2022 ODISSEA NELLA SANITÀ

Avendo un problema a un piede che le terapie non hanno risolto, l’ortopedica sospetta che ci sia qualcosa che i raggi non sono riusciti a evidenziare, e mi prescrive una risonanza. Al CUP, come sempre, mi dicono che in sede non si trova niente (tranne che a pagamento, come ho dovuto fare con i raggi, ma la risonanza costa troppo e quindi devo prendere quello che passa il convento) e mi danno un posto in trasferta per il 9 settembre. Il giorno prima mi chiamano dalla clinica per avvertirmi che hanno un problema con la manutenzione, e mi spostano l’appuntamento al 3 ottobre (in realtà c’era un posto anche il 26 settembre, ma era il giorno in cui avevo l’intervento). Poi la mattina dopo alle sette e mezza vado al CUP per vedere se c’è qualcosa prima tra la manciata di disponibilità che hanno ogni giorno per le urgenze, e chi ne ha bisogno va lì all’apertura perché in poche decine di minuti va via tutto. Sì, dice, c’è un posto in un’altra città per il 20 settembre: perfetto, lo prendo. Sennonché ci si mette di mezzo l’alluvione, le strade sono un mare di acqua e melma, provo a chiamare un taxi che mi porti alla stazione ma il tassista, quando gli dico l’indirizzo, mi dice mi dispiace, lì non possiamo arrivare perché non ci fanno passare. Allora parto a piedi, la strada consueta non è praticabile e quindi ne provo un’altra: impraticabile, ne provo una terza: impraticabile. Rassegnata torno a casa e chiamo la clinica per spiegare che da casa mia non c’è modo di raggiungere la stazione e che quindi sono costretta a disdire l’appuntamento. Per fortuna non avevo ancora disdetto l’altro, quello del 3 ottobre, e quindi mi tengo buono quello e il giorno 3, ancora parecchio dolorante per l’intervento, mi alzo, chiamo un taxi e mi faccio portare alla stazione. Arrivata alla clinica prendo il numero e quando arriva il mio turno vado allo sportello e consegno l’impegnativa. Il tizio inserisce i dati nel computer, aggrotta la fronte e dice “Ma lei è già prenotata da un’altra parte”. No dico, cioè sì, ma l’ho disdetta. Qui risulta attiva, dice lui. Allora gli spiego tutta la storia, e lui riconosce che non è colpa mia se all’altra clinica non hanno cancellato la prenotazione, però sta di fatto che il sistema non accetta la mia impegnativa e di conseguenza non si può procedere. Allora mi scrive il numero del CUP regionale e mi dice di chiamare e disdire, raccomandandomi di non affidarmi alle procedure robotizzate ma di parlare con un operatore. Per una decina di minuti trovo sempre occupato, poi finalmente mi rispondono ma, primo, tra le varie opzioni non c’è “se vuoi parlare con un operatore premi x”, secondo, il robot mi chiede il numero della prenotazione, che io non ho perché in mano ho solo quello dell’impegnativa. Torno allo sportello, il tizio prova a chiamare lui, ma non riesce a combinare niente neppure lui. Gli viene un’altra idea: il suo medico fa ambulatorio oggi? Sì, dico, ma fino alle dieci, e sono quasi le undici; se c’è gente continua, ma se non c’è più nessuno ovviamente se ne va. Provi, dice, si faccia fare un’altra impegnativa nuova e la faccia mandare al mio indirizzo email qui. Dubito che ci sia ancora, ma comunque provo a chiamare, e riprovo, e ri-riprovo, e ri-ri-riprovo, all’infinito, ma non risponde, evidentemente se n’è già andata. Torno allo sportello. Il tizio va a cercare una collega per vedere se lei ha qualche altra idea su come uscirne, e lei ce l’ha: fa una verifica e constata che l’altra clinica appartiene allo stesso circuito di quella, e quindi con una telefonata diretta riescono a far cancellare la prenotazione. Se l’avessi avuta con uno degli ospedali generali non ci sarebbe stata alcuna possibilità di venirne fuori.
Poi al ritorno non mi sento troppo male e decido di tornare a casa a piedi dalla stazione. Mi avvio, e ho la sensazione di camminare in modo strano, sensazione che più procedo e più aumenta. Arrivata a casa ho capito perché.

scarpa sinistra
scarpa destra

Ed è la quinta volta che mi perdo le suole per strada.

