LA SETE DI GIUSTIZIA DI BLACK LIVES MATTER

(e dei loro leccaculo)

Ecco cosa sta davvero accadendo in America: gli ultimi giorni di Jake Gardner

La notte del 31 maggio scorso, Jake Gardner, 38 anni, ex Marine e veterano disabile dell’Iraq, è al lavoro nel suo bar The Hive, di Omaha, Nebraska, quando vede suo padre spintonato da un gruppo di manifestanti al di fuori del locale. Sembra che il gruppo stesse lanciando sassi e rompendo vetrate, e che l’anziano li avesse ripresi.
Gardner esce dal locale e confronta il gruppo, che diventa aggressivo. Li avverte che è armato e che vuole solo essere lasciato in pace. Le minacce continuano. Gardner gli mostra la pistola che tiene nella cintura e avverte ancora di lasciarlo in pace, mentre indietreggia. Due manifestanti gli saltano addosso facendolo cadere per terra. Gardner estrae la pistola e spara due colpi di avvertimento. I due uomini fuggono.
A questo punto, mentre Gardner è ancora a terra, James Scurlock, 22 anni, gli salta addosso alle spalle passandogli un gomito intorno alla gola. Passano alcuni secondi, Gardner non riesce a liberarsi. Punta la pistola alle sue spalle e spara colpendo Scurlock alla clavicola, uccidendolo. Scurlock aveva precedenti per rapina, violazione di domicilio, possesso illegale di arma da fuoco e aggressione. All’autopsia risulterà positivo a cocaina e metanfetamina.
Subito voci iniziano a circolare sui social media che un “white supremacist” ha ucciso un ragazzo di colore. Poche ore dopo la polizia di Omaha conferma che Gardner è sotto custodia. Iniziano le indagini tra le proteste degli attivisti.
Gardner viene istantaneamente accusato di essere un “noto suprematista bianco”, e si inizia a scavare nel suo social media footprint.
Gardner è un sostenitore di Trump, nel 2016 partecipò alla sua inaugurazione presidenziale. Esiste un video in cui viene intervistato a Washington DC, esprimendo sia il suo supporto al presidente, sia per il diritto a manifestare delle donne della Woman’s March.
Il suo bar, The Hive, ha spesso ospitato eventi del locale Partito Repubblicano. Una volta, in un post su Facebook si è lamentato che i clienti transgender pre-op usassero il bagno delle donne, invece di quello unisex. “Non credo sia chiedere molto”, aveva detto. Gira voce che il suo porto d’armi fosse scaduto, cosa che non trova conferma, ma viene considerato dagli attivisti online una prova di “white privilege”. I membri della rock band 311, sul cui tema The Hive è modellato, condannano pubblicamente Gardner su Instagram.
Alla conclusione delle indagini, il procuratore distrettuale Don Kleine conclude che Gardner ha agito per legittima difesa. Gli attivisti esplodono su internet, minacciando rivolte e ritorsioni. Black Lives Matter mette sotto assedio l’abitazione del procuratore e fa pressioni sul sindaco e sul governatore perché l’indagine venga riaperta.
Il proprietario dell’edificio in cui è situato The Hive sfratta Gardner dopo ripetuti appelli online a dargli fuoco da parte degli attivisti. Gardner viene sfrattato anche dal suo appartamento. L’indirizzo di casa dei suoi genitori viene reso pubblico, così come pure quello degli amici che gli mostrano solidarietà e delle loro famiglie.
Alla fine, il procuratore Kleine cede. Dichiara che “in questa rara circostanza” accetterà una “revisione esterna”. Il giudice assegna il caso ad un procuratore speciale, Frederick Franklin, membro di una associazione legale di soli afroamericani.
Rivisto il caso, Franklin accusa Gardner di omicidio preterintenzionale, tentato assalto, uso di un’arma da fuoco a scopo criminale, e terrorismo.
L’accusa verte su un post lasciato da Gardner su un social media“Just when you think ‘what else could 2020 throw at me?’ Then you have to pull 48 hours of military style firewatch”Firewatch è un termine militare che significa essere in servizio. Franklin interpreta il post come una forma di vigilantismo. E sul fatto che Gardner abbia intimato agli assalitori di suo padre di lasciarli in pace facendo presente di essere armato. Cosa che Franklin interpreta come una minaccia.
Il Grand Jury conferma le accuse. Gli amici di Gardner fanno partire diverse sottoscrizioni per la sua difesa legale su GoFundMe e altre piattaforme. Tutte vengono chiuse in seguito alle proteste degli attivisti. La sottoscrizione su GoFundMe per la famiglia di Scurlock raccoglie circa 65 mila dollari.
Lunedì 21 settembre, il giorno prima di doversi consegnare alla legge per subire il processo, solo, senza casa, senza lavoro, senza denaro per la cauzione o per una difesa legale, Jake Gardner si uccide con un colpo di pistola.
Online alcuni degli attivisti che avevano condotto la campagna contro Gardner celebrano la sua morte. Altri si rammaricano di come abbia trovato il modo per sfuggire alla giustizia.

