CONTINUAZIONE E CONCLUSIONE DELLA TRISTE STORIA ECCETERA

È cominciato il lunedì pomeriggio. Con la pioggia, dico. Prima leggera poi media poi forte poi nubifragio. Ogni mezz’ora andavo in camera a controllare e ogni volta dicevo bene, per il momento tiene – e poi mi sono resa conto che stavo facendo come quello che cade dal cinquantesimo piano e arrivato al quarantesimo dice per ora tutto bene, al trentesimo dice per ora tutto bene… Finché, verso mezzanotte, sono arrivata al piano terra: una bella pozzetta d’acqua per terra e una macchia di bagnato sulla coperta ai piedi del letto. Ho messo un asciugamano e un catino per terra sotto il gocciolamento, una busta di plastica grande sulla coperta e un piccolo asciugamano fra le due lenzuola, che mi assorbisse almeno un po’ di acqua nelle ore che mancavano prima che andassi a letto. Ci vado, come al solito, verso le sette di mattina, e dormo tutta rannicchiata per non finire coi piedi sul bagnato (in realtà io dormo sempre al 90% rannicchiata). Il giorno dopo, martedì, chiamo l’architetto, che mi dice chiamo la ditta e poi ti richiamo. Mi richiama di lì a una decina di minuti e dice che mi mandano due uomini (siccome diluviava, ovviamente non stavano lavorando), che infatti vengono, li porto in camera a vedere e poi vanno su in terrazza. Verso le sei e mezza non è più gocciolamento bensì vera e propria pioggia, e arriva da tutto il soffitto, e la richiamo. Dice avverto il tecnico, fra venti minuti siamo lì. Arrivano infatti, e lavoriamo una buona mezz’ora tutti e tre a portare fuori dalla camera tutto quello che si può e che è a rischio. Poi passano all’appartamento di fronte: i vecchi inquilini se ne sono andati e i nuovi non sono ancora entrati, per cui dopo la mia telefonata ha provveduto a chiamarli per dire che era meglio che venissero a vedere com’era la situazione da loro; è arrivato lui e ha trovato 3 centimetri di acqua, che è arrivata a bagnare il soffitto dell’appartamento di sotto. Poi, mentre erano ancora lì, si è improvvisamente allagato il passaggio tra la zona notte e quella giorno, li ho richiamati e sono venuti a precipizio a togliere quadri, spostare librerie, mettere catini, portare via altre cose dalla camera eccetera. Il tecnico, che credo sia anche il titolare della ditta, essendo chiaro che lì dentro non potevo dormire, mi aveva proposto di andare in albergo – tanto lui è coperto da assicurazione – ma ho rifiutato. Sicché ho messo per terra in soggiorno una vecchia trapunta (che non uso più da un quarto di secolo perché è molto rovinata ma che ho conservato perché io non butto mai via niente perché non si sa mai, e infatti tutto quello che secondo qualcuno avrei dovuto buttare, prima o poi è venuto utile, e così anche la trapunta, e non è la prima volta) e tre coperte grosse più altre tre sottili, tutte messe doppie più il grande telo da spiaggia giallo che si vede nella foto del primo post, e, per coprirmi, la meravigliosa copertina blu che ho rubato in aereo, e ho passato la notte lì, mettendo una prolunga per far arrivare lì la lampada che normalmente sta sul meraviglioso tavolinetto disegnato da me (come molte altre cose che ho in casa) e ci ho, diciamo così, dormito. Poi mercoledì sera, dopo avere terminato tutti i lavori della giornata, è venuta la ragazza che mi fa le pulizie a darmi una mano. Lei voleva portarmi in soggiorno la rete del letto per farmi dormire più comoda, ma dato che aveva praticamente smesso di piovere e anche quasi del tutto di sgocciolarmi in camera, ho deciso di togliere il materasso e portarlo in soggiorno ad asciugare di fronte al termosifone

e mettere sulla rete tutto l’armamentario che avevo sistemato in soggiorno, più una mezza dozzina di asciugamani da spiaggia di spugna, belli grandi – e nonostante tutto questo, quando ho provato a sedermi ho preso una gran culata perché mi mancavano, rispetto al materasso, una buona decina di centimetri, e non lo avevo calcolato, così come non avevo calcolato il fatto che era tutto molto più duro. Poi, mentre lei raccoglieva tutti gli stracci che prima erano stati per terra e che avevo momentaneamente buttato nella vasca da bagno, e io stavo tornando dal soggiorno dove avevo portato qualcosa, improvvisamente sentiamo un grande scroscio, come una cascata, provenire dalla camera. Corriamo a vedere, ed era questo:

