IL PREZZO DELLA (FORSE) LIBERAZIONE

Per 18 famiglie la vita, per l’Italia ennesima umiliazione: la foto di Conte con il capo dei sequestratori

Oramai ci siamo piuttosto abituati: nei casi di sequestri internazionali, una gioia, una festa per le famiglie e per noi italiani, sapere che dei nostri connazionali rapiti possono tornare a casa e riabbracciare i loro cari, per il Paese si trasforma puntualmente in una cocente umiliazione, una netta perdita di credibilità. Vuoi perché i rapitori sono riusciti a ottenere quello che volevano, il più delle volte soldi che useranno per mettere in pericolo altre vite umane; vuoi perché i nostri governi si sono piegati a spettacoli indecorosi, come nell’ultimo caso prima di questo, il ritorno di Silvia Romano.
Non solo furono pagati milioni ai terroristi islamici di al Shabaab, affiliati ad al Qaeda e tra i più sanguinari, autori in Africa di stragi orrende di uomini, donne e bambini. Il nostro premier e il nostro ministro degli esteri si prestarono anche alla propaganda jihadista: l’immagine della ragazza, convertita all’islam durante la prigionia, mentre scendeva dall’aereo ricoperta dalla testa ai piedi con un lenzuolo verde, la tunica indossata dalle donne somale islamizzate, fu di per sé un spot politico senza prezzo per al Shabaab.
Ma veniamo a ieri, al caso dei 18 pescatori di Mazara del Vallo da 108 giorni rinchiusi a Bengasi, il sequestro più lungo per mano libica che l’Italia ricordi.
Conte e Di Maio non sono riusciti a farsi fotografare con gli ostaggi liberati, che non hanno nemmeno potuto incontrare. La photo opportunity l’hanno avuta – un inedito assoluto – con il capo dei sequestratori, il generale Khalifa Haftar. Non ci eravamo ancora mai abbassati a tanto.
È come, per intenderci, se Craxi, oltre a impedire agli americani di catturare Abu Abbas, il regista del sequestro della nave Achille Lauro, si fosse fatto fotografare con il terrorista palestinese a bordo della pista di Sigonella.
Superfluo sottolineare la vittoria politica di Haftar, il cui peso internazionale si era considerevolmente ridotto dopo la sconfitta della campagna di Tripoli. Anche molti dei suoi sponsor negli ultimi mesi avevano preso le distanze. Costringendo premier e ministro degli esteri italiani alle foto, alle strette di mano e ad un colloquio politico (“il governo continua a sostenere con fermezza il processo di stabilizzazione della Libia, è ciò che io e il presidente Giuseppe Conte abbiamo ribadito oggi stesso ad Haftar, durante il nostro colloquio a Bengasi”, ha dichiarato Di Maio), pur di riavere indietro gli ostaggi, ha ottenuto un nuovo riconoscimento come attore di peso, comunque non trascurabile, nello scenario libico. E lo ha ottenuto proprio da coloro che tre mesi fa avevano osato snobbarlo.
Come ricordava ieri Mauro Indelicato su InsideOver, infatti, il sequestro dei pescherecci Medinea Antartide e dei loro equipaggi, il primo settembre scorso, avveniva proprio mentre il nostro ministro degli esteri si trovava in viaggio di ritorno verso Roma dopo una visita in Libia, prima a Tripoli poi in Cirenaica. Dove però aveva deciso di non incontrare il generale Haftar, da poco ritiratosi dalla Tripolitania, bensì il presidente del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, ritenuto “l’uomo nuovo della Cirenaica” dopo il fato avverso che aveva colpito il generale. Comunque un “affronto” inaccettabile per Haftar. In quelle ore probabilmente prendeva corpo l’idea del sequestro, concluso con la “riparazione” in termini di riconoscimento politico pretesa, e ieri ottenuta, da Roma.
Un errore non averlo incontrato a settembre? Può darsi, ma una scelta che aveva una sua logica e che andava difesa. Invece, abbiamo calato le brache. E non è nemmeno detto che quello politico sia stato l’unico riscatto pagato al generale.
La contropartita potrebbe essere stata integrata con denaro o con la liberazione di qualche tagliagole libico dalle nostre carceri. Era nota, infatti, la richiesta di Haftar di liberare cinque libici detenuti nel nostro Paese dopo essere stati condannati per tratta di esseri umani e per l’omicidio di 49 migranti.
In ogni caso, l’ennesima capitolazione che mette ancor più a rischio gli italiani che si trovano all’estero, per lavoro o per turismo.
L’aspetto patetico della vicenda è che magari Conte e Di Maio hanno persino pensato ad un ritorno di immagine, a ridosso del Natale e in un momento particolarmente delicato per il governo. Ma diversamente dal rientro di Silvia Romano, stavolta la foto l’hanno fatta con il capo dei rapitori, non con i rapiti tornati in Italia.
Ma esistevano delle alternative per riportare a casa sani e salvi i 18 pescatori? Certamente: potevamo liberarli con la forza militare. Abbiamo una delle marine militari più potenti del Mediterraneo e corpi d’elite di assoluta eccellenza, ma non li usiamo. Un’operazione ad un tiro di schioppo. Sapevamo persino dove sono rimasti rinchiusi gli ostaggi per tutti i 108 giorni di prigionia (nella palazzina dell’amministrazione portuale di Bengasi).
Forse, sarebbe bastata la sola minaccia, una dichiarazione credibile che l’opzione sarebbe rimasta sul tavolo e che chiunque rapisca un cittadino italiano diventa un legittimo bersaglio militare. Non è solo una questione di attributi della nostra classe politica, ma di mancanza della minima cognizione dell’interesse e della dignità nazionali. A quanto pare, la massima aspirazione dei nostri governanti in politica estera sono le onorificenze della Repubblica francese…
Resta un altro particolare umiliante. Come detto, Conte e Di Maio non hanno potuto farsi fotografare con i 18 pescatori, perché non li hanno potuti incontrare. Né quindi se li sono riportati con loro in Italia in aereo, come sarebbe stato lecito attendersi. No, dovranno tornare via mare a bordo dei loro pescherecci. I cui motori, guarda caso, sono in panne, non si avviano. Dunque, ancora nessun rientro, nessun abbraccio con i famigliari, ancora attesa. E chissà che dopo l’umiliazione politica di ieri, non arrivi anche la vera e propria sòla, come si dice a Roma…