Sempre in tema di burocrazia, in settembre sono andata a fare la dichiarazione dei redditi e ho portato il 730 provvisorio che avevo scaricato l’anno scorso dall’INPS ma quello non andava bene, mi è stato detto: serviva quello dell’Agenzia delle Entrate. Così quando sono arrivata a casa ho chiamato per sapere se potevo andare lì direttamente o se dovevo prendere un appuntamento. La procedura standard, come mi è stato spiegato in seguito, consiste nel fare la richiesta via mail, poi loro, quando sono in comodo, rispondono  fissando un appuntamento per andarlo a prendere. Quel giorno però la titolare dell’ufficio era assente, e il tizio che la sostituiva, nel tempo che avrebbe dovuto impiegare per spiegarmi la procedura mi ha chiesto i miei dati, ha recuperato il mio documento nel computer, mi ha chiesto l’indirizzo email e mezzo minuto dopo il mio 730 era qui. Che poi quella notte stessa è arrivata l’alluvione, dopo di che per una settimana almeno non avrei potuto fare niente. Quando poi sono andata a consegnarlo per completare la dichiarazione l’ho raccontato alla tizia, che a sua volta mi ha raccontato di una a cui, sempre all’Agenzia delle Entrate, era stato detto che doveva mettere una marca da bollo su ogni pagina.

Non meravigliamoci se poi, in mano a un simile branco di burocrati, ci ritroviamo in guerra senza neanche sapere perché, e dalla parte dei nazisti, come se non bastasse. Sembra proprio in tema questo “Marte, il portatore di guerra”.

barbara

CONTINUAZIONE E CONCLUSIONE DELLA TRISTE STORIA ECCETERA

È cominciato il lunedì pomeriggio. Con la pioggia, dico. Prima leggera poi media poi forte poi nubifragio. Ogni mezz’ora andavo in camera a controllare e ogni volta dicevo bene, per il momento tiene – e poi mi sono resa conto che stavo facendo come quello che cade dal cinquantesimo piano e arrivato al quarantesimo dice per ora tutto bene, al trentesimo dice per ora tutto bene… Finché, verso mezzanotte, sono arrivata al piano terra: una bella pozzetta d’acqua per terra e una macchia di bagnato sulla coperta ai piedi del letto. Ho messo un asciugamano e un catino per terra sotto il gocciolamento, una busta di plastica grande sulla coperta e un piccolo asciugamano fra le due lenzuola, che mi assorbisse almeno un po’ di acqua nelle ore che mancavano prima che andassi a letto. Ci vado, come al solito, verso le sette di mattina, e dormo tutta rannicchiata per non finire coi piedi sul bagnato (in realtà io dormo sempre al 90% rannicchiata). Il giorno dopo, martedì, chiamo l’architetto, che mi dice chiamo la ditta e poi ti richiamo. Mi richiama di lì a una decina di minuti e dice che mi mandano due uomini (siccome diluviava, ovviamente non stavano lavorando), che infatti vengono, li porto in camera a vedere e poi vanno su in terrazza. Verso le sei e mezza non è più gocciolamento bensì vera e propria pioggia, e arriva da tutto il soffitto, e la richiamo. Dice avverto il tecnico, fra venti minuti siamo lì. Arrivano infatti, e lavoriamo una buona mezz’ora tutti e tre a portare fuori dalla camera tutto quello che si può e che è a rischio. Poi passano all’appartamento di fronte: i vecchi inquilini se ne sono andati e i nuovi non sono ancora entrati, per cui dopo la mia telefonata ha provveduto a chiamarli per dire che era meglio che venissero a vedere com’era la situazione da loro; è arrivato lui e ha trovato 3 centimetri di acqua, che è arrivata a bagnare il soffitto dell’appartamento di sotto. Poi, mentre erano ancora lì, si è improvvisamente allagato il passaggio tra la zona notte e quella giorno, li ho richiamati e sono venuti a precipizio a togliere quadri, spostare librerie, mettere catini, portare via altre cose dalla camera eccetera. Il tecnico, che credo sia anche il titolare della ditta, essendo chiaro che lì dentro non potevo dormire, mi aveva proposto di andare in albergo – tanto lui è coperto da assicurazione – ma ho rifiutato. Sicché ho messo per terra in soggiorno una vecchia trapunta (che non uso più da un quarto di secolo perché è molto rovinata ma che ho conservato perché io non butto mai via niente perché non si sa mai, e infatti tutto quello che secondo qualcuno avrei dovuto buttare, prima o poi è venuto utile, e così anche la trapunta, e non è la prima volta) e tre coperte grosse più altre tre sottili, tutte messe doppie più il grande telo da spiaggia giallo che si vede nella foto del primo post, e, per coprirmi, la meravigliosa copertina blu che ho rubato in aereo, e ho passato la notte lì, mettendo una prolunga per far arrivare lì la lampada che normalmente sta sul meraviglioso tavolinetto disegnato da me (come molte altre cose che ho in casa) e ci ho, diciamo così, dormito. Poi mercoledì sera, dopo avere terminato tutti i lavori della giornata, è venuta la ragazza che mi fa le pulizie a darmi una mano. Lei voleva portarmi in soggiorno la rete del letto per farmi dormire più comoda, ma dato che aveva praticamente smesso di piovere e anche quasi del tutto di sgocciolarmi in camera, ho deciso di togliere il materasso e portarlo in soggiorno ad asciugare di fronte al termosifone

