e discretamente variegata.
Quando ci vuole ci vuole
E qui direi che vale proprio il “te la sei cercata”.
Silvia, la sua “missione” e i conti in tasca
SILVIA, LA CONTABILITÀ, GILAD E LE FAC NIU
Ho letto i commenti sulla liberazione della Romano: da vergognarsi.
Però è sempre bene domandarsi dove e perché nasce l’odio, perché la vicenda di Silvia ha molti lati oscuri.
Si doveva pagare un riscatto di 4 milioni, ma anche di 40 o 400 miliardi pur di salvare una vita, ma non era meglio non farla partire? Non sarebbe stato più economicamente conveniente? È una questione molto semplice: costi e benefici. I costi di certe operazioni sono superiori ai benefici e non parlo del riscatto pagato.
Silvia è entrata in kenya con un visto turistico e quindi non poteva lavorare.
La Onlus per la quale lavorava si chiama Africa Milele, con sede a Fano, in Italia.
La società ha incassati tra donazioni ed altro, lo scorso anno, 55.629 euro, ne ha spesi 55.955 registrando un disavanzo di 326 euro. Tra le spese dichiarate, la voce di maggior rilievo è di 45.975 euro, attribuiti al “Sostegno progetti e attività”. Quali “progetti” e quali “attività”? Sarebbe davvero interessante conoscerne i dettagli, visto che a Chakama di “realizzato” risulta ben poco, per non dire nulla. Tale somma, a conti fatti, costituisce un’entrata di circa € 4.000,00 mensili, che se non destinati al sostegno di progetti in favore dei bambini risultano una buona entrata per la sopravvivenza di chi afferma di fare opere che invece non fa.
Il dirigente della Africa Milele in loco, è il fidanzato della titolare della Onlus, tale Joseph. Joseph percepisce uno stipendio di 400 euro al mese, non si sa bene cosa faccia ma secondo Payscale.com un impiegato in Kenya guadagna 129 euro, il signor Joseph che, ripeto, è il fidanzato della titolare della Onlus, guadagna quasi quattro volte tanto [in realtà appena un pochino più di tre- ok amico, la matematica non è il tuo forte – ma la sostanza non cambia: questo signore è un parassita che vive alle spalle dei donatori. O, a scelta, un mantenuto che la mantenente fa mantenere dai donatori. Sarà per questo che ha messo in piedi quella baracca subito dopo averlo conosciuto?].
Sempre secondo il sito Payscale ma anche secondo guidestar.com, lo stipendio di un titolare di Onlus parte da 45.000 dollari minimo, per superare i 120.00 dollari, su base annua. Ciò significa che un titolare di onlus marcia minimo sui 3.500 euro al mese, un cooperante (sempre secondo i dati ufficiali di Payscale) guadagna minimo 41.000- MINIMO- 80.000 dollari l’anno, cioè circa 3.000 euro al mese, se va proprio male.
Solo in Sudafrica ci sono 100.000 ONG, in tutto il mondo sono 1.200.000, in pratica in Kenya ne hanno una ogni 80 abitanti poveri, non sono tante?
Come sono spesi i soldi? Quali sono i progetti presentati e quali quelli realizzati?
insomma, chi ci guadagna?
Lo scopo della missione di Silvia era far giocare i bambini del villaggio, cosa davvero nobile, ma davvero così indispensabile? Così costosa?
Ci sono operazioni economicamente sconvenienti: come mettere su una ONG che spende tutto quello che ha senza lasciar traccia delle spese, una missione che in caso di pericolo debba essere coperta dai soldi dei contribuenti.
Sarebbe forse più conveniente trovare gente del posto, pagarla, farsi rilasciare ricevute delle spese, vedere il progetto preventivo, valutare il consuntivo e verificare i risultati?
E ora? Ora con i soldi di quel riscatto quante armi ed esplosivo si potranno comprare? Quanti morti si potranno fare? Quante donne si potranno rapire e schiavizzare?
