LA TERZA GUERRA MONDIALE È PROPRIO INIZIATA

Ovvero “83 anni più tardi…

Nessuno si faccia illusioni. (Ho preso il testo del traduttore automatico, che mi sembra eccellente, inserendo solo qualche correzione e aggiustamento) L’articolo è lungo, ma va letto tutto, perché spiega in modo chiaro ed esauriente come si è arrivati dove si è arrivati, ossia alla terza guerra mondiale sostanzialmente in atto.

Gli architetti del nostro presente disastro

La politica estera americana sta cedendo alle sue stesse contraddizioni. Non abbiamo più il lusso della decadenza.

Di Benjamin Braddock

14 marzo 2022

Girando e girando nel vortice allargato Il falco non può sentire il falconiere; Le cose non andarono a buon fine; il centro non può reggere; La mera anarchia si scatena sul mondo, la marea offuscata dal sangue si scatena, e dappertutto  la cerimonia dell’innocenza è annegata; I migliori mancano di ogni convinzione, mentre i peggiori  sono pieni di appassionata intensità.

—William Butler Yeats, “La seconda venuta”

Il centro non regge, le cose stanno andando in pezzi. Siamo passati dalla psicosi di massa per i vaccini alla psicosi di massa per l’urgente necessità di entrare in guerra con la Russia.
Le sanzioni sono già abbastanza gravi; le prime ricadute economiche che ne derivano stanno già causando dolore ai lavoratori e alla classe media americana. Ma abbiamo fatto sanzioni la scorsa settimana, il pubblico chiede di più. Fai qualcosa, anche se quella cosa è orribile nelle sue implicazioni. Due anni di rabbia dissociata repressa vengono incanalati e reindirizzati verso un obiettivo esterno dalle stesse persone responsabili della risposta al COVID-19, tra le peggiori atrocità della storia americana.
Gli americani di origine russa – la stragrande maggioranza dei quali non ha alcuna associazione con Putin o con lo stato russo, non che il loro maltrattamento sarebbe giustificato se lo facessero – stanno sopportando il peso maggiore di una campagna particolarmente feroce di odio razziale e attacchi. Piuttosto il contrasto con i primi giorni del COVID, quando i liberali inciampavano su se stessi per raggiungere il ristorante cinese più vicino per dimostrare che il razzismo era il vero virus. Joe Biden non ha trovato il tempo nel suo discorso sullo stato dell’Unione per menzionare i 13 americani uccisi in Afghanistan, ma ha trovato il tempo per celebrare l’idea dei pensionati ucraini che si gettano sotto le tracce dei carri armati russi. È difficile immaginare una fine più ignominiosa della Pax Americana.

La Pax Americana è morta e l’abbiamo uccisa.

Non doveva essere così. Mi viene in mente una citazione di Condoleezza Rice sulla mattina dell’11 settembre. Sapeva che le forze statunitensi che sarebbero andate a DEFCON-3 avrebbero innescato un’escalation simile da parte della Russia, quindi ha chiamato il presidente Putin e gli ha detto che i nostri militari sarebbero stati in allerta. Le disse che lo sapeva e che aveva ordinato alle sue forze di ritirarsi. Poi ha chiesto se c’era qualcosa che poteva fare per aiutare. La Rice ha raccontato di aver avuto un momento di riflessione: “La Guerra Fredda è davvero finita”.

La lacrima”, memoriale per le vittime dell’11 settembre donato dalla Russia agli Stati Uniti. Per quanto riguardava la Russia, la Guerra Fredda era veramente finita (immagini inserite da me).

Ma le scelte fatte all’indomani di quel giorno da persone come lei hanno scatenato uno zeitgeist distruttivo nella politica estera di Washington che ci ha portato a questo punto in cui lo spettro della guerra nucleare è ora sospeso nell’aria come durante i momenti più tesi della Guerra Fredda.
Gli attacchi dell’11 settembre 2001 sono stati l’inizio della fine per la finestra di opportunità che avevamo per stringere una partnership con la Russia. Solo un anno prima, il presidente Putin aveva espresso interesse ad entrare a far parte della NATO durante la visita del presidente Clinton a Mosca. La risposta esatta di Clinton non è stata riportata pubblicamente ma non è stata affermativa. In retrospettiva, era esattamente la partnership di cui l’Occidente aveva bisogno per contrastare l’ascesa della Cina. Ma Washington aveva passato il decennio precedente a trattare la Russia come un vassallo colonizzato, c’era scarso interesse nel permettere a un paese così arretrato e umiliato di entrare nelle sale dorate della NATO.
La Russia negli anni ’90 era un relitto. Sulla scia della caduta dell’Unione Sovietica, il governo russo divenne uno stato fantoccio dell’America e dell’Occidente e la sua economia fu un disastro monumentale. Le persone hanno smesso di essere pagate, l’inflazione mensile era a due cifre, i risparmi di una vita sono scomparsi dall’oggi al domani, le banche sono scomparse dall’oggi al domani. Il tasso di fertilità è crollato, insieme all’aspettativa di vita, con oltre cinque milioni di morti in eccesso registrate nel decennio, principalmente per morti per disperazione. Durante la privatizzazione post-sovietica, le grandi imprese statali venivano vendute per pochi penny sul rublo a persone politicamente ben collegate, ed è così che la maggior parte degli oligarchi ha acquisito le proprie fortune. E anche gli americani politicamente ben collegati hanno fatto fortuna in Russia.
Wayne Merry, un funzionario statunitense presso l’ambasciata a Mosca negli anni ’90, ha dichiarato in seguito: “Abbiamo creato un negozio virtuale aperto per il furto a livello nazionale e per la fuga di capitali in termini di centinaia di miliardi di dollari, e lo stupro di risorse naturali e industrie su una scala che dubito abbia mai avuto luogo nella storia umana”. Fu in questo contesto che Putin salì al potere. Abbastanza divertente, quando Boris Eltsin scelse Putin come suo successore presidenziale, chiamò Bill Clinton per ottenere l’approvazione. Putin è salito al potere con un desiderio ardente: rendere di nuovo grande la Russia e impedirle di essere umiliata come era nel suo decennio perduto.
Mentre Putin ricostruiva la Russia, l’America stava portando avanti progetti di rimodellamento nazionale in Iraq e Afghanistan che erano stati abbandonati appena dopo la fase di demolizione. L’idea era quella di diffondere i “valori” americani e il nostro “modo di vivere”, non importa quanto terribili fossero le conseguenze per le persone coinvolte. Il mio amico Sam Finlay ha descritto la situazione come quella in cui le azioni aggressive di un paese normale sono come quelle di un lupo: uccide per mangiare. L’aggressione serve in qualche modo gli interessi materiali di quel paese. Ma la politica estera americana è come un grosso cane stupido, cattura un coniglio per divertimento, lo uccide nel frattempo, e poi perde interesse e torna dentro a mangiare crocchette.

Esportare la democrazia

Durante tutta la sua carriera politica, Vladimir Putin ha assistito alla politica estera americana che si è scatenata nel mondo come un toro in un negozio di porcellane. Ha imparato come operano i nostri leader e comprende il tradimento di cui sono capaci. La Libia è un buon esempio. Il colonnello Gheddafi aveva collaborato con gli Stati Uniti. Interruppe il suo programma nucleare, rinunciò alle sue armi di distruzione di massa e iniziò ad aprire il suo paese e la sua economia al mondo. Verso il 2008, i leader militari statunitensi chiamavano la Libia uno dei principali alleati degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo transnazionale. Gheddafi permise l’apertura di un’ambasciata americana e, prima ancora che la vernice si asciugasse, i diplomatici e le spie appostate stavano già lavorando al suo rovesciamento. Hanno collaborato con ONG e fondazioni statunitensi e transnazionali per formare attivisti “pro-democrazia” e fondare un movimento di opposizione.
Quando è scoppiata la Primavera Araba nel 2011, in Libia sono scoppiate violente proteste, guidate da gruppi radicali armati di nascosto dagli Stati Uniti e dai loro alleati, e il governo ha cercato di sedare la ribellione e ristabilire l’ordine. Il ripristino dell’ordine è stato ritenuto pesante dagli Stati Uniti e dalla NATO e quindi è stato stabilito il pretesto per l’intervento. La NATO ha iniziato l’intervento istituendo una no-fly zone sulla Libia, che si è rapidamente trasformata in una campagna di bombardamenti e missili da crociera contro installazioni militari e infrastrutture civili.
La ricompensa del colonnello Gheddafi per aver collaborato con il governo americano è stata di essere sodomizzato con una baionetta sulla strada per la sua esecuzione sommaria. Piuttosto che esprimere rammarico o addirittura rispondere con un minimo di discrezione, il Segretario di Stato Hillary Clinton ha cantato: “Siamo venuti, abbiamo visto, è morto “. Il vicepresidente Joe Biden ha fatto eco ai suoi sentimenti, “Che sia vivo o morto, se n’è andato. Il popolo libico si è sbarazzato di un dittatore. La NATO ci ha azzeccato”. Sulla scia dell’omicidio di Gheddafi, la Libia si è trasformata in una totale anarchia con mercati degli schiavi dove si poteva comprare un essere umano per $ 40 e una guerra civile che è durata fino al 2020. Il paese è diventato un vivaio di terroristi. Il regime di Gheddafi si era fermato tra l’Italia e l’Africa subsahariana. Con lui fuori dai giochi, l’Italia e il resto dell’UE sono stati rapidamente invasi da immigrati illegali.
Il messaggio che l’episodio della Libia ha inviato ai governi di tutto il mondo è stato chiaro: puoi fare tutto ciò che gli americani chiedono, ma c’è ancora un’ottima possibilità che ti piantino un coltello nella schiena. Divenne dolorosamente ovvio che la politica estera americana era stata completamente separata da qualsiasi obiettivo razionale. Da quel momento in poi, Putin ha iniziato a lavorare attivamente contro l’interventismo americano, in particolare in Siria con il suo sostegno al governo del presidente Assad nella sua lotta contro ribelli e gruppi terroristici come l’ISIS, molti dei quali sono stati addestrati e armati dal governo degli Stati Uniti. Man mano che la Russia si allontanava ulteriormente dall’Occidente, l’antagonismo del governo statunitense nei confronti della Russia aumentò ulteriormente. Il prossimo obiettivo di una rivoluzione colorata sarebbe l’Ucraina.
Nel novembre 2013, un movimento di protesta noto come Maidan è iniziato nella piazza centrale di Kiev dopo che il presidente Yanukovich ha rifiutato una proposta di associazione politica e accordo di libero scambio con l’Unione europea. L’accordo avrebbe aperto i mercati dell’Ucraina alle importazioni europee mantenendo i mercati dell’UE chiusi alle merci ucraine. Le proteste sono continuate per mesi e le richieste dei manifestanti sono cambiate da un appello a firmare l’accordo a una richiesta di dimissioni di Yanukovich e del suo governo. Queste proteste sono state esplicitamente sostenute dallo stesso governo degli Stati Uniti e dalle sue ONG partner. Centinaia di milioni di dollari sono stati versati in Ucraina da questi gruppi, tra cui l’Open Societies Institute di George Soros, la Freedom House e il National Endowment for Democracy finanziato dai contribuenti statunitensi.
La persona di riferimento per gli sforzi del Dipartimento di Stato americano per rovesciare il governo Yanukovich è stata Victoria Nuland, un’ex consigliera di Dick Cheney che ha servito come portavoce del Segretario Clinton prima di essere promossa a Assistente Segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici. Ha visitato i manifestanti con l’ambasciatore statunitense Pyatt, annunciando “Siamo dall’America” ​​alla folla che non parla inglese e offrendo pezzi di pane da un sudicio sacchetto di plastica della spesa (i manifestanti sembravano disorientati e la maggior parte non ha preso il pane). In seguito si è vantata che gli Stati Uniti avevano speso cinque miliardi di dollari per “promuovere la democrazia” in Ucraina.
È trapelata una telefonata intercettata in cui Nuland e Pyatt hanno discusso i loro piani per chi avrebbe guidato un nuovo governo in caso di cacciata di Yanukovich, già una conclusione scontata a giudicare dal tono della conversazione . Da notare: Nuland dichiara “Penso che Yats sia il ragazzo che ha l’esperienza economica, l’esperienza di governo. Ciò di cui ha bisogno sono Klitschko e Tyahnybok all’esterno”, riferendosi ad Arseniy Yatsenyuk, Vitali Klitschko e Oleh Tyahnybok; Pyatt ha detto “vogliamo cercare di convincere qualcuno con una personalità internazionale a venire qui e aiutare a fare l’ostetrica in questa cosa” e Nuland ha risposto che Joe Biden era disposto; così come Nuland che dichiara “F-k l’UE”.
Il 20 febbraio 2014, i cecchini di Maidan hanno aperto il fuoco . Quando finalmente il fumo si è diradato, 48 manifestanti e quattro poliziotti giacevano morti nella piazza. La narrazione prese rapidamente piede secondo cui furono i paramilitari del governo a compiere il massacro. Quando il processo per il massacro si è finalmente tenuto anni dopo, la maggior parte dei sopravvissuti feriti ha testimoniato di essere stati uccisi dagli edifici tenuti da Maidan lungo la piazza o di aver visto cecchini posizionati in quegli edifici. L’ex capo dei servizi di sicurezza ucraini, Aleksandr Yakimenko, ha affermato che si trattava di mercenari portati da coloro che complottavano per abbattere Yanukovich. Erano lì tutti i giorni”.
L’operazione ha raggiunto il suo obiettivo. Il 21 febbraio Yanukovich, in un ultimo disperato tentativo di prevenire ulteriori violenze, ha firmato un piano mediato franco-tedesco-polacco per accettare poteri ridotti e ha chiesto elezioni anticipate in modo da poter essere rimosso dal potere. Il 22 febbraio, Right Sektor e le milizie neonaziste hanno preso d’assalto gli edifici governativi e hanno costretto Yanukovich e molti funzionari a fuggire da Kiev. Nuland ha disposto una procedura incostituzionale in parlamento per togliere la presidenza a Yanukovich. Arseniy Yatsenyuk, il “ragazzo” di Nuland, è stato nominato primo ministro e le potenze occidentali guidate dagli Stati Uniti lo hanno immediatamente dichiarato legittimo. L’80° tentativo di colpo di stato americano dal 1953 è stato un successo.
La base politica di Yanukovich ha reagito rapidamente, tenendo referendum per l’indipendenza dall’Ucraina; prima in Crimea, poi nella regione del Donbass, con la formazione della Repubblica popolare di Luhansk e della Repubblica popolare di Donetsk. Inizialmente, la Russia ha accettato il referendum in Crimea – dopotutto, la Marina russa ha mantenuto un porto fin dai tempi di Nicola II – ma era riluttante quando si trattava del Donbass. Fu solo quando il governo di Kiev inviò milizie neonaziste a svolgere operazioni di “antiterrorismo” a Donetsk e Luhansk che la Russia iniziò a prestare un tacito sostegno ai separatisti, anche se a volte li ostacolavano direttamente.
I separatisti hanno quasi preso Mariupol durante la controffensiva dell’agosto 2014. L’esercito ucraino è fuggito dalla città ed era aperta alla presa. Con la presa di questa importante città industriale, l’indipendenza del Donbass sarebbe stata un fatto compiuto . Ma la Russia li ha fermati, minacciando di chiudere il confine ed espellere i familiari dei miliziani che avevano cercato rifugio in Russia. I miliziani indietreggiarono e l’esercito ucraino riconquistò la città. Da quel momento in poi, il conflitto è rimasto in gran parte congelato.
Un mio conoscente russo si offrì volontario per combattere per la “Repubblica popolare di Donetsk”. Dal modo in cui ha parlato delle condizioni lì, ho pensato che fosse una causa persa, ma come meridionale, sono un fanatico delle cause perse. Il mio amico temeva che fosse un uomo segnato, che se mai fosse tornato in Russia potesse essere arrestato per la sua partecipazione. Privo di uomini, denutriti e disarmati, lui e i suoi compagni patrioti hanno resistito durante una guerra brutale che imperversa dal 2014, con numerose atrocità perpetrate sia dal governo ucraino che dai “battaglioni punitori” neonazisti contro la popolazione civile di Donetsk e Luhansk.
In una di queste atrocità, un uomo fu inchiodato a una croce imbevuta di benzina e bruciato vivo. In un altro, un uomo e una donna incinta avevano delle corde legate al collo, le corde passavano su una traversa sospesa tra due alberi e legata al retro di un’auto. L’auto è stata lentamente spinta in avanti e le due vittime sono state lentamente sollevate in aria e strangolate a morte. Le forze ucraine hanno bombardato a intermittenza gli abitanti di Luhansk e Donetsk, anche con munizioni al fosforo bianco contro obiettivi civili.
Complessivamente, la guerra nel Donbass è costata almeno 14.000 vittime, ne ha ferite altre decine di migliaia e ha sottoposto la popolazione di oltre 2,3 milioni di persone a Donetsk e Luhansk alle difficoltà della vita in una zona di guerra. Questo è stato un osso nella gola di molti russi, che vedono gli abitanti etnicamente russi di Donetsk e Luhansk come loro parenti. Ma fino a questo punto Putin ha scelto di non essere coinvolto militarmente in modo significativo. Il punto di svolta per l’invasione non è stata la sopravvivenza del Donbass, ma la sopravvivenza della stessa Russia.