interamente sopra il letto. Fosse capitato qualche ora più tardi, probabilmente non mi avrebbe ammazzata, ma certo tanto bene non ne sarei uscita: abbiamo riempito (sì, ok, lei ha riempito) due borse, e mentre lei riempiva la seconda io ho portato fuori la prima, parecchio più piccola, e avrà sicuramente pesato almeno tre chili (la casa è degli anni Settanta, e in questo mezzo secolo le pareti sono sempre state ridipinte una mano sopra l’altra, per cui adesso lo strato di intonaco è molto spesso). Dopodiché lei continuava a dire io là dentro non ci dormirei neanche morta, vuole che tiriamo via tutto e portiamo la rete in soggiorno? Il che era del tutto privo di senso: se tutto quello che era sopra il letto era già venuto giù, di che cosa dovevo preoccuparmi? Infatti poi ho dormito cinque ore buone quasi ininterrottamente. Ogni tanto un morbido plafff mi si infilava nei sogni, ma senza arrivare a svegliarmi del tutto. Perché ovviamente un po’ alla volta finirà per venire giù tutto o quasi, ma ormai di danni non ne può più fare.
Oggi pomeriggio, finito di asciugarsi il materasso, che ieri avevo girato per esporre al calore del termosifone anche l’altro lato, e il coprimaterasso, è tornata la ragazza e insieme abbiamo risistemato il letto. Rimangono un po’ di cose in giro, come queste collane messe ad asciugare insieme al loro contenitore

(riconosco che l’appoggio potrebbe apparire a qualcuno leggermente inappropriato, ma dato che serve perfettamente alla funzione non vedo motivo di formalizzarmi), gli scatoloni che erano sopra l’armadio, di cui il più grande contenente stoffe e stracci,

un po’ umidi, ma che fino a oggi pomeriggio non ho potuto stendere perché lo stendino era occupato dal coprimaterasso, oltre alle cose già dette, ma volete mettere la felicità di tornare a dormire su un materasso!

Poi per dopodomani è prevista pioggia per 24 ore.

barbara

DALLE MIE PARTI SI CHIAMA COLPO DE MONA

Le mie parti d’origine, intendo, non quelle attuali, né quelle intermedie.

Nella mano destra una ciotola con delle cose a mollo, vale a dire piena d’acqua. Nella mano sinistra un colino grande, che però curiosamente non si chiama colo, né tanto meno colone. Con una rapida – ma non per questo priva di eleganza – rotazione del polso destro il contenuto della ciotola viene versato nel colino grande che non è un colo e neanche un colone, accuratamente, fino in fondo. Poi il colino viene scosso per bene, in modo da farne uscire anche le ultime gocce rimaste impigliate. In mezzo alla cucina.

barbara

I RAGAZZI POSSONO CAMBIARE IL MONDO?

Molti ragazzi coltivano questo sogno. Qualcuno ci prova davvero, qualcuno evitando accuratamente di andare a scuola,
greta sciopero
all’inizio una volta la settimana, poi, avendoci preso gusto, per un anno intero, denunciando nelle sedi adatte gli abusi di cui è stata vittima da parte del mondo intero,
cobalto
mattoni
barca
infanzia rubata
o puntando l’indice  contro i responsabili di cotanto crimine: “How dare you!”
greta protesta
(Magari qualche lezioncina di inglese, con tutti i soldi che hanno fatto sulla sua pelle, mammina e paparino avrebbero anche potuto prenderla, prima di scriverle i discorsi)

E c’è chi invece ci prova così

o magari anche così
parole fatti
Però, ci avete fatto caso? Da quando è sfumato il Nobel, l’interesse nei suoi confronti è precipitato praticamente a zero.

barbara

QUEI RAGAZZI THAILANDESI INTRAPPOLATI E SALVATI

“Tutti i ragazzi della squadra dei Cinghiali per più di due settimane prigioniera nella grotta di Mae Sai e il loro allenatore sono liberi: lo hanno annunciato i Navy Seals thailandesi. Il gruppo ha passato più di due settimane nelle viscere della montagna ed è stato liberato grazie a un’operazione internazionale senza precedenti. “Non sappiamo se è stata scienza o un miracolo: ma sono tutti fuori!” hanno scritto i Navy Seals sulle loro pagine Facebook e Twitter” (Repubblica)

No? Davvero davvero non lo sapete grazie a che cosa li avete salvati? Vabbè, ve lo dico io, anzi, ve lo faccio dire da Fabiana Magrì, con questo articolo del 6 luglio.

