A VOLTE HO PENSIERI CHE NON CONDIVIDO

Erdogan vuole partecipare alla guerra contro l’ISIS, dice. Perché? Presto detto: a combattere attivamente, MOLTO attivamente, contro l’ISIS ci sono i curdi, quindi andando là dove c’è l’ISIS c’è la certezza di trovare un sacco di curdi già pronti, tutti ammucchiati. E il signor Erdogan ne approfitta a piene mani: bombardamenti a tappeto sui curdi e ogni tanto, giusto per non perdere del tutto la faccia, uno scappellottino pro forma all’ISIS. E adesso l’ISIS, rimasto in forze grazie al signor Erdogan, gli è andato a fare un bell’attentato in casa, con decine di morti e centinaia di feriti.
Va da sé che non posso in alcun modo condividere un pensiero così brutto sporco e cattivo, sia perché è ovvio che anche se Erdogan avesse bombardato a tappeto loro invece che i curdi – anche considerando che i curdi, invece che morti, sarebbero lì a combattere – all’ISIS sarebbero comunque rimaste forze più che sufficienti per fare attentati, sia perché a crepare non è stato il grande porco bensì cittadini innocenti.
Tuttavia non posso impedirmi di pensare che a lui però sta bene. Ma proprio tanto tanto bene.
(Dici che c’entra l’accordo con Israele? Può anche darsi, ma se il grande porco non avesse prima provocato la rottura con ogni mezzo a sua disposizione, dall’invio di una nave carica di terroristi armati fino ai denti alle aggressioni verbali a ogni genere di pesanti sgarbi diplomatici, adesso non ci sarebbe stato bisogno di un accordo per riannodare i rapporti)

Per i sottotitoli in inglese cliccare l’icona rettangolare a sinistra.

barbara

PER ADESSO IN FRANCIA

Ma vedrete che prima o poi avremo anche noi il privilegio di godere di questi spettacoli generosamente offerti da parte delle nostre risorse (che comunque già adesso, tra proteste per il cibo che non gli piace e altre simili amenità…) Volete sapere perché lo fanno? La risposta la trovate qui.


E a quasi due settimane dall’attentato in Belgio finalmente sono arrivati a rivelare ciò che per tutto questo tempo era stato tenuto accuratamente nascosto: i festeggiamenti islamici per la carneficina andata in onda all’aeroporto (dove lavorano una cinquantina di simpatizzanti dell’ISIS) e nella metropolitana: qui in francese e qui in inglese.