Nato in espansione

Per decenni, la Russia ha chiarito che considera l’espansione verso est della NATO verso i suoi confini come una minaccia esistenziale. E i migliori diplomatici ed esperti di politica estera americani hanno compreso questa posizione. Il segretario di Stato James Baker ha dato alla Russia una “garanzia di ferro” che la NATO non si sarebbe espansa “di un pollice a est” della Germania se i russi avessero collaborato sulla questione della riunificazione tedesca. George Kennan, architetto della strategia statunitense della Guerra Fredda, ha definito l’espansione della NATO un “tragico errore”. Henry Kissinger ha affermato che, a causa della sua storia unica con la Russia, “l’Ucraina non dovrebbe aderire alla NATO”. John Mearsheimer ha avvertito: “L’Occidente sta guidando l’Ucraina lungo il sentiero delle primule e il risultato finale è che l’Ucraina andrà in rovina… Quello che stiamo facendo è infatti incoraggiare quel risultato.
Ma il governo degli Stati Uniti ha portato avanti la sua agenda espansionistica della NATO. È ciò che ha portato alla prima grande frattura nelle relazioni USA-Russia nel 2008, quando l’amministrazione del presidente George W. Bush ha spinto con successo l’alleanza ad affermare alla conferenza di Bucarest che Georgia e Ucraina sarebbero diventate membri della NATO. Ciò ha portato a una rottura delle relazioni diplomatiche tra Russia e Georgia e allo scoppio della guerra russo-georgiana. Ciò avrebbe dovuto inviare un chiaro messaggio all’Occidente che la Russia era seriamente intenzionata a non accettare l’espansione della NATO alle sue porte. Era per la Georgia, che ha ritirato la sua offerta della NATO e da allora è stata in pace con la Russia.
L’establishment della politica estera statunitense o non ha recepito il messaggio della Russia, o l’ha fatto, e ora sta deliberatamente tentando di farci entrare in guerra con la Russia. È un pensiero inquietante ma in linea con il loro comportamento provocatorio.
Quando Hillary Clinton era in corsa per la presidenza, sostenne una no-fly-zone sulla Siria contro l’aviazione russa, che stava assistendo il presidente Assad nella sua lotta contro una conflagrazione di ribelli e terroristi armati e sostenuti da una serie di interessi esterni. Se la Clinton fosse stata eletta, la sua intenzione dichiarata era di incaricare l’aviazione degli Stati Uniti di abbattere i piloti russi e condurre attacchi aerei contro le unità di difesa aerea russe. L’elezione di Donald Trump ha impedito che quello scenario si verificasse. Invece, le forze armate statunitensi e russe hanno collaborato nel teatro siriano per portare a termine la distruzione dell’ISIS. Con il presidente Trump in carica, i peggiori eccessi dei Chickenhawks sono stati frenati, ma mentre le foto presidenziali negli uffici del Dipartimento di Stato e del Pentagono erano cambiate, non lo erano le persone che in quegli uffici lavoravano.
Nel 2019, il segretario di Stato Mike Pompeo sembrava cercare un ripristino diplomatico con il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, che aveva legami di lunga data con la Russia ma cercava anche relazioni con l’Occidente per evitare una dipendenza unilaterale da Mosca. Un accordo per le spedizioni di petrolio dagli Stati Uniti è stato concordato senza condizioni politiche. Ma durante la pandemia di COVID-19, Lukashenko è stato oggetto di aspre critiche dai media occidentali per essersi rifiutato di imporre restrizioni ai suoi cittadini, consigliando invece di praticare sport, bere vodka, recarsi regolarmente in sauna e lavorare nei campi per mantenersi in salute. Ha respinto le misure adottate da quasi tutti gli altri paesi definendole “psicosi”. Le sue azioni lo hanno reso una specie di paria tra i tecnocrati globali. In una telefonata con Lukashenko, il Fondo monetario internazionale ha offerto miliardi di dollari in finanziamenti alla Bielorussia, se il paese avesse implementato restrizioni di quarantena, isolamento e coprifuoco. Lukashenko ha rifiutato.
È stato in questo contesto che le relazioni tra l’Occidente e la Bielorussia, che si stavano risacaldando, hanno preso una svolta gelida. Più di un mese prima delle elezioni presidenziali, il Consiglio Atlantico ha pubblicato un post intitolato “Minsk Maidan?” che ipotizzava che Lukashenko sarebbe stato “cacciato via da una rivolta del potere popolare in stile Maidan simile alle rivoluzioni ucraine del 2004 e del 2014”. Prima che fosse espresso il primo voto, i media occidentali sostenevano già che qualsiasi vittoria di Lukashenko sarebbe stata necessariamente il risultato di una frode elettorale. Ma non importa, il  Time ha dichiarato: “Le battaglie di Lukashenko non finiranno con la sua vittoria quasi certa in elezioni fraudolente”. E avevano ragione. Lukashenko vinse facilmente il voto e poi trascorse le settimane successive combattendo una rivoluzione colorata sostenuta dagli Stati Uniti. Il funzionario del Dipartimento di Stato che sedeva nella sezione della Bielorussia? George Kent, un “esperto di rivoluzione colorata” che era stato coinvolto nella rivoluzione colorata del 2014 in Ucraina e ha testimoniato contro il presidente Trump nel suo primo processo di impeachment.
La rivoluzione colorata bielorussa del 2020 è stata un fallimento. Lukashenko ha mantenuto il potere in gran parte grazie all’attiva assistenza russa nel contrastare le tattiche occidentali. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno risposto con sanzioni e il rifiuto di riconoscere la legittimità di Lukashenko. Le aperture di Lukashenko all’Occidente sono state accolte con uno schiaffo in faccia. Da allora, è stato al passo con i russi, consentendo ai loro militari di attaccare l’Ucraina dal territorio del suo paese e inviando unità dell’esercito bielorusso in loro aiuto. Ma mentre gli Stati Uniti non sono riusciti a rovesciare l’ultimo uomo forte d’Europa, hanno avuto la possibilità di affinare il loro playbook della rivoluzione dei colori. Il prossimo non si svolgerà nell’Europa dell’Est, ma proprio qui negli Stati Uniti.

Il Deep State al Dipartimento di Stato

Nell’agosto 2020, il Washington Post ha pubblicato un articolo d’opinione , “Quello che gli americani dovrebbero imparare dalla Bielorussia” come parte di una raffica di articoli in cui si affermava che Trump era destinato a perdere le elezioni e che avrebbe tentato di prendere il potere con mezzi autoritari quando ciò fosse accaduto. Ha tracciato direttamente parallelismi tra le proteste del BLM e le proteste bielorusse e le ha correttamente identificate come lo stesso fenomeno. Non è stato detto che nessuno dei due movimenti era organico, ma in realtà erano manifestazioni di terrorismo sponsorizzato da élite contro le norme democratiche di ordinati processi politici e civili.
Un mese dopo, il giornalista investigativo Darren Beattie ha pubblicato un’indagine in cui avverte che la stessa costellazione di ONG e apparatchik di Washington che hanno coordinato le rivoluzioni colorate all’estero ne stavano attivamente pianificando una proprio qui a casa. Venne la notte delle elezioni e accadde: il famigerato arresto del conteggio dei voti; la dichiarazione coordinata dei media secondo cui Biden era stato eletto presidente prima del completamento del conteggio dei voti. Poi è arrivata l’immediata messa al bando sui social media di chiunque pubblicasse prove di frode elettorale. È stato un momento surreale nella storia americana. Chiunque mettesse in dubbio i dettagli o sottolineasse la natura coordinata di questa operazione è stato bollato come un teorico della cospirazione o addirittura come un traditore che tentava di sovvertire la democrazia.
Mesi dopo, il Time ha pubblicato un articolo intitolato “La storia segreta della campagna ombra che ha salvato le elezioni del 2020”. Ha spiegato: “C’era una cospirazione che si stava svolgendo dietro le quinte, che ha ridotto le proteste e coordinato la resistenza degli amministratori delegati. Entrambe le sorprese sono state il risultato di un’alleanza informale tra attivisti di sinistra e titani degli affari” e hanno descritto “una vasta campagna interpartigiana per proteggere le elezioni”. Ecco quanto sono sfacciate le persone che lo stanno facendo. Accendono a gas chiunque si accorga di quello che stanno facendo mentre lo stanno facendo, e poi si girano e si vantano di quello che hanno fatto dopo il fatto.
Il successo del rovesciamento della presidenza Trump ha riportato al potere lo stesso cast di personaggi che aveva portato avanti la rivoluzione colorata in Ucraina nel 2014. Joe Biden, che come vicepresidente aveva guidato l’accordo per istituire un regime fantoccio in Ucraina è ora presidente. Victoria Nuland è tornata come sottosegretario di Stato per gli affari politici. Jen Psaki, che ha servito come portavoce della propaganda per il Dipartimento di Stato durante l’amministrazione Obama, è ora il portavoce della propaganda per la Casa Bianca di Biden. Biden ha dichiarato al suo insediamento: “L’America è tornata”, il che è vero solo se si definisce l’America come un governo gestito da pazzi pagliacci cleptocratici le cui capacità di risoluzione dei problemi equivalgono a quelle di un contadino che dà fuoco ai suoi campi di cotone per scacciare i punteruoli.
Queste sono persone che pensano di essere abbastanza intelligenti da affrontare potenti paesi stranieri gestiti da persone sane. Non lo sono, e quelle potenze straniere ne hanno preso atto. Il tipo di americani che il mondo teme o rispetta è stato espulso dal governo e dalla leadership militare e sostituito da un serraglio di pazienti in case di cura, donne delle risorse umane, assunzioni di azioni affermative, degenerati sessuali e generali obesi a quattro stelle che cercano posti nel prossimo consiglio di amministrazione di Theranos. Il giorno della resa dei conti è arrivato. Leader come Putin, Xi e Mohammed bin Salman non sono più suscettibili di essere presi in giro e moralmente perseguitati dai fanatici del circo che costituiscono il governo degli Stati Uniti.
La cabala di Washington ha a lungo trattato l’Ucraina come il proprio parco giochi personale. Dalle avventure di Hunter Biden con Burisma ai laboratori di armi biologiche finanziati dagli Stati Uniti allo status dell’Ucraina come principale paese di origine per le donazioni della Fondazione Clinton e per i bambini schiavi del sesso, il posto è una base per l’élite occidentale più corrotta. Non vogliono lasciarlo andare, che è in parte il motivo per cui hanno propagandato l’intero mondo occidentale in una mania frenetica per un’operazione militare che finora ha evitato la popolazione civile in misura molto maggiore rispetto alle passate operazioni della NATO in Libia e Jugoslavia.

Una terza guerra mondiale

Siamo già entrati funzionalmente in una qualche versione di una terza guerra mondiale. Finora, sia Biden che Putin hanno evitato un conflitto militare diretto, ma resta il pericolo che la logica degli eventi possa degenerare in una guerra disastrosa tra Russia e NATO. I repubblicani del Senato stanno facendo pressioni su Biden per alzare la posta fornendo all’Ucraina aerei da combattimento. I politici di entrambe le parti chiedono una no-fly zone, che, se ricorderete l’esempio della Libia, è il primo passo verso una guerra generale. Anche senza un coinvolgimento militare diretto ci troviamo già di fronte a ricadute economiche paragonabili a quelle di una guerra mondiale.
Le sanzioni contro l’economia russa stanno già reagendo contro il nostro stesso popolo. Attualmente, questo è sotto forma di aumento dei prezzi alla pompa di benzina e presto quei prezzi del gas influiranno sul costo dei generi alimentari e di altri beni. Ciò aumenterà i pericoli inflazionistici di cui avevo avvertito alla fine dell’anno scorso . La Russia ha anche sospeso l’esportazione di alcune materie prime chiave verso “paesi non amici” che porteranno a dolorose carenze globali, la più allarmante dei fertilizzanti, di cui la Russia produce oltre la metà della fornitura globale. È probabile che ciò porti a una resa dei raccolti significativamente inferiore, che porterà a una carenza di cibo per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. L’instabilità geopolitica che ciò causerà avrà conseguenze disastrose per il mondo.
Non ci siano dubbi: questo non è un momento transitorio ma l’ingresso in un nuovo paradigma geopolitico. Invece di tornare alla normalità come ci era stato promesso, l’emergenza COVID è stata sostituita con l’ennesima emergenza, mentre il COVID stesso continua a permanere e mutare attraverso la nostra popolazione. Siamo in un momento straordinario che rappresenterebbe una sfida per i leader più competenti. Al momento non ne abbiamo nessuno a portata di mano, ma forse lo avremo abbastanza presto.
L’impero americano sta cedendo alle sue stesse contraddizioni. Non abbiamo più il lusso della decadenza. Gli uomini deboli hanno creato tempi difficili, ma i tempi difficili creeranno uomini forti e, con uomini forti, il cambio di regime potrebbe finalmente essere alla nostra portata. (Qui, con tutti i link, che non mi è stato possibile inserire)

Ma dopo quanti morti e quanta distruzione e quanta miseria?

barbara

PRATICAMENTE UNA VIA CRUCIS:

Prima Stazione:
Gesù è condannato a morte.

Seconda Stazione:
Gesù è caricato della Croce

Terza Stazione:
La prima caduta.

Eccetera

I “12 giorni di crisi” di Joe Biden

I “12 giorni di crisi” di Joe Biden: dai prezzi in aumento alle carenze nella catena di approvvigionamento, dalla crisi dei migranti al catastrofico ritiro dall’Afghanistan. Tutto questo è successo in meno di un anno con Joe Biden nello Studio Ovale. Il Partito Repubblicano ha pubblicato una serie di video intitolata i “12 giorni di crisi” per mettere in luce questi eventi.

Mentre Joe Biden e la sua amministrazione vantano quelli che dicono essere i loro “successi”, mentre si profila la fine del primo anno di mandato, le parole di Jen Psaki ed altri non corrispondono alla realtà vissuta dagli Americani in tutta la nazione.
Per evidenziare l’ampiezza dei problemi causati dalle politiche di Biden, il RNC ha rilasciato una serie di video intitolata i “12 giorni di crisi” di Biden durante il periodo di Natale al fine di evidenziare il dolore provato dagli Americani. “Crisibugie e fallimenti sono i tratti distintivi della presidenza di Biden“, ha notato la presidente del RNC Ronna McDaniel. “In meno di un anno sotto la guida di Joe Biden, c’è stato un ritiro catastrofico dall’Afghanistan, un aumento storico dei prezzi ed una crisi al confine coi migranti”. Ed è qui che iniziano i “12 giorni di crisi di Biden” – come delineato dal primo video pubblicato dal RNC – che sono stati tutti riportati da Townhall.com quest’anno.

Nel primo giorno di crisi Joe Biden ci ha regalato una crisi migratoria al confine meridionale.

Julio Rosas di Townhall ha riferito ampiamente le notizie provenienti dal confine tra Stati Uniti e Messico a Del Rio, in Texas e a Yuma, in Arizona – e anche da diverse località intermedie – mostrando la mancanza di azione dell’amministrazione Biden nell’arginare i numeri record degli attraversamenti illegali del confine, della politica degli “arresti e rilasci”, oltre all’aumento delle operazioni di contrabbando di persone e droghe. Quando Julio ha affrontato il segretario del DHS di Biden sulla situazione, Alejandro Mayorkas non ha ancora voluto definire la situazione al confine meridionale dell’America come una “crisi”. Biden continua a sostenere che il confine sia chiuso, ma i rapporti di giornalisti come Julio dimostrano che è solo una delle tante crisi non risolte di Biden.