Le operazioni di salvataggio dei dodici ragazzi thailandesi prigionieri con il loro allenatore nella grotta di Tham Luang tengono il mondo con il fiato sospeso. Le immagini del ritrovamento del gruppo, dieci giorni dopo la scomparsa nei meandri della grotta, e la trasmissione della conversazione tra i primi due soccorritori e l’allenatore, rimbalzate poi in tutto il mondo, sono state il primo di una serie di miracoli che – si spera – porterà ad archiviare la vicenda come un’orribile disavventura finita per il meglio grazie alla forza di volontà e alla tecnologia. Perché senza tecnologie all’avanguardia, le comunicazioni tra esterno e interno di quella grotta non sarebbero possibili.
Un’azienda israeliana, MaxTech Networks, ha sviluppato un sistema di apparecchi smart in grado di comunicare tra loro anche in situazioni estreme e in assenza di segnale. Dopo poche ore dalla notizia della scomparsa dei ragazzi, Moshe Askenazi, agente di base in Thailandia per conto dell’azienda, ha avvisato la casa madre in Israele che ha subito mandato una squadra di tecnici equipaggiati con le radio mobili Max mesh. «Si tratta di un dispositivo resiliente», ha spiegato ai media Uzi Hanuni, fondatore di MaxTech Networks «che all’apparenza sembra un normale walkie talkie. In realtà al suo interno c’è un sofisticato algoritmo, risultato di dieci anni di ricerca e sviluppo, frutto del lavoro di venti ingegneri».
Se la tecnologia è “smart”, ancora di più lo è, nella sua semplicità, l’idea alla base. Gli apparecchi funzionano tra loro come anelli di una catena. Ogni dispositivo crea un ponte con il successivo, fino a consentire una trasmissione continua di dati, immagini e voce tra il primo e l’ultimo elemento della staffetta. «In situazioni come quella in cui stiamo intervenendo in Thailandia e in generale in circostanze di catastrofi naturali», continua Hanuni, «le comunicazioni, per come le conosciamo oggi, collassano. Qualsiasi squadra di soccorso al mondo può beneficiare di uno strumento come Max mesh», il cui sistema si adatta automaticamente alle diverse condizioni di rete, ai gradi di mobilità e alle condizioni ambientali, creando un’infrastruttura virtuale. Intanto, nelle ultime ore, è arrivata la notizia che Saman Kunan, 38 anni, ex Navy Seal in congedo che si era unito volontariamente alla squadra dei soccorritori, è morto per la mancanza di ossigeno lungo il percorso. Le condizioni per il salvataggio sono davvero estreme.
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Possiamo anche chiamarlo miracolo, se vogliamo, ma è un miracolo della tecnica, dell’inventiva e della generosità israeliana.

barbara

IL QUATTORDICESIMO VIAGGIO (14/1)

Per il quale, appunto per il fatto che è il quattordicesimo, avrò probabilmente meno cose da dire che per i precedenti; il che non significa che sia stato meno interessante o emozionante. Per adesso comunque, in attesa di raccogliere e riordinare le idee, vi mostro alcune immagini in controsole costeggiando il Kinnereth (al volo dall’autobus, quindi spesso storte…). Buona visione.
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barbara

RIPRENDO LA TELENOVELA

Quella dell’acqua in camera e del padrone di casa eccetera. Che alla puntata precedente si concludeva così:

