GURDARE IN FACCIA LA REALTÀ

Quella realtà che in troppi si rifiutano di guardare, o per interesse, o per ideologia malata.

GUERRA IN UCRAINA, REALTA’ E SOGNI

2 GIUGNO 2022

L’intera classe politica occidentale, da Joe Biden a Mario Draghi, dalla ministra tedesca della Difesa Baerbock (che a tratti pare essere il vero cancelliere) al premier polacco Morawiecki, è impegnata a ripetere ogni giorno, più volte al giorno, che la Russia deve essere sconfitta in Ucraina. Per la verità nelle ultime settimane c’è stato uno slittamento linguistico significativo: da “la Russia deve essere sconfitta” si è passati a “la Russia non deve vincere”, che forse è l’indice di una più cauta pretesa. Chissà. Però, anche quando ci fossimo ripetuti per l’ennesima volta ciò che tutti sappiamo ( ovvero che il cattivo, qui, è la Russia, l’invasore è il Cremlino, gli occupanti le truppe russe), ancora non potremmo sottrarci al confronto con la realtà dei fatti. Che in sintesi oggi dicono questo: dopo più di tre mesi di guerra la Russia non dà segni di volersi fermare; le sanzioni più massicce della storia (che come dice Draghi, si faranno sentire in estate…) non hanno ancora convinto la classe politica russa a cambiare linea; il territorio ucraino “occupato”, che era il 7% (tra Crimea e Repubbliche del Donbass) prima del 24 febbraio, ora è il 20%, e forse sarà di più nelle prossime settimane; e l’esercito ucraino, pur riorganizzato, rinforzato (nel 2021 Zelensky ha dedicato il 4,1% del Più alle forze armate), addestrato dagli ufficiali occidentali e armato (quasi) in ogni modo da mezzo mondo, in questa fase pare alle strette.
Certo, dal punto di vista politico di Varsavia, Londra o Washington ingolosisce la prospettiva di tagliare le unghie alla Russia, tanto più che i sacrifici di guerra li fanno gli altri, cioè gli ucraini. E poi in questi mesi ci è piaciuto fare il tifo per il più debole contro l’orso russo. È stato comodo trasferire sui nostri giornali ogni sorta di notizie e di false notizie abilmente diffuse da un sistema mediatico come quello ucraino, controllato dagli oligarchi (ne ho scritto nel numero di Limes appena uscito), messo al servizio del potere politico e infatti classificato, già prima della guerra, al 108° posto su 180 nella graduatoria mondiale della libertà di stampa (Russia al 156° posto). Comprese le fake news elaborate da Lyudmila Denisova, commissaria per i Diritti Umani che lo stesso Parlamento ucraino ha dovuto licenziare per non vergognarsi troppo. È stato divertente descrivere i militari russi come dei fessacchiotti senz’arte né parte e raccontare la guerra come una serie infinita di vittorie ucraine. Tutto bene. Peccato che ora la realtà dica altre cose.
E una delle cose che questa realtà dice è che sconfiggere la Russia o non farla vincere è possibile ma implica una conseguenza di cui troppo poco sia parla: assistere alla distruzione dell’Ucraina stessa. È un prezzo che siamo disposti a pagare? Anzi, per meglio dire, a far pagare agli ucraini? Sorprende la noncuranza con cui si parla di futuri piani per la ricostruzione dell’Ucraina, perché danno per scontato che sia inevitabile lasciarla radere al suolo da un’offensiva russa che, dai primi di aprile, cioè da quando il comando è stato affidato al generale Dvornikov, il “macellaio” che per la nostra informazione sarebbe già stato epurato, si è dedicata a demolire con cura l’intera infrastruttura del Paese, annientando fabbriche, ferrovie, stazioni, depositi, con gli effetti che ora vediamo sul campo. E tutto questo avviene nella parte decisiva per l’economia ucraina, quel “Donbass allargato” ricco di risorse naturali (per dire, è uno dei più grandi bacini al mondo di terre rare) che la Russia, con questa o quella formula, vuole annettere. Impediamo alla Russia di vincere in Ucraina e poi con un bel Piano Marshall tiriamo su tutto, è il ragionamento. Il bello, anzi il brutto, è che è più o meno lo stesso ragionamento che fanno i russi: tiriamo già Mariupol’ o Severodonetsk e poi distribuiamo aiuti umanitari e ricostruiamo, che problema c’è?
Sarebbe quindi ora di smetterla con le frasi fatte e con il finto coraggio di chi non partecipa al dramma. Per evitare di vedere l’Ucraina distrutta e con ogni probabilità smembrata, se non riportata alla situazione del Seicento, con la parte a Ovest del Dnepr controllata dalla Polonia e quella a Est dalla Russia, bisogna cercare un compromesso. Ovvero, un accordo in cui sia la Russia sia l’Ucraina perdono qualcosa rispetto alle intenzioni e alle speranze. Chi invece, da un lato e dall’altro, vuole proseguire la guerra abbia almeno la dignità di ammettere che pur di sconfiggere Putin è pronto a sacrificare l’Ucraina e gli ucraini. Il resto sono solo parole.
Fulvio Scaglione, qui.