Nel secondo giorno di crisi Joe Biden ci ha regalato un disastroso ritiro dall’Afghanistan.

Townhall aveva guidato la carica avvertendo i suoi lettori che ciò che Joe Biden diceva stesse accadendo in Afghanistan fosse poco più che una “pia illusione“. Mentre la Casa Bianca sosteneva che non ci fosse alcuna evacuazione dei diplomatici in corso a Kabul, Townhall ha riferito che il personale dell’ambasciata stava distruggendo i documenti e i computer. Quando Biden ha affermato che la potenziale caduta del governo afgano in mano ai Talebani era tutt’altro che certa, Townhall ha detto la verità per cui Biden sicuramente lo sapeva ma non lo voleva ammettere. Aveva anche avvertito che il ritiro di Biden dall’Afghanistan stava preparando il terreno alla più grande crisi degli ostaggi nella storia degli Stati Uniti, e quando Biden e la sua amministrazione hanno mentito su quanti Americani erano stati lasciati indietro, ha continuato a raccontare le storie di coloro che Biden ha abbandonato lì. In seguito all’attacco dei droni a Kabul che i funzionari della difesa di Biden avevano definito “un azione corretta”, Townhall aveva avvertito che invece sarebbe potuta essere una azione mal riuscita. E così è stato.

Nel terzo giorno di crisi, Joe Biden ha regalato dei prezzi della benzina alle stelle per ogni americano.”

Il dolore provato dagli Americani alle pompe di benzina è qualcosa che Biden ha ignorato, e la sua presunta soluzione di attingere alla Strategic Petroleum Reserve americana destinata ad essere usata in emergenze come disastri naturali od interruzioni causate da aggressioni militari straniere non ha fatto quasi nulla per aiutare il popolo americano. A peggiorare le cose, Biden ha trascorso il suo primo anno in carica trasformando gli Stati Uniti da un paese energeticamente indipendente ad uno dipendente dalle forniture estere. Uno dei suoi primi atti dopo il giuramento è stato quello di uccidere il progetto dei Keystone Pipeline, solo uno dei tanti atti del suo piano per rendere i combustibili fossili più costosi in modo che improvvisamente l’energia “verde” – meno affidabile – sembri attraente.

Il quarto giorno di crisi, Joe Biden ci ha regalato un obbligo incostituzionale alla vaccinazione.

Dopo aver detto che non avrebbe emesso un obbligo federale alla vaccinazione, Joe Biden – un po’ prevedibilmente – si è rimangiato la parola ed ha imposto tale obbligo ai dipendenti federali, agli appaltatori federali e a decine di milioni di Americani che lavorano per le aziende private. Il suo obbligo si è palesato come un estremo tentativo di distrarre l’opinione pubblica dal suo disastroso ritiro dall’Afghanistan, ed è stato messo insieme così a casaccio che ha rapidamente incontrato le cause legali dei procuratori generali degli stati e delle aziende che volevano combattere per la libertà di scelta in campo sanitario dei loro dipendenti. E, dopo che molte aziende hanno implementato comunque l’obbligo di Biden, un numero sempre più crescente ha anche deciso di non applicare l’obbligo, compresa la sua amata Amtrak (l’azienda federale che gestisce il trasporto ferroviario, n.d.r.).

Il quinto giorno di crisi, Joe Biden ha regalato agli Americani un’impennata di tasse e spese sconsiderate.”

Non importa quante volte Biden, Psaki, Schumer e Pelosi abbiano sostenuto che il costo del budget di Biden per il Build Back Better fosse di “zero dollari“, semplicemente non è vero. Come Townhall ha riportato, il Congressional Budget Office – che Biden ha sempre usato per lodarsi fino a quando non gli è servito più per il suo scopo – ha confermato ciò chela testata aveva riportato per mesi: Build Back Better è in realtà un piano per rendere l’economia americana ancora peggiore.

Nel sesto giorno di crisi, Joe Biden ha posto i genitori e gli studenti per ultimi.

Non c’è bisogno di guardare oltre i rapporti di Joe Biden con i sindacati degli insegnanti per vedere che non dà valore agli studenti ed alle loro famiglie. Chiusura delle scuole e didattica a distanza? Nessun problema per il Joe Biden. Obblighi di indossare le mascherine anche ai bambini piccoli? Secondo Biden è necessario. Terry McAuliffe pensa che i genitori non dovrebbero avere alcun ruolo nell’educazione dei loro figli? Piena approvazione anche da parte di Biden. E non dimenticate che il Dipartimento di Giustizia di Biden ha preso l’esempio fatto dalla National School Boards Association ed ha diretto l’FBI contro i genitori che stavano solamente parlando e chiedendo risposte ai loro consigli scolastici.

Il settimo giorno di crisi, Joe Biden si è concesso un’altra vacanza nel Delaware.

Non era un segreto quando è entrato alla Casa Bianca che Joe Biden amasse il Delaware. Quasi più di quanto ami i coni gelato e i treni dell’Amtrak. Quello che gli Americani forse non avevano messo in conto era quanto tempo avrebbe trascorso lì, anche nel bel mezzo di alcune delle molteplici crisi che ha causato. Forse la più importante è stato il suo pasticciato ritiro dall’Afghanistan, durante il quale Joe Biden sarebbe tornato alla Casa Bianca dalla spiaggia del Delaware per tenere un discorso e poi subito dopo sarebbe risalito sull’elicottero presidenziale Marine One per tornarsene nel Delaware.

Nell’ottavo giorno di crisi, Joe Biden ha regalato a tutti gli Americani dei prezzi in aumento.

Sembra che ogni mese porti un nuovo record di inflazione con Joe Biden alla Casa Bianca. All’inizio, ha detto che sarebbe stato un fenomeno “transitorio”, poi i membri della sua stessa amministrazione hanno smontato quella teoria, ma Biden ancora non sta prendendo alcuna azione per alleviare la pressioneI prezzi di praticamente ogni genere di bene, dai carburanti alla spesa alle bollette, continuano a salire. E mentre Biden continua a cercare di propagandare la crescita dei salari come “prova” che la sua politica economica stia aiutando gli Americani, trascura convenientemente di menzionare che l’inflazione ha spazzato via ogni maggior guadagno nei salari. Infatti, in mesi come ottobre, l’impatto dell’agenda economica di Biden ha comportato che gli Americani hanno effettivamente visto i loro salari reali diminuire dello 0,5%.

Nel nono giorno di crisi, Joe Biden ha creato una crisi della catena di approvvigionamento a livello nazionale.

Il periodo degli acquisti di Natale non è trascorso senza incidenti di percorso per gli Americani, alcuni dei quali stanno ancora aspettando un pacco trasportato su una nave proveniente dall’Asia, che potrebbe ancora stare flottando in rada nelle navi porta container nei porti di Long Beach e di Los Angeles, o fermo in qualche container in attesa di trasporto. La scarsità di beni ha causato dei razionamenti per certi articoli anche per il pasto del Ringraziamento nelle catene dei supermercati ed alimentari, e secondo la dichiarazione di Joe Biden all’inizio della stagione delle vacanze, Babbo Natale era l’unico che potesse garantire che l’albero sarebbe stato circondato dai regali la mattina di Natale.

Nel decimo giorno di crisi, Joe Biden ha messo la Cina al primo posto.”

Le questioni con la Cina, una delle prime incursioni di Biden in politica estera, sono andate male fin dall’inizio. Nonostante la promulgazione dell’Uyghur Forced Labor Prevention Act in legge, l’amministrazione Biden è stata esitante nel sostenere tale legislazione ed i rapporti hanno suggerito che la Casa Bianca stesse sollecitando addirittura un ritardo nell’approvazione della legge. E non dimenticate quanto spesso Biden e la sua amministrazione abbiano respinto le preoccupazioni circa il ruolo della Cina nello scoppio della pandemia del Coronavirus di Wuhan.

Nell’undicesimo giorno di crisi, Joe Biden non ha fatto nulla per affrontare gli aumenti della criminalità in tutto il paese.

Nel caso non ci fossero già abbastanza dati per dimostrare che l’America stia diventando meno sicura con Joe Biden, il furto d’auto a mano armata di questa settimana ai danni di un senatore statale dell’Illinois e di un membro della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti dovrebbero mandare un messaggio forte a Biden ed agli altri Democratici su come la loro agenda del “Defund-The-Police” stia mettendo in pericolo vite in tutto il paese. Omicidi, furti d’auto, rapine ed altri crimini continuano a macinare record mai visti da decenni, ma ancora una volta Biden non vuole agire.

Nel dodicesimo giorno di crisi, l’indice di approvazione di Joe Biden crolla sempre più in basso dopo ogni crisi.

Quindi Sìci sono un sacco di mali causati dall’amministrazione Biden, ma all’interno di questo c’è un filo conduttore che emerge per i Repubblicani in vista delle elezioni di metà mandato: Il calo del favore di Biden significa che le fortune del GOP stanno aumentando nel momento in cui gli elettori in tutto il paese avranno – molti per la prima volta dal 2020 – la possibilità di registrare la loro opinione su Joe Biden nelle urne. Le cose sono andate così male che la Casa Bianca sta ora correndo freneticamente ai ripari parlando dei nuovi animali domestici di Biden nel tentativo di cambiare la narrazione.

Guardando all’anno a venire, la presidente del RNC Ronna McDaniel si è impegnata a “continuare a ritenere Biden e i Democratici responsabili delle loro politiche fallimentari e del rifiuto di assumersene ogni responsabilità” ed ha previsto che “gli elettori rifiuteranno sonoramente Biden ed i suoi fallimenti, e noi non vediamo l’ora di riprenderci la Camera e il Senato nel 2022“.

Guarda la serie “12 giorni di crisi” del RNC qui sotto:

Qui.

Con la piccola differenza che qui stiamo parlando di un criminale, sotto molti punti di vista, e in particolare pedofilo.

barbara

SALVATA DA “FASCISTI” E BACIAPILE

Il salvataggio di Zhara, “soldato Jane” afgana. Nonostante Di Maio

Zhara, la soldatessa afgana che aveva combattuto al fianco degli italiani, dopo la ritirata è riuscita a salvarsi, grazie all’impegno dei due giornalisti Biloslavo e Carnieletto, di un’associazione cattolica e di un deputato della Lega. Non grazie a Di Maio e ai suoi “corridoi umanitari”.

Il “soldato Jane”, così l’avevano ribattezza i due giornalisti italiani Fausto Biloslavo e Matteo Carnieletto. Un po’ per mantenerne l’anonimato, un po’ per celebrare uno dei pochi e coraggiosi simboli di quanti non si sono piegati ai talebani. Zhara, il suo vero nome. Il resto lo omettiamo per ragioni di sicurezza. Una storia incredibile quanto eccezionale, ed è quella “eccezione” che l’ha portata a fare forse il passo più importante della sua vita e ad essere salva in Italia. 

Zhara era un soldato donna dellesercito a Herat. E come donna aveva avuto un ruolo particolare proprio come rappresentante di genere lì e nell’esercito. Per anni ha collaborato con le truppe italiane. Quando i Talebani hanno preso il potere a Kabul è finita presto nella loro black list. A Kabul, quest’estate, era riuscita ad intercettare il giornalista italiano Biloslavo, inviato nel Paese degli aquiloni. È da quel momento che inizia una storia a lieto fine. “La nostra situazione è disperata, se voi italiani non riuscirete a farci uscire dal Paese finirà male: ci taglieranno la testa”, aveva detto a Biloslavo. Lei, simbolo della collaborazione tra il popolo afgano e le missioni internazionali di pace, emblema dei vent’anni di contrasto ai Talebani, da giorni si stava nascondendo con il marito e i fratelli, pure loro militari. Ma soprattutto con i due figli piccoli di 9 anni e 8 mesi. Le era già stata bruciata la casa.

Fortunatamente quellappello non cade nel vuoto. Il primo passo che Zhara e la famiglia riescono a fare è quello di superare il confine. Anche qui, il merito va ai giornalisti italiani. Garantiscono loro, con l’ambasciata italiana a Islamabad. Le autorità la fanno passare. “Siamo in Pakistan. Ma ci sentiamo al sicuro solo in Italia”, è il messaggio che arriva il 27 settembre a Biloslavo. L’iter per il visto necessita di un invito di una Ong che si occupi dell’accoglienza. Secondo il racconto dei due giornalisti, Biloslavo e Carnieletto, grandi e famose organizzazioni umanitarie si sono defilate. Ad aprire le braccia c’è un’associazione cattolica del veronese, guidata da un  sacerdote. Missione compiuta. 

Ma solo grazie ad una minuscola associazione di volontariato cattolico, un paio di politici, due giornalisti e l’ambasciata di Islamabad. “Del governo non c’è traccia. I corridoi umanitari di cui Di Maio ha imbottito i suoi proclami? Non li abbiamo riconosciuti. Le vie istituzionali del ministero degli Affari Esteri? Se ci fossero state, questa signora e la sua famiglia non avrebbero dovuto trovare vie un po’ raffazzonate. Alle parole del nostro Ministro degli Esteri non è seguito alcun impegno. Anzi. Davanti ad una crisi pericolosa sotto tanti punti di vista, abbiamo dovuto persino sentir parlare di un fantomatico dialogo con i talebani”, racconta alla Nuova Bussola Quotidiana il deputato leghista Vito Comencini, uno dei protagonisti di questa storia. 

Da Herat a Verona, poco più di 5 mila chilometri in linea daria. È la strada che separa vita e morte. E che ha portato ad un lieto fine. Herat per più di 15 anni è stata la principale base italiana nel Paese, ora tutto è ancora così come l’hanno lasciato i militari italiani a inizio giugno. Tant’è che i Talebani hanno chiosato: “Avete solo sprecato un mucchio di soldi”. Perché non solo la base è abbandonata, ma non tutti gli ex assistenti afgani sono riusciti a mettersi in salvo con le loro famiglie. E cos’è successo dopo la caduta della provincia che per 18 anni è stata sotto il controllo dell’Italia è una storia di caos, ritardi e viaggi disperati.

Però pochi giorni fa il soldato Jane, è atterrato a Milano Malpensa. Sono andati a recuperarla, a proprie spese, con un pulmino, il deputato leghista Comencini, il consigliere comunale Andrea Bacciga. Accolta, poi, dal sindaco Federico Sboarina. È il Comune veronese che ha messo a disposizione un appartamento per la quarantena obbligatoria, poi ci penserà l’associazione cattolica ad occuparsi di loro. A commuovere tutti sono, però, soprattutto, gli sguardi felici di quei bambini il cui destino è cambiato per sempre.

Ma Zhara non è lunica ad essere stata abbandonata da Di Maio. Sebbene per settimane abbiamo sentito ripetere la storia dei corridoi umanitari, “i meglio organizzati ed efficienti al mondo”. Secondo Biloslavo i corridoi sono inesistenti: continuano a lasciare indietro almeno 250 interpreti e collaboratori. Il calcolo è approssimativo. Quegli stessi uomini e donne che in questi vent’anni di guerra hanno collaborato con gli italiani. Qualcuno è rimasto sotto il regime dei Talebani, altri sono salvi. Hanno venduto elettrodomestici, beni vari e le case e sono partiti da Herat per Kabul a metà agosto. All’aeroporto hanno dovuto aspettare a lungo la “linea della morte”. Tanti hanno perso mogli e figli. Altri ce l’hanno fatta, ma pochi sono quelli che hanno potuto superare la folla. Secondo alcune testimonianze, c’è anche chi ce l’aveva fatta, ma è stato ignorato dalle forze Italiane. 

Dal 26 agosto – dopo lattentato dello Stato islamico allaeroporto di Kabul – tante speranze di libertà sono evaporate. Gli interpreti hanno ripiegato in una vita di anonimato e vivono nel terrore di essere identificati come interpreti italiani. Ogni giorno che passa è un giorno in più in cui rischiano che i Talebani gli taglino la gola. Zhara, suo marito e suoi figli, invece, ce l’hanno fatta. Sono in buone mani, salvi. In Italia.
Lorenza Formicola, qui.