Federico Punzi, 18 Dic 2020, qui.

Cedere ai ricatti è sempre il primo passo verso l’abisso. I pescatori dovevano essere liberati dalle forze armate e Silvia-Aisha, le Simone, la Sgrena e tutte le altre incoscienti – per non dire di peggio – andavano lasciate lì, punto.

E poi ditemi se non dobbiamo mandare a casa questa manica di parassiti dannosi, pericolosi e maledettamente costosi – e non ditemi che costosi lo sono tutti i politici: nessun altro ci ha caricato sul groppone 450+300 parassiti supplementari per svolgere il lavoro per il quale sono pagati loro (decurtando contemporaneamente la rappresentanza parlamentare di 300 unità perché “dobbiamo risparmiare”)

barbara

SCENE DA UN MANICOMIO

Perché siccome i manicomi sono stati chiusi, il manicomio è rimasto tutto fra noi. Cominciamo con il caso Lamorgese, che possiamo far rientrare a pieno titolo nella categoria pezo ‘l tacon del buzo. Succede dunque che la signora fa il tampone, senza conoscerne l’esito partecipa a un’ammucchiata di ministri, e mentre è lì arriva il referto di positività, che se lo faccio io (no, non coi ministri, certo: sono una vecchia signora con l’ulcera, come tutti sanno, e ho lo stomaco delicato per via della gastrite che mi accompagna da molti decenni; potendo scegliere, preferirei aiutare un contadino a pulire il letamaio) mi manda tutti i settantamila militari e una dozzina di droni. E questo è il buzo. Poi arriva il tacon: il referto, dice, il referto di questo tampone sicuro sicurissimo, affidabile affidabilissimo, infallibile in fallibilissimo, era un falso positivo. Gli errori sono rarissimi, più o meno uno ogni quarantasette miliardi di casi. E quell’un quarantasettemiliardesimo a chi ti va a capitare? Alla lucianona nostra. E perché è un tacon pezo del buzo? Perché non cambia i fatti di una virgola: aveva fatto il tampone? Sì. Conosceva l’esito? No. Aveva il diritto di andare ad ammucchiarsi? NO. Punto. Anzi, per dirla in Biden-style, PERIOD. PERIOD. A parte questo, come mai dopo il tampone positivo ne ha fatto immediatamente un altro? E come mai con uno positivo e uno negativo non si è sentito il bisogno di farne un terzo per vederci più chiaro?

Poi abbiamo lo scemo di guerra che oltre a non ricordare di avere detto, non ricorda neppure di non avere ricordato.

Noi con Trump

IL KOMPAGNO TONINELLI HA LA MEMORIA CORTA, NOI PATRIOTI NO

Oggi si è tenuta la seconda udienza preliminare per la richiesta di rinvio a giudizio per sequestro di persona dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini per i ritardi nello sbarco da nave Gregoretti di 131 migranti ad Augusta il 31 luglio 2019.
Alla precisa domanda dell’Avv. Buongiorno: “C’è anche la sua firma su questo episodio, la può riconoscere la sua firma?” il “kompagno” Danilo Toninelli ha prontamente risposto: “Non ricordo se ho firmato il divieto di ingresso per Open Arms”, proseguendo: “Non esiste alcuna mia dichiarazione su una fantomatica firma del decreto relativo alla nave Gregoretti. Non esiste alcun mio ‘non ricordo di aver firmato il decreto’ per il semplice fatto che non vi è mai stato un decreto per tale vicenda. Il mio ‘non ricordo’ si riferiva ai decreti di divieto di sbarco per la nave dell’ong Open Arms. Fatti, questi, intorno ai quali ho deposto in termini di verità e trasparenza”. Peccato che esiste anche un video del 18.05.2019 dove il buon Toninelli affermò: “Fino ad oggi, non Salvini, ma Salvini insieme al sottoscritto e al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, abbiamo diminuito con una cifra veramente enorme il numero degli sbarchi”.
La pochezza morale e politica di questi uomini è veramente a livelli irraggiungibili. Questi mezzi uomini non hanno i coraggio di assumersi alcuna responsabilità. I CONFINI DELLA PATRIA VANNO SALVAGUARDATI. Favorire politiche di integrazione e immigrazione con logiche globaliste è un qualcosa di terribile che non crea alcuna uguaglianza, ne equità.

