RIPARTO COL NOBEL DI GIORNATA

La letteratura contemporanea è morta. È solo noiosa propaganda

Il Nobel a un’altra beghina che ci serve il menù del giorno: abortismo da salotto, appelli per i brigatisti italiani a Parigi, outing a sinistra, boicottaggio d’Israele e rogo dei colleghi “fascisti”

“Signor presidente Macron, non riconsegni all’Italia i brigatisti italiani”. Firmato, su Libération, Annie Ernaux, il Premio Nobel per la Letteratura 2022. Sono fatti così, non si fanno mai mancare l’appello “ribelle”, anche quando si tratta di difendere Marina Petrella, condannata per l’omicidio del generale dei Carabinieri Enrico Galvaligi. Non si fanno mancare neanche l’appello a favore dei migranti africani che occupano i locali di un’università a Parigi. Ma se il loro cuore sta a sinistra, il portafoglio è al sicuro a destra. Tasche piene, coscienza pulita e la morale come crampo snobistico.
Lo scrittore Frédéric Beigbeder su Le Figaro ha stroncato Annie Ernaux con parole definitive: “Sembra che la celebrazione della signora Ernaux sia diventata obbligatoria in Francia. In mezzo secolo, Annie Ernaux ha scritto in successione di suo padre, di sua madre, del suo amante, del suo aborto, della malattia della madre, del suo lutto, del suo ipermercato. I suoi libri sono accolti all’unanimità. Il pubblico segue. Le edizioni Gallimard hanno raccolto la sua opera in un grande volume. La Pléiade arriverà presto, il Nobel è imminente, l’Accademia si spazientisce e mia figlia la sta studiando al liceo. Un consiglio a François Hollande: aprite il Panthéon ai vivi, soprattutto per Madame Ernaux. Solo Maxime Gorky godette di una gloria paragonabile nell’URSS degli anni ‘30. Ma è lecito diffidare di tale santificazione collettiva”.
No, non troverete niente del genere oggi sulla stampa italiana, che invece si sdilinquisce di elogi per la scrittrice (d’altronde hanno osannato Dario Fo, mummificato Eugenio Scalfari, santificato Michele Serra e divinizzato Roberto Saviano).
Neanche nell’anno della coltellata a Salman Rushdie i convitati del Nobel per la letteratura hanno avuto il coraggio di uno scatto di orgoglio, premiando qualcuno che non facesse sbadigliare di conformismo.
Avete presente il ritornello di Fausto Bertinotti in uno sfigatissimo congresso di Rifondazione comunista (“siamo tutti ebrei, gay, lesbiche, neri”)? Applicatelo alla letteratura e avrete Ernaux: “Essere di sinistra è vedere l’Altro, maliano o cinese che sia, etero o gay, cattolico, ebreo o musulmano, zingaro o senzatetto, criminale o pedofilo, come prima cosa simili a se stessi e non diversi”, ha scritto Ernaux. L’Altro non è lo straniero, ma il Medesimo che deve essere protetto dal nostro razzismo e il glorioso multiculturalismo ci libererà da una società attaccata alle sue “radici”. Aggiungiamoci una trama da filmato familiare costruita su una buona scrittura e avremo Annie Ernaux, come il novanta per cento degli scrittori contemporanei.
Un vero Nobel per la Letteratura, Saul Bellow, odiava questa ortodossia letteraria, arrivando a scrivere: “E’ evidente agli osservatori esperti che le persone ben intenzionate preferiscono enfaticamente le cose ‘buone’. Il loro desiderio è quello di essere identificato con il ‘meglio’. Più sono ricche e ‘meglio istruite’, più si sforzano di identificarsi con le opinioni più largamente accettate e rispettate. Quindi sono naturalmente per la giustizia, per la cura e la compassione, per gli abusati e gli oppressi, contro il razzismo, il sessismo, l’omofobia, contro la discriminazione, contro l’imperialismo, il colonialismo, lo sfruttamento, contro il fumo, contro le molestie – per tutte le cose buone. Vedendo queste persone ricoperte virtualmente di credenziali, medaglie, distintivi, mi vengono in mente gli strati di medaglie indossate dai generali sovietici nelle fotografie ufficiali. Mentre cresce il fascino del conformismo, differire è pericoloso”.
Dalle sue nevrosi e dalla sua vita – la sua infanzia, i suoi genitori della classe operaia, il suo “aborto liberatorio” (Ernaux parla del bambino come “questa realtà dentro la pancia” e “questa cosa qui”), i suoi acquisti alla Lidl, la sua ascesa sociale, il suo odio per i liberali – Annie Ernaux ha attinto per mezzo secolo un’opera letteraria ancorata sempre al campo del “bene”, quello degli “oppressi” contro gli “oppressori”. Il sublime Philippe Muray, l’autore dell’Impero del bene, l’ha definita “intrauterina”. E il celebre giornalista e saggista Denis Tillinac, scomparso un anno fa, a chi gli faceva presente che a forza di fumare due pacchetti al giorno sarebbe finito male invece rispondeva: “Sempre meglio che morire di noia leggendo Annie Ernaux”.