Abbiamo cominciato col siamo prontissimi e la potenza di fuoco e la reclusione del coglione 1 e siamo approdati al coprifuoco in un territorio con bar ristoranti pizzerie cinema teatri discoteche palestre piscine scuole di teatro musica danza, ossia tutti i luoghi in cui la gente potrebbe andare di sera, rigorosamente chiusi, da parte del coglione 2. Ma per fortuna ci salva quello bravo in inglese e geografia. E le grandi ONG che salvano la gente in pericolo, tipo quella della stradina, per dire. O gli attori famosi, sempre in pista quando c’è da salvare qualcuno.

barbara

LE PRIORITÀ DEL SIGNOR BIDEN

L’insopportabile peso di essere Joe Biden…

L’umiliante fuga dell’America dall’Afghanistan ha mostrato un Joe Biden confuso e incapace, nella migliore delle ipotesi. Ma ha anche, forse, mostrato qualcosa che è ancor più repellente: un uomo arrogante, emotivamente manipolatore e profondamente cinico.
Non sto pensando principalmente alla sorprendente, ininterrotta serie di false previsioni promesse infrante di Biden, anche se ce ne sono molte. Ricordiamo che una presa di potere da parte dei Talebani fosse “altamente improbabile”, che “se ci sono cittadini americani rimasti, resteremo per farli uscire tutti”, o che gli afghani potevano stare sereni perché “staremo con voi proprio come voi siete stati con noi”.
Per quanto questi esempi e molti altri siano terribilmente orribili, rientrano nella gamma di affermazioni dei leader politici che sono tremendamente ironiche col senno di poi, ma che sembravano ragionevoli e più o meno plausibili quando vengono pronunciate. Questo perché rientrano in una bussola morale riconoscibile. Dovrebbero essere vere, e quindi si spera che lo siano.
Invece, sto pensando ai commenti che sono stati stranamente inappropriati anche quando Biden li ha fatti. Mark Schmitz, padre di Jared Schmitz, un marine americano ucciso da un kamikaze dell’ISIS-K all’aeroporto di Kabul il 26 agosto, ha rivelato che quando Joe Biden gli ha parlato alla Dover Air Force Base nel Delaware, il Comandante-in-capo ha parlato più di suo figlio, Beau, che del giovane i cui resti venivano portati fuori da un aereo militare parcheggiato sulla pista.
Perché Biden ha fatto questo?
La spiegazione caritatevole è che un Comandante-in-capo incapace ha immaginato che sarebbe stata una cosa empatica parlare di Beau Biden, un ufficiale della Guardia Nazionale che ha servito in Iraq e che è morto di cancro nel 2015. Forse Biden ha pensato che le sue parole avrebbero legato un padre di un militare in lutto ad un altro, anche se la morte di Beau non aveva nulla a che fare con il suo servizio nelle forze armate.
Ma c’è una possibilità molto più sgradevole. Vale a dire, il Comandante-in-capo si è rivolto di riflesso ad un periodo straziante della sua biografia per superare un evento imbarazzante in cui l’attenzione avrebbe dovuto essere concentrata sugli altri. In passato, Joe Biden ha ripetutamente citato la storia Beau Biden non per raggiungere il cuore di altre persone ma, piuttosto, per attirare l’attenzione e la simpatia su di sé.
Non sembra esserci fine alla volontà di Joe Biden di usare la memoria del figlio morto per un vantaggio politico. Come il Washington Post ha riportato un anno fa, per esempio, la memoria di Beau è stata messa in primo piano dal padre alla Convention Nazionale Democratica, dove Joe Biden doveva accettare la nomina presidenziale offertagli dal partito. C’era un sostanziale video tributo a Beau Biden, Kamala Harris ha anche parlato a lungo di lui, e così ha fatto Pete Buttigieg (citandolo come un collega veterano). I delegati sono stati poi intrattenuti da degli spezzoni del discorso di introduzione di Beau Biden a suo padre alla DNC 2008 a Charlotte – “richiamato dall’oltretomba”, per così dire – per presentare nuovamente suo padre.
Come ogni genitore, di tanto in tanto ho immaginato una calamità familiare che coinvolgesse uno dei miei figli. Ho trasalito per la vergogna e mi sono rimproverato quando, come a volte accade, la mia mente ha vagato ai pensieri di come avrei raccontato la cosa alla gente e quali sarebbero state le loro reazioni. Come posso preoccuparmi, penso con sgomento, di questioni marginali di presentazione, apparenza e simpatia e non riuscire invece a rimanere concentrato sull’orrore sostanziale di qualcosa di terribile che è accaduto a mio figlio o a una delle mie figlie?
Joe Biden enfatizza ripetutamente proprio ciò che la decenza suggerirebbe essere una cosa troppo profonda per essere usata per scopi estranei ed effimeri. Esalta le tragedie della sua famiglia, che sono incontrovertibilmente reali e terribili. Lo fa per guadagnare affetto. Per enfatizzare il suo atteggiamento di uomo del popolo, che porta un pesante fardello di tristezza. Il ricordo di Beau Biden è citato anno dopo anno dopo anno. È diventato ormai un riflesso, e come ogni cosa che riflette, il buon gusto e il buon senso spesso lo sconsigliano.
Sarebbe il caso di parlare con padri e madri caduti in lutto di recente, i cui figli e figlie sono stati uccisi nell’esecuzione sciagurata di una fuga sconsiderata dalle proprie responsabilità di “leader del mondo libero”. Quello è un momento in cui, qualunque sia il costo marginale, non si dovrebbe pensare al tornaconto politico.
La calamità della fuga dell’America dall’Afghanistan riguarda certamente Joe Biden. Ma quello che è successo a Dover riguardava il servizio individuale di uomini e donne che hanno dato la loro vita. Non riguardava l’uomo che ha lasciato che quelle vite venissero spezzate e che non poteva trattenersi dal guardare ripetutamente il suo orologio per vedere quanto ancora doveva sopportare.
Luca Maragna, qui.

Nel frattempo tutti questi gingilli sono ora puntati sulle nostre teste.

Nel frattempo l’America – e probabilmente non solo l’America – d’ora in poi sarà costantemente sotto ricatto grazie alle centinaia di cittadini americani lasciati in mano ai tagliagole.
Nel frattempo un numero imprecisato di terroristi si sono intrufolati, si stanno intrufolando, si intrufoleranno fra i profughi per venire a estendere e completare l’occupazione e l’islamizzazione del nostro territorio.
Nel frattempo c’è chi è riuscito a organizzare un volo per portare in salvo… 200 cani e gatti (Farthing si chiama il tizio, ma ho idea che ci sia un’acca di troppo). E pare che tutti stiano facendo salti di gioia per il successo dell’impresa. Restano indietro occidentali, collaboratori dei quali il signor Biden ha fornito ai talebani la lista con tanto di indirizzo e numero di telefono, e i cristiani, che per vent’anni avevano potuto tirare il fiato e ora riprenderà anche in Afghanistan il genocidio in corso in tutto il mondo islamico. Ma d’altra parte non si può avere tutto dalla vita, no?

barbara

KABUL E DINTORNI

Dintorni che, in un giorno forse non troppo lontano, potrebbero comprendere anche noi.

“Napoleone disse che in guerra la forza morale è tre volte più importante di quella fisica”

Intervista per la newsletter al saggista americano Joshua Muravchik. “La codarda fuga di Biden darà energia a tutti gli islamisti”. In Africa già si “festeggia” (37 cristiani uccisi)

“Nessuno avrebbe dovuto essere sorpreso dal crollo di Kabul o dalla velocità con cui è avvenuto. Napoleone disse che in guerra la forza morale è tre volte più importante di quella fisica. Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno creato e addestrato l’esercito afghano e fornito ogni tipo di supporto tecnico. Eravamo come il suo fratello maggiore. Poi all’improvviso abbiamo detto: ‘Stiamo scappando, ma tu dovresti restare e combattere’. E poi Joe Biden ha avuto l’idea di castigare le forze afghane per aver seguito il nostro esempio”.
Qui a colloquio in esclusiva con la mia newsletter, Joshua Muravchik è uno di quegli intellettuali e saggisti americani che ci aveva creduto. Democrazia, modernità, diritti delle donne, costituzione…Costruire tutto questo a Kabul. Autore di fortunati saggi come Making David Into Goliath: How the World Turned Against Israel (2014) e Heaven on Earth: The Rise and Fall of Socialism (2002), Muravchik spiega che la deterrenza americana è adesso seriamente compromessa come forse mai prima. “L’attentato suicida all’aeroporto di Kabul ha ucciso 13 membri delle forze armate statunitensi (e forse altri soccomberanno per le ferite; forse ci saranno altri attacchi simili). Nell’anno e mezzo precedente, gli Stati Uniti avevano perso un solo soldato. È vero che Biden ha solo continuato ciò che Trump aveva iniziato con il suo assurdo patto con i Talebani, che ha contribuito a minare il governo afghano. Trump credeva che ci si potesse fidare della parola dei Talebani?”.
Il problema dell’America è anche interno. “E’ ferocemente polarizzata. Nei sondaggi più americani affermano che sarebbero sconvolti se la loro figlia sposasse qualcuno dell’altro partito politico rispetto a qualcuno di una religione diversa. Il problema è che nessuno dei due poli offre ciò di cui abbiamo così disperatamente bisogno: la leadership politica crede nell’America e nei valori che l’America ha a lungo esemplificato e sostenuto, una leadership che può ripristinare la fiducia della nazione. Abbiamo invece da una parte Trump, che dice ‘prima l’America’ ma in realtà significa ‘prima Trump’. Dall’altra abbiamo i Democratici che sembrano essere guidati interamente dall’ala ‘progressista’ del loro partito, portatori di un’ideologia che vede l’America solo come la terra del razzismo, sessismo, omofobia, islamofobia e capitalismo rapace votato al distruggere il pianeta. Biden si era presentato come la via di mezzo, ma ha capitolato subito ai ‘progressisti’”.
Lo stesso in politica estera. “È un’amara ironia che dopo aver criticato Trump sulla Nato, Biden possa aver fatto ancora di più per danneggiare l’Alleanza. E perché? Perché aveva un patto con i Talebani. Biden ha anteposto la fedeltà ai Talebani alla fedeltà ai nostri partner. E qui le ironie abbondano. Biden ha affermato che l’America ha poco interesse nel governo afghano, ma solo nell’impedire l’incubazione di gruppi terroristici”.
Parlando oggi con Le Figaro, il più grande esperto francese di Islam, Gilles Kepel, ha definito quella di Kabul come “una vittoria militare formidabile dell’Islam sunnita fondamentalista contro l’Occidente”. Basta ascoltare quello che dicono i loro commentatori. Come il turco-egiziano Islam al Ghamri: “Forse gli Stati Uniti si disintegreranno come l’Unione Sovietica. Questo è un terremoto enorme. E quando c’è un terremoto, la terra si rompe e crolli che erano inimmaginabili in passato accadono improvvisamente. Quello che è successo a Kabul è un enorme terremoto che colpirà l’Europa, gli Stati Uniti e l’intera civiltà occidentale”.

Il giorno in cui l’Afghanistan è caduto nelle mani dei Talebani, uno dei più famigerati islamisti dell’Africa occidentale ha elogiato i suoi “fratelli”, Iyad Ag Ghaly, capo di al-Qaeda in Mali. Commenta il Washington Post: “I combattenti di tutto il continente africano hanno celebrato la presa del potere da parte dei Talebani”. Saranno anche molti cristiani a pagare. Come i 37 appena assassinati dai jihadisti in Nigeria. “La calamità a Kabul significa più attacchi jihadisti e possibilità che prevalgano altre insurrezioni islamiste”, scrive The Economist. “La fuga dell’America rafforzerà i jihadisti in tutto il mondo”. Basta osservare l’Africa dopo la caduta di Kabul il 15 agosto.

18 agosto, 80 morti in Burkina Faso… 
19 agosto, 15 morti in Mali… 
20 agosto, 16 morti in Niger… 
25 agosto, 36 morti in Nigeria… 
26 agosto, 4 morti in Tanzania

Una “discesa agli inferi”. Così sul quotidiano L’Orient Le Jour Toufic Hindi, analista cristiano libanese e autore in Francia di Une troisième guerre mondiale pas comme les autres (Edizioni Panthéon), definisce il crollo dell’esperienza occidentale in Afghanistan. “Il movimento islamista sta combattendo una battaglia che vuole essere decisiva per conquistare il mondo e assoggettarlo alla legge di Allah. Vuole una guerra mondiale diversa dalle due che l’hanno preceduta.  La politica occidentale di pacificazione può solo portare a una guerra distruttiva, proprio come la politica di pacificazione di Hitler praticata dal primo ministro britannico Neville Chamberlain ha portato alla Seconda guerra mondiale”. Siamo, conclude Hindi, nell’“epicentro di un islamismo che sta investendo il mondo, un terremoto senza precedenti dal quale nessun paese può sfuggire. La situazione è così instabile ed esplosiva che nulla è impossibile”.
Conclude Joshua Muravchik alla mia newsletter. “La codarda fuga dell’America darà energia a tutti i tipi di gruppi islamisti, proprio come la sconfitta dell’Unione Sovietica ha dato origine ad Al Qaeda, così la sconfitta degli Stati Uniti in Afghanistan si rivelerà una fonte d’ispirazione ancora maggiore per l’Islam radicale”.
Il 1989, l’anno che secondo Francis Fukuyama doveva inaugurare la “fine della storia”, si apriva con un documento ben più importante e ignorato. La lettera di Khomeini a Mikhail Gorbaciov. Il leader sovietico era ancora alle prese con il bubbone dell’Afghanistan invaso dieci anni prima (si sarebbe ritirato un mese dopo). Convinto, a ragione, che la caduta del comunismo fosse ormai imminente (ci sarebbero voluti soltanto altri due anni), il vecchio ayatollah rivolge a Gorbaciov un invito a convertirsi all’Islam: “Come può l’Islam essere l’oppio del popolo, quando ci ha resi fermi come una montagna contro le superpotenze?”.
Il Mullah Baradar starà forse scrivendo una lettera simile a Joe Biden?
Giulio Meotti, 28/08/2021

Credo che quanto accaduto a Kabul il 15 agosto non abbia precedenti nella storia moderna, e neanche il successivo comportamento di Biden in relazione al disastro da lui provocato. Invito ora a vedere questo video in cui tre esperti di Medio Oriente (dovevano essere quattro, ma uno è stato costretto a rinunciare per sopravvenuti problemi) cercano di fare il punto della situazione. Dura un po’ più di un’ora, ma ne vale la pena. Casomai guardatelo a rate.

barbara

I GENI DI CASA NOSTRA

Parlo di Pino Arlacchi, che chi ha un po’ di anni sulle spalle sicuramente ricorderà. Comincio con un vecchio articolo, per inquadrare la situazione.