Ucraina. L’ambiguità di Biden e le rivelazioni sul figlio

È inconsueto che il presidente americano parli al mondo attraverso un articolo di giornale invece che in un discorso, ma così è stato e ieri ha pubblicato sul New York Times un intervento in cui spiegava l’impegno Usa a sostegno dell’Ucraina, anche per rispondere alle domande, sempre più pressanti, di fare chiarezza sull’impegno Usa.
Nell’articolo, a parte la solita retorica, due aspetti rilevanti. Il primo è il tono moderato dello scritto: nessun insulto a Putin e la riaffermazione che gli Usa non sostengono un regime change in Russia né cenni sui crimini di guerra attribuiti a Mosca [ovvio: quando parla, anche se i discorsi glieli preparano, finisce sempre che, essendo demente, gli scappa di mano – o per meglio dire SI scappa di mano – mentre un articolo viene pubblicato così come lo hanno scritto]. Un passo indietro, dunque, rispetto a certi interventi estremi del passato.
Al di là delle solite accuse al nemico, non si rinviene neanche alcun cenno all’integrità territoriale dell’Ucraina o alla cacciata dell’esercito russo, solo la prospettiva di vedere la nazione preservata nella sua fisionomia “democratica, indipendente, sovrana e prospera” [tanto democratica da mettere fuorilegge tutti i partiti di opposizione e chiudere le televisioni non allineate; tanto indipendente da venire finanziata e armata e addestrata da anni da uno stato estero; tanto sovrana che un qualsiasi pincopallino straniero può far destituire un procuratore capo che indaga sui suoi loschi affari; tanto prospera da dover mandare le sue donne meno giovani in giro per il mondo a pulire il culo a vecchi invalidi e le più giovani a fabbricare figli per conto terzi – e, se sono vere le voci che corrono, ad assassinare bambini e neonati per venderne gli organi] e un rilancio della soluzione diplomatica, che deve essere il fine della difesa ucraina, come peraltro ha detto Zelensky.
Insomma, una prospettiva che si può definire relativamente distensiva, come notato anche dai media russi. Connotazione che appare ribadita nella conclusione, nella quale spiega che l’America rimarrà a fianco dell’Ucraina “nei mesi a venire”… cenno significativo perché non resta nell’indefinito, ma ha una qualche scadenza: non una guerra infinita, quindi, ma  di “mesi” (fino alle midterm di novembre?).
La seconda cosa, in contrasto con quanto rilevato sopra, è la dichiarazione riguardo all’invio di missili all’Ucraina (oltre all’altro armamentario elencato nello scritto). Su tali missili si è svolto un braccio di ferro intenso quanto segreto nel cuore dell’Impero, con Biden che aveva fatto trapelare il suo niet all’invio di sistemi missilistici a lunga gittata, raccogliendo un accennato plauso dei russi per la “saggezza” dimostrata.
E, però, sono tante le ombre sul sistema missilistico effettivamente inviato, che pare sia tarato per colpire a 80 Km di distanza, collocandolo nella sfera dei missili a medio raggio. In realtà, le informazioni in merito all’effettiva gittata sono contraddittorie e tali da non escludere sorprese. L’unica cosa che si sa per certo è che gli americani hanno dichiarato che le autorità ucraine hanno assicurato che non saranno usate contro il territorio russo [e le autorità ucraine sono un uomo d’onore].
I russi, ovviamente, non si fidano di tale rassicurazione e parlano di escalation, riguardo la quale hanno annunciato che prenderanno contromisure adeguate, sia sul campo di battaglia che altrove (in parallelo, hanno svolto esercitazioni con il loro arsenale atomico).
L’ambiguità che permea la fornitura di tale armamento rende la decisione di Biden rischiosa.
In realtà i missili non cambieranno molto sul campo di battaglia, al massimo infliggeranno più perdite ai russi, ai quali, però, resterà il controllo della situazione in Donbass. Ma cambierà molto se tali ordigni saranno lanciati contro la Russia, che potrebbe reagire (non con l’atomica: ha varie opzioni alternative).
Tanta ambiguità a rischio contrasta con il precedente niet di Biden sui missili a lungo raggio, come se fosse stato costretto a piegarsi a pressioni indebite. A tale proposito, va registrato che proprio in questi giorni il segretario della Nato Jens Stoltenberg è volato in America.
Il Superfalco avrà sicuramente unito la sua voce a quelle dei falchi made in Usa, vincendo il braccio di ferro [nel caso qualcuno ancora dubitasse del fatto che Biden è una marionetta messa lì unicamente per obbedire alla cricca che tira i fili, cosa mai riuscita con Trump]. Una vittoria che trapela anche dalle dichiarazioni che ha reso durante la ripartenza dagli Stati Uniti, quando ha avvertito il mondo di prepararsi a una lunga guerra di “logoramento“.
Per inciso, altre volte abbiamo accennato a come nei momenti più cruciali  riemerga il caso del portatile di Hunter Biden, coincidenze che fanno immaginare, magari a torto, che lo scandalo sia brandito per fare pressioni sulla presidenza.
Puntuale, la vicenda è riemersa anche in questa occasione chiave, con il suo bagaglio di rivelazioni inquietanti, che stavolta contenevano anche riferimenti a un indefinito “papà”. A ritirare fuori la vicenda è stato il britannico Daily Mail, vicino ai conservatori del Regno Unito, l’ambito più ingaggiato nella guerra ucraina.
Al di là delle coincidenze temporali, resta che all’interno dell’Occidente si assiste a una lotta tra quanti tentano di chiudere in qualche modo il conflitto (per impedire che travolga il mondo) e quanti vogliono trasformarlo nell’ennesima guerra infinita (o di logoramento che dir si voglia), nulla importando i rischi di escalation.
Biden ci sta provando, appoggiandosi sembra al Pentagono, ma non ha la forza dalla sua, da qui la pericolosa ambiguità operativa che si dipana in parallelo all’altisonante retorica.
Resta che il New York Times in calce all’articolo del presidente ha voluto richiamare il suo precedente editoriale, nel quale il giornale della Grande Mela chiedeva l’avvio di un negoziato permeato di realismo (ne abbiamo riferito in altra nota). E lo ha accompagnato pubblicando, nello stesso giorno, il j’accuse di Christopher Caldwell contro l’amministrazione Usa, colpevole più di altri del prolungarsi di questo conflitto.
La dialettica è destinata a durare, come anche la guerra ucraina.
3 giugno 2022, qui.

