TEMPI. Coronavirus, il modello cinese ha causato il disastro. Altro che «imitarlo»
Condividiamo un’interessante Articolo di Leone Grotti su TEMPI.it
Oms e giornali di casa nostra elogiano il regime comunista per aver arginato l’epidemia. Dati, numeri e storie per smontare il «successo» di Pechino.
Oggi che l’Italia è in enorme difficoltà nel contenere l’epidemia di coronavirus, spuntano come funghi gli elogi al «sistema autoritario cinese». Il regime ha quasi fermato il contagio: ieri si sono registrati appena 20 nuovi casi, contro gli oltre 3.000 di un mese fa, e neanche uno fuori dall’Hubei, la provincia che ospita l’epicentro dell’epidemia, la città di Wuhan. Qui i suoi 11 milioni di abitanti da un mese non possono uscire di casa e le strade assomigliano a quelle di una città fantasma. Circa 60 milioni di persone sono state messe in quarantena in tutto il paese, 14 ospedali sono stati costruiti in pochi giorni per accogliere i nuovi malati e chi nasconde i sintomi dell’infezione può essere condannato a morte. L’approccio estremo di Pechino è stato definito «coraggioso» dall’Oms, che l’ha valutato come «lo sforzo di contenimento della malattia più ambizioso, agile e aggressivo della storia», mentre per il Corriere della Sera il modello cinese è «da seguire».
SE IL MONDO È NEI GUAI È COLPA DEL REGIME
È vero che l’assenza di democrazia ha permesso ad esempio al governo cinese di sospendere il campionato di calcio, causando perdite milionarie ai club, senza incassare proteste di alcun tipo e di mettere in quarantena 60 milioni di persone senza che nessuno battesse ciglio. Ma la natura autoritaria del governo cinese, così efficiente quando si tratta di obbligare e reprimere, è anche quella che ha permesso al virus di circolare indisturbato per almeno due mesi. Se oggi l’Italia (e presto la Francia, la Germania e chissà quanti altri paesi) si trova in ginocchio è perché a inizio dicembre la Cina non ha rivelato la presenza di abitanti di Wuhan in ospedale con gravi sindromi respiratorie simili a quelle causate dalla Sars.
Ed è sempre per colpa del sistema autoritario cinese che quando un medico, Li Wenliang, oggi osannato da tutti i media cinesi e del mondo, si è accorto dell’esistenza di un nuovo virus e ha avvertito i suoi colleghi, invece che essere ascoltato, è stato convocato da polizia e Partito comunista che gli hanno ordinato di negare tutto. Il sistema autoritario cinese non voleva fare brutta figura, soprattutto in un momento in cui doveva svolgersi il congresso provinciale del Partito a Wuhan, e voleva preservare se stesso a discapito della salute della popolazione.
«FALSITÀ, LE AUTORITÀ MENTONO»
E perché, nonostante gli ospedali di Wuhan fossero da giorni strapieni e senza più posti, nessun giornale ha lanciato l’allarme? Perché il sindaco della città non ha detto nulla fino al 23 gennaio, permettendo a tutti i suoi abitanti di uscire liberamente da Wuhan e infettare l’intero territorio della Cina e di conseguenza i paesi di tutto il mondo (perché il contagio è partito dalla Cina, cara Cnn, non dall’Italia)? Semplice: perché il sistema autoritario cinese ha impedito la diffusione di informazioni, sia da parte della stampa che delle autorità locali, fino a quando il segretario del Partito comunista Xi Jinping non ha lanciato l’allarme il 23 gennaio. La Cina ha già avuto 80.924 casi e 3.136 decessi: quanti di questi sarebbero stati evitati se la Cina fosse stata una democrazia?
Oms e giornali si sperticano in lodi al sistema della quarantena cinese, ma non si chiedono perché quando venerdì 6 marzo la vicepremier Sun Chunlan si è recata a Wuhan per verificarne l’andamento, centinaia di persone si sono arrischiate ad affacciarsi dai balconi dei palazzi blindati per gridare: «Falsità, solo falsità, le autorità mentono». I cinesi non capiscono e non vedono quanto il loro sistema sia desiderabile? Il punto è un altro: i cinesi conoscono davvero il sistema e non si fermano agli specchietti per le allodole.