Se poi qualcuno si stupisce dei commenti feroci verso la cooperante (e che anche a me sono sembrati vergognosi) vorrei chiedergli di fare un passo indietro, di mettersi nei panni di chi è furioso. Se sei un professionista, se sei un dipendente statale, se vivi una condizione economica agiata, allora questa storia e l’eventuale riscatto non ti hanno tolto nulla e puoi commuoverti nel vedere Silvia libera. Se invece sei un invalido totale che vive con 285 euro annue (quest’anno 286, un euro in più, che vergogna: un euro in più) beh prova a metterti nei suoi panni, prova a immaginare quanta rabbia nel vedere soldi così mal spesi, soldi che finiranno per finanziare il terrore e la morte e magari avrebbero potuto essere investiti meglio. E lasciamo perdere gli invalidi, che ci importa? Mancano poveri in Italia? Mancano persone alle quali quei soldi avrebbero fatto molto comodo o magari salvato la vita oppure in italia è scoppiata la ricchezza? Bastava gestire meglio le cose, sono state gestite male e continuano ad essere gestite male; ciò che stupisce e che c’è chi approva. Misteri della Repubblica. Italiani cuore grande, si sa, cuore sì, ragione no.
I villaggi sono posti fantastici per fare volontariato, ci si conosce tutti, c’è un’atmosfera familiare e tanta sicurezza, si vive in contatto con la natura, insomma una bella esperienza da mettere sul curriculum. Ma è a pochi chilometri da Nairobi, o nei sobborghi di qualsiasi città africana che si vive davvero l’emergenza tragica e infernale delle bidonville. Su tg3 (sta su youtube) una giornalista tempo fa intervistò una ragazza costretta a vivere nella bidonville: case di lamiera con le stanze divise da pareti di cartone. Una povertà infernale; la ragazza racconta che tornando a casa una sera scoprì che le avevano rubato la forchetta ed il cucchiaio… la forchetta. Rubare una forchetta: si riesce ad immaginare tanta miseria?
Racconta che lì le ragazze si lasciano violentare senza far resistenza per non essere picchiate, per non essere uccise. Racconta, la ragazza, delle immondizie lasciate davanti uscio di casa, delle fogne inesistenti e dei liquami e deiezioni che scorrono davanti alle loro case ed i bambini lì giocano. Giocano…
Fatela lì la ludoteca.
La missione della società di Silvia era di far giocare i bambini. Fare una ludoteca.
Andate lì a far del bene, a lavare i bambini prima che a farli giocare, a disinfettarli, a curare le loro ferite, a proteggerli dalla violenza, a dargli da mangiare, a giocare ci penseranno quando saranno guariti e nutriti, non ora, ci sono altre priorità.
GILAD
Qui in Israele ci sono villaggi e zone pericolose da visitare per un israeliano ma per chiunque.
il sottoscritto, anni fa decise di entrare a Hebron (città israeliana, su suolo israeliano). Un soldato mi ferma prima dell’ingresso nella città e mi chiese se fossi conscio dei rischi che avrei corso; me lo chiese in maniera garbata ed educata : “Vuoi entrare ad Hebron? Ma sei scemo?” Così mi disse. Io però entrai e lui mi disse che lo facevo a MIO rischio e pericolo.
Ecco, qui funziona così: se ti rapiscono lo stato non paga, viene a prenderti con la forza se ci riesce, ma non paga, non ha pagato mai per non creare un precedente; in realtà ci fu una eccezione: Il soldato Gilad Shalit.
Gilad fu rapito dai terroristi di Hamas nel 2006 e tenuto prigioniero in un sotterraneo per 5 anni (60 mesi) 60 mesi senza che gli fossero estratte le schegge della bomba che lo aveva colpito, nutrito di solo pane per le prime 4 settimane di prigionia, durante la quale perde 17 chili. Gilad veniva minacciato di morte in continuazione, non vide mai la luce del sole per 5 anni perché i satelliti israeliani lo avrebbero identificato e trovato.
Gilad visse sì una forte fortissima pressione psicologica, aveva solo 18 anni al momento del rapimento, e Hamas di gente e soldati israeliani ne aveva sgozzati diversi in passato.
Insomma un po’ di stress pure lui lo ebbe, eppure non chiese di leggere il Corano e non si convertì.
Gilad giunse in Israele vestito da soldato Israeliano, aveva davanti il nostro Leader Benjamin BIBI Netanyahu pronto ad abbracciarlo, Gilad sorrise, gli fece il saluto militare e poi svenne.
Sì però pagammo un riscatto altissimo stavolta, per un solo soldato pagammo un riscatto storico: 1000 terroristi, alcuni colpevoli di omicidio e strage di civili. 1000 terroristi per un solo soldato indietro? In realtà svuotammo le nostre carceri. Ci siamo tolti 1000 criminali dalla galera che ci costavano 90 euro al giorno l’uno.