E alla prossima pioggia…

Ecco. L’asfaltista è venuto e ha messo un po’ di guaina intorno a ciascuno dei due bocchettoni. Una settimana dopo è piovuto per alcune ore, e mi si è allagata la camera. Con nuovi buchi in aggiunta a quelli precedenti. L’ho visto quando sono entrata per andare a letto e mi è toccato ritirare fuori di corsa gli asciugamani e stenderli per terra e secchi e catini e tutto l’armamentario. E le macchie di umido sul soffitto ulteriormente allargate e l’intonaco con bolle e crepe, e quando ha smesso di piovere giù acqua ha attaccato a piovere giù intonaco. La mattina dopo ho chiamato il padrone di casa, che ha detto che avrebbe chiamato subito l’amministratore e lo avrebbe fatto venire da me insieme all’asfaltista. Dopo una settimana ho richiamato per sentire a che punto eravamo. Ho aspettato, dice lui, perché in tutti questi giorni c’è sempre stato il sole e anche per i prossimi giorni è previsto bel tempo, e volevo aspettare che piovesse per vedere cosa succede. E io ho cominciato a inquietarmi e agitarmi in pelino. Poi ha detto, Lei, signora Mella, deve essere buona. È stato lì che ho leggermente perso il controllo; tre ore e mezza dopo mi faceva ancora male la gola. Oggettivamente, quando mi incazzo sono molto sgradevole, e lui evidentemente non voleva rischiare di riavermi nelle orecchie un’altra volta incazzata; mezz’ora dopo mi ha richiamata per dirmi che nel pomeriggio si era impegnato a venire di nuovo l’asfaltista (il cialtrone dell’altra volta, quello che ha fatto la copertura tre anni fa e un anno e mezzo fa avevo già le macchie sul soffitto; quello che “ogni paio d’anni, quando piove forte è normale che succeda”, da cui si deduce che, primo, è destino ineluttabile che con un isolamento fatto da lui, ogni volta che piove forte l’acqua passi dalla terrazza alla stanza sottostante, secondo, che dopo che l’acqua ha aperto una mezza dozzina di buchi, poi i buchi si chiudono da soli e per un paio d’anni l’acqua non passa più; quello che ha risolto il problema e alla prima pioggia mi sono ritrovata con la camera allagata). Non è venuto, e il giorno dopo, benché fosse festa (il primo novembre), il vecchio ha mosso mari e monti e poi mi ha chiamata per dirmi che venerdì mattina sarebbe venuto l’altro asfaltista, quello che era venuto a vedere la situazione la prima volta. Naturalmente adesso si riscateneranno i condomini che dovranno pagare la loro parte, ma a quanto pare preferisce affrontare l’ira di una decina di condomini toccati nel portafogli che la mia. Poi nei giorni scorsi è piovuto e l’acqua non mi è scesa. Piccola nota a margine: dato che prima delle sei, sei e mezza non mi addormento, e il tizio sarebbe sicuramente venuto la mattina presto, la notte sono scesa ad attaccare sotto il campanello un bigliettino con su scritto “Asfaltista: suoni forte se no non mi sveglio!” L’asfaltista ha avuto pietà, e si è fatto aprire e dare la chiave della terrazza da qualcun altro. Poi, essendo proprio sopra la mia testa, a partire dalle sette e mezza ho sentito lavorare di gran lena, ma almeno mi ha risparmiato di alzarmi dal letto.

Già che siamo in tema di aggiornamenti, vi informo che ho fatto i raggi alla vertebra, e la situazione è ulteriormente peggiorata: l’avvallamento è aumentato (stronza). Poi dovrò anche fare un piccolo intervento. Avete presente l’alluce valgo? È quella cosa che viene ai comuni mortali. Naturalmente nessuno di voi si immagina che io sia una comune mortale, vero? E infatti non mi è venuto l’alluce valgo: mi è venuto il mignolo valgo. Un po’ stortino, fin dove arrivo a ricordare, l’ho sempre visto: stortino carino; simpatichino, anche. Ma adesso mi sono accorta che si sta proprio stendendo, e non voglio arrivare come quelle con l’alluce completamente di traverso sopra o sotto le altre dita, sicché quando, fra un mese, andrò a fare i nuovi raggi per la vertebra, li farò anche ai piedi e poi si farà l’interventino. L’ortopedica (la mia ortopedica d’oro), è d’accordo, e spero che mi operi lei.

Poi c’è un’altra grossa grossa grossa rogna, ma quella, se non si risolve, la scriverò a parte, perché voglio che la facciate girare e che la leggano almeno dodici miliardi di persone.