QUANTE PERSONE ABBANDONATE IN QUARANTENA
Quante persone, infatti, come il nonno di Zhang Bella, si sono ammalate a Wuhan, hanno cercato invano posto in ospedale, non hanno mai fatto il tampone nonostante presentassero tutti i sintomi del Covid-19 e sono stati messi frettolosamente in quarantena, abbandonati dalle autorità e morti da soli nel letto di casa? Il signor Zhang è stato immediatamente cremato da un’agenzia funebre senza che la sua morte fosse ascritta al virus. L’Oms elogia il governo comunista perché in Cina il coronavirus avrebbe un tasso di mortalità di appena il 3,8%, mentre in Italia già sfiora il 5%. Ma com’è possibile credere alle cifre di Pechino? Quanti signor Zhang ci sono stati in Cina?
A Lianshui, nella provincia dello Jiangsu, un’intera famiglia è stata blindata in casa con sbarre di metallo dalle autorità locali. Sulla porta è stato appeso il cartello: «In questa casa vive una persona rientrata da Wuhan. È vietato toccare». La famiglia ha confessato che sarebbero tutti morti di fame se un vicino, mosso a compassione, non gli avesse calato dal balcone del cibo. Simili metodi di quarantena forzata sono stati applicati in tutta la Cina da zelanti funzionari del Partito. Quante famiglie non hanno avuto la stessa fortuna di quella di Lianshui e sono decedute? Non lo sappiamo, ma come si fa a elogiare la quarantena con caratteristiche cinesi davanti a simili eccessi?
«GUARITI», EPPURE MORTI
E ancora, c’è bisogno di ricordare la vicenda di Yan Xiaowen, chiuso in quarantena insieme al figlio minore e costretto ad abbandonare il figlio maggiore, affetto da paralisi cerebrale, in casa da solo? Le autorità locali della contea di Hongan (Hubei) avevano giurato al padre che si sarebbero presi cura di lui, invece l’hanno lasciato morire di fame in mezzo ai suoi escrementi. «La verità è che è morto e basta», hanno risposto i funzionari del partito locale all’inchiesta seguita al caso. Quante persone, come il figlio di Yan Xiaowen, sono morte per colpa di un sistema autoritario tanto efficiente quanto disumano?
Circa 57 mila persone sono guarite in Cina dal Covid-19, eppure ci sono delle storie che portano a dubitare dei numeri ufficiali rilasciati dalle autorità. Li Liang, come raccontato da Caixin, è stato dichiarato definitivamente guarito il 25 febbraio e posto in quarantena a Wuhan per altre due settimane, come previsto dagli stringenti regolamenti tanto elogiati dai giornali. In quarantena ha cominciato a sentirsi male di nuovo, ma nessun medico lo ha visitato perché il suo caso era risolto e il 5 marzo è stato trovato morto nella sua stanza di hotel dalla moglie. Le tac presentavano ancora problemi ai polmoni ma Li Liang era stato dimesso ugualmente e oggi è ancora contato dalla Cina come un caso medico di successo. Quante persone come Li Liang si trovano tra quei 57 mila “guariti”?
ECCO COME «RIPARTE» L’ECONOMIA IN CINA
Tutti questi dettagli ovviamente non sono mai menzionati da chi liscia il pelo al regime comunista in Cina e poi denuncia il pericolo fascismo in Italia. L’unico problema della quarantena a oltranza riguarderebbe i suoi effetti nefasti sull’economia. Ma Pechino ha dichiarato che l’economia in Cina è già ripartita, fornendo a tutto il mondo dati inequivocabili. Peccato che, ha scoperto Caixin, i numeri sono tanto affidabili quanto quelli delle persone guarite che si godono la convalescenza al cimitero. Infatti, hanno rivelato molti imprenditori al giornale, il governo centrale calcola la ripresa economica di fabbriche e aziende in base al consumo di energia. Per questo, chiede a tutti i segretari locali del Partito comunista di rispettare certe quote di elettricità consumata. I segretari si rifanno sui proprietari delle aziende, che a loro volta azionano e fanno andare anche tutta la notte macchinari, luci e condizionatori. Le aziende però restano vuote e i dipendenti a casa per mancanza di lavoro. Così le quote sono rispettate e l’economia riparte sulla carta anche se nella realtà non cambia niente. «Falsità, solo falsità», come gridavano gli abitanti di Wuhan a Sun Chunlan.
Se a queste storie aggiungiamo che quei medici, giornalisti, professori universitari e singoli cittadini che hanno provato a denunciare sia l’epidemia sia gli errori del governo sono stati arrestati, forse ai tanti leoni da tastiera che popolano il web nostrano non conviene molto elogiare il sistema autoritario cinese. Il governo italiano deve migliorare la gestione dell’emergenza, smettendola di inviare segnali contrastanti e confusi, certo, la gente deve comprendere la gravità della situazione e rispettare le direttive, senza dubbio, ma se proprio dobbiamo rifarci a un modello guardiamo alla Corea del Sud. E lasciamo perdere la Cina, dove il virus è stato bloccato dall’eroismo dei cinesi di Wuhan e non dal governo. (qui)
Poi c’è quest’altro virus, non so se altrettanto o più pericoloso del coronavirus.