E a proposito di armi, guardate come sono belle le nostre. Se ci fate attenzione, lo dice anche lui: “ocen krasiva”, molto bella:


Poi ci sarebbe questo signore

“L’ucrainizzazione dell’Europa ha avuto inizio. Chi come il Pd ha organizzato eventi con questo signore e riso per le sue simpatie neo-naziste ha le responsabilità maggiori. Noi non dimentichiamo.” (Qui)

Ora vediamo le navi tenute in ostaggio dall’Ucraina, con gli equipaggi nutriti dai russi

Concludo con due immagini molto recenti, che sembrano di un’altra era geologica: Putin che riceve Angela Merkel a Mosca

e Angela Merkel che riceve Putin a Berlino

A proposito: avete mai visto un capo di stato (in prima battuta avevo scritto “uno statista”, ma poi mi sono resa conto che nessuno dei miei lettori è abbastanza vecchio da averne mai visto uno), o un qualsiasi politico italiano, commuoversi tanto all’ascolto del proprio inno nazionale da dover fare un visibile sforzo per non piangere?

barbara

E SE PROVASSIMO A FARE ANCHE NOI UN PO’ DI COMPLOTTISMO?

Ale Tzu
Diffondere il virus, far crollare i mercati, mettere in ginocchio le nazioni, intervenire con “aiuti” comprando il più possibile a basso costo, egemonia economica e potenza globale. Il piano sta andando alla grande.

La tentazione di pensarlo viene, diciamolo, soprattutto considerando la campagna di disinformazione a tappeto che stanno conducendo con la non so quanto disinteressata complicità di mass media e governanti di casa nostra.

