vada a prenderle e qualsiasi altra cosa che possa ridurre il loro senso di insicurezza”. Secondo il Rapporto sulla sicurezza nazionale, pubblicato dal Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità, quattro donne su dieci hanno paura di camminare liberamente per strada. “Quasi un quarto della popolazione sceglie di prendere una strada diversa o un altro mezzo di trasporto a causa dell’ansia all’idea di essere vittima di un crimine”.
Libération, Camila Salazar Atías, che lavora presso Fryshuset, un’organizzazione che si occupa di prevenzione, osserva l’escalation della violenza all’interno delle città: “Prima si sparava a una gamba, come avvertimento, ora sparano per uccidere”. Solo il 25 per cento degli omicidi sfocia in una condanna e il 75 per cento dei casi sono irrisolti, così che “il rischio di essere scoperti è molto basso, il che porta a correre maggiori rischi, come sparare in pieno giorno e in luoghi affollati”. Come quello che è successo a Malmö la scorsa settimana.
Citando i dati ufficiali del Consiglio svedese per la prevenzione della criminalità, il quotidiano tedesco Bild titola che “la Svezia è il paese più pericoloso d’Europa“. Il giornale più letto e venduto in Germania ha analizzato uno studio relativo alla violenza armata con i dati che mostrano quanto sia diventata pericolosa la Svezia. “Nell’UE, una media di 8 persone per milione sono vittime di violenze mortali. In Svezia, il numero è di 12 persone per milione di abitanti. Quando si tratta di vittime di armi da fuoco, la differenza tra Europa e Svezia è ancora maggiore. Nell’UE, una media di 1,6 persone per milione muoiono per ferite da arma da fuoco e in Svezia la cifra è quattro volte di più”. Le morti da arma da fuoco sono triplicate dal 2012 al 2020. La criminologa Manne Gerell dell’Università di Malmö ha fornito al quotidiano Aftenposten un elenco di possibili cause per cui uno dei paesi più sicuri d’Europa sia diventato il più pericoloso: l’aumento del numero di bande criminali, la fallita integrazione degli immigrati e i progetti abitativi multiculturali degli anni ’60 e ’70. In pratica è la messa in discussione di 50 anni di politica migratoria.  Il commissario di polizia di Göteborg, Erik Norde, ha collegato la violenza in Svezia all’immigrazione di massa. “Oggi non è più un segreto che gran parte del problema della criminalità tra bande e reti con le sparatorie e le esplosioni sia legato all’immigrazione in Svezia negli ultimi decenni”, ha scritto Norde in un editoriale per Goteborgs Posten. “Quando, come me, hai l’opportunità di vedere casi a livello individuale, vedi che praticamente tutti coloro che sparano o vengono uccisi nei conflitti tra bande provengono dai Balcani, dal Medio Oriente, dall’Africa settentrionale o orientale”. 
Anche Le Monde, il giornale della sinistra francese, questa settimana racconta il “flagello svedese”: “Nessun altro paese europeo ha visto un tale aumento del numero di vittime di sparatorie negli ultimi dieci anni, con quattro morti per milione di abitanti in Svezia, rispetto a una media di 1,6 nel resto d’Europa. Manne Gerell, professore nel dipartimento di criminologia dell’Università di Malmö, dice che ci sono molte ragioni per questo fenomeno. ‘L’integrazione sociale che non ha funzionato in un contesto di molta immigrazione. Non c’è stata disponibilità a riconoscere che c’era un problema ed è solo diventato più forte con il tempo. La situazione è peggiorata così tanto che è difficile tornare indietro’”. A Le Monde il 60enne parlamentare di destra Jörgen Grubb dice: “Sono cresciuto a Malmö, dove gli immigrati hanno sostituito gli svedesi. Mia moglie vuole trasferirsi. Non si sente più al sicuro. Qualche anno fa è esplosa un’auto qui accanto. Una giorno abbiamo sentito spari automatici. Gli elicotteri sorvolano il quartiere quasi ogni giorno”.