Abbiamo preso un soldato senza cacciare una breccola, anzi abbiamo risparmiato circa 8 miliardi di euro di costi carcerari che avremmo sostenuto solo nei prossimi 3 anni. Quello sì che fu un buon affare.
Bisogna saper far di conto e basarsi sulla razione e non sull’emozione, fare i conti bene prima di parlare.
Gilad non ha mai visto la luce del sole per 5 anni, per evitare che i satelliti israeliani lo trovassero.
Gilad fu ferito nell’agguato e le schegge delle bombe gli rimasero nella carne per 5 anni, non avendo ricevuto alcuna cura medica e portandolo a soffrire atrocemente
Gilad viveva sotto la costante minaccia di morte.
Gliad era ostaggio di una organizzazione terrorista che si ispira alla religione della pace.
Ora:
Gilad al suo ritorno non sorrideva.
Gilad aveva perso 17 chili
Gilad la prima cosa che fa una volta sceso dall’aereo è stato il saluto militare al nostro primo ministro Benjamin netanyahu, con la divisa dello stato di israele, saluta e poi sviene
Gilad non si convertì a nessuna religione, eppure lì sì, forse lo avrebbe salvato.
Gilad ha sofferto.
Gilad sull’aereo che lo riportò a casa si cambiò e si mise l’uniforme del suo paese, ma sarebbe bastata pure una maglietta ed un paio di jeans, certo non con l’uniforme dei suoi carcerieri.
A chi dice che Silvia è venuta vestita con abiti somali, invito a cercare su Google ‘Somali Clothes’ e non troverete nulla di simile a quello indossato da Silvia; piuttosto, la giornalista -Somala- Maryan Ismail, invece denuncia quella tunica e quel colore come l’abito indossato dalle donne sottomesse alla organizzazione integralista religiosa Shabab e denuncia sdegnosamente la passerella mediatica con il simbolo della sofferenza delle donne Somale, e ribadisce che di Somalo quell’abito non ha nulla, gli abiti delle donne Somale sono allegri e pieni di colore e non obbligano a tenere il cappuccio in testa, cercare su google, c’è tutto lì..
Gli insulti verso Silvia restano un abominio, ma allora lo sono anche quelli rivolti ai Marò che poi sono risultati innocenti, anche quelli indirizzati durante certe manifestazioni, ai soldati morti in missione di pace: ”10-100-1000 Nassirya’’ si gridava nelle manifestazioni di una certa sinistra. Si insultava, si insultava gravemente, si insultavano i morti, Silvia è viva, grazie a dio.
LE FAC NIU:
Al suo rilascio Silvia ha detto di non aver subito alcuna violenza e di ciò non possiamo che essere felici, prima si parla di un fidanzato e di una eventuale gravidanza, tutto poi ritrattato.
Se si è fidanzata lì, se ha fatto un figlio (e ha negato assolutamente di aver subito violenza) e se ha potuto studiare e convertirsi, non ci si vede una prigionia infernale, da cosa è stata liberata? insomma non sembra che abbia condotto la vita di schiava. Però potrebbero essere fac niu e si vedrà, comunque in caso, auguri al papà ed al nascituro.
La fac niu sulla gravidanza, spero sia vera e sarebbero affari suoi, perché i figli so piezz’ e core, ma non si fanno in cattività, nei filmato si accarezza la pancia ed ha un gonfiore che fa sperare bene che sia un maschietto o ha solo mangiato troppi fagioli e salsicce in aereo, vedremo.
Tornare vestita da teletubby e dire che è un abito Somalo, è proprio una fac niu e non stupisce che lo abbia detto Miss Stupidaggia Lucarelli, alla quale forse il troppo silicone che ha in corpo gli è finito nel cervello. Cervello da portare in officina anche a chi la segue anyway.
Italiani sempre pronti a ringraziare i nostri carnefici, sempre pronti a farci invadere da tutti.
Sempre servi, schiavi o vassalli, mai altra sorte.
L’episodio di Silvia sarà una grossa molla per molti ad emularlo. Si fa presto a far soldi con gli italiani: vengono qui a far del bene, li rapiamo, ci facciamo dare un sacco di soldi e poi li facciamo tornare a casa con la nostra divisa così ci fanno un po’ di marketing pubblicitario, facendoci fare pure un figurone alla nostra causa: che paese fantastico l’italia.