e mettere sulla rete tutto l’armamentario che avevo sistemato in soggiorno, più una mezza dozzina di asciugamani da spiaggia di spugna, belli grandi – e nonostante tutto questo, quando ho provato a sedermi ho preso una gran culata perché mi mancavano, rispetto al materasso, una buona decina di centimetri, e non lo avevo calcolato, così come non avevo calcolato il fatto che era tutto molto più duro. Poi, mentre lei raccoglieva tutti gli stracci che prima erano stati per terra e che avevo momentaneamente buttato nella vasca da bagno, e io stavo tornando dal soggiorno dove avevo portato qualcosa, improvvisamente sentiamo un grande scroscio, come una cascata, provenire dalla camera. Corriamo a vedere, ed era questo:

interamente sopra il letto. Fosse capitato qualche ora più tardi, probabilmente non mi avrebbe ammazzata, ma certo tanto bene non ne sarei uscita: abbiamo riempito (sì, ok, lei ha riempito) due borse, e mentre lei riempiva la seconda io ho portato fuori la prima, parecchio più piccola, e avrà sicuramente pesato almeno tre chili (la casa è degli anni Settanta, e in questo mezzo secolo le pareti sono sempre state ridipinte una mano sopra l’altra, per cui adesso lo strato di intonaco è molto spesso). Dopodiché lei continuava a dire io là dentro non ci dormirei neanche morta, vuole che tiriamo via tutto e portiamo la rete in soggiorno? Il che era del tutto privo di senso: se tutto quello che era sopra il letto era già venuto giù, di che cosa dovevo preoccuparmi? Infatti poi ho dormito cinque ore buone quasi ininterrottamente. Ogni tanto un morbido plafff mi si infilava nei sogni, ma senza arrivare a svegliarmi del tutto. Perché ovviamente un po’ alla volta finirà per venire giù tutto o quasi, ma ormai di danni non ne può più fare.
Oggi pomeriggio, finito di asciugarsi il materasso, che ieri avevo girato per esporre al calore del termosifone anche l’altro lato, e il coprimaterasso, è tornata la ragazza e insieme abbiamo risistemato il letto. Rimangono un po’ di cose in giro, come queste collane messe ad asciugare insieme al loro contenitore

(riconosco che l’appoggio potrebbe apparire a qualcuno leggermente inappropriato, ma dato che serve perfettamente alla funzione non vedo motivo di formalizzarmi), gli scatoloni che erano sopra l’armadio, di cui il più grande contenente stoffe e stracci,

un po’ umidi, ma che fino a oggi pomeriggio non ho potuto stendere perché lo stendino era occupato dal coprimaterasso, oltre alle cose già dette, ma volete mettere la felicità di tornare a dormire su un materasso!