Come ci si è arrivati? Basta sfogliare il dossier dell’istituto francese Polémia: “La Svezia è un esempio edificante della trasformazione della popolazione di un paese europeo. Secondo i dati dell’Istituto di statistica svedese, la popolazione svedese negli anni ’50 era composta da 7 milioni di abitanti, di cui 197.000 nati all’estero. Poiché la popolazione ha raggiunto i 10 milioni nel 2017, il numero di residenti nati all’estero in Svezia è aumentato di dieci volte a 1,8 milioni. La popolazione straniera da due generazioni è aumentata dal 20 per cento della popolazione totale nel 2002 al 30 per cento nel 2017. Mentre la popolazione autoctona è diminuita nel periodo di 94.000 abitanti, la popolazione straniera è aumentata di 1,1 milioni di abitanti. Frontiere più basse e criteri di ammissione generosi hanno contribuito all’esplosione del numero di richiedenti asilo. Il risultato c’è: la popolazione straniera nelle città con più di 200.000 abitanti raggiunge il 44 per cento. L’Islam è diventata la seconda religione del Paese. In Svezia come altrove, la popolazione non è mai stata consultata sulla trasformazione in atto nel Paese”.
Naturalmente, mentre l’immigrazione in Europa toccava livelli record nel 2015, c’era chi sosteneva che fosse tutto perfettamente normale, giusto, auspicabile. La Svezia fu il paese che accolse più migranti per abitante per un totale di 160.000-180.000, cifra senza precedenti anche per un paese accogliente. Le autorità continuavano a fingere che non ci fosse nulla di strano. Nell’ottobre 2015 il governo organizzò una conferenza sulla politica migratoria intitolata Sverige tillsammans (Svezia insieme) cui parteciparono il re, la regina e la maggior parte dell’establishment politico. I media non si posero domande, suonarono dallo spartito ufficiale come fanno le bande militari (e come al solito fanno i giornalisti mainstream).
Una società demograficamente stagnante e in declino stava accogliendo una quantità impressionante di giovani stranieri. E come ha scritto sul Wall Street Journal Gunnar Heinshon, professore all’Università di Brema e autore del libro Söhne und Weltmacht (I figli e il dominio del mondo), “la percentuale di giovani europei nel mondo, pari al 27 per cento nel 1914, è oggi inferiore (9 per cento) a quella del 1500 (11 per cento). I nuovi abiti del ‘pacifismo’ europeo e del suo ‘soft power’ nascondono la sua nuda debolezza. Nel XVI secolo, la Spagna chiamò i suoi giovani conquistadores Segundones, secondogeniti, coloro che non ereditavano. Oggi ci sono i Segundones islamici”. Secondo uno studio svedese, i membri delle gang sono tutti immigrati di prima o seconda generazione. I Segundones svedesi.
E ora persino la premier socialdemocratica, Magdalena Andersson, dice che “non vogliamo Somalitown nel nostro paese”. Di fronte a questa situazione, la sinistra che governa da 50 anni dovrebbe essere mandata a casa, ma la demografia ci dice che il risultato elettorale dell’11 settembre non è affatto scontato. L’immigrazione di massa ha modificato drasticamente la popolazione svedese. 1,2 milioni di coloro che hanno diritto di voto alle prossime elezioni non sono nati in Svezia e sono 200.000 stranieri in più rispetto alle precedenti elezioni del 2018. Un elettore su quattro di età compresa tra i 18 e i 21 anni è nato all’estero o ha due genitori nati all’estero. Nel centro di Malmö, una persona su due che può votare per la prima volta ha origini straniere.
E l’Italia? Senza contare l’immigrazione legale, nel 2022 supereremo i 100.000 sbarchi. La disintegrazione europea è in atto. Sempre il solito problema dell’identità: una volta che il Cristianesimo che è l’unica collante delle società europee scompare (e la Svezia è oggi il paese più ateo d’Occidente), alle classi dirigenti non importa che la cultura di un paese venga rimpiazzata, non vi credono già più, anzi spesso credono che meriti di essere fatta fuori. Conta soltanto il dato economico o la seduzione umanitaria, che come spiega Pierre Manent su Le Figaro è una nuova religione. Le frontiere allora sono non soltanto spalancate, ma incoraggiate a essere varcate. A quel punto di solito gli ebrei se ne vanno, come accade da anni in Svezia. Così, nel giro di qualche anno, la società collassa. Una volta superato questo Rubicone, tornare indietro è impossibile.
Giulio Meotti

