Che a parlare sempre e solo di cose serie (non che questa non lo sia, se vogliamo), si rischia l’indigestione.
barbara
Che a parlare sempre e solo di cose serie (non che questa non lo sia, se vogliamo), si rischia l’indigestione.
barbara
ho interpretato Sylvia Plath morta e sepolta ai piedi di un fiore e di un albero e quando le radici dell’albero hanno accarezzato il mio corpo ho mormorato oh, finalmente vi accorgete di me e poi mi è scappata fuori una poderosa risata a pernacchia e ho rovinato tutto l’effetto drammatico.
Io sono verticale
Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un’aiuola
ultradipinta che susciti di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia.
Stasera, all’infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo più perfetto –
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me più naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.
Niente, sono una catastrofe (però è così bello divertirsi).
barbara
Ovvero dell’apartheid. Quella di Israele intendo, naturalmente, che tutti noi ben conosciamo, quella che costringe il mondo intero a mobilitarsi, a invocare condanne Onu e a boicottare e a marciare, e a bruciare bandiere, e a proclamare giornate settimane mesi anni della rabbia e del tetano e del tifo e del colera e della diarrea fulminante. Di cui mi sono già ampiamente occupata.
Akko, l’antica San Giovanni D’Acri, si trova qui:
in Israele, come vedete. Non nei famosi Territori palestinesi/occupati/contesi/disputatierisputati, no, proprio Israele Israele, assegnata a Israele già nel piano di partizione del 29 novembre 1947 (risoluzione Onu 181), decine di chilometri distante dalla famigerata linea verde rossa gialla ciclamino fucsia amaranto. Che effettivamente sarebbe stato di gran lunga meglio: ve lo immaginate condannare “la costruzione di sei appartamenti e un capanno degli attrezzi più il casotto del cane e la cesta del gatto oltre la linea blu di Prussia”? O la notizia che “l’incidente è avvenuto oltre la linea eliotropo”, “il missile è caduto oltre la linea grigio asparago”, “un colono è deceduto in seguito a uno scontro a fuoco con un militante oltre la linea incarnato prugna”, “disordini oltre la linea giallo paglierino come la pipì delle persone giovani e sane” “boicottiamo i kaki coltivati oltre la linea kaki”: si sentirebbero talmente ridicoli che sarebbero costretti a smettere da soli. Purtroppo quella verde avevano a portata di mano, e tocca rassegnarsi. Akko comunque è di qua. Ed è caratterizzata da una popolazione con una forte componente araba (ho già raccontato che immediatamente dopo l’incidente, mentre ero a terra gridando per il dolore disumano, i ragazzini intorno mi gridavano sharmutta sharmutta, puttana in arabo); girando per le strade della cittadina ho fotografato questi cartelli coi nomi delle vie.
Per chi avesse poca confidenza con le scritture diverse da quella latina, preciso che sono scritti in arabo. Solo in arabo. A Gerusalemme invece, città ebraica per antonomasia fin dalla notte dei tempi, i cartelli sono così
Akko, città antichissima, ha una storia talmente complessa che rinuncio a raccontarvela (anche perché non la so mica tutta); ricordo solo che è stata sede degli Ospitalieri, di cui è rimasta la cittadella, che non ho fotografato. Per chi fosse interessato ho fatto qualche foto nel primo viaggio, quello in cui ho attraversato tutta Israele da nord a sud e da est a ovest con entrambe le zampe rotte (poi ho fatto due mesi in sedia a rotelle e un anno intero prima di tornare a camminare quasi normalmente, ma ne valeva la pena) e se il cannocchiale funziona le trovate qui (fatte con la Minolta con lo zoom da quasi un chilo sempre in precario equilibrio sulle suddette zampe rotte). Stavolta ho fotografato solo un albero, ripreso in tre tappe
e manca ancora l’ultimo pezzo, per il quale, non essendo contorsionista, mi sarei dovuta sdraiare per terra. E poi ho fatto ancora queste foto
e questa è l’ultima perché subito dopo mi sono sfracellata.
barbara