AFGHANISTAN / FALLITO IL PIANO ONU

Così Arlacchi perse la guerra dell’oppio

Distruzione dei papaveri in cambio di 400 miliardi. Lo propose lo zar antidroga ai talebani. La produzione, al contrario, è raddoppiata

Sulla carta sembrava proprio un progetto bello e possibile: ridurre in dieci anni del cinquanta per cento le coltivazioni di droga nel mondo, sostituendole con colture alternative. Spesa prevista 500 milioni di dollari (mille miliardi di lire attuali).
L’ideatore dell’ambizioso piano, com’è noto, è l’italiano Pino Arlacchi, vicesegretario delle Nazioni Unite in quanto direttore dell’Undcp (United nations drug control programme). Ma a tre anni dalla crociata dello “zar dell’antidroga”, come è stato soprannominato, il progetto ha fatto flop. E proprio in Afghanistan, il paese dove fin dall’inizio le prospettive di successo erano tutt’altro che rosee. Ma lui, da buon calabrese cocciuto, ha voluto lanciare la sua sfida. Con un risultato finora tutto al negativo.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Onu, nel paese al crocevia dell’Asia, retto dai talebani, i campi di papavero si sono talmente estesi nel corso dell’ultimo anno da produrre 4.600 tonnellate di oppio. Una cifra record che non ha precedenti e corrisponde al doppio del raccolto del 1998. Un balzo in avanti per l’Afghanistan che dal cinquanta per cento è passato a coprire per due terzi il mercato globale dell’eroina. E che fa impennare del 60 per cento la produzione mondiale della polvere bianca. Una montagna di droga mai raggiunta prima e che attraverso l’antica via della seta, dove una volta passavano carovane cariche di tessuti, spezie, gemme, porta la morte coprendo per l’80 per cento i mercati europei.
Arlacchi, pur essendo stato allertato fin dall’inizio dai media di mezzo mondo, ha voluto credere alle promesse dei talebani. A suo tempo si recò a Kandahar, la storica capitale dell’Afghanistan, per incontrarli. Promise oltre 400 miliardi di lire in dieci anni se avessero sradicato le coltivazioni di papavero. Non ti fidare gli dicevano in molti, quei soldi servono a comprare armi, a prolungare la guerra civile e a esportare il credo oscurantista degli studenti islamici al potere a Kabul. «Non finanziare un regime integralista che annulla le libertà e mortifica le donne», diceva l’allora commissario europeo Emma Bonino. Ma a tutti Arlacchi, dal suo quartier generale al settimo piano del palazzo dell’Onu a Vienna, dove ha varato programmi, impartito ordini, spostato uomini, cambiato organigrammi, ha risposto duramente agli attacchi di ieri, ostentando sicurezza e ottimismo.
E oggi? Proprio in questi giorni il problema Afghanistan è stato messo sul tappeto dal comitato tecnico dell’Onu. Ma Arlacchi non demorde, e per bocca del suo portavoce Sandro Tucci risponde che l’incremento della produzione del papavero è dovuto sì «a un aumento del 23 per cento della superficie coltivata ma anche alle ottime condizioni climatiche». Prevede una forte riduzione, attorno al 30 per cento per il prossimo raccolto, questa volta per le «avverse condizioni climatiche». Insomma sembrerebbe proprio un piano in gran parte affidato ai capricci di Giove.
Su quel 23 per cento di superficie in più coltivata e non distrutta, Arlacchi ha la sua risposta. Le colture servono a «sfamare un milione e 400 mila contadini». Di conseguenza lo Stato, ovvero il governo dei talebani, non può distruggere quelle coltivazioni, presenti in dieci delle 29 province afghane su un totale di 60 mila ettari di terreno e per il 96 per cento sotto il loro controllo. E allora perché continuare a finanziare piani che vengono disattesi? «C’è la guerra, e possiamo fare poco. E per rendere più difficile il contrabbando, avremmo bisogno di più soldi per aiutare i paesi limitrofi a combatterlo», dice Tucci. «Inoltre il leader dei talebani ci ha assicurato di aver emesso un editto che invita a ridurre la produzione di oppio».
Rimane il fatto che il regime teocratico dei talebani alla fin fine vorrebbe la scomparsa non tanto delle piantagioni di papavero quanto degli «infedeli», ovvero degli occidentali.
Dina Nascetti, 18.05.2000, qui.

Già: credere alla parola dei talebani non è proprio una buonissima idea, e l’arlacchino nostro ci ha sbattuto pesantemente il naso – anche con quelle sue tremende arrampicate sugli specchi. E ora, ventun anni dopo, che cosa ci racconta il nostro genietto di casa?

Pino Arlacchi: “E’ con l’invasione Usa che esplose la produzione illecita di oppio in Afghanistan”

Cari amici, interrompo il mio lungo silenzio, dovuto alla scrittura di un nuovo libro, per un commento sull’#Afghanistan dopo la vittoria talebana.
Mi occupo di quel paese da quasi 25 anni, ed ho formulato due proposte di soluzione dei suoi problemi più impellenti. La prima è stato il piano di eliminazione delle coltivazioni di oppio che ho elaborato durante il mio mandato ONU. Piano coronato da completo successo nell’estate del 2001. [Questo articolo di fine ottobre 2001 dice esattamente il contrario]
I talebani al potere, pressati dal programma che dirigevo e dal Consiglio di sicurezza, decisero di far rispettare la proibizione di coltivare l’oppio con il risultato di azzerarla quasi totalmente. [Eh, una paura si sono messi con le tue pressioni, ma una paura guarda…]
L’invasione americana dell’ottobre di quello stesso anno sloggiò i talebani dal governo e fu seguita da un accordo con i signori della guerra che riportò in pochi anni la produzione illecita ai livelli precedenti il 2001.
Nel gennaio del 2011 il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza la mia proposta per una soluzione non militare della crisi afghana. Sul mio sito https://pinoarlacchi.it/en/mission-in-afghanistan potete leggere il testo della mia “Nuova strategia dell’Unione Europea per l’Afghanistan”.
A differenza del mio piano sull’oppio di dieci anni prima, questa strategia non ha avuto alcun seguito. È stata ignorata dalla Commissione europea e dagli Stati membri, che hanno persistito nel seguire le direttive americane. Il risultato finale (disastroso) è ora sotto i nostri occhi. [Il tuo risultato finale (disastroso) invece, sotto quale tappeto lo hai spazzato? E quante armi hanno comprato i talebani coi tuoi 400 miliardi di dollari? Quante persone hanno ammazzato con quelle armi? Quanto sangue hai sulle mani?]
In alcuni post successivi commenterò i principali temi sul tappeto.
Pino Arlacchi, 20/08/2021, qui.

E prosegue, sempre autoincensandosi.

Pino Arlacchi – Cosa succede in Afghanistan al di là del delirio mediatico

 Invito chiunque mi legga e mastichi una qualsiasi lingua straniera a informarsi sull’ Afghanistan evitando di leggere i maggiori quotidiani italiani. Quel paese sembra essere stato vittima di una invasione di mostri pervenuti dallo spazio e dotati di poteri sconfinati. Mostri che sono riusciti a far scappare da Kabul, terrorizzate, le forze del bene. Mostri assetati di vendetta e di sangue, soprattutto femminile, e che si apprestano a far diventare l’Afghanistan il santuario del narcotraffico e del terrorismo mondiale. [E pensare che invece sono tanto buoni, soprattutto con le donne, che trattano con una delicatezza che neanche i trovatori del dolce stil novo, che non farebbero male a una mosca, vendetta poi non sanno neanche come si scrive]

Delirio mediatico.

Cosa è successo invece, e cosa sta accadendo in Afghanistan in questi giorni?
Non c’è stata, innanzitutto, alcuna invasione di alieni, ma lo sbocco finale di due guerre. Una guerra civile tra i talebani ed i loro avversari iniziata quasi trent’anni fa, ed una guerra di liberazione contro una potenza occupante iniziata venti anni fa esatti. 
I talebani sono degli integralisti islamici estremi, portatori di un’ideologia oscurantista che implica la violazione di diritti fondamentali, in primis quelli delle donne. Ma sono anche una forza che ha finito col prevalere contro ogni genere di nemico grazie a un rapporto con la popolazione rurale afghana migliore di quello stabilito dai loro avversari. [Ecco, ve l’avevo detto, benefattori sono, angeli custodi, praticamente la mano destra di Dio]
I talebani che ho conosciuto non erano guerriglieri marxisti e neppure nazionalisti. Non combattevano per i poveri e neppure per costruire uno Stato-nazione. Si ispiravano, e si ispirano, ad una società di virtuosi, governata da precetti coranici, inaccettabile e odiosa ai nostri occhi [mentre agli occhi degli afghani è il paradiso in terra. È per quello che stanno accorrendo a Kabul da tutte le parti del Medio Oriente, per godere anche loro del paradiso]. Ma la società dei talebani è una società di afghani, non la Umma universale di altri estremisti. Gli studenti del Corano, perciò, non hanno mai operato al di fuori del loro paese e non sono interessati ad esportare il loro credo altrove [e dunque?].
Come sono allora riusciti a godere di quel minimo di consenso dal basso, o di semplice neutralità, che ha consentito loro di conquistare il Paese ed entrare a Kabul senza sparare un colpo?
Finanziamenti, armi e aiuti dall’estero? 
Quasi zero [ehm… La domanda, come si suol dire, è d’obbligo: ci sei o ci fai?], visto che il rubinetto saudita si è chiuso dopo il 2001 e visto che le grandi potenze regionali sono state a guardare aspettando che il frutto afghano cadesse nelle loro mani dopo la debacle euroamericana. 
Puntualmente avvenuta. Questa sì che è intelligence! O era sufficiente solo leggere i giornali e fare due più due? [Cioè adesso l’Afghanistan è caduto in mano alle grandi potenze regionali? Me la spieghi meglio, che non l’ho mica tanto capita questa?]
È bastato perciò ai talebani sedersi sulla riva del fiume ed aspettare. [I talebani?! Come i talebani? Ma non è nelle mani delle grandi potenze regionali che è caduto l’Afghanistan? Sei sicuro, come si dice dalle mie ex parti, di avere tutte le tazze nella credenza?]
Cioè resistere, garantire ordine e sicurezza alle zone sotto il loro controllo, assicurarsi perlomeno la neutralità della popolazione. Ed attendere ciò che era prevedibile già dieci anni fa: il crollo della baracca di corruzione, inettitudine militare ed amministrativa, indifferenza per i bisogni dei civili, messa in piedi dalle forze di occupazione. [Veramente Trump ha deciso il ritiro all’inizio del 2019 perché aveva stabilito che non avevano più niente da fare lì; tutto il resto, baracca di corruzione eccetera si trova nella fervida fantasia del signor Arlacchi. E davvero questo signore ha l’impressione che gli afghani, e le donne in particolare, preferissero i talebani agli americani? E come le spiega le fughe? Come spiega gli assalti all’aeroporto? Come spiega le madri che lanciano i figli oltre il filo spinato dell’aeroporto nella speranza di sottrarli all’inferno che aspetta tutti loro – come le madri ebree nel disperato tentativo di salvarli dai nazisti? Di disonestà intellettuale ne stiamo vedendo tanta, ma quella di quest’uomo le supera tutte]
L’analisi che avevo fatto nel 2011 per il Parlamento europeo parlava chiaro. Non c’era speranza di una soluzione militare, e senza una svolta radicale delle politiche occidentali l’Afghanistan sarebbe caduto nelle mani dei talebani. [Eh già, l’unico che ha capito tutto, ma vaffanculo, va’] [Ma poi perché “caduto”? Non hai appena finito di dire che non è vero che sono dei mostri, che hanno il sostegno popolare, che la gente preferisce loro agli americani?]
L’unica cosa che non avevo considerato nel mio rapporto era l’identità del vero futuro vincitore della guerra dell’Afghanistan: la Cina. [Ah, non le grandi potenze regionali? Non hai appena detto che è nelle loro mani che è caduto il frutto afghano?]
Pino Arlacchi, 22/08/2021, qui.

Per sapere perché il ritiro si è trasformato in una rotta disastrosa [Caporetto? Adua?] è meglio leggere qualcosa di più serio.

Niram Ferretti

EXIT STRATEGY

“Sono abbastanza vecchio per avere bene in mente la caduta di Saigon nel 1975…ce l’ho nel mio archivio dei ricordi”, ha dichiarato il generale Jim Jones, che ha servito come consigliere per la sicurezza nazionale sotto il presidente Barack Obama. “Fu molto doloroso da guardare. Questo è, almeno finora, ancora più doloroso”.
Costernazione.
“Quando si fanno questo tipo di cose, per quanto grandi o piccole siano, la prima cosa che si è fa è di evacuare i civili e le famiglie, poi il personale del governo degli Stati Uniti se necessario. E in seguito le ultime persone che se ne vanno sono generalmente i militari che forniscono la sicurezza per una evacuazione ordinata. Mi risulta che abbiamo fatto esattamente il contrario e non so perché.”
La risposta, per quanto sconcertante, è, per palese incompetenza. Inutile cercare improbabili moventi oscuri, ricorrere a fantasiose dietrologie. Il modo in cui gli Stati Uniti si sono lasciati dietro l’Afghanistan consegnandolo nelle mani dei talebani, resterà nei libri di storia come un degli esempi più clamorosi di come non si effettua un ritiro militare.
Il responsabile principale di tutto ciò è, ovviamente, il Commander in Chief, ovvero il presidente, colui che alla fine ha dato il via all’operazione, l’ha avallata, ha posto il suo sigillo.
Uscire di scena così non è degno di una grande potenza, non è degno di una piccola potenza. E’ semplicemente grottesco e surreale.

Incompetenza, senza dubbio. Ma non solo.

Parla Mike Pence: Biden ha rotto il nostro accordo con i Talebani

Mike Pence: Questa è un’umiliazione di politica estera diversa da qualsiasi altra cosa il nostro paese abbia mai sopportato sin dalla crisi degli ostaggi in Iran.

“La probabilità che ci siano i Talebani a dominare tutto e a controllare l’intero paese [l’Afghanistan] è altamente improbabile”, ha proclamato fiduciosamente Joe Biden a luglio. “Non ci saranno circostanze in cui vedrete persone sollevate dal tetto dell’ambasciata”.
Un mese dopo, lo scenario che il signor Biden riteneva impossibile è diventato una realtà terrificante. Negli ultimi giorni, il mondo ha visto civili in preda al panico aggrapparsi ad aerei militari statunitensi nel disperato tentativo di sfuggire al caos scatenato dalla ritirata sconsiderata del signor Biden. I diplomatici americani hanno dovuto implorare i nostri nemici di non prendere d’assalto la nostra ambasciata a Kabul. I combattenti talebani hanno sequestrato decine di veicoli militari americani, fucili, artiglieria, aerei, elicotteri e droni.
Il disastroso ritiro dell’amministrazione Biden dall’Afghanistan è un’umiliazione di politica estera diversa da qualsiasi altra cosa il nostro paese abbia mai sopportato sin dalla crisi degli ostaggi in Iran.
Ha messo in imbarazzo l’America davanti alla scena mondiale, ha portato gli alleati a dubitare della nostra affidabilità ed ha incoraggiato i nemici a mettere alla prova la nostra determinazione. Peggio di tutto, ha disonorato la memoria degli eroici americani che hanno aiutato a consegnare i terroristi alla giustizia dopo l’11 settembre, e tutti coloro che hanno servito in Afghanistan negli ultimi 20 anni.
Nel febbraio 2020, l’amministrazione Trump aveva raggiunto un accordo che richiedeva ai Talebani di porre fine a tutti gli attacchi al personale militare americano, di rifiutare ai terroristi un porto sicuro e di negoziare con i leader afgani la creazione di un nuovo governo. Finché queste condizioni fossero state soddisfatte, gli Stati Uniti avrebbero condotto un graduale e ordinato ritiro delle forze militari.
Approvato all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’accordo ha immediatamente portato in Afghanistan una stabilità mai vista da decenni. Negli ultimi 18 mesi, gli Stati Uniti non hanno subito una sola perdita in combattimento.
Quando abbiamo lasciato l’incarico, il governo afgano e i Talebani controllavano ciascuno il proprio territorio, nessuno dei due stava montando grandi offensive, e l’America aveva solo 2.500 truppe statunitensi nel paese – la più piccola presenza militare dall’inizio della guerra nel 2001.
La guerra infinita dell’America stava arrivando a una fine dignitosa, e la base aerea di Bagram ci assicurava la possibilità di condurre missioni antiterrorismo fino alla conclusione di quella guerra.
I progressi della nostra amministrazione per ottenere la fine di quella guerra sono stati possibili perché i leader Talebani hanno capito che le conseguenze della violazione dell’accordo sarebbero state rapide e gravi. Dopo che i nostri militari avevano eliminato il terrorista iraniano Qasem Soleimani, e le forze speciali statunitensi avevano ucciso il leader dell’ISIS, i Talebani non avevano dubbi che avremmo mantenuto la nostra promessa.
Ma quando il signor Biden è diventato presidente, ha rapidamente annunciato che le forze statunitensi sarebbero rimaste in Afghanistan per altri quattro mesi senza una chiara ragione per farlo. Non c’era alcun piano per trasportare i miliardi di dollari di attrezzature americane recentemente catturate dai Talebani, o per evacuare le migliaia di americani che ora si affannano a fuggire da Kabul, o per facilitare il reinsediamento regionale delle migliaia di rifugiati afgani che ora chiederanno asilo negli Stati Uniti con poco o nessun controllo.
Piuttosto, sembra che il presidente semplicemente non volesse mostrare di rispettare i termini di un accordo negoziato dal suo predecessore.
Una volta che il signor Biden ha rotto l’accordo, i Talebani hanno lanciato una grande offensiva contro il governo afgano e hanno preso Kabul. Sapevano che non c’era alcuna minaccia credibile di un atto di forza da parte di questo presidente. L’hanno visto inchinarsi a gruppi terroristici antisemiti come Hamas, ripristinare milioni di dollari di aiuti all’Autorità Palestinese e stare a guardare all’inizio di quest’anno mentre migliaia di razzi piovevano sui civili israeliani.
La debolezza istiga il male – e la grandezza del male che ora sta sorgendo in Afghanistan la dice lunga sulle debolezze del signor Biden. Per limitare la carneficina, il presidente ha ordinato più truppe in Afghanistan, triplicando la nostra presenza militare durante un presunto ritiro.
Dopo 20 anni, più di 2.400 americani morti20.000 americani feriti e oltre 2.000 miliardi di dollari spesi, il popolo americano è pronto a riportare a casa le sue truppe.
Ma il modo in cui il signor Biden ha eseguito questo ritiro è una vergogna, indegno dei coraggiosi uomini e donne americani in servizio il cui sangue macchia ancora il suolo dell’Afghanistan.
Luca Maragna, qui.