E visto che qua si sta praticamente scatenando la fine del mondo, regaliamoci almeno una fine del mondo… profumata.

barbara

QUATTRO DIALOGHI

Postati tanti anni fa nell’altro blog, e scritti tanti anni prima ancora; il sottotitolo potrebbe essere “Questa sono io”. Anche il mio interlocutore esiste realmente, e il ritratto che emerge da questi dialoghi è assolutamente fedele.

TERRA

“Chi sei?”
“Io sono la terra. La terra che tu puoi calpestare, e lei non protesterà, ma non la puoi ignorare perché in qualunque momento può spalancarsi e inghiottirti. Sono la terra che nutre le radici e ne fa crescere i frutti di cui tu puoi nutrirti, ma non puoi violarla, o si vendicherà. Sono la terra ricca di tutti i tesori: posso darti oro e argento, ferro e rame, carbone e petrolio, rubini e diamanti, e tu ne potrai prendere quanti ne vorrai, ma bada, dovrai estrarli con molta, molta delicatezza, o tutti i tesori della terra franeranno su di te e ti sommergeranno, e per te non vi sarà scampo. Dal mio corpo scaturiscono i terremoti e nel mio ventre affondano le radici dei vulcani: non scherzare con loro, o avrai a pentirtene. Nel mio centro brucia un fuoco, che si estinguerà solo con me: non lo devi temere, è da lui che provengono la mia forza e la mia vita. Sono la terra grassa e fertile, che nutre l’intera umanità e sopporta la sua ingratitudine. Sono la terra che dà vita alla vita, ma stai attento: se la rifiuterai, lei ti punirà. E tu chi sei?”
“Io sono colui che vive al di sopra della terra, che tenta di volare con le aquile, che non osa sottrarre i tesori per timore che non gli siano destinati. Io sono colui che ammira e non coglie. Io, forse, sono troppo lontano da Adamo e non sono stato tratto dalla terra”

ARIA

“Chi sei?”
“Io sono l’aria. L’aria che ti fu insufflata quando per primo abitasti la terra, e da golem di terra ti trasformò in essere umano. L’aria che nutre i tuoi polmoni e mantiene viva in te la vita. L’aria che accarezza il tuo viso e sfiora il tuo corpo, e scompiglia malandrina i tuoi capelli. L’aria che solleva le gonne alle ragazze, donandoti una fuggitiva visione di fresca pelle. Posso spingere la tua barca e farti arrivare in porto sano e salvo, ma non mi devi sfidare, o affogherai miseramente senza il tempo di dire amen. Porto le nubi e la pioggia a dissetare i campi, ma non mi si deve fare arrabbiare, o scatenerò tempeste e uragani, cicloni e tornado e distruggerò ogni cosa sul mio cammino. Posso far stormire le fronde e scoperchiare le case, far fremere le ali delle farfalle o sradicare alberi secolari, perché il mio umore è bizzarro: bisogna conoscermi bene, e non prendermi alla leggera, se non si vogliono avere guai. Io so far piangere i tuoi occhi, e so asciugare le lacrime sul tuo viso, perché molti e vari sono i miei sentimenti. Potrai nutrirti di me quanto vorrai, perché grande è la mia generosità, potrai chiamarmi se vorrai fare il gioco della camicia, perché grande è la mia allegria, potrai cercarmi ovunque e ovunque mi troverai, perché grande è la mia anima, potrai interrogarmi, e sempre avrai risposta, perché grande è la mia fantasia. Solo una cosa non potrai fare mai: dimenticarmi, perché immediatamente ne morirai. E tu chi sei?”
“No, io, io sono uno che con l’aria non va tanto d’accordo. Anzi, mi sono anche fatto venire l’asma per non rischiare di respirarne troppa”.