L’italia storicamente è sempre stata invasa e conquistata da tutti : Barbari, Normanni, Arabi, Austriaci, Spagnoli, Tedeschi e pure quegli imbecilli che vanno in giro con la Baguette sotto l’ascella sudata in estate; tutti hanno reso serva l’italia, solo san Marino non ci ha ancora provato, ma se continuiamo di questo passo…
Col lavoro che avevo in Italia ho avuto la possibilità di viaggiare tantissimo, in moltissime parti del mondo, e ovunque mi trovassi ero sempre accolto così: “Ah Italiano? Piza, Mozarela, Mandolinooo”’.
Beh ora le cose cambieranno, potranno dire: “Piza, mozarela, cretino”.
*Le informazioni sulla Ong di Silvia me le ha fornite Franco Nofori, da 30 (trenta) anni residente in Kenya, consigliere dell’ambasciata Italiana in Kenya.
I dati sui salari dei volontari delle ONG li ho presi da Payscale.com e Guidestar.com
(qui)
E due parole sulla ragazzotta viziata la cui voglia di avventura tanto è costata alle nostre tasche e all’immagine dell’Italia
Credo si possa dire: quello di Silvia Romano che, ottenuto un visto turistico per il Kenya, ci è restata e si è messa in pericolo andando in un’area a rischio, è stato un comportamento irresponsabile, anche se non sappiamo quanto sia dipeso da lei e quanto dalla Onlus Africa Milele.
Posto che per tenere compagnia agli orfani vanno benissimo anche le donne africane, perché non è un lavoro che richieda studi universitari, mi pare che a entrare in gioco sia stato lo spirito di avventura, non la mancanza di bambini che in Italia abbiano bisogno di affetto o la mancanza di Africa di donne che possano darlo.
Penso, senza ironia, che abbia fatto bene a convertirsi per salvarsi la vita, o anche solo per ingraziarsi i carcerieri. Penso anche che abbia dimostrato un eccezionale spirito di adattamento, necessario per la sopravvivenza psicologica, creando un legame affettivo con loro, come modo per illudersi di essere circondata da persone buone e non da terroristi feroci.
Posso capire anche che allo stato attuale sia plagiata e quindi non se la senta di rinnegare una conversione fatta in quelle condizioni, e che creda davvero alla bontà dei terroristi e alla genuinità della propria conversione.
Però, da quanto ha raccontato lo zio di Silvia Romano, gli uomini della sicurezza che l’avevano portata in Italia le avevano chiesto di togliersi quel vestito, anzi, quel sacco della spazzatura assolutamente osceno che indossava, prima di scendere dall’aereo. Lei ha rifiutato categoricamente, ritardando quindi lo sbarco e mettendo in scena una passerella che ha fatto la felicità dei terroristi.
Qui è diverso, non le chiedevano di maledire i terroristi o di ripudiare il Corano. Si trattava degli uomini che l’avevano salvata e avevano rischiato la vita per lei. Non ha mostrato per loro né rispetto né gratitudine. non per loro, non per il Paese che l’aveva salvata. Non mi risulta che abbia ringraziato le autorità italiane, gli uomini dei servizi segreti, l’Italia intera, non mi risulta che abbia espresso rammarico per essersi messa nei guai con conseguenze catastrofiche, non solo per lei
Qui non c’entra il plagio. Questo è il comportamento di una persona egocentrica e ingrata , pronta a rispettare i terroristi ma non chi l’ha salvata. Se poi davvero volesse tornare in Africa dopo i disastri che ha, sia pure involontariamente, combinato, ne uscirebbe un quadro ancora peggiore.
Enrico Richetti
E qualcuno nega che siamo in uno stato di polizia (1)
Questa è un’altra ripresa, meno nitida rispetto a quella che chiude questo post, ma cominciata all’inizio della vicenda, e in cui sono più evidenti la violenza subita dalla donna e gli incredibili abusi e soprusi messi in atto dai vigili.