Max Balestra, Set 2020, qui.

Bancarotta morale, bancarotta sociale, bancarotta legale. Non credo ci siano parole sufficienti per commentare un simile sfacelo. Ma anche noi, nel nostro piccolo, ci diamo da fare, col governo che ha deciso di vendere i nostri culi all’islam.

L’ultima follia del governo: “Stop alla cultura se offende l’Islam”. Lega e Fratelli d’Italia sulle barricate

Ratificata la convenzione di Faro sul patrimonio culturale. Protestano le opposizioni

23 settembre 2020

Stop alla fruizione dell’arte se rischia di “offendere” le culture altrui. E’ uno dei passaggi della Convenzione di Faro approvata dalla Camera dei deputati tra le proteste dei partiti dell’opposizione.
“Con l’approvazione alla Camera della Convenzione di Faro che introduce il concetto della necessità di porre limitazioni della fruizione del nostro patrimonio artistico e culturale per non offendere altrui culture siamo alla più clamorosa resa culturale della nostra civiltà. La sottoscrizione è la Caporetto di una civiltà. La nostra civiltà si fonda sulla libertà della espressione artistica e culturale. La nostra identità culturale e artistica non può essere oggetto di mediazioni. Ancora una volta il governo giallorosso rappresenta la punta più avanzata della cessione identitaria e della sottomissione culturale. Noi difenderemo sempre l’identità italiana e, se qualcuno si sente offeso dai simboli della nostra cultura, ha un solo modo per non sentirsi offeso: scegliere altre Nazioni dove vivere”. Lo afferma Andrea Delmastro, deputato di Fratelli d’Italia e capogruppo FDI in commissione Esteri.
Furiosa anche la Lega: “Con tutti i problemi che hanno gli italiani, i lavoratori e il paese, oggi il Parlamento non viene impegnato a risolverli, ma ad approvare una convenzione che svenderà il nostro patrimonio artistico all’Islam. Dietro l’apparenza delle buone intenzioni, si darà di fatto la possibilità di censurare la nostra arte se altre comunità o singoli si sentiranno offesi come, ad esempio, la comunità islamica. La Convenzione di Faro è un provvedimento gravissimo e pericoloso. Non a caso a ratificarlo è l’Italia e non la Francia, la Grecia o la Gran Bretagna. Un’arma geoculturale potentissima in grado, se utilizzata da alcuni, di cancellare la nostra identità e la nostra libertà” attaccano i parlamentari della Lega Lucia Borgonzoni, responsabile Cultura del partito, e Paolo Formentini, vicepresidente della commissione Affari esteri della Camera. (qui)

Si noti, per inciso, che nessuno degli ebrei che da oltre duemila anni vivono in Italia ha mai protestato per crocifissioni o Madonne con Bambino o nudi più o meno integrali, che pure turbano non poco gli ortodossi, meno che mai minacciato sfracelli, menissimo che mai attuato sfracelli, quindi non stiamo parlando di “altrui culture”, bensì di un’unica cultura: quella di chi ci ha invaso e ora pretende di dettare legge, e di fronte alla quale il nostro governo mette tutti noi a pecorina. E se ci ammazzano, pazienza.

Un fantasma si aggira per l’Europa, un nemico invisibile: e no, non è il coronavirus