Poi per dopodomani è prevista pioggia per 24 ore.

barbara

UNA POVERA DONNA SFRATTATA DALLA PROPRIA CAMERA

e costretta a dormire per terra in soggiorno. Tutto per colpa del patriarcato tossico (come perché? Non li leggete i giornali? Non lo sapete che il patriarcato tossico è colpevole di tutti i mali della Terra, dal disagio giovanile al raffreddore, dal cancro ai cosiddetti cambiamenti climatici? Ma dai, che lo sanno tutti!)

60x45x25. E avevo già tirato fuori tre catini di acqua. Si trova esattamente sotto il lampadario, ed è per questo che la luce è così balorda: la colata più robusta veniva da lì e correva lungo tutto il lampadario, per cui non mi sono fidata ad accendere la luce.
meno di mezz’ora dopo avere posizionato il secchiello. Di questa nuova cataratta che si era aperta non mi sono accorta subito, ed è per questo motivo che queste
sono le mutande che stavano nel secondo cassetto, oltre al centrino che stava sopra. Sopra il centrino c’era un vasetto con dei fiori secchi. Il vasetto traboccava, mentre i fiori secchi adesso sono sopra il termosifone, avvolti nella carta da cucina, ad asciugare.

Poi c’è il passaggio dalla parte notte alla parte giorno, che prima era asciutto e un momento dopo era allagato

e tutto il vestibolino intorno al quale si sviluppa la parte notte

le tre librerie sono state spostate
e la libreria qui sotto e i quadri sono stati trasferiti. Tutti i chiodi che si vedono in giro sono di quadri sottratti alla furia dell’acqua.

Nel ripostiglio

Nel bagno piccolo

Nello studio

Queste sono tutte cose della camera profughe nel soggiorno

E questa è roba sfrattata dall’armadio, temporaneamente accolta come profuga nella cameretta

E questo è il mio parco giaciglio

Con lo strofinaccio da cucina sul cuscino, per sentire un po’ meno il bagnato

Domani il resto.

barbara

ALLUVIONE IN GERMANIA, UN ARTICOLO E UN COMMENTO

Questo è l’articolo, con un po’ di dati.