barbara

SELVAGGIA LUCARELLI IN ISRAELE

Il mio viaggio in Israele inizia in una afosa mattina di fine luglio a Malpensa. Parto sola, l’amico che doveva accompagnarmi ha avuto un serio problema all’ultimo minuto. Volo con la compagnia aerea israeliana El Al, mi spiegano che è la più sicura al mondo, che i controlli sono piuttosto rigidi e che mi devo recare in aeroporto tre ore prima della partenza.
Prima del check-in mi accoglie un simpatico ragazzo barbuto. “Passaporto grazie”. Lo sfoglia. Lungo silenzio. “Perché va in Israele?”. “Per vacanza”. “Ah”. Sembra contrariato. Ha smesso di guardarmi come fossi una donna e mi fissa come fossi il capo di Hamas. “E perché è andata in Egitto?”. Indica il timbro egiziano come a dire “Qui c’è la prova della sua infiltrazione nelle bande armate del Sinai!”. “Ho portato mio figlio in vacanza. Mar Rosso, snorkeling…” .
Mimo una bracciata come se stessi improvvisando un Gioca Jouer. Il tizio mi guarda malissimo. Si rimette a scrutare i timbri. “E perché è stata in Turchia?”. Io sto per rilanciare: “E perché il tuo ultimo collegamento whatsapp è alle due di notte?”, ma non siamo ancora abbastanza in confidenza.
“Vacanza. Istanbul. Con mio figlio”. Evito di mimare la scimitarra. “Solo Istanbul?”. Eh no, ho attraversato il confine con la Siria e mi sono fatta due settimane di ferie ad Aleppo. Lo penso e basta. “Sì”. “E dov’è suo figlio?”. Me lo chiede con una tale aria di rimprovero che mi sento come se stessi andando in vacanza mentre Leon toglie le teste ai gamberi d’allevamento in Bangladesh con l’acqua alle ginocchia.
“È col papà, siamo divorziati, ora è in vacanza con lui”. “E dove?” “A Roma”. Il tizio sembra sempre più scettico. “Perché è stata in Marocco?” E mi indica un altro timbro. “Vacanza. Con mia amica. Solo Marrakech, giuro”. Gira pagina. Ma, ora che ci penso, perché mi sto facendo tutto il Medioriente? Ho gli stessi timbri di Al Baghdadi, ti credo che non si fidano.
Il tizio s’è tenuto il colpo di grazia alla fine. “Perché è stata in Libano!?”. Lo guardo negli occhi. Ho studiato un po’ di comunicazione non verbale: sono addestrati per cogliere ogni minima incertezza, se gli rispondo guardando l’orlo della gonna della spagnola accanto potrei finire in cella con le menti dell’Intifada. “Sono stata con un’associazione umanitaria, Terre des Hommes”. “Ah. E cos’è?” “Associazione umanitaria. For charity…”. “Ah”. Non sentivo degli “ah” così poco convinti da quando a 20 anni comunicavo al mio fidanzato: “Stasera vado a ballare con le mie amiche”. “Conosce qualche libanese?”. “Mika vale?” “Cosa”. “No, niente”. “Ah ”. E se ne va di nuovo col mio passaporto.
Mi domando se non sia il caso di rinunciare e prenotare un weekend a Sabaudia. Torna con l’aria di quello che s’è fatto dire un paio di cose da Assange e ora sa anche la mia categoria preferita su Youporn. “Quindi ha amici in Libano ?”. “No, ma rimarrebbe molto impressionato se le dicessi quanti nemici ho in Italia. A nemici batto pure Israele, pensi”. Non capisce bene, continua il pressing.
“Ha ricevuto regali da libanesi?”. “No, neanche da italiani, spesso mi fanno pagare pure il ticket del parcheggio in centro”. “In passato è accaduto che cose regalate in realtà fossero delle bombe!”. “Beh, ho portato la lasagna che mi ha regalato mia madre su un Roma-Milano, se non hanno classificato quella come bomba, può stare sereno”. “Che lavoro fa?”. “La giornalista”. “Ha il tesserino?”. “No, perché poi faccio anche altre cose, ho scritto dei libri, faccio tv”. “Quali tv!?”. “Varie Tv.”. Si allontana di nuovo.