Nelle ultime settimane, il nemico invisibile che circola liberamente sulle strade delle nostre città, il fantasma, verrebbe da dire, che si aggira per l’Europa, ha ricominciato a colpire. Duramente. Certo, voi lo vedete sempre di più così, in maniera un po’ folcloristica, coi suoi abiti lunghi, il copricapo, la barba lunga, in alcuni quartieri è anche colorato e vivace (lui, non le loro donne, costrette al nero e a nascondersi sotto scafandri ingombranti e punitivi). E perché dovrebbe darci fastidio? Vi dite da bravi cittadini responsabili e accoglienti.
Però voi non vedete la sua parte invisibile, quella che sfugge perché si mescola alla perfezione nelle nostre allegre società multirazziali. O multirazziste, se preferite. È una parte che colpisce senza distinzione di spazio-luogo, e innescandosi in un tempo random imprevedibile. Sceglie le vittime a caso, come a Birmingham, dove circolava con un cappellino da baseball, che potrebbero indossare milioni di giovani neri o bianchi, una felpa col cappuccio che fa tanto V for Vendetta e un coltello in tasca. Un morto e sette persone ferite, scelte a caso, nella zona della movida di Selly Oak. Le autorità, che sono complici ormai del nemico invisibile, si sono affrettate a dire che non c’è matrice religiosa, ma voi, ipocriti lettori come me, ipocrita scrittore, sapete che il nemico si ispira al suo testo sacro. E che i capi che portano avanti la lotta all’Occidente e all’uomo bianco – in combutta con la sinistra internazionalista che oggi si riconosce sotto il disgustoso simbolo marxista del pugno chiuso di Black Lives Matter – hanno scelto la guerriglia di basso profilo. Andare, come fantasmi, mimetizzarsi, confondersi fra la folla e colpire a casaccio. Non preoccupatevi, dicono quei capi, avete la copertura mediatica adeguata e soprattutto la copertura delle autorità che non vi torceranno un capello (se non per dare un po’ di fumo negli occhi al pubblico terrorizzato; poi i processi arriveranno, sì, forse, chissà; tanto nessuno verrà mai a saperlo perché i mass media amici non riporteranno la eventuale condanna).
Il nemico invisibile ha colpito anche in Italia, Paese che i poveri cittadini in mascherina e guanti, e in attesa del microchip nel cervello del mio mito Elon Musk, stanno ormai abbandonando a sé stesso. Mi verrebbe da dire, ai miei concittadini in mascherina, guanti e terrore negli occhi del virus invisibile (o teleguidato): dai dai che sta arrivando il mio mito Elon, e vi toglierà l’impaccio orrendo di dover vivere una vita autonoma e responsabile, non dovrete più decidere per voi, riceverete direttamente i comandi nei neuroni cerebrali. Vuoi mettere che manco più la tv dovrete accendere?
Il nemico invisibile, dicevo, ha colpito a Como. Il prete degli ultimi, il prete dei diseredati che aiutava, il prete umanissimo e di manzoniana memoria. Il nemico invisibile ha agito seguendo alla lettera i dettami del suo testo sacro che spiega nel dettaglio come conquistarsi la fiducia del nemico e colpirlo proprio nel momento più imprevedibile. Zac, una nuova coltellata in strada, senza motivo (il motivo estorto dagli inquirenti dopo l’arresto del soggetto, definito subito malato di mente, non conta assolutamente nulla; serve a Barbara d’Urso e ai suoi ospiti per farci una puntata mentre si cucinano le lasagne della domenica itagliana).
Il nemico invisibile segue una precisa strategia di guerriglia. Mimetizzarsi. Confondersi. A volte pure integrarsi alla perfezione nel tessuto sociale. Poi, quando meno se lo aspettano (quando meno ce lo aspettiamo noi ipocriti lettori e scrittori) zac, colpirlo.
Stessa dinamica seguita in Svizzera, ai danni di un povero ragazzo portoghese a cena con la ragazza. Vittima scelta a caso, testo sacro come riferimento, e arma bianca ritrovati con lui. Sgozzamento, violenza nemmeno più disumana, trans-umana, forse. Il poveretto è morto dissanguato davanti alla ragazza. Nessuno, fra i media complici del nemico, ne ha parlato. Chiaro, non vorrete disturbare adesso che il virus sembra rinascere dalle sue ceneri come una Fenice (non araba, per carità, dovessimo andare incontro a censura).
Vedete, io sono convinto che la guerra è ormai persa. A dimostrazione di quanto dico, c’è il clima di restrizioni “per ragioni sanitarie” che hanno trasformato il nostro mondo in una versione occidentale del mondo del nemico: una vasta landa di desolazione, gente mascherata col volto coperto, come dottrina religiosa del nemico impone, terrorizzata dall’aria che respira, dall’altro che si avvicina; la musica (elemento fondamentale che il nemico detesta) è sospesa; il divertimento, lo stare assieme (se non per ‘eventi’ decisi dai partiti politici), le feste, le discoteche, cinema e teatri (riaperti più per far vedere che… ma di fatto vuoti), ogni elemento che infastidisce il nemico invisibile è stato colpito al cuore.
Nei quartieri di periferia s’avanzano le truppe cammellate, nei quartieri non più di periferia si affacciano per guardarsi intorno e capire come possono conquistare. In Francia si parla apertamente di porzioni di territorio che il nemico invisibile rivendica. Nel frattempo, timidi segnali di risveglio si intuiscono qua e là. Rasmus Paludan, che i media si sono sbrigati a tacciare di estremismo di destra, ha platealmente bruciato il testo sacro del nemico, causando scontri anche in Svezia, a Malmö, città ormai quasi persa [quasi?], territorio conteso, enclave in trincea. Il presidente francese Macron, in occasione dell’inizio del processo contro l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, ha detto che in Francia c’è libertà di parola financo di blasfemia (perbacco!). Poca roba. Servirebbero non azioni dimostrative, parole così, dette perché fa l’effetto di una difesa arcigna. Servirebbe ben altro, servirebbe rispondere con una violenza cento volte maggiore alla loro, come diceva il direttore panciuto di quel giornale che oggi è diventato il secondo foglio di riferimento del governo giallo-rosso.
È triste assistere alla sconfitta del genere umano che di più ha apportato all’evoluzione della specie. Noi bianchi, occidentali, europei con radici giudaico cristiane. Triste perché quello stesso esemplare ha dimostrato di possedere un senso di colpa innato che altre razze (o etnie che si voglia) non possiedono. Ed è per questo che vinceranno. Anzi che hanno già vinto.