Piuttosto, sembra che il presidente semplicemente non volesse mostrare di rispettare i termini di un accordo negoziato dal suo predecessore.”
Esattamente come ha fatto con tutto ciò che aveva fatto Trump (a cominciare dalle tasse che T. aveva tagliato, permettendo così di favorire le assunzioni e abbassare drasticamente la disoccupazione, soprattutto fra neri e ispanici, che non a caso hanno votato per lui con percentuali mai viste prima nei confronti di un candidato repubblicano). No, questo non è il marito che si taglia i coglioni per fare dispetto alla moglie: questo è uno che ha tagliato i coglioni a un’intera nazione per fare dispetto a chi, quei coglioni, glieli aveva messi. E adesso, notate bene, si sta cercando di limitare la carneficina. Che difficilmente sarà evitata del tutto.

barbara

JOE BIDEN ALLA PRESIDENZA DEGLI STATI UNITI È LA PEGGIORE SCIAGURA CHE POTESSE CAPITARE AL MONDO

Ecco perché.

No, Biden è solo un piccolo Carter, fa danni agli Usa e al mondo intero

Seguito a pensare che noi – in Europa e specialmente in Italia – abbiamo una visione ridotta e deformata dell’America e di tutto ciò che accade in quel grande paese da cui ci arrivano soltanto echi deformati e filtrati, in modo tale da poter soddisfare due o tre tipi di palati, non di più. Cosi è successo con il caso Biden. Biden più che un presidente è un enigma della storia americana. Il Presidente del passato che gli somiglia di più, ma con alte capacità visionarie fu Jimmy Carter; l’uomo nuovo che avrebbe vendicato la sinistra dopo le arroganze repubblicane, ma che portò il paese alla rovina avendo avuto anche la sfortuna di trovarsi di fronte all’insediamento dell’ayatollah Khomeini in Iran, alla cattura degli ostaggi americani nell’ambasciata e al più sfortunato blitz della storia di quel paese quando gli elicotteri dei corpi speciali mandati a soccorrere gli rovinarono tutto per una diabolica serie di errori e guasti meccanici. Oggi è diverso. Biden è il successore di Donald Trump. I lettori del Riformista probabilmente ricordano e ancora si indignano per questa mia scandalosa opinione, ma il tycoon è stato per me l’uomo che scelse di esporsi in maniera ustionante all’opinione pubblica cosi da attirarsi i fulmini, le maledizioni e l’odio ideologico delle sinistre che lo volevano al rogo. I fatti: Donald Trump aveva deciso di ritirare le truppe americane da tutto il mondo dichiarando che l’America non avrebbe più fatto da babysitter (mandando a morire i propri soldati in ogni angolo del mondo) a chi risparmia sulla propria difesa e spendendo i miliardi di dollari così risparmiati – il riferimento era agli europei e soprattutto alla Germania – per promuovere industrie concorrenti a quelle americane. Tutto fu condensato nello slogan “America First” che voleva dire: per noi americani viene prima l’America, gli altri si arrangino. Questa posizione non poteva piacere alle Cancellerie ma aveva una logica evidente e brutalmente pacifista. L’America prima del Covid toccava i massimi picchi di occupazione di afroamericani e di tutte le minoranze emarginate grazie a un taglio delle tasse drastico usato dalle aziende per espandersi e assumere. Tutto ciò in Europa era visto più o meno come i conservatori potevano vedere la Rivoluzione Russa dai loro consigli d’amministrazione nella City di Londra e nella Wall Street di un secolo fa: un pessimo esempio di stroncare. Trump stava dando un pessimo esempio della utilità sociale del più brillante (e regolato) capitalismo che tra l’altro ha prodotto in tempi fulminei i vaccini che ci stanno salvando la pelle. Gli stessi vaccini su cui Trump contava per poter essere rieletto. Biden è stato riciclato da uomo d’apparato e di rappresentanza ai cocktail come antagonista vendicatore delle sinistre di tutto il mondo unite. In realtà Biden non è nessuno. È stato scelto come il più anziano candidato degli Stati Uniti perché si portava in ticket Kamala Harris, una donna che finge di essere nera mentre è soltanto figlia di un funzionario indiano dell’ex impero inglese. La Harris, come Obama, non discende dagli schiavi acquistati dagli inglesi presso i mercanti arabi anche alla Serenissima Repubblica di Venezia (che cosa pensate che fossero tutti quegli africani in livrea e scimmietta sulle spalle nei quadri del Canaletto?).
I progettisti della vittoria di Biden (l’unico presidente eletto con una maggioranza di voti postali recapitati per camion, tutti soltanto col suo nome) sono stati i clan Obama e Clinton, desiderosi di insediare un presidente traballante sulla cui longevità nessuno scommette, e di piazzare automaticamente, insieme a lui, non solo una donna, ma una donna che finge di essere nera: «I’m not a socialist – disse la Harris in un’intervista – but just a mother of a black child». «Non sono una socialista, sono soltanto la mamma di un bimbo nero». Quanto alle sue proprie qualità, oltre a un lifting facciale da neonato, è una che perde la parola e che dà distrattamente del killer al presidente. Per la Harris in Italia stravedono tutti per riflesso pavloviano. È colorata? È il nostro idolo. Perché? perché prevale un pregiudizio razziale, prudentemente espresso in maniera inversa. lo ho due figli americani con cui parlo ogni giorno, e loro e i loro amici detestano Kamala Harris perché come Procuratore ha mandato in galera il più alto numero di ragazzi di colore solo per aver fumato marijuana. Biden ha combinato una catastrofe in Afghanistan di proporzioni ancora ignote. L’Afghanistan produce due beni: la più grande quantità di eroina destinata ai mercati mondiali che frutta ai talebani fra i tre e i quattrocento miliardi di dollari l’anno. Ma c’è dell’altro e Biden lo sa. O dovrebbe saperlo. L’Aghanistan produce minerali, detti “terre rare”, con cui varare la futura generazione dei cellulari, dei sistemi d’arma, del tiro dei carri armati, dei satelliti. La Cina è già in Afghanistan, ben piantata insieme ai russi e al Pakistan. I cinesi sono i nemici già scelti della prossima guerra americana che Trump aveva disegnato come possibile e che Biden ha fatto riclassificare come “probabile” in quel mare del Sud della Cina che non è della Cina ma dove la Cina si è piazzata armando abusivamente gli atolli per spingere i confini oltre i limiti già rifiutati dal tribunale dell’Aja. In quel mare la Cina ha varato una flotta che per qualità e quantità supera quella degli Stati Uniti. L’India è permanente terra di frontiera con la Cina, che a sua volta si è riavvicinata alla Russia con cui compie continue esercitazioni militari. Il mondo è dunque una polveriera minacciato da una guerra di cui non abbiamo la più pallida idea. La Cina grazie a Biden è in trattativa con i talebani per un faraonico programma di industrializzazione, sapendo che i narcotrafficanti travestiti da santissimi uomini della sharia pagheranno in narco-dollari. Tutti gridiamo il nostro sdegno per il mostruoso dramma delle donne e delle bambine afghane che già vengono uccise e cacciate dalle scuole. Ma non abbiamo visto una sola grande manifestazione nelle città italiane perché al di là di quattro parole di circostanza la sinistra italiana non se la sente di scendere in piazza contro le pratiche islamiche nemiche della donna e della democrazia. Quanto al fatto che le democrazie non si esportano con le armi, il Giappone è il lampante esempio del contrario: il generale americano MacArthur, dopo aver imposto al Giappone la resa senza condizioni e dopo averne impiccato i criminali di guerra, dette ordine di edificare un Parlamento, poi scrisse la Costituzione del Giappone e disse: da oggi, e in nome delle nostre armi, questa è una democrazia parlamentare libera con elezioni libere. Da quel momento il Giappone è diventato una delle più perfette e funzionanti democrazie del mondo.
Ma la sinistra italiana imbavagliata e legata come un salame dai propri pregiudizi seguita a fare il tifo per un uomo come Biden, che ha dato dei vigliacchi ai poveri afghani (che hanno avuto settantamila morti in combattimento, mentre gli americani sono stati poco più di mille) vittime di un’invasione esterna, quella talebana, e che accusa di incapacità. Abbiamo visto che gli afghani forse non volevano ancora la democrazia non sapendo bene che cos’è ma avevano imparato qualcosa come la libertà, il rispetto per le donne, la pubblica istruzione, l’umanità. I nostri soldati in Afghanistan avevano le braccia legate dietro la schiena quanto a uso delle armi perché non potevano far altro che rispondere al fuoco se attaccati ma hanno fatto miracoli incredibili per aiutare le persone e difenderle. Gli afghani hanno assaggiato la libertà dalla paura e oggi si passano i bambini attraverso il filo spinato, che è il filo spinato di Biden il quale rischia di portare l’umanità sull’orlo della catastrofe e – udite, udite – i democratici hanno deciso di metterlo sotto inchiesta davanti al Senato e alla Camera bassa per indagare con quali criteri abbia agito il loro Presidente per produrre un danno così devastante all’immagine degli Stati Uniti, agli ideali degli Stati Uniti, al prestigio degli Stati Uniti, alla vittoria del male contro il bene. Biden balbetta. Fa discorsi carichi di odio nei confronti dei perdenti e ammette di aver ordinato la rotta dall’Afghanistan perché doveva pagare la cambiale elettorale all’estrema sinistra socialista che lo aveva votato. E non sapendo come chiudere un discorso imbarazzante per il mondo intero, dopo una lunga pausa e strizzando gli occhi per far capire che è molto arrabbiato, assicura che se i talebani si comporteranno male, be’, allora la sua vendetta sarà devastante. Il corpo dei giornalisti accreditati si è chiesto a base di quale bevanda fosse stato l’aperitivo.
Paolo Guzzanti, qui.

E dunque abbiamo visto Carter abbandonare l’Iran nelle mani degli ayatollah e fallire penosamente il tentativo di liberare gli ostaggi, e abbiamo pensato che quello è stato indubbiamente il peggior presidente degli Stati Uniti e che difficilmente si sarebbe potuto fare di peggio. Poi abbiamo visto Obama prendere a calci gli alleati e baciare i nemici, lo abbiamo visto devastare l’intero Medio Oriente con le cosiddette primavere arabe, abbandonare gli studenti iraniani senza pronunciare una sola parola, regalare l’atomica all’Iran, rifiutarsi di ricevere il Dalai Lama per non irritare la Cina, mettere ripetutamente in pericolo Israele – nei cui confronti non ha mai nascosto il proprio incontenibile odio – con l’aggiunta di tutta una serie di pesanti sgarbi diplomatici nei confronti di Netanyahu, e abbiamo pensato che sì, peggio di Carter era possibile e che lui lo aveva abbondantemente superato. Poi è arrivato Biden… Certo che vedere sotto inchiesta il capo di quelli che hanno passato quattro interi anni e speso decine di milioni di dollari nel tentativo di mettere sotto inchiesta Trump è veramente una cosa da festeggiare col migliore champagne.
Se però, arrivati fin qui, pensate di avere visto tutto, beh, vi sbagliate di grosso. Leggete un po’ qui.

Ritiro dall’Afghanistan: secondo le rivelazioni di Reuters, ciò che ha fatto Biden è peggio di quanto pensassimo

Questo giovedì 19 agosto, i giornalisti Idrees Ali, Patricia Zengerle e Jonathan Landay hanno riportato informazioni inquietanti, accompagnate dall’immagine qui sopra.

Veicoli militari trasferiti dagli Stati Uniti all’Esercito Nazionale Afghano nel febbraio 2021

Si tratta del materiale militare che gli Stati Uniti hanno consegnato all’esercito afghano nel febbraio 2021 e che ora è nelle mani dei talebani. Ma l’informazioni più scioccante si trova nell’introduzione dell’articolo, in cui i giornalisti ricordano che gli elicotteri sono stati consegnati dall’amministrazione Biden solo un mese fa!
Circa un mese fa, il ministero della Difesa afghano ha pubblicato sui social le foto di sette elicotteri nuovi fiammanti consegnati dagli Stati Uniti e arrivati a Kabul, dice l’articolo.
Ma secondo le indagini l’amministrazione Biden non ha consegnato all’esercito afghano solo sette elicotteri nuovissimi nel luglio 2021, poche settimane prima del ritiro totale, lasciando tutto ai talebani, è peggio di così!
• Oltre a sette elicotteri UH60, poco prima del ritiro sono stati consegnati quattro elicotteri da combattimento MD 530 e tre aerei da combattimento rimessi a nuovo,
• E «nove elicotteri Mi-17 arriveranno entro fine settembre»
Abbiamo iniziato a consegnare [a Kabul] gli aerei di cui vi abbiamo parlato in precedenza. Tre di questi, recentemente rinnovati, sono atterrati a Kabul venerdì, e continueranno ad avere un analogo sostegno regolare in futuro», ha detto ai giornalisti venerdì 21 luglio al Pentagono il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin.
https://www.rev.com/blog/transcripts/defense-sec-lloyd-austin-gen-mark-milley-press-conference-transcript-july-21

INCOMPETENZA AI VERTICI DELLO STATO

Generale McKenzie, 12 luglio 2021: «In realtà stiamo per consegnare aerei in modo piuttosto massiccio laggiù»
Sapevamo che Joe Biden non controlla più il paese. L’economia si sta sgretolando e lui non ne è consapevole, il confine sud è un disastro e Kamala Harris si nasconde per non gestirlo, il costo della vita sale come non accadeva da molto tempo. Biden non ha più capacità cognitive sufficienti, non sa più che cosa sta succedendo intorno a lui. Mangia gelati.

