Queste donne hanno partorito all’ospedale Barzilai di Ashkelon (450 missili in 48 ore, del costo di 200.000 dollari l’uno)
Hanno partorito in un rifugio antibomba sotterraneo. Come disse il poeta greco Dinos Christianopulos: “Hanno tentato di seppellirci, ma non si sono accorti che eravamo semi”.
Sono convinti che vinceranno perché amano la morte più di quanto noi amiamo la vita… Per vincere occorre naturalmente essere forti, ma anche la stupidità del nemico aiuta un bel po’.
E quando nella casa (casetta. Casettina. In effetti il mio appartamento è più grande) di Ben Gurion in mezzo al deserto (oggi non più, ma a quel tempo lo era) Franco ha proposto di cantare tutti insieme HaTikvah. Ho chiesto espressamente l’autorizzazione a cantare anch’io (per metà della mia vita ho pensato di essere la persona più stonata del pianeta. Poi è salito alla ribalta Jovanotti e mi sono dovuta autorelegare al secondo posto. Che è comunque una posizione non da poco). HaTikvah è una cosa talmente emozionante che mi emoziono perfino quando, stonatissima, la canto io. E quelle cinquanta persone strette in una stanza, alcune intonate e alcune no, appassionate, emozionate, unite in quel coro spontaneo, mi hanno fatto pensare – spero che a qualcuno l’accostamento non appaia irrispettoso – a quest’altro coro,
soprattutto per le parole finali del rabbino: “Am Israel chai, the children of Israel still live”: loro erano vivi, e dopo settantadue anni noi eravamo lì, in Terra d’Israele, in mezzo al deserto fatto fiorire anche da loro e dagli altri sopravvissuti, vivi, a testimoniare la realizzazione di quella speranza.
E quando presso la tomba di Ben Gurion mi sono fatta un mezzo pianto insieme a Simonetta, perché certe emozioni sono troppo forti per riuscire a restare dentro, soprattutto quando si è vicini a qualcuno che le condivide, e in qualche modo devono uscire. Poi naturalmente abbiamo smesso, ed eccoci qui, belle e sorridenti.
E quando ho chiesto ad Avi,
il nostro addetto alla sicurezza e paramedico, mitra in spalla e zaino di pronto soccorso al seguito, di misurarmi la pressione perché in questo periodo è molto ballerina e devo tenerla controllata per potere, in caso di necessità, aggiustare il dosaggio delle pastiglie, e lui ha risposto “Se vuoi vengo a misurartela in camera tutte le sere” (ohibò, è vero che mi sono sempre piaciuti giovani e che il mio ex più giovane potrebbe essere mio figlio, ma di questo potrei tranquillamente essere la nonna) (che comunque se ci fosse stato il minimissimo sospetto che lui parlasse sul serio, se ci fosse stato il minimissimo sospetto che io potessi prendere in considerazione l’idea, ad entrambi sarebbero stati cavati gli occhi seduta stante) (e avrei anche dovuto darle ragione).
E quando Emanuela ha incominciato a raccontare. È stato a Timna, durante la cena, che abbiamo consumato nel ristorante presso questo laghetto (foto di Martina),
arrivandoci per questo sentiero costeggiato da grandi candele di citronella.
Ha incominciato a raccontare, dicevo, e ho pensato eccone un’altra che vuole far sapere quanto è brava. E ha continuato a raccontare e ho pensato ah beh, però. Ed è andata avanti a raccontare e più andava avanti più mi diventava difficile contenere l’emozione. E sempre più diventava chiaro che non stava facendo la bella statuina, ma trasmettendo – con modestia, con umiltà – una conoscenza che nessuno di noi aveva. Quando ha finito di raccontare le ho chiesto di scrivere quello che aveva raccontato, per metterlo nel blog. Metterò anche le foto, e un video, e i link ai documenti, ma il racconto voglio che sia quello suo, palpitante, emozionato ed emozionante, come lo abbiamo sentito noi, in quella notte in mezzo al deserto, perché le azioni che danno un senso alla parola “umanità” non vanno mai nelle prime pagine dei giornali, ed è quindi giusto trovare per loro altri spazi.
E quando alla cena di Shabbat abbiamo cantato Shalom Aleichem e mi è tornata alla mente la volta che è stata cantata nel mikveh di Siracusa,
con voce bassa e profonda che riecheggiava tra le volte, io appoggiata a una di quelle colonne, e improvvisamente dal petto mi è scoppiato fuori un grosso singhiozzo.
E quando Shariel Gun, direttore generale del KKL Italia, appena saliti sull’autobus che dal Ben Gurion ci avrebbe portati al mar Morto, ha provveduto a informarci che “sull’autobus c’è uaifai, che immagino che in Italia si dirà vafa”, e io non solo non ho capito la battuta, ma non ho neanche capito che era una battuta, fino a quando un compagno di viaggio non mi ha detto che “ci ho messo un po’ prima di capire la battuta del vaf(f)a che si dice in Italia”.