Da noi, nel frattempo, si “combatte”: trascrivo qui alcuni titoli di video pubblicati su youtube:

Il condominio canta l’inno di Mameli per reagire all’emergenza; Flash mob contro il coronavirus; Fratelli d’Italia dai balconi, così Roma risponde al coronavirus; La tammurriata dal balcone contro la quarantena; Pentole, trombette da stadio e inno di Mameli, il flash mob dai balconi contro il coronavirus; L’inno d’Italia contro il coronavirus; I romanisti in balcone contro il coronavirus…

Ed è chiaro che il coronavirus, con queste truppe cammellate mobilitate contro di lui, si spaventerà a morte e se la darà a gambe – e ci mancava solo, oltre al fastidio di non potersi muovere e la preoccupazione per tutto quello che sta succedendo, di avere anche le orecchie stuprate dal fracasso di pentole e trombette da stadio, senza neanche la possibilità di scappare da qualche parte per sottrarsi alla violenza perpetrata dagli imbecilli. Che quando tutto sarà finito si sentiranno in diritto di dire a medici e infermieri, che fanno turni di 12 e più ore – magari, come qui, alternati a turni di riposo di 6 ore – chiusi in questi scafandri,
medici covid19
indossati i quali non possono più bere, né mangiare, né urinare, e alla fine del turno hanno le facce ridotte così,
segni sul viso
si sentiranno, dicevo, in diritto di dire loro: “Eh, ma anche noi abbiamo fatto la nostra parte!” E che dire degli osceni cartelli che proclamano “Ce la faremo” e “Andrà tutto bene”? Cosa vuol dire ce la faremo? Non vi suona come una sorta di spes contra spem? Almeno dicessero lotteremo con tutte le nostre forze per uscirne, no, niente, ci sediamo e con le chiappe ben comode diciamo ce la faremo. E “andrà tutto bene”, certo, chi se ne frega delle migliaia di morti, chi se ne frega dell’economia in ginocchio, mi metto la mano sugli occhi e cinguetto giuliva “non mi vedi! non mi vedi!”. Soprattutto considerando che a far andare tutto bene contribuirà fortemente la nostra Madre comune UE, specificamente impersonata dall’asse franco-tedesco,
asse
che a ben guardare non è esattamente una novità
MerkelErdoganMacron
accordi-di-monaco
E dopo questo rilassante bagno nel delirio del pensiero magico infantile, torniamo alla realtà.

barbara

CHE COSA SUCCEDE SE UN GIORNALISTA

si presenta alla conferenza stampa Erdogan-Merkel con una maglietta con su scritto “Libertà di parola”?

Dell’espressione del tiranno islamico, ne vogliamo parlare? Di quelle dell’oscena e laida leccaculo del tiranno islamico, ne vogliamo parlare? Dei giornalisti presenti, che immortalano la deportazione del criminale ma nessuno di loro lascia il letamaio, ne vogliamo parlare? C’è ancora qualche speranza per l’Europa?

barbara

PER ORA IN GERMANIA (2)

Rispetto della legge in Germania? Leggi un po’ qua.

Censura e sharia: il caso dei media in Germania

BERLINO – Dopo una lunga e frenetica indagine, si scopre il probabile assassino di una studentessa, a Friburgo, nella Foresta Nera, ma la notizia viene censurata, si tace l´origine del sospetto, un profugo afgano di 17 anni, giunto nel 2015. In Germania divampano le polemiche: è lecito tacere per non turbare l´opinione pubblica? Si vota tra circa dieci mesi e l´Afd, l´Alternative für Deutschland, continua a guadagnare voti, si teme che il prossimo settembre entri in Parlamento, e arrivi perfino al terzo posto. I populisti avanzano in Germania, o in Austria, e in Italia. Il 15 ottobre, Maria L., di 19 anni, dopo un party con compagni di studio, verso le 2,30, torna a alla sua residenza universitaria, in bicicletta. Dalle parti dello stadio, incontra l´aggressore, viene violentata e strangolata. Su un cespuglio di more si scopre un lungo capello nero, il DNA coincide con quello dell´assassino.
Dopo un mese e mezzo, viene arrestato un ragazzo, uno delle migliaia di profughi minorenni giunti in Germania nell´ultimo anno. Ma si tace a lungo sulla sua origine. I media hanno una giustificazione. Il Presserat, il consiglio della stampa, quasi il nostro ordine dei giornalisti, si è da tempo autoimposto regole di comportamento: non si rivela il nome completo dei protagonisti di reati (a meno che non siano personaggi noti), ed è vietato scrivere a quale religione si appartenga, o precisare l´origine. Ma alcuni si ribellano al codice di comportamento, rischiando ammonimenti e sanzioni, come il “Sächsische Zeitung”, quotidiano di Dresda, che è la roccaforte del movimento razzista Pegida, autore di attentati ai centri di accoglienza. “Spesso l´origine del colpevole è il cuore della notizia,” protesta il direttore. E la censura è controproducente: l´opinione pubblica può sospettare che ogni stupratore o rapinatore sia straniero. I lettori e gli ascoltatori hanno perso la fiducia nei media dopo l´ultimo Capodanno a Colonia.
Duemila giovani arabi ubriachi aggredirono centinaia di donne. Una notte di violenze, le denunce furono 1240, ma si è arrivati a sei condanne, e nessuno è stato espulso. La stampa e la TV tacquero fino al cinque gennaio, per non creare problemi a Frau Merkel, la cui popolarità stava crollando a causa della sua politica delle frontiere aperte. Oggi si parla di “Lügenpresse”, stampa bugiarda. E i mezzi d´informazione non hanno riguadagnato la credibilità perduta. A Friburgo, cittadina universitaria, si teme che il ragazzo afgano abbia ucciso nei mesi scorsi un´altra giovane. E la serie di reati commessi da stranieri inquieta gli abitanti: a fine settembre una tredicenne viene aggredita da un gruppo di minorenni, tre sono immigrati. A metà ottobre, un senza tetto è picchiato e ucciso da due stranieri. Alla fine dello stesso mese, due donne vengono aggredite da un gruppo di profughi provenienti dal Ghana. A inizio novembre, un afgano ferisce gravemente un suo compagno, a metà mese, un georgiano uccide a coltellate un nipote. A luglio si è avuta una serie di attentati commessi da profughi in Baviera. Il 22 luglio a Monaco, un diciottenne iraniano (con passaporto tedesco) uccise nove giovani. E il motivo della strage era che si considerava tedesco e non veniva accettato. La sua origine fu la causa scatenante della strage.
Roberto Giardina, La Nazione