Non sapevamo quanto fosse incompetente anche l’entourage del presidente Biden. La tragica fuga dall’Afghanistan ce ne ha appena dato la prova. Una cosa è infischiarsene della cultura Woke imposta al Pentagono, delle mutande LGBT e dei colori delle unghie consentiti nelle forze armate, un’altra è guardare in faccia le decisioni di generali e ministri piazzati dall’amministrazione Biden.
Il generale Mark Milley, presidente dei capi di stato maggiore, ha detto ai legislatori statunitensi lo scorso giugno che sarebbe «sbagliato credere ai discorsi dei talebani secondo cui le forze di sicurezza afghane stanno scomparendo di fronte al conflitto.»
Il generale Frank McKenzie, comandante del Comando Centrale degli Stati Uniti, da parte sua, in occasione del suo viaggio a Kabul l’11 luglio 2021 ha detto:
«La maggior parte delle nostre informazioni sui talebani provengono dal governo afghano. Hanno un sistema di intelligence abbastanza buono. Continueranno ad avere un apparato di intelligence piuttosto buono.»
Https://www.msn.com/en-us/news/world/us-finds-intel-a-struggle-in-afghanistan-as-troops-withdraw-and-taliban-surges/ar-AAM2Pvk
E ha aggiunto:
«In realtà stiamo consegnando aerei in modo piuttosto massiccio lì», ha detto McKenzie. Questo mese verranno consegnati sette elicotteri UH60 e quattro elicotteri da combattimento MD 530 e nove elicotteri Mi-17 arriveranno entro la fine di settembre.
Lo ha confermato l’esercito afghano, aggiungendo che altri saranno consegnati nei prossimi mesi:
«Gli elicotteri sono stati consegnati oggi a Kabul e devono essere ufficialmente consegnati all’aviazione durante una cerimonia speciale. In conformità con il piano, nei prossimi mesi verranno consegnati all’Afghanistan altri elicotteri», ha affermato il portavoce del 209° Corpo Shokhin dell’Esercito Nazionale Afghano(ANA) in una dichiarazione pubblicata da Interfax.
https://www.defenseworld.net/news/30041/Taliban_Shoots_Down_Afghan_Helicopter_Even_as_U_S__Delivers_New_Attack_Choppers#.YR_ksy0RoeY
I generali e il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin non sono gli unici membri incompetenti. Anche il Segretario di Stato Blinken vive in una realtà virtuale. Il 25 giugno ha dichiarato :
«Stiamo esaminando con molta attenzione la sicurezza sul campo in Afghanistan e ci chiediamo anche se i talebani siano davvero seri in merito a una risoluzione pacifica del conflitto», ha dichiarato il segretario di Stato in un’altra conferenza stampa.
https://www.reuters.com/world/asia-pacific/talebans-actions-inconsistent-with-pursuit-peace-afghanistan-says-blinken-2021-06-25/
Meno di un mese dopo ha fatto consegnare a Kabul degli elicotteri nuovi di zecca, quando 700 camion militari erano appena caduti nelle mani dei talebani.
Quando vi dicevo che è una cosa grave, non è tutto…

Obama e ISIS stagione 2
Non osiamo bombardare le attrezzature per paura che ciò possa irritare i talebani

La velocità con cui i talebani hanno spazzato via l’Afghanistan ci ricorda un precedente doloroso, sempre sotto la guida di un presidente democratico: i militanti dello Stato Islamico che hanno preso le armi dalle forze irachene appoggiate dagli Stati Uniti che hanno offerto poca resistenza nel 2014, e hanno catturato in poco tempo vasti territori.
E ricordate, in quell’occasione il presidente Obama si rifiutò di bombardare i pozzi di petrolio caduti nelle mani dell’ISIS per paura di causare danni ecologici, e dichiarò di essere in grado solo di «contenere» l’ISIS. Donald Trump, appena giunto al potere, li liquiderà in pochi mesi tra l’indifferenza dei media, che lo detestano al punto da non riconoscergli alcun merito per i suoi successi.
L’amministrazione Biden, in parte ereditata dalla squadra di Obama, è sulla stessa linea, e si è detta riluttante a bombardare le attrezzature cadute nelle mani dei talebani «per paura di irritarli» – Non sto inventando niente, ecco testualmente quanto scritto nell’articolo della Reuters:
L’amministrazione del presidente Joe Biden è così preoccupata per queste armi [sequestrate dai talebani] che sta valutando un certo numero di opzioni da perseguire.
I responsabili hanno dichiarato che il lancio di attacchi aerei contro le attrezzature più importanti, come gli elicotteri, non è stato escluso, ma che si teme che ciò possa irritare i talebani in un momento in cui l’obiettivo principale degli Stati Uniti è l’evacuazione delle persone.

OLTRE 2.000 VEICOLI CORAZZATI CATTURATI

Secondo l’attuale valutazione dell’intelligence, i talebani hanno già preso il controllo di oltre 2.000 veicoli corazzati, inclusi Humvee, e fino a 40 velivoli, tra cui UH-60 Black Hawk, elicotteri d’attacco e droni militari ScanEagle.
Le armi leggere sequestrate dai terroristi, come mitragliatrici, mortai, nonché pezzi di artiglieria, compresi i lanciagranate, rappresentano un vantaggio per i talebani contro qualsiasi resistenza che possa sorgere in storiche roccaforti anti-talebane come la valle del Panjshir, a nord-est di Kabul.

REGALI A CINA, RUSSIA, ISIS E AL QAEDA

Reuters conclude così il suo rapporto:
Funzionari statunitensi, precedenti e attuali, temono che queste armi possano essere utilizzate per uccidere civili, sia che vengano sequestrate da altri gruppi militanti come lo Stato Islamico per attaccare gli interessi degli Stati Uniti nella regione, sia che vengano consegnate ad avversari come Cina e Russia.
Funzionari statunitensi hanno dichiarato che prevedono che la maggior parte delle armi siano utilizzate dagli stessi talebani, ma che era troppo presto per dire cosa avessero intenzione di fare, inclusa la possibile condivisione di attrezzature con stati rivali come la Cina.
Andrew Small, esperto di politica estera cinese presso il German Marshall Fund degli Stati Uniti, ha dichiarato che è probabile che i talebani concedano a Pechino l’accesso a tutte le armi americane che potrebbero ora controllare.
Siamo lontani dall’aver visto la fine di questo incubo,e ancora meno di tutte le sue ricadute.

Retrait d’Afghanistan : selon les révélations de Reuters, ce qu’a fait Biden est pire que ce que nous pensions

Riproduzione autorizzata con la menzione seguente : © Jean-Patrick Grumberg per Dreuz.info. (qui, traduzione mia)

Com’era quella cosa del sonno della ragione? Ragazzi, prendiamone atto: siamo nella merda. Tutti.

barbara

LE PERLE DI KABUL

Le perle di Biden 1

Le perle di Biden 2

Niram Ferretti

L’APPRENDISTA STREGONE

Il disastro della gestione Biden dell’uscita di scena americana dall’Afghanistan è sotto gli occhi di tutto il mondo. Uno scenario che fa sembrare un picnic la crisi degli ostaggi americani a Teheran nel 1979.
In Afghanistan, al momento, mentre i talebani stanno allargando il loro perimetro, ci sono tra i 10,000 e i 15,000 cittadini americani e al presente non esistono piani per evacuare quelli che sono rimasti fuori da Kabul.
Il Segretario alla Difesa, Llyod Austin ha dichiarato che, al momento, non c’è la possibilità di fare rientrare un ampio numero di persone. Come ha scritto Noah Rothman su Commentary Magazine:

“Abbiamo messo il destino di migliaia di americani e dei nostri alleati afgani nelle mani dei talebani. Dettano i termini e il ritmo delle nostre operazioni. Dipendiamo dai talebani per consentire a cittadini stranieri e afgani accreditati di accedere all’aeroporto internazionale di Hamid Karzai. Secondo quanto resta della presenza diplomatica americana a Kabul, ‘il governo degli Stati Uniti non può garantire un passaggio sicuro’ all’interno dell’aeroporto. Dipendiamo dalla beneficenza di una milizia teocratica che non ha dimostrato capacità di misericordia. E il governo degli Stati Uniti non ha intenzione di porre rimedio a questa condizione”.

Questo è lo scenario senza precedenti. Questa è la presidenza Biden, colui che avrebbe riportato l’America alla sua grandezza dopo gli anni “terribili” della presidenza Trump.

Le perle di John Kerry

Noi che amiamo Israele

L’ex primo ministro israeliano Netanyahu sull’Afghanistan:

“Nel 2013, sono stato contattato dall’allora Segretario di Stato americano John Kerry. Mi ha invitato per una visita segreta in Afghanistan per vedere come gli Stati Uniti avessero istituito una forza militare locale in grado di combattere da soli il terrorismo.
Il messaggio era chiaro: il “modello afgano” è il modello che gli Stati Uniti cercano di applicare anche alla causa palestinese.
Ho gentilmente rifiutato l’offerta e ho previsto che non appena gli Stati Uniti avessero lasciato l’Afghanistan tutto sarebbe crollato. Purtroppo è quello che è successo in questi giorni: un regime islamico estremista ha conquistato l’Afghanistan e lo trasformerà in uno stato terrorista che metterà in pericolo la pace mondiale.
Otterremo lo stesso risultato se, D-O non voglia, cederemo i territori contesi. I palestinesi non stabiliranno una Singapore. Stabiliranno uno stato terrorista in Giudea e Samaria, a breve distanza dall’aeroporto Ben Gurion, da Tel Aviv, da Kfar Saba e da Netanya. Abbiamo visto la stessa politica sbagliata nei confronti dell’Iran. La comunità internazionale si è imbarcata in un pericoloso accordo che avrebbe fornito all’Iran un arsenale di bombe nucleari destinato alla nostra distruzione.
La conclusione è chiara. Non possiamo fare affidamento alla comunita’ internazionale per garantire la nostra sicurezza, dobbiamo difenderci da qualsiasi minaccia da soli “.

E a me resta una curiosità: nei suoi settantasette anni di vita ci sarà una cosa, una, che sia riuscito ad azzeccare?

Le perle di Conte

E anche qui vale la domanda formulata sopra

Le perle di Di Maio

“Come può essere sicuro che non sarà abbandonato?” “Non sarà abbandonato” Neanche fosse andato a scuola da Mattia Santori.

Le perle del papa

Il vispo Tereso, che gran birichino,
giocava ridendo con il biliardino,
e tutto giulivo spingendo gli omini
gridava a distesa “Ho preso i pallini!”

Le perle della Germania

“Dopo che anche la Repubblica federale di Germania ha deciso di ritirare i suoi soldati dall’Afghanistan, il ministro degli Esteri tedesco è entrato in scena e ha impartito ai Talebani il seguente ordine del giorno: ‘I Talebani devono riconoscere che non ci sarà un ‘ritorno al 2001’”, commenta non poco sarcastico Henryk Broder, il columnist della Welt. “La fiduciosa società civile afghana ha atteso con impazienza questo consiglio”. Già a fine aprile, il ministro degli Esteri tedesco aveva avvertito i Talebani: “Ogni aiuto dipenderà dagli standard democratici”. Poco impressionati dalle minacce tedesche, i tagliagole afghani hanno iniziato la loro marcia verso Kabul, uccidendo donne, soldati, interpreti, giornalisti e poeti.
Giulio Meotti

Le perle della UE

Le perle di Emergency

E perché mai non dovrebbero esserci buone aspettative ora che sono tornati al potere i migliori amici di Emergency

Le perle di Letta

Giovanni Bernardini

ANIMALE RAZIONALE?

Enrico Letta ha pronta la soluzione: aiutare le ONG che operano in Afghanistan. In questo modo le migliaia, o decine di migliaia di sventurati che rischiano la pelle in quel disgraziato paese saranno salvi, o quasi. Il burka imposto alle donne sarà più leggero e mentre in Italia ci appassioneremo dibattendo sulla “parità di genere” in Afghanistan le adultere saranno lapidate con sassi meno duri e tutte donne avranno il diritto di uscire di casa anche una volta al mese, accompagnate dal marito o da un figlio, ovviamente. L’azione delle ONG che Letta vuole aiutare darà ottimi risultatati.

Intanto, lo comunica l’Ansa, il 16 agosto il signor Alberto Zanin, coordinatore medico di “emergency” a Kabul rassicurava il mondo. La situazione è tranquilla, affermava l’eroico difensore di donne e bambini. Certo, per “emergency” la situazione resterà “tranquilla”, c’è da scommetterci. Per tanti altri… un po’ meno. Ieri circa 35 persone sono state fatte fuori dagli angioletti talebani, quelli che “lasciano tranquille” le ONG. Manifestavano in piazza i furfanti. Un vero crimine!

Lo dico sinceramente: ogni volta che Letta parla mi chiedo se il vecchio Aristotele aveva ragione quando definiva l’uomo “animale razionale”.

Io, per la verità, oltre che sull’aggettivo, avrei da ridire anche sul sostantivo: più che un animale a me pare tanto un vegetale.

Le perle della Cina

Le perle della CNN

Emanuel Segre Amar

Vi ricorderete questa giornalista della CNN

che l’altro giorno diceva che “sembravano amichevoli”?

Ebbene oggi è stata avvicinata dai talebani che, con un semplice gesto della mano, le hanno “amichevolmente” (ovvio, no?) ordinato di coprirsi il volto,

poi hanno caricato due della sua scorta che è stata anche disarmata:

tra amici evidentemente le armi non servono, anche se uno se le tiene bene in evidenza, per far capire quale è l’aria che tira a Kabul.
Nell’ultima immagine i talebani all’aeroporto, ben equipaggiati (hanno trovato i magazzini dell’esercito afghano pieni di tutto) sparano sulla folla disperata ad altezza d’uomo.

Le perle di Twitter

Twitter, il gigante digitale su cui si svolge oggi buona parte della diplomazia occidentale, che dichiara che i Talebani potranno continuare a usare i social “fintanto che rispetteranno le regole”.
Giulio Meotti

E Donald Trump, evidentemente molto più pericoloso dei talebani, no.

Le perle dell’Unicef

l’Unicef, che si dice “abbastanza ottimista” che i Talebani rispetteranno il diritto all’istruzione delle donne.
Giulio Meotti

Lei un po’ meno, sembrerebbe

Le perle di Ernesto Galli della Loggia

“Oggi” scrive “molti si affrettano a sostenere che un regime siffatto — che trae origine da un’evoluzione storica propria della cultura dell’Occidente — sia adatto per ciò solo alle popolazioni che condividono tale cultura, e che quindi esso non possa essere in alcun modo trapiantato dove tale cultura non ha mai allignato. Tuttavia questa affermazione perentoria solleva inevitabilmente una domanda: chi lo decide che le cose stanno davvero così? Chi decide circa la validità di questa sorta di legge bronzea dell’incompatibilità culturale? Il Congresso Mondiale degli Antropologi e degli Storici Riuniti? Chi? Sembrerebbe abbastanza ovvio che forse dovrebbero deciderlo gli interessati, cioè gli stessi appartenenti alla cultura «altra» rispetto alla nostra. Che dovrebbero essere loro a dire: «No grazie, la libertà di parola non c’interessa, e della garanzia di non essere prelevati nottetempo dalla polizia e magari fucilati senza processo facciamo volentieri a meno». Peccato che invece a invocare l’argomento della incompatibilità culturale rispetto alla democrazia siano regolarmente non già gli eventuali diretti interessati ma solo e sempre coloro che sono arrivati a governarli, sebbene non abbiano ricevuto quasi mai, guarda caso, alcuna effettiva e credibile investitura” (qui).

Le perle dell’America dem progressista

che, liberatasi una buona volta del fastidio dell’Afghanistan, può finalmente dedicarsi alle cose serie

I bagni transgender!

Una perla che farà sicuramente felici i novax

che hanno trovato dei nuovi alleati

Qui

E chiudo con quella che probabilmente rimarrà, al pari dei voli dalle Torri Gemelle, l’immagine simbolo  dell’orrore, del terrore, della disperazione di fronte alla tragedia piombata sull’Afghanistan

barbara

MA QUALCUNO RESISTE

Afghanistan, la sindaca più giovane sfida i Talebani: “Rimango: mi uccideranno, ma non posso fermarmi ora”

È chiaro che la preoccupazione maggiore con la ripresa del potere dei Talebani dopo il ritiro dell’esercito americano dall’Afghanistan, sia per le donne; destinate a perdere i pochi diritti, le poche libertà che avevano conquistato in questi vent’anni.
Lo sa bene Zarifa Ghafari, a 27 anni, e più giovane sindaca del Paese. Nell’estate del 2018 è stata nominata dal presidente “fuggiasco” Ashraf Ghani prima cittadina della città di Maidan Shar, capoluogo della provincia centrale di Maidan Wardak.
Lei, paladina dei diritti delle donne in Afghanistan, non ha intenzione di fuggire: “Verranno per le persone come me e mi uccideranno. Sono seduta qui in attesa che arrivino. Non c’è nessuno che aiuti me e la mia famiglia. Sto solo seduta con loro e mio marito. Non posso lasciare la mia famiglia e comunque dove andrei?”, ha dichiarato, intervistata dal “New York Times”.
Dalla caduta dei Talebani nel 2001 ci sono state e ci sono altre sindache e governatrici in Afghanistan, ma la città amministrata da Zarifa è molto tradizionalista e particolarmente coraggioso l’impegno di questa giovane.
Ha anche ideato un programma radio, di cui è speaker, ed è supportata da una ong che si batte per l’emancipazione economica femminile. Attualmente la sindaca lavora pure al Ministero della Difesa di Kabul e si occupa di soldati e civili sopravvissuti ad attentati. Ha ammesso di essere “distrutta”, ma ha aggiunto di non aver intenzione di fermarsi adesso e di non aver “più paura di morire”. E’ già successo che i Talebani andassero a cercarla.
Di Alessandra Boga, qui.

Ventisette anni sono davvero pochi per morire, ma visto che da quelle parti, soprattutto se si è donne, per morire basta anche molto meno, è bello che qualcuno abbia il coraggio i sfidare la morte per una buona causa. Behatzlachah Zarifa.

barbara

DUE PAROLE SUL DISASTRO AFGHANO

E sul perché Kabul è diventata una seconda Saigon. Riprendo tre articoli che mi sembrano chiarire bene i fatti e le cause.

Mike Pompeo: Biden non è riuscito ad eseguire il ritiro dall’Afghanistan

Joe Biden avrebbe supplicato i Talebani di rallentare la loro avanzata verso Kabul.