Adriano Angelini Sut, 24 Set 2020, qui.

E poi il terrorismo sanitario del virus, già. Terrorismo della specie peggiore: quello che sono riusciti a far introiettare a un sacco di gente, che continua a vivere come se la morte galleggiasse nell’aria pronta a colpirli in ogni momento, che vivono come “normale” questo incubo orwelliano in cui siamo stati scaraventati, che si astengono dai contatti umani, che marciano fieramente per la strada con la mascherina inastata, non importa quanto lontani da chicchessia – e, come dice il geniale amico Fulvio, portare la mascherina per andare per la strada è come mettersi il preservativo per farsi una sega. Potrebbe, tutto questo, bastare? Potrebbe, ma a loro non basta: perché se ti azzardi a protestare quando vorresti rispettare le regole da loro imposte ma che loro rendono impossibile rispettare, che cosa succede? Che ti zittiscono e tentano di intimidirti, addirittura nella persona della presidente della Camera del Senato, guardare per credere:

barbara

TUTTO QUELLO CHE AVEVO SEMPRE SOGNATO DI LEGGERE IN UN ARTICOLO

e non avevo ancora trovato.

“Bianco”, per reagire alla follia del politicamente corretto. Incontro con Bret Easton Ellis

di Adriano Angelini Sut

Una domenica di ottobre tiepida, l’ottobre che a Roma piega anche la più tenace delle resistenze con la mitezza. All’Auditorium Parco della Musica c’è la 14esima edizione della Festa del Cinema. Quest’anno il cartellone è particolarmente ricco, anche di eventi collaterali, come l’incontro con Bret Easton Ellis, lo scrittore americano che ha dato forma a capolavori come “Meno di Zero”“American Psycho” e “Le regole dell’attrazione”. Ellis oggi è una voce scomoda (pure se non scrive romanzi dal 2010, dai tempi di “Imperial Bedrooms”). Felicissima la scelta di Antonio Monda di invitarlo a parlare di cinema, certo. Ma lo scrittore è venuto a Roma anche per presentare “Bianco” (Einaudi), il suo nuovo pamphlet d’accusa contro la piaga del politicamente corretto che sta infestando gli Stati Uniti ormai da diversi anni e, per riflesso, il resto del mondo occidentale.

In conferenza stampa appare vivace e determinato. Il cinema, appunto. Gli anni ’70. Gli anni in cui, da quanto scrive su “Bianco”, vedeva uno o più film al giorno; era un adolescente cresciuto con American Graffiti, con I Cancelli del CieloIl Cacciatore, ma soprattutto con l’horror. L’horror che lo ha aiutato a crescere, come ha provocatoriamente suggerito, in una sorta di rito di passaggio solipsistico (non a caso fra i film scelti per parlare con Antonio Monda di cinema americano c’è Carrie di Brian De Palma tratto da Stephen King). Il cinema che è cambiato come tutta la cultura pop occidentale. Come la società. Una delle sue tesi del libro è che negli anni ’70 non eravamo ancora entrati nella fase infantile della società. I figli/bambini non erano il centro del mondo familiare/istituzionale. Non si cresceva necessariamente ‘viziati e iperprotetti’, ognuno i suoi riti di passaggio se li faceva un po’ come capitava; la strada; la scuola, gli amici. Senza troppi piagnistei. (Aggiungo io: ti sfottevano, ti menavano? Reagivi. Si faceva a botte. Oppure stavi zitto e facevi pippa. Pure così si cresce.)