Si diffonde in Italia il virus della propaganda cinese: boom di casi positivi tra politici, commentatori e virologi
Sta già accadendo. Oltre al coronavirus, sta circolando in Italia il virus della propaganda cinese, che punta a riabilitare l’immagine di Pechino presentando il “caso Wuhan” come una storia di successo nella lotta al Covid-19 e, quindi, il suo sistema totalitario come un modello in contrapposizione all’inefficienza e alla confusione delle democrazie occidentali.
La posta in gioco è alta per il Partito comunista cinese e il suo leader, Xi Jinping: il mondo è avviato verso una recessione economica globale le cui cause potrebbero essere facilmente ricondotte ai ritardi e alle decisioni sbagliate da parte di Pechino nelle prime settimane di diffusione del nuovo coronavirus a Wuhan. Una relazione di causa-effetto che il regime comunista cinese è determinato a contrastare fin da subito, prima che prenda piede. Ha quindi lanciato una controffensiva propagandistica – magistralmente descritta già qualche giorno fa su Atlantico da Enzo Reale -volta a riscrivere, ribaltandola, la storia del coronavirus.
La controffensiva è globale, ma al momento l’Italia sembra essere il solo Paese occidentale dove fa presa. Ma quali sono i punti forti che vengono “spinti” dai diplomatici e dai media cinesi nel dibattito pubblico occidentale?
Primo, il coronavirus potrebbe non aver avuto origine in Cina. “Anche se scoperto per la prima volta in Cina, non significa che abbia avuto origine in Cina”, ha osservato Zhong Nanshan, uno scienziato, lo scorso 27 febbraio. L’ambasciata cinese di Canberra ha avvertito i giornalisti che sostenere che il coronavirus sia originato in Cina significa “politicizzare” la questione.
Ma l’apparato propagandistico del regime non si accontenta di mettere in dubbio l’origine cinese del virus. No, sta spingendo con forza una teoria cospirazionista, già messa in circolazione da settimane sui social media cinesi, secondo cui sarebbe tutta opera degli Stati Uniti. Un portavoce del Ministero degli esteri, Lijian Zhao, ha ipotizzato dal suo profilo Twitter che sia stato l’esercito americano a portare il virus a Wuhan e diffondere l’epidemia, in occasione dei Giochi militari dell’ottobre 2019, quando proprio a Wuhan arrivarono 300 atleti militari statunitensi. Un altro portavoce del Ministero degli esteri, Geng Shuang, non ha commentato i tweet di Zhao, ma ha dichiarato che “la comunità internazionale ha opinioni diverse” sulle origini del virus, “si tratta di un problema scientifico”. Laddove per “comunità internazionale” intende, ovviamente, la Cina… Il sito delle Forze armate cinesi, Xilu.com, in un articolo sostiene apertamente che il coronavirus sarebbe “un’arma biochimica prodotta dagli Stati Uniti contro la Cina”. Insomma, l’accusa è di un atto di guerra virologica. Anche il Global Times, testata in lingua inglese del Partito comunista cinese, allude nei suoi articoli agli Stati Uniti come origine del virus.
Rimosso prima di essere sottoposto a revisione scientifica, invece, uno studio pubblicato lo scorso 6 febbraio da Botao Xiao, specialista cinese di Dna della South China University of Technology, che in passato ha lavorato presso il laboratorio biochimico di massima sicurezza che si trova proprio a Wuhan, in cui si denunciavano falle negli standard di sicurezza presso il laboratorio, dove venivano condotti studi proprio su ceppi di coronavirus trasmessi da pipistrelli, ipotizzando che il virus possa essere uscito per errore da quella struttura.
Vedremo fino a che punto la pandemia di coronavirus e le responsabilità della sua diffusione entreranno nella nuova Guerra Fredda tra Washington e Pechino, ma la sensazione, soprattutto se dovesse profilarsi una grave e prolungata crisi dell’economia globale, è che il tema possa diventare un nuovo terreno di scontro ai massimi livelli tra le due potenze.