E quando mi sono messa a raccontare a una compagna di viaggio un certo episodio, e per chiarire le circostanze ho spiegato che fino a non molto tempo fa vivevo in mezzo alle Alpi e lei mi interrompe dicendo: “Tu hai tenuto una conferenza a Udine!”
E quando la signora P., ultraottantenne (un bel po’ ultra, credo) si è incazzata con me e con Marisa e si è messa a strepitare “io mi sono rotta i coglioni, cazzo!” (Poi Pierre, un po’ per l’impegno che ci ha messo, un po’ per talento naturale, non solo l’ha rabbonita, ma alla fine è riuscito anche a farla ridere, anche se cercava testardamente di continuare a fare il muso)
E questi siamo tutti noi, alle spalle il deserto e davanti le tombe di Ben Gurion e di sua moglie Paula (purtroppo il sistema che mi aveva insegnato Giovanni per rendere le immagini cliccabili per ingrandire non funziona più. Se lui o chiunque altro mi può insegnare un sistema alternativo gliene sarò grata)
barbara
La fotografia conquista il web in poche ore, rimbalza da un utente all’altro e diventa virale.
Dana Ofir sorride raggiante, seduta su quella sedia a rotelle che quasi sparisce sotto il peso della sua storia.
L’attentato avvenuto a Gerusalemme appena un mese fa avrebbe dovuto piegarla, il suo corpo esile non avrebbe dovuto reggere il colpo di un camion lanciato per uccidere. Eppure così non è stato. Dana ce l’ha fatta, non si è arresa, non ha rinunciato a realizzare il suo sogno, non ha abbandonato il corso per diventare Ufficiale dell’esercito israeliano. Ed oggi, migliaia di persone in tutto il paese festeggiano insieme a lei un traguardo che pareva irraggiungibile.
Questo è il lieto fine di una ragazza che rappresenta alla perfezione l’eroina dei tempi moderni: più fragile ed umana rispetto a quella dei fumetti, più forte e determinata rispetto ai suoi nemici. David Zebuloni (17 febbraio 2017, Moked)
In Israele è così: se ti colpiscono cadi, ti lecchi le ferite e poi ti rialzi, almeno quel tanto che basta a issarti su una sedia a rotelle, e riparti, come abbiamo ricordato in questo blog una volta, due volte, tre volte, quattro volte, e come succede quotidianamente in quello stato, e in quell’esercito che accoglie cerebrolesi, autistici, down, mutilati, persone in sedia a rotelle e con ogni tipo di handicap, affinché a ognuno sia concessa la gioia di dare quanto può – non dimentichiamo che ci troviamo nella Terra in cui, come ho ricordato qui, mentre da noi le femministe lottavano per conquistare gli stessi diritti degli uomini, le pioniere combattevano per ottenere gli stessi doveri degli uomini. E ricordiamo le tre immortali parole di Netanyahu.
Il 29 giugno teniamoci liberi, c’è da difendere Israele. A Ginevra
ANTEFATTO:
COMMISSIONE “SCHABAS”
È una commissione istituita dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, con sede a Ginevra, ed è chiamata così dal nome della persona a cui era stata affidata la conduzione della commissione: il giurista canadese William Schabas.
La Commissione aveva già tutte le premesse per diventare una nuova “Commissione Goldstone” (la commissione che “indagò” sui “crimini” commessi da Israele durante l’operazione a Gaza “Piombo Fuso” a cavallo fra 2008 e 2009).
Questa commissione, invece, è stata incaricata di “indagare” sui “crimini” commessi da Israele durante l’operazione a Gaza “Margine di Protezione” dell’estate 2014. Una commissione creata ad hoc su pressione della solita maggioranza automatica anti-israeliana al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, con delle tesi e dei verdetti già scritti e precostituiti, in cerca solo di legittimarli internazionalmente sotto la veste di “report” di una commissione d’inchiesta.
Solo che Goldstone aspettò molto tempo dopo l’uscita del rapporto da lui firmato, per “disconoscerlo” e ammettere che non era stato obiettivo e neutrale. Schabas, invece, si è dimesso ancora prima di iniziare, lo scorso febbraio, per delle accuse di parzialità (a sfavore di Israele, ovviamente) nei suoi confronti, dopo le notizie emerse su alcune sue passate consulenze (quindi a pagamento) per conto dell’OLP!
Lo Stato d’Israele ha deciso di non partecipare ai lavori della Commissione, proprio per la sua palese parzialità e per le sue conclusioni già precostituite; di contro ha condotto nei mesi scorsi indagini e inchieste interne autonome, pubblicando, alla fine, risultati e conclusioni che portano alla luce i veri crimini commessi invece da Hamas.
Ovviamente, la Commissione d’inchiesta dell’ONU è andata avanti lo stesso, anche senza Schabas, e adesso, a fine mese, sarà presentato il suo rapporto finale, a Ginevra, alla sede del Consiglio per i diritti umani dell’ONU.
INIZIATIVA:
Si sta organizzando una manifestazione di sostegno a favore di Israele, per quel giorno, il 29 giugno prossimo, davanti alla sede del Consiglio per i diritti umani dell’ONU a Ginevra.