Ce le ricordiamo tutti, credo, le arrampicate sugli specchi: non è vero che gli immigrati fanno aumentare la criminalità, non è vero che stuprano più degli autoctoni, non è vero che creano problemi, ma voi lo sapete che il 60% degli stupri è commesso da italiani? Sì, certo che lo sappiamo, ma noi sappiamo anche che noi siamo il 92% della popolazione e loro l’8%. Ma possiamo stare sicuri che anche di fronte a questi fatti inoppugnabili saranno capaci di negare la realtà e a insistere che dobbiamo accogliere ancora e ancora e ancora. Fino a quando, come nei Dieci piccoli indiani, di noi non resterà più nessuno.

barbara

Una risposta

  1. Il libro “infedele” di Ayaan Hirsi Ali spiega bene la mentalità di molti migranti, soprattutto quelli somali. Il risentimento verso l’uomo bianco, il voler campare di welfare visto come una sorta di risarcimento per i crimini dei bianchi verso i loro popoli, il disprezzo per la società bianca vista come “mollacciona” e contemporaneamente il frignare forte di razzismo se non vengono accontentati i loro capricci.
    Purtroppo l’accusa di razzismo, con le persone drogate di mentalità progressista e del sogno del “buon selvaggio”, è un jolly che fa vincere qualsiasi dibattito.

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    • In Somalia ci ho vissuto, e di questo risentimento per il passato coloniale non ho mai visto traccia, ne ho addirittura conosciuto qualcuno che aveva nostalgia di Mussolini e perfino del boia Graziani. L’odio contro i bianchi (io c’ero, e l’ho visto nascere) è stato indotto dall’influenza saudita ed era determinato dal fatto che noi siamo infedeli, mentre l’odio razziale lo avevano contro i bantu in quanto negri: è così che li chiamavano, mentre non percepivano se stessi come negri in quanto più chiari di loro. Le cose che dici sono nate all’estero con l’emigrazione causata dalla guerra civile (fino a quel momento i somali all’estero erano unicamente studenti laureati che facevano qualche specializzazione qui, nella Germania est e in Unione Sovietica, e quelli dell’Accademia Militare di Modena, più qualche medico che faceva una specializzazione negli USA, ossia tutta gente benestante che viveva del proprio e lavorava per migliorare la propria condizione e quella del proprio stato). E’ stato nei luoghi in cui loro e tutti gli altri sono emigrati che si è formata questa cultura del piagnisteo e dei presunti diritti, grazie anche a politiche come quelle denunciate nell’articolo.

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  2. Ricordo la Merkel che, di fronte ad una ragazza palestinese in lacrime, si limitò ad un laconico “Non possiamo accogliere tutti”.
    In effetti i tedeschi privilegiano immigrati con alto tasso di scolarizzazione. Per il resto c’è l’ Italia. Va però detto che, nonostante le barzellette su mandolino e baffi neri, i nostri apparati di sorveglianza si sono dimostrati migliori di quelli germanici. Almeno stando ai risultati.

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    • No, ricordi male: la ragazza ha approfittato della visita della Merkel alla sua scuola per lamentarsi che volevano mandare via la sua famiglia, la Merkel ha detto “Non possiamo accogliere tutti”, lei si è messa a frignare a favore di telecamera e la Merkel ha immediatamente concesso il permesso di soggiorno.

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  3. Nelle nostre comunità valdesi-metodiste c’è ogni tanto qualche matrimonio “inter-qualcosa” (chiamatelo “interetnico”, “interrazziale” o chissà che altro parolone), sono stabili ma un trucco, anche se assai relativo, c’è: i due sposi hanno sempre la stessa cultura.

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