L’ex segretario di Stato Mike Pompeo reagisce all’invio di truppe americane di rinforzo in Afghanistan su “The Story”, Fox News.

L’ex Segretario di Stato Mike Pompeo ha criticato l’amministrazione Biden per quella che ha descritto come una debole pianificazione ed una cattiva esecuzione del ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan.
Pompeo, che ha aiutato a pianificare ed eseguire le prime fasi dello spiegamento verso il ritiro delle truppe dal paese, dopo 20 anni lì, ha detto a “The Story” che lui e il presidente Donald Trump si erano assicurati che ci fossero molteplici e applicabili “modelli di deterrenza” che avrebbero impedito il disastro che sta invece di fronte all’attuale Casa Bianca.
“[Sembra] che non siano stati in grado di eseguirlo”, ha detto. “La strategia dipende dalla pianificazione e dall’esecuzione. Sembra che ci sia stato un po’ di panico. Spero che abbiano il giusto numero di persone e che arrivino rapidamente. Spero che possano proteggere gli americani nel modo in cui l’amministrazione Trump aveva tutte le intenzioni di fare”.
Pompeo ha detto che Donald Trump aveva avvertito il negoziatore talebano Mullah Abdul Ghani Baradar che ci sarebbero state “brusche e severe conseguenze” se qualche americano fosse stato minacciato o ferito nel corso del ritiro.
“Se minacciate un americano, se anche solo spaventate un americano, e certamente se farete del male ad un americano, metteremo in campo tutta la potenza americana per assicurarci di arrivare fino al vostro villaggio, alla vostra casa”, ha ricordato ciò che era stato detto al negoziatore talebano.
“Eravamo stati molto chiari sulle cose che eravamo pronti a fare per proteggere le vite americane. Da quando abbiamo iniziato quei negoziati, all’inizio del 2020, non c’è stato un solo americano ucciso dai Talebani mentre il negoziato era in corso. Avevamo stabilito un modello di deterrenza. Spero che non l’abbiamo perso, per gli americani ancora sul campo lì a Kabul”.
Pompeo ha detto che la vera preoccupazione in Afghanistan non sono i Talebani in sé. La paura principale è che un ritorno dei Talebani riporti l’Afghanistan ad essere un nuovo “focolaio” per Al Qaeda e l’ISIS, come lo era prima dell’11 settembre 2001.
“La minaccia non viene dai Talebani. È dal fatto che i Talebani giocheranno a footsies con terroristi come Al Qaeda”, ha detto, aggiungendo che ad oggi, si stima che ci siano 200 o meno terroristi di Al Qaeda nel paese.
“Il presidente Trump ha fatto sempre capire chiaramente a me e al Dipartimento di Stato, che la nostra missione era chiara. Volevamo assicurarci che le nostre analisi fossero sempre basate sulle condizioni che avrebbero protetto meglio l’America, o almeno di ridurre il rischio che ci potrà mai essere un attacco da quel posto”, ha detto.
In precedenza, giovedì, il repubblicano più importante del Comitato per i Servizi Armati della Camera, il rappresentante Mike Rogers dell’Alabama, ha avvertito che Biden sta rischiando una “Nuova Saigon” – in riferimento agli Stati Uniti che fuggono dal Vietnam mentre l’esercito nordvietnamita entra nella proprietà del Palazzo Presidenziale sudvietnamita il 30 aprile 1975.
“Per mesi, ho fatto pressione sul presidente Biden per un piano per evitare proprio la situazione che sta accadendo ora in Afghanistan. Ora, le vite americane sono a rischio perché il presidente Biden non ha ancora un piano“, ha detto Rogers in una dichiarazione.
“Settimane fa, il presidente Biden ha promesso al popolo americano che non avremmo avuto un’altra Saigon in Afghanistan. Ora, stiamo guardando quella la nuova Saigon del presidente Biden svilupparsi davanti a noi”.
Un alto funzionario della Casa Bianca ha detto a Fox News che Biden ha tenuto una riunione sulle mosse da fare mercoledì sera, incaricando i suoi capi, e poi li ha incontrati di nuovo giovedì mattina. Anche il segretario alla difesa ed il consigliere per la sicurezza nazionale hanno informato Biden giovedì mattina, e lui ha dato l’ordine di schierano nuove truppe in Afghanistan per aiutare l’evacuazione degli americani. Biden avrebbe parlato poi separatamente con il segretario di stato per discutere la strategia diplomatica, ha detto il funzionario. (qui)

Mike Pompeo: In Afghanistan, la squadra di Biden sembra nel panico, avrebbero avuto bisogno di fare due cose…

Una strategia così complessa dipende dalla pianificazione e dall’esecuzione.

L’ex segretario di Stato Mike Pompeo reagisce all’invio di truppe americane di rinforzo in Afghanistan su “The Story”, Fox News.

Facciamola semplice. La mia missione rispetto al terrorismo in Afghanistan come segretario di stato nell’amministrazione Trump aveva solo due obiettivi, dice Mike Pompeo.
Primo, ridurre la minaccia del terrorismo radicale islamico in quel paese ed assicurarsi di fare tutto il possibile per evitare che si ripetano gli eventi, ormai accaduti quasi esattamente 20 anni fa, che hanno ucciso 3.000 persone negli Stati Uniti. Secondo, riportare a casa i nostri coraggiosi e giovani soldati, aviatori e marines e concentrarci sul terrorismo in tutto il mondo e sulla grande lotta per il potere che viene dalla Cina. Questo è tutto.
Tutto questo è iniziato con incontri chiari e diretti con i Talebani che stabilivano le condizioni che avrebbero dovuto essere soddisfatte per la partenza finale di tutti gli americani. Ho lavorato per negoziare queste intese.
Non ci siamo fidati del mullah Barader, il capo negoziatore talebano e dei suoi emissari. Non abbiamo dovuto farlo perché avevamo messo subito in chiaro il prezzo che sarebbe stato pagato se avessero violato i nostri rigidi paletti. Non abbiamo implorato i Talebani. Invece, a partire dal presidente Trump e proseguendo in basso per tutta la catena di comando, abbiamo sempre ricordato il prezzo che sarebbe stato chiesto per il loro cattivo comportamento.
Dal 29 febbraio 2020, il giorno in cui abbiamo firmato il nostro primo accordo con i Talebani, non un solo americano è stato ucciso da loro. Nemmeno uno.
Oggi, invece, l’amministrazione Biden starebbe supplicando i Talebani di non uccidere i nostri diplomatici alla loro partenza. Non è semplice debolezza, è anche pericoloso.
Il nostro modello per tenere al sicuro gli americani era la deterrenza – metti un americano a rischio, verremo al tuo villaggio, troveremo te e tutta la tua unità e ti faremo passare un giorno molto brutto fino a quando non ci implorerai di smetterla. Pensate a Quassem Soleimani.
Una strategia così complessa dipende dalla pianificazione e dall’esecuzione. Avevamo iniziato non solo a ridurre ordinatamente il rischio militare, ma anche a ridurre il numero di diplomatici nella nostra ambasciata a Kabul. Tutto per ridurre il rischio. Avevamo un piano ed eravamo determinati ad eseguirlo per raggiungere il duplice obiettivo che il presidente Trump aveva stabilito per noi.
Al contrario, sembra che il Team di Biden non abbia pianificato adeguatamente. Sembrano in preda al panico. Questo incoraggerà i Talebani ed incoraggerà Al Qaeda. 
L’invio da parte dell’amministrazione Biden di oltre 3.000 truppe americane in Afghanistan è il risultato di una cattiva pianificazione e di una scarsa leadership messa in atto nel tentativo di eseguire un’operazione che era stata impostata per avere successo dall’amministrazione Trump.
Sono sicuro che i nostri militari comprendono la missione che è stata stabilita: proteggere la patria da un attacco proveniente dall’Afghanistan. Ma l’amministrazione ha la volontà di imporre quella missione e portare una fine ordinata alla guerra in Afghanistan, mantenendo la deterrenza con i Talebani contro gli attacchi alle nostre truppe e alla nostra ambasciata mentre ci ritiriamo?
La minaccia in Afghanistan non viene solo dai Talebani. Proviene anche dai Talebani che consentono un rifugio sicuro ai gruppi terroristici come Al Qaeda.
Quando ho lasciato l’ufficio, c’erano meno di 200 militanti di Al Qaeda rimasti in Afghanistan. I leader di Al Qaeda erano fuggiti dall’Afghanistan a causa della pressione americana e non si nascondevano in Iran. Dobbiamo fare in modo che il numero di terroristi radicali islamici si riduca soltanto.
È tempo di ridurre le nostre operazioni in Afghanistan, ma deve essere fatto con forza, coraggio e pianificazione. Non è necessario che un ritiro americano porti a una disfatta. I due obiettivi possono ancora essere raggiunti, spero che questa amministrazione ci riesca. (qui)

Byron York’s Daily Memo – L’umiliazione in Afghanistan

Il governo dell’Afghanistan è crollato rapidamente di fronte a una nuova offensiva talebana. Gli Stati Uniti hanno esortato gli americani a “lasciare immediatamente l’Afghanistan”. L’amministrazione Biden ha inviato una piccola unità di truppe per accelerare l’evacuazione. In uno sviluppo particolarmente significativo, gli Stati Uniti hanno chiesto ai Talebani – per piacere – di non prendere di mira l’ambasciata americana una volta che avessero preso il controllo della capitale Kabul.
Al Pentagono, mercoledì, un giornalista ha chiesto al portavoce John Kirby, un ammiraglio della Marina fuori servizio, se il Dipartimento della Difesa “avrebbe potuto fare un lavoro migliore… nell’articolare quali fossero gli obiettivi in Afghanistan e come dovrebbero svolgersi le cose o come non dovrebbero quando ce ne saremo andati?”
La risposta è stata dolorosamente rivelatrice. Ha iniziato dicendo che non poteva parlare per tutti i 20 anni di storia della guerra afgana. Ha ammesso che “gli obiettivi sono cambiati nel tempo”. E poi ha detto: “Sarebbe sbagliato per noi non riconoscere che abbiamo contribuito a consentire alcuni progressi in Afghanistan. Più bambini nelle scuole, comprese le ragazze, opportunità economiche, politiche e sociali per le donne. Un governo democraticamente eletto – non dico che non sia impeccabile, ma almeno un governo. E condizioni di vita molto migliori, compresa l’aspettativa di vita”.
Kirby ha fatto eco ad una dichiarazione fatta quasi cinque anni fa, nell’ottobre 2016, dall’allora segretario di Stato John Kerry. Dall’inizio della guerra, ha detto Kerry, “la mortalità delle madri a causa del parto in Afghanistan è scesa del 75 per cento. L’aspettativa di vita media è passata da 42 anni a 62 anni. L’accesso all’assistenza sanitaria di base è salito alle stelle, dal 9 per cento al 67 per cento. Nel 2001, c’era solo una stazione televisiva, ed era di proprietà del governo. Ora, ci sono 75 stazioni e tutte tranne due sono di proprietà privata. Allora non c’erano praticamente telefoni cellulari, zero. Oggi, ci sono 18 milioni di telefoni cellulari, che coprono circa il 90% delle aree residenziali e collegano gli afgani al mondo”.
Potrebbe mai esserci un’affermazione più vivida di quanto sia andata terribilmente male la missione degli Stati Uniti in Afghanistan? Abbiamo reso l’Afghanistan un posto migliore! I telefoni cellulari! Le stazioni TV! Le ragazze nelle scuole! L’impegno degli Stati Uniti in Afghanistan è diventato forse l’esempio più spettacolare di costruzione di una nazione che non esiste. E ora sta finendo in un fallimento spettacolare perché una missione per costruire una nazione che non esiste è destinata a fallire.
Osama Bin Laden e i suoi scagnozzi hanno usato l’Afghanistan come quartier generale per pianificare gli attacchi dell’11 settembre. Dopo gli attacchi, che hanno ucciso 3.000 persone tra New York, Washington e Pennsylvania, il governo degli Stati Uniti aveva l’obbligo solenne di rintracciare ed uccidere ogni singolo terrorista che avesse avuto un ruolo nella pianificazione e nell’esecuzione di quegli attacchi. La missione non era quella di rendere l’Afghanistan un posto migliore. Non era ridurre la mortalità delle donne a causa del parto. Non era costruire cliniche sanitarie. Non era distribuire telefoni cellulari. Era uccidere i terroristi che avevano attaccato gli Stati Uniti. Poi si sarebbe trattato di mantenere quella presenza minima di intelligence che avrebbe avvertito il governo degli Stati Uniti di qualsiasi futura pianificazione terroristica in loco, e fermare anche quella.

Il fallimento è stato interamente bipartisan.

Ma il presidente repubblicano George W. Bush porta il peso della colpa maggiore per aver indirizzato la guerra afgana sulla strada sbagliata. Sebbene Bush abbia inflitto grandi danni ad Al Qaeda, ha anche dato inizio a quell’esercizio di “nation building“. E nel processo, non è riuscito a trovare e a uccidere Osama Bin Laden, o il suo vice Ayman al-Zawahiri, o il Mullah Omar, il leader talebano che ha aiutato e favorito gli attacchi. Quando, nel 2003, le forze statunitensi catturarono Khalid Sheikh Mohammed, il principale pianificatore dell’11 settembre, l’amministrazione Bush non riuscì a consegnargli la giustizia rapida che meritava. Khalid Sheikh Mohammed, che avrebbe dovuto essere giustiziato dagli Stati Uniti molti anni fa, è ancora vivo oggi, detenuto nella struttura americana di Guantanamo, a Cuba.
Il presidente Barack Obama, a suo grande merito, ha trovato e ucciso Osama Bin Laden. Ma le forze statunitensi non hanno mai preso Zawahiri, e nessuno oggi sembra sapere se sia ancora vivo o morto. Anche il Mullah Omar è sfuggito alla punizione degli Stati Uniti e, secondo quanto riferito, è morto di tubercolosi nel 2013.
D’altra parte, però, l’uso dei telefoni cellulari in Afghanistan è salito alle stelle…
Le forze statunitensi sono rimaste in Afghanistan durante gli anni di Bush, gli anni di Obama, gli anni di Trump e ora per la prima parte dell’amministrazione Biden. Date al presidente Joe Biden il merito di aver messo fine a questa vicenda mal concepita. Naturalmente, sapeva che l’Afghanistan sarebbe crollato quando gli Stati Uniti se ne fossero andati. Il fatto che si sia sgretolato così rapidamente è un’indicazione abbastanza buona che non fosse affatto pronto a stare in piedi da solo.
Nel frattempo, quello che viene definito il momento della “caduta di Saigon” si sta avvicinando. Alcuni daranno la colpa a Biden per aver abbandonato l’Afghanistan. Ma questo fallimento è durato 20 anni. L’attuale presidente, almeno, ha appena deciso di porvi fine.
Luca Maragna, qui.

In realtà a decidere di porvi fine era stato l’ex presidente: l’unica cosa che ha fatto quello attuale è stata di stravolgere il programma e trasformare il ritiro in una rotta disastrosa. Eppure per evitare un simile disastro sarebbe bastata una cosa sola: seguire il programma di Trump, che fino a quando è stato condotto da lui ha funzionato alla perfezione. Certo che se uno invece di imporre ai terroristi condizioni di ferro li supplica vi prego vi prego non fatemi male, gli sta, letteralmente, offrendo il  proprio culo su un piatto d’argento. D’altra parte coi democratici è sempre così che va a finire: con Obama le cosiddette primavere arabe costate finora centinaia di migliaia di morti e chissà quanti ancora ne costeranno, e il sacrificio degli studenti dell’«Onda verde» con l’aggiunta della strage di Bengasi perpetrata da Hillary Clinton (perpetrata alla lettera: per tre volte dalla CIA che aveva la postazione a cento metri dall’ambasciata è arrivata la richiesta di autorizzazione a intervenire, e per tre volte l’autorizzazione è stata negata), e con Biden lo smantellamento degli Stati Uniti e il disastro afghano, in soli pochi mesi. Ah, e a proposito di Obama, ci sono anche tutte le menzogne sull’Afghanistan. Per quanto riguarda il futuro della regione, comunque, non abbiamo motivo di preoccuparci: l’Onu è già intervenuto e ha pensato a tutto:

Loro, nel frattempo, ricominceranno presto ad andarsi a prendere le mogli così.

barbara