Un altro argomento sostenuto da Pechino è che la sua tempestiva risposta e le misure drastiche adottate abbiano permesso di “comprare tempo”, dando modo alla comunità internazionale di prepararsi. Qui siamo al vero e proprio ribaltamento della realtà. Il tentativo di insabbiamento della nuova emergenza sanitaria da parte di Pechino, già ricostruito da Enzo Reale per Atlantico citando coraggiosi giornalisti cinesi, ha invece permesso al virus di diffondersi a Wuhan nelle prime cruciali settimane, senza che nemmeno i cittadini fossero informati e messi nelle condizioni di prendere le minime precauzioni. È ben noto ormai il silenziamento dei medici che già a fine dicembre avevano dato l’allarme e altresì nota la censura subito scattata sui social nei giorni successivi. Le autorità cinesi hanno parlato per la prima volta di una possibile trasmissione del virus tra esseri umani il 21 gennaio e l’emergenza è stata dichiarata dopo il Capodanno cinese, quando circa 5 milioni di residenti a Wuhan avevano ormai potuto viaggiare liberamente e ignari di tutto nel resto del Paese e all’estero.
La Casa Bianca si è opposta a questa narrazione di Pechino: il consigliere per la sicurezza nazionale Robert O’Brien ha dichiarato mercoledì scorso che l’iniziale insabbiamento e cattiva gestione da parte delle autorità cinesi “probabilmente è costata alla comunità internazionale due mesi” e aggravato l’epidemia a livello globale. “Se avessimo potuto sequenziare il virus e avere la cooperazione necessaria dalla Cina, se i team dell’Oms e i Cdc Usa fossero stati sul campo, avremmo potuto ridurre drasticamente quello che è successo in Cina e accade nel mondo”.
Secondo documenti governativi visionati dal South China Morning Post, il primo caso di coronavirus diagnosticato in Cina, un 55enne della provincia di Hubei, può essere fatto risalire al 17 novembre scorso, e non all’8 dicembre come il governo cinese aveva riferito all’Oms. Al 31 dicembre erano almeno 266 le persone che avevano contratto il nuovo coronavirus ed erano sotto supervisione medica, già 381 al primo di gennaio, mentre ancora l’11 gennaio le autorità sanitarie di Wuhan dichiaravano solo 41 casi confermati. Secondo una testimonianza, la prima diagnosi di un nuovo coronavirus risalirebbe invece al 16 dicembre. Quindi, tra tentativi di comprendere l’origine della malattia e di insabbiamento, sarebbero da un minimo di uno a due pieni i mesi persi.
La terza arma della propaganda cinese è la narrazione delle eroiche gesta del Partito, uscito vittorioso sul virus con il popolo unito e disciplinato dietro di sé. Se la dichiarazione di vittoria appare prematura e, soprattutto, i numeri dichiarati da Pechino non sono in alcun modo verificabili, questa consente al regime di proporsi come modello nella lotta al virus proprio mentre l’epidemia esplode nei Paesi occidentali.
Ma più riguardiamo i numeri italiani di questi giorni (ed europei, a questo punto), più si rafforza il sospetto che i numeri cinesi siano del tutto irrealistici, fuori scala (come sostenuto tra gennaio e febbraio in autorevoli articoli scientifici). Possibile che il 23-24 gennaio Pechino abbia messo in lockdown totale 40 milioni di persone e parte della sua produzione nazionale, mettendo a rischio una crescita economica decennale, per 897 casi e 26 morti allora dichiarati? Possibile che il regime comunista cinese abbia così a cuore la salute dei suoi cittadini? O forse casi e vittime erano già nell’ordine delle migliaia? Se oltre ai ritardi e al tentativo di insabbiamento, i numeri ufficiali cinesi fossero stati più fedeli alla realtà, rappresentando la reale dimensione del contagio e delle vittime (probabilmente da moltiplicare per 10, se non per 100), il resto del mondo avrebbe avuto una diversa percezione della minaccia…
Molti dubbi anche sulla reale portata della ripartenza dell’economia cinese, i cui dati sarebbero affidabili quanto quelli dei decessi. Secondo Caixin, leggiamo sul settimanale Tempi.it, “il governo centrale calcola la ripresa economica di fabbriche e aziende in base al consumo di energia. Per questo, chiede a tutti i segretari locali del Partito comunista di rispettare certe quote di elettricità consumata. I segretari si rifanno sui proprietari delle aziende, che a loro volta azionano e fanno andare anche tutta la notte macchinari, luci e condizionatori. Le aziende però restano vuote e i dipendenti a casa per mancanza di lavoro. Così le quote sono rispettate e l’economia riparte sulla carta anche se nella realtà non cambia niente”.