Si parla anche delle diverse generazioni di cinefili e/o autori cinematografici. I registi Martin Scorsese e Francis Ford Coppola che oggi attaccano i film della Marvel. Bret che non fa una piega.

“Coppola ha 80 anni e i suoi migliori film li ha fatti 40 anni fa. Triste, ma questo è. È ovvio che disprezza i film della Marvel. Perché, essendo anch’essi dei sogni, si stanno sostituendo ai suoi. Nel suo sogno degli anni ’70, e in quello della vecchia Hollywood, c’era la convinzione che i suoi sogni e il capitalismo potessero coesistere. Il Padrino ne è un esempio; un grande film d’autore diventato anche un blockbuster. In realtà quella sua convinzione non è si verificata affatto. Nella tendenza a sminuire i film della Marvel, che sono appunto sogni, vedo un certo snobismo. Alla gente piacciono, tutti corrono a vederli. E non sono sicuro che il pubblico abbia sempre torto. A me non piacciono però; mi sembrano noiosi e molto conservatori. Tutti i protagonisti sono ricchi, potenti, governano paesi. Non mi sembra che quello descritto dalla Marvel sia un perfetto mondo democratico. Non sono nemmeno film d’autore. Nessuno si preoccupa più di tanto di chi possa dirigerli; i registi a Hollywood vengono ormai licenziati dopo un film se non va bene al botteghino”.

A me però interessa parlare del libro. L’ultima domanda della conferenza stampa prima dell’incontro ristretto cui avremo accesso ci apre la strada. “Bianco”? Perché quel titolo controverso?

“Il titolo non dovrebbe essere affatto controverso. È il mio lavoro, perché dovrebbe essere controverso? Ed è molto noiosa come risposta. Pensavo a una mia amica giornalista, Joan Didion, che ha scritto un bellissimo libro di racconti chiamato The White Album (pubblicato in Italia da Il Saggiatore, nda) e che ho recensito. Il mio editor voleva che dessi un titolo al libro e io volevo qualcosa con bianco. Così me ne sono uscito con un titolo scherzoso, Bianco, ricco e privilegiato, pensavo fosse ironico e divertente, rifletteva un certo punto di vista. Il mio editor ha però obiettato che forse, rispetto al registro del libro, fosse troppo scherzoso e così ha suggerito di togliere ricco e privilegiato ed è rimasto bianco. Ecco come è nato il titolo. In fondo quello che si dice nel libro è che bisogna calmarsi, non bisogna dare un colore a tutto. Rosso come scontro, arancio di rabbia, verde d’invidia o nero. Raffreddiamo e riportiamo al neutro ogni cosa; pensiamo in bianco.”

L’incontro ristretto si svolge in sala stampa. (Nota personale, ringrazio profondamente l’ufficio stampa della Festa del Cinema di Roma, sono stati splendidi). Ci sediamo, io, il ragazzo dell’Huffington Post e un’altra ragazza di cui non ricordo la testata (sorry!).

Lui, imponente nella sua Lacoste nera, ci raggiunge. Si parla subito di Millenials. Non li ha risparmiati in “Bianco”, povere creature fragili. “Non sono un esperto di Millenials, quando ho twittato su di loro stavo semplicemente prendendomi gioco di certe loro cose, ma la gente ha iniziato a stranirsi. Su di loro ho scritto un articolo e molti si sono arrabbiati (nda, li ha accusati di essere dei narcisisti, stupidi e vittime di se stessi e della mania tutta progressista di vittimizzarsi; li ha definiti Generation Wuss, lì dove Wuss è un sinonimo di Wimpy – rammollito – termine, Wuss, coniato per la prima volta nel 1964 in una scuola media di San Diego). Io sono più vecchio e vengo da un’altra generazione (chiamata X negli anni ’90, nda) e non sono un esperto. Dico solo che verso di loro sono, oggi, più comprensivo, soprattutto per il fardello della crisi economica che portano ma mi infastidiscono, che volete farci? Non è la fine del mondo. In fondo hanno fatto solo quello che sono capaci a fare: reagire in maniera isterica”.