Vari gruppi si stanno organizzando già localmente, in Svizzera, e si sta verificando la possibilità di organizzare anche dei gruppi di sostenitori provenienti dalle regioni limitrofe di Francia e Italia.
Vi saranno due punti di partenza per l’Italia: Torino e Milano. La manifestazione è prevista a Ginevra per le ore 11.00 in tarda mattinata. La partenza da Milano e Torino, in pullman, è prevista intorno alle ore 8:00 di mattina. Il rientro in Italia è previsto in giornata stessa, dopo la conclusione della manifestazione.
Le spese di viaggio con il pullman da Milano e Torino (andata e ritorno) sono coperte. Sarà fornito anche un pranzo al sacco.
PER PRENOTAZIONI GRATUITE SUI PULLMAN DA MILANO: SCRIVERE A eyal-m@amicidisraele.org LASCIANDO IL PROPRIO NUMERO DI CELLULARE.
PER PRENOTAZIONI GRATUITE SUI PULLMAN DA TORINO: SCRIVERE A segreamar@gmail.com LASCIANDO IL PROPRIO NUMERO DI CELLULARE.
Eyal Mizrahi – Presidente ADI e responsabile del movimento sionista Over The Rainbow Italy
Per quei quattro gatti che ancora non fossero stati raggiunti dall’informazione. Io, naturalmente, ci sarò.
Sarà perché in aeronautica militare ci sono nata. Sarà perché ho avuto il battesimo dell’aria a sei mesi, su un aereo militare. Sarà perché gli aerei li ho pilotati e ci ho fatto acrobazie, sempre in aeronautica militare. Sarà quello che si vuole, sta di fatto che l’aeronautica militare ce l’ho sotto la pelle, e poche cose mi emozionano come il rombo di un caccia.
Grande è stata dunque l’emozione regalatami dalla visita alla base di addestramento della IAF (Israeli Air Force) di Tel Nof, soprattutto sapendo quanto sia fondamentale l’arma aeronautica per la difesa di questo piccolo, meraviglioso Paese, costantemente minacciato di annientamento da nemici tanto più grandi e potenti; vedere questi splendidi animali da combattimento nonché autentici gioielli tecnologici
(illustrati dalla voce calda dell’ufficiale addetto alla nostra accoglienza, colonnello Kaufmann – che poi io non ho mai capito come facciano i soldati israeliani a essere tutti così belli, ma questa è un’altra storia) è stata davvero una festa per gli occhi e per lo spirito. Dopo le spiegazioni, le domande, e dopo le domande serie, la domanda mia: il grande sogno della mia vita è sempre stato di volare su un caccia, F15 o F16: devo rinunciare al mio sogno? Naturalmente se avesse detto di sì, avrei risposto: “Ma io non lo farò”; lui però ha risposto: “Ma no, è semplicissimo: basta che si arruoli, e potrà volare su tutti i caccia che vuole”.
La giornata è idealmente proseguita con l’intervento (tra gli altri), al ricevimento presso il kibbutz Maalè Ha’Hamisha, del giornalista televisivo Alon Ben David che ha esaustivamente illustrato la situazione attuale, i pericoli rappresentati da Hamas ma soprattutto dall’Iran, in particolare dopo il famigerato accordo voluto da Obama. E poi i discorsi sono finiti ed è iniziata la musica, e abbiamo riso e cantato e saltato e ballato fino allo sfinimento (anch’io, per un’ora di fila, senza stancarmi mai, con un fiato che non sospettavo di avere; anzi, con un fiato che non avevo mai avuto neanche quando avevo quindici anni e non avevo ancora incominciato a fumare): centinaia di persone di trenta Paesi diversi, gioiosamente unite in un unico, immenso, festoso inno alla gioia, all’amore, alla vita. Perché sta scritto: “E tu sceglierai la vita”, e noi l’abbiamo scelta. E sempre la sceglieremo, qualunque inferno i nostri nemici promettano di prepararci.
Am Israel chai.
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
in cui il mondo è a portata di mano.
Voi che provate fastidio
a dover ricordare
anche una sola volta all’anno.
Sappiate che questo è un Uomo,
che non perde speranza della pace
nonostante non conosca ancora pace,
che lotta quotidianamente
contro l’odio di cui l’avete circondato
ma non cede mai al rancore,
che usa il suo ingegno per la vita
ma che troppo spesso ancora
muore per un sì o per un no.
Sappiate che questa è una Donna,
disposta a imbracciare le armi,
a usare la forza di una tigre
per difendere i suoi piccoli,
la memoria sempre viva,
luce negli occhi e futuro nel grembo.
Meditate su ciò che è stato
e su ciò che è adesso,
su ciò che voi vorreste dimenticare,
banalizzare, sminuire, ribaltare,
perché tutt’oggi vi disturba.
Vi comando queste parole:
Am Israel chai!
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
Fulvio Del Deo
Perché la memoria non resti confinata a un giorno nel calendario.