Qui comincio ad avere paura. Se va su Google e vede che sono stata dalla D’Urso, stanotte sono di turno al check point sulla Striscia di Gaza. Torna con aria sempre più greve. “Quindi, dove lavora ?”. “Sky, Rai. Mediaset attualmente con me ha alzato un muro… tipo voi coi palestinesi… Scherzo eh”. Gli sto definitivamente sul cazzo. “Quindi lei è opinion leader?”. Lo dice con aria sprezzante come quelli che mi chiamano opinionista.
O blogger. Sto per rispondergli: “Ah bello, ho 600 000 followers su Facebook, io a Israele posso dichiarare guerra domani”, quando il tizio mi incalza: “Ma lei perché va sola in Israele?”. “It’s a long story”. “I have time”. Antipatico, era un incipit a effetto. “Un mio caro amico doveva venire con me ma ha avuto un problema all’ultimo e non è più partito…”. C’è del sarcasmo nel suo sguardo. “Ahhhh, ho capito. Friend or boyfriend?”. E ridacchia. “Un mio amico, friend, ha avuto un problema personale!”. Cioè, questo tizio mi sta dando della sfigata mollata dal fidanzato alla vigilia della partenza. Cazzo se è brava questa polizia israeliana, con tre domande ha già capito che la mia vita sentimentale è un’apocalisse.
“Lei ora consegna la valigia, prende il biglietto e poi le faranno un controllo della borsa, poi dei nostri poliziotti la scorteranno al gate per l’imbarco”. Scorta? Controllo borsa? “Capisco che lei si sia convinto che sia stata mollata e sì, ha ragione, che una come me venga mollata è una faccenda non sospetta ma più che sospetta, io scomoderei anche i vostri amici della Cia per andare a fondo, solo che tutto ciò è colpa dei rapporti infelici uomo/donna non di quelli felici miei con Hamas, capisce?”. “La aspettano per il controllo borsa, arrivederci”.
Mi appiccica l’etichetta con la cifra iniziale “5” sul passaporto (i numeri vanno da 1 a 6, 1 e 2 sono quelli con passaporto israeliano e diplomatici, 3 sono gli stranieri non pericolosi, 4 sospetti, 5 molto sospetti, 6 vieni classificato Isis o giù di lì). E qui subisco il trauma dell’abbandono. Non per la lettera, anzi, per la cifra scarlatta appiccicata addosso.
La verità è che io, l’addetto al controllo, lo amavo già. Qualsiasi donna l’avrebbe amato. Erano anni che un uomo non mi faceva così tante domande, che non voleva sapere così tante cose di me, che non si accontentava di mie risposte evasive. E poi era più sospettoso e rompicoglioni di me, due anime gemelle io e lui. E mi ha liquidato con un arrivederci come se tra di noi non ci fosse stata un’intimità. Lo lascio affranta. Arrivo al controllo borsa, in una stanzetta nascosta. I passeggeri ritenuti sospetti sono sei su 170 circa. Io sono l’unica donna.
Spiego alla poliziotta che se pretende di analizzare il contenuto della mia borsa il volo potrebbe essere spostato a domani. Lei sorride e come prima cosa estrae un Godzilla di plastica che mio figlio mi chiede di portare con me per fotografarlo ovunque, come il nano di Amelie. Mi guarda con aria interrogativa. Io sorrido imbarazzata: “Oh, it’s a long story”.“I have time”. E ricomincia tutto daccapo.