Sembra però che questa narrazione del “modello Wuhan”, cui seguono offerte di aiuto e dichiarazioni di “amicizia e solidarietà”, sia particolarmente efficace con i Paesi più in difficoltà, come l’Italia. E qui Pechino ha avuto gioco facile, sia per l’influenza nel nostro Paese del “partito sino-eurofilo”, che per la latitanza dell’Ue. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria sono arrivate tardivamente, o non sono mai arrivate, le parole di solidarietà di Bruxelles e dei leader degli altri stati membri, mentre di aiuti concreti non s’è vista nemmeno l’ombra. Un vuoto in cui si è abilmente inserita la Cina, facendo arrivare preziosissime forniture sanitarie (mascherine, ventilatori, persino un team di medici), dopo che per giorni il ministro della salute Speranza si era aggirato mendicante per l’Europa ricevendo al più alzate di spalle. “L’Italia ha già chiesto di attivare il meccanismo di protezione civile dell’Unione europea per le forniture di dispositivi medici. Nessun Paese europeo ha risposto”, ha ricordato l’ambasciatore italiano presso l’Ue. Peggio, c’è chi non solo non ha risposto all’sos, ma ha persino bloccato l’esportazione. Una mossa dal forte significato geopolitico, ma anche soprattutto propagandistico da parte cinese.
Sta dando i suoi frutti a Pechino anche l’accordo tra la principale agenzia di stampa italiana, l’Ansa, e quella ufficiale cinese, Xinhua. Quotidianamente infatti l’Ansa fa arrivare sui terminali dei suoi clienti numerosi lanci firmati Xinhua, con risultati comici, se la questione non fosse dannatamente seria, tanto la retorica da propaganda totalitaria è smaccatamente in contrasto con lo stile asciutto e sobrio consono ad un’agenzia di stampa secondo gli standard occidentali… “Covid-19: Cina modello globale per lotta ai contagi”, è il titolo di una Ansa-Xinhua di 7 lanci di giovedì scorso: “Il suo impegno, ampiamente riconosciuto da tutto il resto del mondo, offre un esempio di come costruire una comunità umana unita dal futuro condiviso”.
L’Italia, purtroppo, detiene il record mondiale di casi di coronavirus attivi e di decessi (questi secondi solo alla Cina, per ora), ma molti esponenti di governo e commentatori sembrano trovare soddisfazione nel dare dei criminali al premier britannico Johnson e al presidente americano Trump, sputando sentenze premature sui loro piani di contenimento del contagio (dall’alto dei nostri successi…), mentre esaltano il modello cinese e ringraziano Pechino per i doni – che doni non sono, ma forniture regolarmente acquistate – dimenticando le terribili responsabilità del regime comunista cinese nella diffusione globale del contagio. Dovremmo considerare le forniture consegnate ieri solo un piccolo anticipo del risarcimento danni.
Federico Punzi, 14 Mar 2020, qui.
Passando invece agli orrendissimi modelli negativi, abbiamo Donald Trump, di cui si è parlato qui, a proposito del quale leggo:
Di Trump inutile nemmeno parlare: rischierei il ban, per tutti gli insulti che meriterebbe quel negazionista antiscientifico di un pagliaccio. Di lui parleranno i libri di storia, e purtroppo temo che non ci sia insulto sufficiente a compensare il costo che la sua idiozia e protervia avranno in termini di vite umane. (qui)
Per non parlare di Boris Johnson, a cui quella cloaca che va sotto il nome di Corriere della Sera mette in bocca questo concentrato di cinismo e idiozia:
“Abituatevi a perdere i vostri cari”
quando la citazione esatta è
“I must level with you, level with the British public — more families, many more families are going to lose loved ones before their time”
che esprime vicinanza a tutte quelle famiglie che perderanno prematuramente i propri cari. E questo non è un errore, questa è falsificazione consapevole e intenzionale. Chi poi è propenso a lasciarsi infinocchiare dalle altre infami accuse rivolte a Johnson, dovrebbe prendersi due minuti per leggere qui.
Nel frattempo in Italia la giornata di ieri ha fatto registrare altri 250 morti (a fronte dei 189 del giorno prima) per un totale di 1.266 vittime. 17.660 i casi totali di contagio, con un aumento, nella giornata di ieri, di 2113. E a chi tenta di sbatterci in faccia i guariti, va ricordato che ieri ci sono stati 250 morti e 181 guariti. Chi è in grado di fare due più due si faccia un po’ i conti. Meno male che resta almeno ben saldo il noto umorismo ebraico.

barbara