Poi ci sarebbe questa roba qui, in cui il livello di delirio è tale da escludere la possibilità di commentarlo.

E vogliamo parlare di questo signore, che fa parte dei buoni, dei giusti, dei salvatori del mondo?

Ora, a parte l’abiezione morale della sua affermazione e il delirio del paragone, c’è ancora una cosa da dire: credo sia legittimo il sospetto che il motivo per cui Mussolini è stato giustiziato senza processo, è il timore di quello che avrebbe potuto rivelare se fosse stato interrogato in un regolare processo, che sarebbe potuto risultare scomodo per un bel po’ di gente, e mi chiedo: quali sono le cose scomode che il signor Toscani teme Salvini possa dire se viene processato invece che giustiziato sui due piedi?

E poi i nostri ragazzi in Libia: la sapevate questa?

L’esercito per controllare se al pranzo di Natale faccio cin cin, perché è stato irrefutabilmente documentato che il virus, sto bastardo figlio di ignobile madre, se ne sta lì sull’orlo del bicchiere in posizione da centometrista in attesa della partenza, e appena il bicchiere ne tocca un altro, come al colpo di pistola dello starter schizza fulmineo dall’orlo del mio bicchiere all’orlo dell’altro bicchiere per venire immediatamente bevuto dall’altro commensale e ucciderlo seduta stante (momento: ma il cin cin non si fa PRIMA di bere? E allora come fa il mio virus stare sull’orlo del bicchiere se non l’ho ancora toccato? Come diavolo ci è arrivato?), l’esercito per questo, dicevo, c’è, coi droni e tutto il resto, per liberare i nostri concittadini prigionieri di uno stato straniero niente, neanche parlarne.

Leggermente manicomiale direi che è anche il fatto che un comunista tutto d’un pezzo quale Marco Rizzo, si metta a dire cose sensate e totalmente condivisibili, cosa che ultimamente sta succedendo con una certa frequenza

E non posso lasciami sfuggire l’occasione per aggiungere due parole su questa donna dall’espressività di un asparago scondito,

con due assurde tette gonfiate in maniera spropositata,

dalla postura di un manichino in vetrina,

con delle orrende borsette che sembrano il cestino della merenda dell’asilo

(e mai riuscirò a capacitarmi che qualcuno possa spendere decine di migliaia di euro per una cosa dal valore materiale che non arriva al mezzo centinaio, oltre a essere tremendamente brutte), che si presta a fare da donna immagine per far credere che all’amichetto del casolino piacciano le donne: che cosa penosa ragazzi.

Poi c’è ancora questa cosa, che non riguarda l’Italia ma potrebbe benissimo succedere anche qui.

Luca Donadel

Vi ricordate Mila Orriols? Ve ne avevo parlato lo scorso febbraio. È la liceale francese di 16 anni, omosessuale, che aveva fatto un video su Instagram in cui denunciava gli insulti ricevuti dopo aver rifiutato delle avance indesiderate ricevute da un ragazzo musulmano, spiegando che, al di là delle proprie preferenze sessuali, riteneva aggressiva e liberticida la religione di lui, l’islam. Aveva usato parole forti, blasfeme, ma non più forti degli slogan atei che si possono ascoltare o leggere in giro. Il suo problema è che si è sfogata con l’islam anziché con il cristianesimo.
Da allora vive nascosta, minacciata dagli islamisti. A febbraio Mila ha dovuto lasciare il suo liceo ed è stata ospitata nel pensionato di un liceo militare che aveva acconsentito a riceverla a condizione che non usasse mai più il telefonino. «Che è come obbligare qualcuno aggredito per strada a non uscire mai più di casa», scrive il padre.
A settembre i suoi genitori hanno cercato di iscriverla di nuovo in una scuola normale, ma nonostante l’insistenza del governo tutte si sono rifiutate di accoglierla per paura di attentati. Qualche giorno fa si è lasciata sfuggire il nome dell’istituto ad un amico ed è stata per questo cacciata anche da lì. Un liceo militare e quindi l’esercito francese si piegano alle minacce degli islamisti. «Ma se neanche l’esercito può permetterle di proseguire gli studi, che cosa possiamo fare noi genitori? Per noi è un film dell’orrore». scrive il padre in una lettera pubblicata ieri da Le Point.
Il caso di Mila parla della violenza degli islamisti e della propensione ad abbassare la testa delle istituzioni occidentali.
È una guerra che abbiamo già perso.

E concludo con una cosa che non c’entra niente, ma bisogna proprio che lo dica: secondo me portare in giro una faccia come questa dovrebbe essere reato penale, ecco.

barbara