Selvaggia Lucarelli sta sulle palle a molti: forse perché ha successo senza – a parere dei detrattori – meritarlo (come se tutti quelli che hanno successo lo meritassero, e come se l’intera società fosse impegnata a dichiarare guerra a tutti quelli che mietono successi immeritati); forse perché è una gran gnocca, e questa è una cosa che disturba sempre, e non solo le donne.
Io una persona capace di scrivere in un italiano pulito e con uno stile brillante la apprezzo sempre, e di gnocchitudini altrui non ho mai avuto bisogno di essere invidiosa, e dunque eccola qui, la nostra Selvaggia, in tutta la sua scoppiettanza stilistica.
selvaggia-lucarelli
barbara

QUELLO CHE È SUCCESSO DOPO L’ARRIVO

Alle otto e dieci l’aereo si è fermato davanti al cannocchiale. Alle otto e un quarto eravamo scesi tutti, alle otto e venti eravamo davanti al nastro dei bagagli del nostro volo, alle otto e trenta, giusto il tempo di una pisciata, ho preso la mia valigia e sono uscita.
Come forse avevo già detto, avevo prenotato il servizio di trasferimento, per cui al mio arrivo, mi era stato assicurato, avrei trovato qualcuno con un cartello col mio nome che mi avrebbe riportata a casa. Nell’atrio c’erano quattro persone con un cartello (fra cui uno col nome Giladi Eial: infatti subito dopo il nostro volo, ne era atterrato uno da Tel Aviv), ma su nessuno c’era il mio nome. Aspetto un quarto d’ora (un’ora e mezza tra quando avevo dovuto lasciare la stanza e quando era arrivata la navetta per portarmi all’aeroporto, quasi quattro ore tra la partenza dall’albergo e il decollo, dieci ore di volo, notte insonne perché prima non era ora di dormire, poi quando l’ora ci sarebbe stata perché per me era l’una di notte, hanno portato la colazione perché sul fuso di Roma erano le sette di mattina, e naturalmente il classico effetto da jet lag), poi chiamo l’agenzia – e meno male che eravamo in orario di apertura. L’impiegata si dice dispiaciuta per il contrattempo, ovviamente non conosce il motivo del ritardo, dice che si informa e poi mi richiama. Alle nove meno dieci richiama, dice che ha parlato con quelli del trasferimento, e che fra qualche momento arriveranno, arrivi Air Berlin, terminal B. Dice di aspettare pure dentro, che mi vengono a prendere lì, arrivi Air Berlin, terminal B. Alle nove e dieci richiamo. Dice che ha avuto un nuovo contatto, che purtroppo c’è stato un contrattempo, prima di me dovevano andare a prendere un’altra persona, che questa persona aveva dimenticato qualcosa ed erano dovuti tornare indietro e quindi sono in ritardo, verrà una signora, arriverà fra venti minuti, ossia nove e trenta – nove e quaranta, che mi metta pure seduta che la signora poi viene a prendermi dentro, arrivi Air Berlin, terminal B. Ora, l’impiegata è molto giovane, però io non lo so se alla sua età sarebbero riusciti a darmi a bere una storia tanto cretina. Vabbè. Mi siedo e aspetto che arrivino le nove e trenta – nove e quaranta. Alle dieci richiamo. Di nuovo, dichiarandosi ovviamente dispiaciutissima, comprendendo che devo essere stanchissima (in effetti stavo letteralmente stringendo i denti per non svenire), si informa e poi mi richiama: verrà un signore, dice (la signora di prima nel frattempo è scomparsa dagli schermi…), viene subito subito. Alle dieci e mezza prendo in mano il cellulare per informarla che non ce la faccio più, che prendo un taxi e poi mi farò rimborsare da quelli del trasferimento, e in quel preciso momento il cellulare squilla, numero privato. È il tizio del trasferimento. Sono qua fuori, dice, ma non la vedo. Certo, dico, non mi vede perché sono dentro, aspetti che esco, ho un trolley rosso e una borsa da viaggio rossa, ecco, sono fuori. Continuo a non vederla. Sono qui, proprio davanti alla porta del terminal B. Terminal B? Io sono davanti al terminal A…
Poi, appena usciti dall’aeroporto, dice devo fermarmi due minuti; si ferma davanti a un ufficio, scende e torna dopo un quarto d’ora. E poi tre ore e mezza di viaggio fino a casa.
Ovviamente il tizio del trasferimento è crucco.
Prima, comunque, avevo almeno avuto modo di vedere questo.
mare 1
mare 2
tramonto 1
tramonto 2
tramonto 3
tramonto 4
barbara

E ANCORA

E ancora camminare, per vedere le meraviglie del parco archeologico

e arrampicarmi, per vedere le altre meraviglie lassù

e percorrere strade assolate per vedere il mare, ancora il mare, l’eterno mare dall’alto.




E ho lavorato (sì, anche questo!)

(sono orrenda, lo so, quindi risparmiatevi pure la fatica di dirlo)
E ho riso molto, a qualche volta perfino sorriso, e a volte pianto, di commozione, di emozione, e incontrato visi amici,

e mangiato un sacco di cose buone e parlato e ascoltato e visitato coloratissimi mercati e viaggiato e poi ancora (oh sì, ancora!) notti di musica,

un immortale Luigi Tenco, un imprescindibile Battisti, un ineludibile tocco di Dik dik, l’immancabile cazzeggino che fa tanto bene alla salute…
E poi l’ultima sera, e i canti organizzati per me che me ne andavo, conclusi naturalmente (naturalmente!) con il solito inno, e la bimba più bella del mondo con le manine a conca piene di gelsomini come dono d’addio, e poi baci e abbracci, mi raccomando, ritorna, sì sì, ritorno, altroché se ritorno…
(E la volta che la caviglia mi faceva così male che anche col bastone non riuscivo a camminare, e mi sono aggrappata al braccio di lei e poi lei è scivolata su una pozza di fango e siamo rimaste aggrappate tutte e due al mio bastone, in bilico, fra tutte e due, su una zampa e mezza… e la volta che non trovavo più la stanghetta degli occhiali e poi mi è stata trovata infilata nell’orecchio… e il Poeta dell’Ortigia che ogni tanto mi arrivava con una nuova poesia, ogni volta più erotica, a me dedicata… e l’abbraccio all’aeroporto col groppo in gola… Ma tanto ci torno, il volo è già prenotato, ormai non manca più molto)

barbara

E NATURALMENTE

appena uscita dall’aeroporto, la prima cosa che ho fatto è stata di cadere e spaccarmi una caviglia

il Poeta dell’Ortigia e la Zoppa Cronica

(Poi mi hanno tirata su in due, uno per parte: un ebreo e un musulmano)
E non ringrazierò mai abbastanza questo incidente, che ha aperto la porta a una incredibile serie di esperienze straordinarie.

barbara