E qualcuno nega che siamo in uno stato di polizia (2)
Lecce, vigilessa interrompe funerale di una 32enne per identificare presenti. La madre: “Una persecuzione”
È accaduto nel piazzale del cimitero durante la esequie di Silvia Ghezzi, morta a 32 anni dopo due anni di lotta contro una malattia rara: “Non erano più di 20, avevano dei palloncini in mano, e rispettavano il distanziamento”
di LUCIA PORTOLANO
11 maggio 2020
Una mamma che piange la propria figlia che non c’è più, la bara bianca e una quindicina di persone sparse sul piazzale del cimitero, a debita distanza, per l’ultimo saluto a Silvia Ghezzi ed intanto una vigilessa, con taccuino in mano, chiede nome e cognome ai presenti per poter svolgere i controlli. È accaduto nel piazzale del cimitero di Lecce durante la celebrazione del funerale di Silvia Ghezzi, la ragazza leccese morta a 32 anni dopo due anni di lotta contro una malattia rara.
Durante la celebrazione officiata da don Gianni Strafella nell’ampio piazzale la vigilessa si è avvicinata alle persone presenti e le ha identificate. Non erano più di 20, avevano dei palloncini in mano, e rispettavano il distanziamento richiesto dalle prescrizioni anti Coronavirus. Lo zelo della vigilessa ha amareggiato la mamma di Silvia. La donna, Mimma Colonna ha pubblicato il suo sfogo su Facebook.
“Non è accettabile che avvenga tutta questa persecuzione durante la celebrazione della messa del funerale di mia figlia Silvia – scrive questa mamma – che ha già dovuto sopportare in vita atroci sofferenze e non trovare pace nemmeno nel cimitero durante il suo ultimo saluto da parte dei congiunti che educatamente erano a 3-4 metri uno dall’altro all’aperto, continuare imperterrita a disturbare per chiedere nome e cognome col taccuino in mano mentre il dolore per la perdita della figlia ti attanaglia è veramente deplorevole e squallido”.
La donna riporta l’esempio del cimitero di Bologna dove tutto questo non è accaduto e si rivolge al sindaco di Lecce Carlo Salvemini. “Vengo dal cimitero di Bologna – aggiunge – dove mia figlia è morta e nonostante si celebrassero i funerali nessun vigile a Bologna si è mai permesso di assumere atteggiamenti da campo di concentramento, anzi se si avvicinavano era solo per dare le condoglianze e ricordare le distanze. Allora credo signor sindaco che la prima cosa che manca a questa vigilessa non sono l’apprendimento delle regole del Decreto, ma le basi più elementari della buona educazione, del rispetto del dolore atroce per la perdita di una figlia, del rispetto per la celebrazione funebre e poi non può avere libero arbitrio di modificare le regole a suo piacimento”. (qui)
E qualcuno nega che siamo in uno stato di polizia (3)
Le “Mascherine Tricolori” sono liberi cittadini che ogni sabato hanno deciso di incontrarsi senza fare assembramento.
In ogni città d’Italia. Per gridare il proprio dissenso contro un Governo indegno.
A distanza di sicurezza e ciascuno con le mascherine, appunto, stamattina si stava passeggiando tra Piazza del Popolo e Via del Corso, cantando l’inno nazionale.
Tra vetrine di negozi chiusi, sui quali erano affissi avvisi che “non si riaprirà, non siamo in grado senza aiuti”.
Centinaia. A distanza. Camminavano e cantavano l’inno nazionale.
Qualcuno dai balconi applaudiva.
La polizia li ha chiusi, praticamente bloccando la strada con le camionette da una parte e dall’altra.
Lo capiamo che ci hanno tolto la libertà??
Sì, il Grande Fratello è arrivato
Coadiuvato dai suoi servi sciocchi
(da almeno vent’anni questa faccia mi ispira l’espressione “vecchio mal vissuto”, nonostante sia quasi mio coetaneo – meno di dieci mesi di differenza – e vent’anni fa io girassi ancora gloriosamente in minigonna e tacchi a spillo, raccogliendo ancora qualche robusta fischiata di freni)
E ricordiamo che
e che i coglioni sono sempre in due, e sempre appaiati ma leggermente asimmetrici
e che tutti i provvedimenti suggeriti dagli “esperti” e presi dal governo sono ampiamente giustificati, dal momento che abbiamo a che fare con un virus sconosciuto, strano e dai comportamenti bizzarri e bizzosi anzichenò
E infine – perché almeno un angolino alla bellezza vorremo lasciarlo, no? – la cosa più bella che mai potrà capitarvi di leggere su Ezio Bosso.
barbara