Si può parlare di rispetto della legge quando i reati vengono trattati in maniera diversa a seconda della nazionalità e della religione del criminale? Si può parlare di rispetto della legge quando alla polizia viene imposto un codice di comportamento diversificato a seconda dell’identità del criminale? Si può parlare di rispetto della legge quando la polizia arriva addirittura a occultare determinate prove e a fabbricarne di contrarie, come è accaduto in un recente episodio di terrorismo islamico, per mascherare l’identità dei criminali? E, soprattutto, si può ancora parlare di uno stato sovrano quando si ha a che fare con uno stato succube di una cultura estranea? E penso, nel dire questo, alla Merkel che di fronte a una palestinese senza alcun diritto di asilo che esibisce lacrime e singhiozzi fabbricati a tavolino sovverte le leggi dello stato e permette alla sua famiglia, senza una sola ragione al mondo, di restare e ottenere la cittadinanza.
merkel-palestinese
Questo è uno stato in bancarotta, altro che stato di diritto e rispetto delle leggi!

barbara

PER ORA IN GERMANIA (1)

Domani sull’intero pianeta

L’articolo è lungo, ma vale la pena di leggerlo, perché difficilmente queste cose arrivano ai mass media. E bisogna conoscerle, invece.

La Germania si sottomette alla legge della Sharia
Un tribunale tedesco ha stabilito che sette islamisti che avevano formato una ronda per far rispettare la sharia per le strade di Wuppertal non hanno violato le leggi tedesche e hanno semplicemente esercitato il loro diritto alla libertà di parola. Questa sentenza, che di fatto legittima la legge della sharia in Germania, è solo un esempio di un crescente numero di casi giudiziari in cui i tribunali tedeschi – intenzionalmente o meno – promuovono la creazione nel paese di un sistema giuridico parallelo basato sulla legge islamica. Nel settembre del 2014, l’autoproclamata “polizia della sharia” suscitò lo sdegno dell’opinione pubblica distribuendo volantini gialli in cui si annunciava la costituzione di una “zona controllata dalla sharia” a Elberfeld, un quartiere di Wuppertal. I “poliziotti” esortavano i passanti musulmani, e non, a frequentare le moschee e ad astenersi da alcol, droghe, gioco d’azzardo, musica, pornografia e prostituzione.
shariah-zone
I sedicenti poliziotti sono seguaci del salafismo, un’ideologia violentemente anti-occidentale che cerca apertamente di rimpiazzare la democrazia in Germania (e non solo) con un governo islamico basato sulla sharia. L’ideologia salafita afferma che la sharia è superiore ai secolari principi della common law perché emana da Allah, l’unico legislatore legittimo, e pertanto essa è giuridicamente vincolante per tutta l’umanità. Secondo la visione salafita del mondo, la democrazia cerca di porre la volontà dell’uomo al di sopra di quella di Allah ed è quindi una forma di idolatria che deve essere condannata. In altre parole, la sharia e la democrazia sono incompatibili. Il sindaco di Wuppertal Peter Jung si è detto fiducioso del fatto che la polizia assuma una linea dura contro gli islamisti: “L’intenzione di queste persone è quella di provocare, intimidire e imporre la loro ideologia agli altri. Noi non permetteremo questo”. Il capo della polizia di Wuppertal, Birgitta Radermacher, ha dichiarato che questa “pseudo polizia” rappresenta una minaccia per lo Stato di diritto e solo gli ufficiali e gli agenti di polizia che prestano servizio alle dipendenze dello Stato sono i legittimi rappresentanti dell’ordine in Germania. E ha aggiunto: “Il monopolio del potere spetta esclusivamente allo Stato. Un comportamento che intimidisce, minaccia o provoca non sarà tollerato. Questa ‘polizia della sharia’ non è legittima. Chiamate il 110 [il numero della polizia] quando v’imbattere in questa gente”. Il procuratore di Wuppertal, Wolf-Tilman Baumert, ha affermato che gli uomini, indossando giubbotti di colore arancione con la scritta “SHARIAH POLICE”, avevano violato una legge che vieta di indossare uniformi durante le manifestazioni pubbliche.
Questa legge, che proibisce in particolare le uniformi che esprimono idee politiche, era stata inizialmente concepita per impedire ai gruppi neonazisti di sfilare in pubblico. Secondo Baumert, i giubbotti sono illegali perché hanno un “deliberato effetto intimidatorio e militante”. Il 21 novembre 2016, tuttavia, la Corte distrettuale di Wuppertal ha stabilito che i giubbotti, che non possono essere considerati delle uniformi, non costituiscono affatto una minaccia. Il tribunale ha detto che i testimoni e i passanti non avrebbero potuto sentirsi intimiditi da quegli uomini e che condannarli avrebbe significato violare la loro libertà di espressione. La sentenza “politicamente corretta”, che può essere impugnata, di fatto autorizza la “polizia della sharia” a continuare ad applicare la legge islamica a Wuppertal.