“Molti di noi vogliono un mondo in cui i bisogni primari, un’alimentazione sana, la sanità, l’alloggio, l’istruzione, la cultura, siano garantiti a tutti” ha scritto Ernaux due anni fa al primo lockdown per il Covid. E noi che avevamo stupidamente pensato che tutto questo esistesse già in Europa con la sua istruzione gratuita, sanità gratuita, cultura gratuita, ecc… Ma le banalità sono merce corrente nella lagna che governa il “dibattito” (che in verità è un monologo).
E come ricorda Les Echos, Ernaux ha votato per la sinistra radicale e filo-islamica di Jean-Luc Mélenchon ed è una storica militante filopalestinese. Il Jerusalem Post la racconta così: “La scrittrice francese Annie Ernaux è una convinta sostenitrice del boicottaggio di Israele, ha firmato una lettera chiedendo il boicottaggio del concorso musicale Eurovision a Tel Aviv e della stagione interculturale Israel-France da parte dei governi israeliano e francese e un appello per chiedere il rilascio di Georges Abdallah (che ha fondato le Fazioni armate rivoluzionarie libanesi nel 1980 ed è stato condannato all’ergastolo per l’assassinio nel 1982 dell’addetto militare statunitense Charles R. Ray e del diplomatico israeliano Yaakov Bar-Simantov)”. Titola oggi la BILD, il maggiore giornale tedesco: “Incredibile, Ernaux ha chiesto il rilascio di Georges Ibrahim Abdallah, un famigerato terrorista libanese che si trova in una prigione francese per l’omicidio di un americano e di un israeliano davanti alla moglie e alla figlia di otto anni”.
La stessa cupezza e cecità pseudo-rivoluzionaria che ha spinto Ernaux a firmare appelli per i terroristi italiani che hanno fatto la bella vita a Parigi senza pagare mai pegno. E che, come scrive su Le Figaro Guillaume Perrault, “venivano descritti come combattenti per la libertà”. Come faceva il regista Jean-Luc Godard.
Ernaux è la stessa che ha disintegrato, letteralmente, la carriera di uno scrittore ben più talentuoso di lei, Richard Millet, con un solo articolo su Le Monde, in cui accusò Millet, all’epoca editor di Gallimard (la stessa casa editrice di Ernaux), di aver scritto un “pamphlet fascista” che “disonora la letteratura”. Si riferiva a Elogio letterario di Anders Breivik (in Italia lo ha stampato, nel 2014, Liberilibri), in cui Millet, partendo dall’eccidio norvegese di Utoya, ragiona sulla fine dell’Occidente. Da allora Millet, in patria, è una specie di paria. Ma avrebbe ricambiato il favore nel suo libro L’inferno del romanzo. Riflessioni sulla postletteratura: “L’essenza della stupidità, oggi come ieri, è voler essere intelligente; da qui la sua efficacia, sentimentale o coercitiva, unanimista, soprattutto nei campi letterari, accompagnato da una sorveglianza ideologica altrettanto attiva e formidabile come in Unione Sovietica, come i libri di Ernaux, che sono la versione extracurricolare, miserabile e narcisistica della propaganda di sinistra”.
Ernaux vomitò le peggiori accuse contro Richard Millet, reo di aver osato scrivere che “la vera letteratura è morta”, uccisa dal “ripopolamento dell’Europa da parte di popolazioni la cui cultura è estranea alla nostra”, una “postletteratura” frutto di multiculturalismo, antirazzismo, diritti umani, “benpensante”. Ernaux deve essersi riconosciuta nella descrizione di Millet.
Questa mattina ho mandato un messaggio a Millet chiedendogli un commento sul Nobel e ha così risposto, laconico: “Ernaux è solo un elemento della sinistra culturale che governa l’Occidente” (un anno fa lo intervistai per la newsletter).
La “scrittrice ufficiale” Annie Ernaux, come la chiama Beigbeder, dimostra dunque che il woke è un menù completo dove non puoi saltare una portata: abortismo spinto, moralismo d’accatto, fervore per le cause terzomondiste (quando non terroristiche) e censura delle idee avverse. Ma il canone è feroce (letteratura, arte, cinema, giornalismo, teatro, università) e se l’opera è arruolabile e politicamente corretta scatta l’applauso (e il Nobel); se non lo è, che scompaiano l’autore e la sua opera.
E io che pensavo che il ruolo dello scrittore non fosse quello di abbagliarci con il settarismo e il vuoto ideologico. Per questo il Nobel lo meritava Michel Houellebecq, che anziché dirci perché abortiamo ci racconta che non sappiamo più vivere e che nel suo ultimo saggio su Unherd ha accusato la “sinistra-progressista-umanista” (quella di Ernaux) di considerare l’immigrazione di massa non un suicidio, come dovrebbe, ma come una “rigenerazione”, domandandosi infine se “la nostra ‘civiltà’ ha davvero ancora qualcosa di cui essere orgogliosi”. In attesa di un Nobel più degno, riapriamo le Considerazioni di un impolitico di quel reazionario di Thomas Mann, dove troviamo questa frase: “Non solo non penso che il destino dell’uomo si esaurisca nell’attività pubblica e sociale, ma trovo quest’opinione disgustosa e inumana. Secondo me i più importanti campi dello spirito umano, religione, filosofia, arte, poesia, scienza, sussistono accanto allo Stato, al di sopra e al di fuori dello Stato, e assai sovente gli si contrappongono”.
Così scriveva uno degli ultimi uomini della cultura europea.
Giulio Meotti