ACQUA

“Chi sei?”
“Io sono l’acqua. L’acqua che ha accolto la vita prima che fosse vita e l’ha trasformata in vita. L’acqua che ha cullato il tuo minuscolo corpo e lo ha cresciuto fino a farlo diventare il corpo di un uomo. L’acqua che scorre lenta e piana e ti mormora storie senza fine, ma tu dovrai saperle ascoltare, o ti smarrirai nella foresta della vita. L’acqua che sa accarezzare il tuo corpo, ma non dovrai tentare di afferrarla, perché ti sfuggirà per sempre e non la ritroverai mai più. Io sono l’acqua che ti disseta, ma mi dovrai sorbire nella giusta misura: se ne prenderai troppa ti soffocherai, se troppo poca morirai. Ti posso cullare ma ti posso anche travolgere e spazzare via senza pietà, dipenderà solo da te salvarti e godere della mia frescura o perderti per sempre nelle mie rapide, non dovrai commettere errori o sarai perduto per sempre. Io nutro la terra e la rendo fertile e travolgo e spazzo via i villaggi; io do la vita e tolgo la vita, non a mio capriccio, ma secondo leggi inesorabili. Io sono colei che purifica col solo contatto, ma non mi si deve sporcare, o sporcherò a mia volta. Non mi si deve incatenare, o romperò ogni argine, non mi si deve sfidare, perché sarò sempre io la più forte, non dimenticarlo mai. Io do forza e calore, do energia e produco la luce. Con me si può giocare, ma non si deve sbagliare il momento, e non si deve sbagliare il gioco: il prezzo da pagare potrebbe essere molto alto. Io creo sublimi visioni e immani devastazioni, perché in me è la forza che tutto crea e tutto distrugge. In me ti puoi muovere, da me puoi lasciarti cullare, ma devi sapermi seguire, o ti sommergerò senza pietà. E tu chi sei?”
“No io, scusami, ma io non vado tanto d’accordo con te, io non amo lasciarmi cullare da te. In effetti mi piaci, mi affascini, ma preferisco non fidarmi troppo, sai, non si sa mai”.

FUOCO

“Chi sei?”
“Io sono il fuoco. Il fuoco che scalda il tuo corpo e scalda la tua anima e lenisce le ferite del tuo corpo e della tua anima. Io sono il cuore del sole e della terra e degli astri tutti. Per secoli e millenni e migliaia di millenni gli uomini hanno tentato di imprigionarmi. Alla fine hanno creduto di esserci riusciti, e per un po’ io glielo lascio credere, ma prima o poi fuggo e mi dirigo dove meno se lo aspettano. Per secoli e millenni e migliaia di millenni hanno tentato di domarmi, e alla fine anche questo hanno creduto di essere riusciti a farlo. E anche questo per un po’ glielo lascio credere, ma prima o poi mi ribello, poiché non sopporto catene. Io tengo lontani da te gli animali pericolosi e i fantasmi che turbano la tua mente. Da me nascono scintille che illuminano i tuoi occhi e il tuo spirito. Io scaldo il tuo sonno nelle gelide notti invernali e accompagno i tuoi sogni. Io rischiaro la tua via affinché tu non ti perda per selve oscure e rendo sacri i giorni di festa. Tale è la mia potenza che i popoli delle foreste mi credono un dio e mi adorano e mi pregano. Gli uomini delle macchine non mi credono un dio, ma hanno bisogno di me quanto quelli che essi chiamano “primitivi”. Io sono ovunque e sono il motore di ogni cosa, senza il mio calore nessuna cosa funzionerebbe sulla terra, e la vita stessa scomparirebbe. Io sono dunque il tuo calore e la tua fonte di vita. Forse potrei dire che io sono la tua vita stessa. E tu chi sei?”
“Ecco io, vedi, io sono un uomo dimezzato. Il mio spirito ti ama e ti cerca e ti desidera, ma il mio corpo ti teme, ha paura di restarne bruciato, e così il mio corpo e il mio spirito sono sempre lontani l’uno dall’altro”.
“Allora lascia che il tuo spirito sia completamente compenetrato da me. Quando ciò sarà avvenuto, il tuo corpo e il tuo spirito si riuniranno”.
“Ma non è facile”.
“No, non lo è. Ma nessuna cosa è facile su questa terra. E se tu vuoi vivere, e non solo sopravvivere, non hai altra scelta”.
“Ma tu sei pericoloso”.
“Sì, lo sono. Ma chi ha paura del pericolo non possiederà la vita”.

barbara

ACQUA

Mekorot
In aggiunta alla nerchiotomia politicamente corretta, soffermerei l’attenzione su quel 45% di dispersione a Roma e 35% in media in Italia: credo che per questo brillante risultato vada un sentito ringraziamento anche a quei 26 milioni di craniofallici, pari al 54% degli italiani con diritto di voto, che non avendo la più pallida idea della differenza fra gestione e disponibilità, né del funzionamento delle gestioni pubbliche, hanno votato per “acqua bene comune”.
Quanto invece al qui sopra menzionato Paese al di là del mare, può valere la pena di rileggere questo.

barbara