I tribunali tedeschi e la sharia
I giudici tedeschi fanno sempre più riferimento alla legge della sharia e si rimettono ad essa perché gli attori o i convenuti sono musulmani. Secondo gli oppositori, i procedimenti giudiziari – soprattutto quelli in cui la legge tedesca ha un ruolo secondario rispetto alla legge della sharia – riflettono una pericolosa ingerenza della legge islamica nel sistema giuridico tedesco. Nel maggio del 2016, ad esempio, una Corte d’Appello di Bamberg ha convalidato l’unione tra una ragazza siriana di 15 anni e suo cugino di 21 anni. Il tribunale ha stabilito che, conformemente alla sharia, il matrimonio era valido perché era stato contratto in Siria, dove unioni del genere sono consentite in base alla sharia, che non pone alcun limite di età per contrarre matrimonio. La sentenza ha in pratica legalizzato i matrimoni di minori in Germania. Il caso è diventato pubblico poco dopo l’arrivo della coppia in un centro di accoglienza per profughi di Aschaffenburg, nell’agosto 2015. L’Ufficio di assistenza ai giovani (Jugendamt) si è rifiutato di riconoscere il loro matrimonio e ha separato la ragazza dal marito. La coppia ha intentato causa e un tribunale minorile si è espresso a favore dello Jugendamt, che è diventato il tutore legale della ragazza. La Corte di Bamberg ha rovesciato questa sentenza e ha stabilito che, conformemente alla sharia, il matrimonio è valido perché era già stato consumato, aggiungendo però che l’Ufficio di assistenza ai giovani non aveva alcuna autorità legale per separare la coppia.
La decisione – che è stata definita come “un corso intensivo di diritto matrimoniale islamico siriano” – ha scatenato una tempesta di critiche. Qualcuno ha accusato il tribunale di Bamberg di anteporre la sharia al diritto tedesco per legalizzare una pratica vietata in Germania. Coloro che hanno stigmatizzato la decisione del tribunale hanno fatto riferimento alla legge introduttiva al codice civile tedesco (Einführungsgesetz zum Bürgerlichen Gesetzbuche, EGBGB), che afferma: “Una norma di legge di un altro Stato non può essere applicata se la sua applicazione dovesse produrre un risultato manifestatamente inconciliabile con i principi fondamentali del diritto tedesco. In particolare, non è applicabile se la sua applicazione fosse inconciliabile con i diritti fondamentali”. Questa disposizione viene regolarmente ignorata, a quanto pare nell’interesse della correttezza politica e del multiculturalismo. In effetti, la sharia viola il sistema giuridico tedesco pressoché incontrollato da quasi due decenni. Qui di seguito qualche esempio:

■ Nell’agosto del 2000, un tribunale di Kassel ordinò a una vedova di condividere la pensione del defunto marito marocchino con un’altra donna con cui l’uomo era anche sposato. Anche se la poligamia è illegale in Germania, il giudice stabilì che le due vedove dovevano condividere la pensione, conformemente alla legge del Marocco.