In poche parole, la classica zoccola comunista.
Risolleviamoci un po’ il morale con un bel mucchio di artisti veri

barbara

  1. Su certe cose (che siamo tutti uguali) spero sia una cosa universale, anche nella nostra comunità evangelica lo riteniamo. Certo non siamo abortisti (ma l’uso di anticoncezionali lo accettiamo).
    Sulla qualità dei libri non mi pronuncio, non li ho letti. Forse è più avvincente uno dei cataloghi di materiale elettrico che ci arrivano in azienda?
    Secondo me, meriterebbe un premio più un poeta contemporaneo, credo triestino, comunque di queste parti, (non ricordo più il nome) che un amico mi aveva fatto leggere anni fa e di cui alcuni versi mi avevano fatto rotolare dal ridere, proprio avevo interpretato la sigla ROTFL:

    E siamo in tanti ad alzarci
    le sette o giù di lì
    ma io mi genufletto
    solo al watercloset
    assieme a tutti i santi.

    Mi è tanto rimasta che ci ho fatto fare un quadretto per appenderlo… sì, il posto è citato. E nel verso era proprio scritto in quel modo.
    Aveva anche scritto una piece teatrale (di cui ignoro il contenuto, se ne ha uno) che si intitolava “Appeso al gancio” o “Appesa al gancio”, di cui avevo perfino creato una canzonatoria scenografia: un gancio in mezzo alla scena su cui appeso ci sarebbe stato un anellone in fil di ferro con infilate le parti da recitare e che gli attori avrebbero dovuto strappar via e leggere.
    Il Nobel avrebbero dovuto darlo a lui, piuttosto?

    Sì, la mia fidanzata è qui con me che sta ridendo, a dispetto di un braccio dolorante per ciascuno, abbiamo fatto l’anticovid (l’antinfluenzale ci hanno suggerito di farla separatamente, così se stiamo male sappiamo per cosa).
    Beh, la mia fidanzata ha trovato questo (occhio che la musica è un po’ male equalizzata, forse perchè è dal vivo):

    Scenografia un po’ Strehleriana…
    (la ballerina fa parte di un gruppo di Mosca, ma qualcuno ha cercato di farla passare per U… visto il cognome. Sarà tale di origine, ma penso che sappia da che parte stare) Poco da dire, la Tribal Fusion lascia molto all’improvvisazione. Peccato che la mia fidanzata abbia smesso, sa muoversi ancora benino.
    ciaociao

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        • Un delinquente è un essere umano delinquente, un dittatore è un essere umano dittatore, un mona è un essere umano mona. Gli esseri umani hanno tutti gli stessi diritti, NON sono uguali. Da nessun punto di vista. Uguali non sono neanche i gemelli identici.

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        • Se ci si accetta reciprocamente per quello che si è, già si è “uguali”, il senso di uguaglianda di diverse costituzioni occidentali è questo.
          Un indiano potrebbe accettarmi per quello che sono anche se sono diverso per mentalità e cultura.
          Già se ci si rifiuta il rifuto è un fare e non un essere (v. azioni del beduiname).
          La mia fidanzata sta guardando e mi ha chiesto perchè non ho fatto il corso per predicatore laico… quelle domande che mi fanno diventare rosso come un pomodoro ben maturo.

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        • Le costituzioni occidentali parlano di uguaglianza *di fronte alla legge*.
          Certo che siamo uguali di fronte alla legge, qui.

          Il fatto di essere tutti esseri umani non ci rende uguali. Nemmeno due italiani dello stesso paesello hanno la stessa cultura, figuriamoci due paeselli a distanza di due continenti.

          L’uguaglianza di fronte alla legge è un’altra cosa, significa che finché tu non *fai* qualcosa di male nessuno può sanzionarti, e che quando lo fai non importa chi sei e da dove vieni.
          Non impedisce certo che per una determinata cultura fare quella cosa sia assolutamente normale.

          La tolleranza, che è ciò di cui parli tu con “io lo accetto, lui mi accetta”, presuppone proprio che NON siamo uguali e dobbiamo attivamente tollerare chi non è come noi finché sono fatti salvi i principi di convivenza.
          Partendo dal mio vicino ed arrivando agli indigeni del Congo, accetto l’altro se lui accetta la società aperta.

          Cosa che, con buona pace di Locke e Popper, non accetta quasi nessuno al di fuori dell’Occidente e che sta passando di moda pure qui.

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