Alluvioni: ecco le più devastanti della storia d’Italia

Quali sono le alluvioni più devastanti della storia d’Italia? Dal 14 al 19 ottobre 1951 nell’Aspromonte e nella Calabria Jonica, tra Nardodipace, Africo, Canolo, Careri, Plati, si verificò una delle più violente alluvioni del Meridione. Il nubifragio fu causato dalla combinazione di venti di Scirocco e di Levante, provocando 70 morti e ingenti danni a colture e infrastrutture. Il 14 novembre 1951 fu la volta dell’alluvione del Polesine. Un violento nubifragio causò lo straripamento del Po che superò di 80 cm la massima di piena. L’acqua invase borghi, campi, distruggendo raccolti, allagando numerosi comuni, con maggiori conseguenze a Rovigo dove si registrarono 180 morti. Il 4 settembre 1948 un violento nubifragio tra le province di Asti, Albese, Chivass e Piemonte Orientale causò 42 morti. Il 21 ottobre 1953 in Calabria ci furono 51 morti, 100 dispersi e 2000 senzatetto per via del nubigrafio che gonfiò d’acqua la fiumana Valanidi.
Tra il 25 e il 26 ottobre 1954 un violento nubifragio colpì la Campania e la Costiera Amalfitana. I morti furono 318 con un dissesto territoriale senza precedenti. Dal 4 al 6 novembre 1966 a Firenze straripò l’Arno, provocando 35 vittime e numerosi danni alle opere artistico-letterarie; a luglio 1987 , nel territorio della provincia di Sondrio, il fiume Adda ruppe gli argini e nel comune di Valdisotto persero la vita 53 persone. Il 5 maggio 1998 A Sarno il maltempo ed il dissesto idrogeologico provocarono 159 morti. Altrettanto nota l’alluvione di Soverato del 9 settembre 2000, a causa di un grosso nubifragio venne inondato un campeggio e furono 12 le vittime. Dal 13 al 16 ottobre l’evento interessò il Po e gran parte dei suoi afflueti in Valle d’Aosta, Liguria, Piemonte e Lombardia con 23 vittime e 40 mila sfollati. Da ricordare l’alluvione di Carrara del 23 settembre 2000, in cui per il nubifragio morirono 2 persone; l’alluvione e colata di detrito nel comune di Villar Pellice, datata 29 maggio 2008; l’alluvione di Cancia il 18 luglio 2009, quella di Messina del 1 ottobre 2009; quella di Atrani del 9 settembre 2010.
In termini di vite umane, la catastrofe peggiore rimane quella della diga del Vajont.* Era il lontano 9 ottobre 1963 quando una frana si staccò dal Monte Toc, cadendo nel bacino della diga e creando un’onda che trascinò, investendo i paesi sottostanti, tra cui Longarone. Furono 1909 i morti ufficiali che, secondo altre stime, ammontano a 2000. Sempre una diga causò 356 morti nel 1 dicembre 1923 in Val di Scalve (Bergamo); il pilone centrale della diga del Gleno cedette e le acque del lago artificiale si riversarono nella vallata sottostante. Ma la storia racconta di altre alluvioni: l’alluvione dei Campi Bisenzio che il 22 novembre 1926 procurò una vittima; l’alluvione di Palermo (11 vittime) del 21 febbraio 1931, quando un’ondata eccezionale di precipitazioni per 5 giorni continui e un forte vento di tramontana causarono lo straripamento dei principali fiumi che attraversano la città: il disastro di Molare (111 vittime) del 13 agosto 1935 quando a causa di una violenta precipitazione il lago di Ortiglieto straripò, inondando divrsi paesi e campagne in provincia di Alessandria.
Caterina Lenti, Settembre 2017, qui.

* No, il Vajont no per favore, non mettetemelo fra le catastrofi naturali!

E questa è la riflessione di Giovanni Bernardini.

L’articolo che posto non fa altro che elencare alcune delle più devastanti alluvioni avvenute in Italia. Riporta fatti di 30, 60, 80 anni fa. Eventi tragici che hanno causato o centinaia, in alcuni casi oltre un migliaio di morti ed enormi danni.
Nessuno le allora le attribuì ai “mutamenti climatici”.
Oggi invece la tragica alluvione che ha colpito la Germania viene immediatamente addebitata al clima assassino. Prima ancora di dare notizia delle vittime e dei danni i media puntano l’indice accusatore sul clima. La strage del clima titola “La repubblica”. Se Trump fosse ancora presidente sarebbe lui il responsabile di tutto…
Però… però se 70 od 80 anni fa le alluvioni provocavano centinaia di morti e da allora le cose sono costantemente peggiorate a causa della “umana follia” oggi le alluvioni di vittime dovrebbero provocarne a migliaia, o a decine di migliaia, ce lo dice la logica.
Ma la logica non è il forte dei giornalai di regime.
Gli stessi che questo inverno, di fronte ad un freddo fuori del comune, assicuravano il popolo bue che era il riscaldamento globale a provocarlo.
E che domani indicheranno nel riscaldamento globale antropico la causa di eventuali siccità.
Ad essere davvero globale ai nostri giorni è la propaganda becera.

Poi magari volendo ci sarebbe anche questo

Poi magari, se restano ancora due minuti, può valere la pena di leggere anche questo.

barbara