■ Nel marzo del 2004, un tribunale di Coblenza concesse alla seconda moglie di un iracheno residente in Germania il diritto di soggiorno permanente nel paese. La Corte stabilì che dopo cinque anni di matrimonio poligamico in Germania, sarebbe stato ingiusto pretendere che la donna facesse ritorno in Iraq.

■ Nel marzo del 2007, una giudice di Francoforte citò il Corano in una causa di divorzio che coinvolgeva una donna tedesca di origine marocchina che era stata ripetutamente picchiata dal marito marocchino. Anche se la polizia aveva ordinato all’uomo di stare lontano dalla ex moglie, egli continuò ad abusare di lei, minacciandola perfino di ucciderla. La giudice Christa Datz-Winter si rifiutò di accordare il divorzio, citando il versetto 34 della Sura 4 del Corano, che giustifica “sia il diritto del marito di utilizzare le punizioni corporali contro una donna disobbediente sia la superiorità del marito nei confronti della moglie”. La giudice fu poi rimossa dal caso.

■ Nel dicembre del 2008, un tribunale di Düsseldorf condannò un uomo turco a corrispondere alla sua ex figliastra una dote di 30.000 euro (32.000 dollari), ai sensi della sharia.

■ Nell’ottobre del 2010, un tribunale di Colonia stabilì che un uomo iraniano doveva pagare alla sua ex moglie 162.000 euro (171.000 dollari), l’attuale controvalore di 600 monete d’oro, in linea con quanto disposto dal contratto di matrimonio islamico.

■ Nel dicembre del 2010, un tribunale di Monaco stabilì che una vedova tedesca aveva diritto solamente a un quarto del patrimonio lasciatole dal defunto marito, che era nato in Iran. La Corte assegnò, ai sensi della sharia, gli altri tre quarti dell’eredità ai parenti dell’uomo che vivevano a Teheran.

■ Nel novembre del 2011, un tribunale di Siegburg permise a una coppia iraniana di divorziare due volte, la prima con una sentenza pronunciata da un giudice tedesco, secondo la legge tedesca, e la seconda davanti a un religioso iraniano, ai sensi della sharia. Per il capo della Corte Distrettuale di Sieburg, Birgit Niepmann, la sentenza della sharia “era un servizio della Corte”.

■ Nel luglio del 2012, un tribunale di Hamm condannò un uomo iraniano a pagare alla sua ex moglie un mantenimento, come previsto nel contratto di matrimonio in caso di divorzio. La causa riguardava una coppia che si era sposata con rito islamico in Iran, si era poi trasferita in Germania e infine separata. Come da accordo matrimoniale, il marito aveva promesso di pagare alla moglie 800 monete d’oro, pagamento da effettuare su richiesta. Il tribunale stabilì che il marito desse alla moglie 213.000 euro (225.000 dollari), l’attuale controvalore delle monete.

■ Nel giugno 2013, un tribunale di Hamm stabilì che chiunque contragga matrimonio secondo la legge islamica in un paese musulmano e poi chieda il divorzio in Germania deve rispettare le condizioni del contratto di matrimonio stabilite dalla sharia. La sentenza di riferimento ha in effetti legalizzato la pratica della sharia del “triplo talaq” secondo cui si può divorziare pronunciando tre volte la frase “Io ti ripudio”.

■ Nel luglio del 2016, un tribunale di Hamm ha ordinato a un libanese di pagare alla sua ex moglie un assegno di mantenimento, come previsto nel contratto di matrimonio in caso di divorzio. La causa riguardava una coppia che si era sposata con rito islamico in Libano, in seguito trasferita in Germania e poi separata. Come da accordo matrimoniale, il marito aveva promesso di pagare alla moglie 15.000 dollari. Il tribunale tedesco ha stabilito che l’uomo versi alla donna l’equivalente di 15.000 dollari in euro. In un’intervista a Spiegel Online, Mathias Rohe, esperto di Islam, ha spiegato che l’esistenza di strutture giuridiche parallele in Germania è una “conseguenza della globalizzazione”. E ha aggiunto: “Noi applichiamo la legge islamica così come la legge francese”.