E i genitori?

“I genitori in un certo senso sono più attenti, hanno più cura dei figli e questo li ha resi più sensibili, troppo. I miei non lo erano affatto, ma credo che questa generazione non li prepari abbastanza per affrontare la durezza della vita. Sono, questi ragazzi, così fragili a livello nervoso, c’è questo alto tasso di suicidi, di farmaci consumati. Ti dico, quando io ero a scuola non c’erano le sparatorie di adesso, eppure avevamo lo stesso accesso alla compravendita di armi. Sono deboli, i Millenials. Forse la soluzione sta nel mezzo fra i metodi dei miei e di questi nuovi genitori. I miei non mi chiedevano mai: vuoi vedere questo film? Cosa vuoi per cena? Questi invece chiedono in continuazione cosa vuoi? Cosa vuoi? Sono iperprotettivi e non li preparano ad affrontare la vita”.

Parliamo del politicamente corretto. Che cosa si può fare per bloccare questo nuovo totalitarismo?

“Rispondere, difenderci. In qualità di artista e scrittore io mi esprimo e mi aspetto che la gente voglia che io mi esprima liberamente. Qui non si parla di discorsi d’odio. Qui si parla della possibilità di scrivere ciò che penso su una certa cosa, così come si ha la possibilità di non leggere ciò che scrivo, non guardare quel quadro, non vedere quel film. Nessuno però deve avere il diritto di censurare solo perché una cosa non piace. Invece tutto ciò negli Stati Uniti sta succedendo. Coi quadri, con i libri, con i film. E in particolare sta influenzando i social, dove tutto si censura. E sta succedendo pure nel mondo dell’editoria e la cosa è piuttosto allarmante. Se il romanzo non è sufficientemente corretto politicamente, se lo scrittore, dicono, si è appropriato di un’altra cultura, allora è censurato; arriva una lettera di protesta e l’editore o lo scrittore stesso bloccano il libro. Viviamo un momento folle, folle davvero. Viviamo in una società in cui nessuno sa cos’è un artista, non solo, nessuno sa cosa farci dell’arte, come vivere l’esperienza artistica. Il grande scontro, oggi, di cui parlo nei miei podcast radiofonici, è fra l’ideologia e l’estetica. È scioccante vedere gente nell’industria culturale che si autocensura. C’è gente come Sarah Silverman che dice che bisogna autocensurarsi perché viviamo in un’era diversa e dobbiamo adattarci. No, io non mi adatto nemmeno per il cazzo a questa stupida era. Cioè io dovrei cambiare il mio modo di scrivere storie perché la gente si offende? No, mi spiace. Adesso, a questo punto della mia carriera, non cambio. Io ho sempre offeso qualcuno e non so come fare il contrario. Non saprei nemmeno come cominciare a non offendere. Fa paura questa cosa, l’artista si autocensura, teme di dire delle cose, dar voce alle sue opinioni. Credo però che abbiamo raggiunto un punto di non ritorno e c’è gente che comincia a sentirsi quel cappio intorno al collo da cui io sono sfuggito”.

Si parla poi di serie tv e del nuovo film di Tarantino. Del fatto che non necessariamente le serie sono migliori dei film e che Tarantino, nel suo ultimo “C’era una Volta Hollywood” gli ha detto che voleva fare un film solo per il cinema, un film dove la gente non poteva che guardarlo su grande schermo; non a casa, non sul divano; ma lì come ai vecchi tempi. E che il film sarebbe potuto durare nove ore e non tre. C’è un’ultima domanda. Non la faccio io. Ma merita di essere riportata per la risposta.

Lei si sente contento di essere americano in questo particolare momento?

“Sì, sono molto contento di essere americano in questo particolare momento. O meglio, posso essere anche triste e scontento di ciò che sta avvenendo ma penso che oggi più che mai bisogna sentirsi fieri di essere americani, proprio per stemperare ciò che sta avvenendo. Non mi vergogno di essere americano, sono fiero di essere americano, anzi un maschio bianco americano, e tuttavia io prima di tutto sono uno scrittore”. Cos’altro aggiungere? (qui)

Aggiungo io una cosa. Leggo in Wikipedia

Omosessuale dichiarato, critica duramente l’atteggiamento adulatorio tenuto dai media nei confronti dei gay successivamente al loro coming out, del quale ritiene principalmente responsabile la propaganda del movimento LGBT.

Santo subito!

barbara