I tribunali islamici in Germania
In Germania, un numero crescente di musulmani sta deliberatamente bypassando del tutto i tribunali tedeschi e decide di affidare la soluzione di una controversia ai tribunali informali della sharia, che proliferano in tutto il paese. Si stima che siano circa 500 i giudici che dirimono controversie civili fra i musulmani che vivono in Germania – un dato che indica l’esistenza nel paese di un sistema di giustizia, basato sul diritto islamico, parallelo a quello statale. Una delle principali ragioni di questa proliferazione di tribunali della sharia è dovuta al fatto che la Germania non riconosce la poligamia né i matrimoni che coinvolgono minorenni. Il ministero dell’Interno tedesco, rispondendo a un’interrogazione sulla legge sulla libertà d’informazione, di recente ha rivelato che 1.475 minori sposati vivono in Germania dal 31 luglio 2016, e tra questi 361 hanno meno di 14 anni. Il numero esatto dei matrimoni di minori sarebbe molto più elevato di quello che dicono le statistiche ufficiali. La poligamia, sebbene sia illegale per la legge tedesca, è comune tra i musulmani di tutte le principali città tedesche.
A Berlino, ad esempio, si stima che un terzo degli uomini musulmani che vivono nel quartiere di Neukölln abbia due o più mogli. Secondo un servizio giornalistico trasmesso dall’emittente tv RTL, una delle principali imprese mediatiche tedesche, gli uomini musulmani residenti in Germania beneficiano regolarmente del sistema di previdenza sociale portando con loro nel paese tre o quattro donne provenienti dal mondo musulmano, per poi sposarle in presenza di un imam. Una volta arrivate in Germania, le donne richiedono prestazioni sociali, compreso il pagamento dell’affitto di una casa in cui vivere con i loro figli perché “madri single”. La cancelliera Angela Merkel ha dichiarato una volta che i musulmani che desiderano vivere in Germania devono rispettare la Costituzione e non la sharia. Più di recente, il ministro della Giustizia Heiko Maas ha dichiarato: “Nessuno di coloro che arrivano qui ha diritto di mettere i suoi valori culturali o religiosi al di sopra delle nostre leggi. Tutti devono conformarsi alla legge, poco importa se siano cresciuti qui o siano appena arrivati”.
Ma in realtà i leader tedeschi hanno tollerato un sistema giuridico parallelo basato sulla sharia, che consente ai musulmani di farsi giustizia da soli, con delle conseguenze talvolta tragiche. Il 20 novembre 2016, ad esempio, un tedesco di origine curda, di 38 anni e residente in Bassa Sassonia, ha legato il capo di una corda attorno alla parte posteriore della sua auto e l’altra estremità al collo della sua ex moglie, e poi ha trascinato la poverina per le strade di Hameln. La donna è sopravvissuta, ma versa in condizioni critiche. Il settimanale Focus ha riportato che l’uomo era un “musulmano molto religioso, sposato e divorziato secondo la legge della sharia”. Il giornale ha aggiunto: “In base alla legislazione tedesca, tuttavia, i due non erano sposati”.
Il Bild ha scritto che l’uomo era sposato “una volta secondo la legge tedesca e quatto volte secondo la sharia”. Il reato, che ha riportato l’attenzione sul problema della sharia in Germania, ha allarmato alcuni membri dell’establishment politico e mediatico. Wolfgang Bosbach, dell’Unione cristiano-democratica (Cdu), ha dichiarato: “Anche se qualcuno rifiuta di ammetterlo, un sistema giuridico parallelo si è progressivamente instaurato in Germania. Questo mostra un palese rifiuto dei valori e del nostro ordine giuridico”. Il 23 novembre, il Bild, il più diffuso quotidiano tedesco, ha ammonito sulla “capitolazione [del paese] davanti alla legge islamica”. In uno speciale “Rapporto sulla sharia”, il giornale ha affermato: “La Cdu e i socialdemocratici si erano impegnati nel loro accordo di coalizione firmato nel 2013 a ‘rafforzare il monopolio legale dello Stato. Noi non tollereremo una giustizia parallela illegale’, avevano detto. Ma così non è stato”. Franz Solms-Laubach, giornalista parlamentare del Bild, ha così scritto: “Anche se ci rifiutiamo ancora di crederlo, intere zone della Germania sono governate dalla legge islamica! Poligamia, matrimoni di minori, giudici della sharia – da troppo tempo non si fa rispettare lo Stato di diritto. Molti politici hanno sognato il multiculturalismo… “Non è una questione di folklore, né di usi e costumi stranieri. È una questione di legge e ordine. “Se lo Stato di diritto non riesce ad affermare la sua autorità e a farsi rispettare, allora può immediatamente dichiarare fallimento”.
Soeren Kern, Gatestone Institute

Situazioni analoghe, unite alle no go zones, dove neppure la polizia si azzarda a entrare, ai quartieri in cui ad essere identificati come ebrei si finisce molto ma molto male, si trovano in Francia, Belgio, Inghilterra, Svezia. In Italia non siamo a questo punto, ma tanto tanto tranquilli non si sta neanche da noi.

barbara