DUE PAROLE SULL’ANPI

O forse un po’ più di due ma, come dice quella deliziosa storiella ebraica, chi sta a contare?

  • ANPI significa Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. PARTIGIANI. Non figli dei partigiani. Non eredi dei partigiani. Non amici dei partigiani. Non seguaci ideologici dei partigiani, no: Partigiani. Partigiani e basta. Ora, quanti saranno i partigiani ancora vivi? Mettendo in conto anche la più giovane staffetta, diciamo almeno tredici anni all’inizio del ’45, oggi ne ha 90. Se vogliamo considerare solo i combattenti, almeno un paio in più, dai 92-93 in su. E quanti di quelli ancora vivi sono in grado di partecipare alle manifestazioni? La concentrazione, mi sa, è più o meno pari a quella del principio attivo in un prodotto omeopatico. Quindi la domanda fondamentale è: che senso ha la persistenza dell’ANPI, e, a maggior ragione, la sua partecipazione a qualsivoglia manifestazione?
  • I partigiani sono “nati” durante la guerra per combattere (anche) gli occupanti tedeschi [poi ci sarebbe, volendo, quella fastidiosa faccenda delle stragi di partigiani monarchici, di partigiani cattolici, insomma di tutti quelli che non stavano combattendo per instaurare la dittatura del proletariato conquistando la rossa primavera dove sorge il sol dell’avvenir

 – che, per inciso, è questa la canzone dei partigiani, non Bella Ciao, che ha tutt’altra origine (canzone delle mondine), tutt’altra storia, e solo dopo la guerra è stata decretata honoris causa “canzone dei partigiani” – ma per il momento lasciamo stare. Fine della digressione]. A quel tempo erano “i partigiani”, non un’”Associazione partigiani”, la quale, già di per sé, non avrebbe avuto alcuna ragione di nascere: al massimo sarebbe potuta nascere una nostalgica “associazione ex partigiani”, più o meno come quelle degli “ex alunni della IIID, per riunirsi periodicamente a celebrare le antiche glorie e poi estinguersi una volta che gli ultimi superstiti fossero diventati troppo vecchi per partecipare. In realtà alcuni gruppi di partigiani (per la precisione quelli di cui alla digressione precedente) sono rimasti attivi per un certo periodo – vedi il famigerato “triangolo rosso dell’Emilia” (una nota importante anche nei commenti) e tutta la serie di vendette e regolamenti di conti personali – anche dopo la guerra, ma anche tutto questo è cessato dopo un deciso intervento di Togliatti. Da quel momento i partigiani hanno cessato di esistere, quindi un’associazione partigiani non sarebbe mai dovuta nascere, essendo cessata la funzione storica, militare, politica dei partigiani. Invece è nata, e sta continuando a esistere anche quando gli ex partigiani non ci sono più, e continua non solo a partecipare, ma anche a dettare legge, come per esempio imporre la presenza delle bandiere palestinesi, ossia di coloro che hanno combattuto dalla parte dei nazisti, vietare la presenza delle bandiere della Brigata Ebraica, ossia di coloro che hanno combattuto e sono morti per liberare l’Italia, e, immediatamente dopo l’11 settembre, raccomandare caldamente di non portare le bandiere americane perché sarebbero state sentite come una provocazione – le bandiere di quelli che hanno lasciato in Italia 32 mila tombe, e che dell’11 settembre erano stati unicamente vittime.

• Adesso stiamo assistendo a una commedia grottesca nella commedia grottesca: l’ANPI, quella cosa che non dovrebbe esistere e che, una volta venuta a esistere, dovrebbe però avere cessato da un pezzo di esistere, che nella guerra in corso, di cui la NATO è indiscutibilmente il primo responsabile, si è schierata dalla parte della Russia, dice che non si devono portare bandiere della NATO, e magari sarò io che con l’età sto cominciando ad avere qualche problema con la memoria ma mi chiedo, e chiedo a chi mi legge: ma quando mai alle cerimonie e alle parate del 25 aprile ci sono state le bandiere della NATO? E perché mai avrebbe dovuto partecipare un’istituzione che con la seconda guerra mondiale e la liberazione dell’Italia non ha avuto niente a che fare  per la buona ragione che è nata quattro anni dopo la fine della guerra? E a questo punto intervengono gli altri, quelli dall’altra parte della barricata da tutti i punti di vista, a dire: e perché le bandiere palestinesi sì? Ma care grandissime teste di calicantus del bengala, che razza di ragionamento sarebbe? Certo, non c’è da meravigliarsi che facciate il tifo per i nazisti, se questo è il vostro modo di ragionare? Cioè, siccome non siete capaci di far restare fuori delle bandiere che con la ricorrenza non hanno niente da spartire, pretendete di farci entrare delle bandiere che parimenti non hanno niente da spartire con la ricorrenza e che in più a nessuno è mai passato per la testa, in questi 77 anni, di far partecipare, solo perché il vostro nemico storico cazzone ha detto che non vuole che partecipino?! Io veramente non ho parole (sì, lo so, adesso state correndo a stappare la vostra migliore bottiglia per brindare al lieto evento).

Nel frattempo, in quel di Bologna:

Bologna, organizzano festa Liberazione: aggrediti, minacce da ucraini…

I pacifici ucraini della porta accanto. Bologna, festa per celebrare la Liberazione parla dei massacri in Donbass. Vengono aggrediti da ucraini

di Antonio Amorosi

Bologna, celebrano la Resistenza antifascista parlando del Donbass. Aggrediti da ucraini con simboli neonazisti

Per ricordare la Battaglia della Bolognina del 15 novembre 1944 , dove si trova una delle sedi storiche della sinistra italiana (chi non ricorda “la svolta della Bolognina” del 1989), evento simbolico in cui persero la vita una decina di partigiani uccisi da nazisti tedeschi “Oltre il Ponte”, associazione di sinistra, organizza un festival antifascista a Bologna il 23 aprile scorso. Una giornata di festa popolare per aspettare la Liberazione che gli organizzatori arricchiscono con incontri, musica, dibattiti, stand gastronomici, bancarelle in tutta l’area della zona Bolognina.
Alla festa è presente un banchetto di un gruppo “Comitato Ucraina Antifascista” che fa informazione su quanto stia accadendo nelle zone di guerra o almeno dà la sua legittima versione di cosa stia accadendo in quei territori. Il Comitato ha partecipato anche alle altre edizioni della festa per sensibilizzare sui massacri in Donbass, ma allora quasi a nessuno fregava niente di cosa stesse accadendo in Ucraina e quindi il loro lavoro restava pressoché nell’anonimato. Sul banchetto capeggia la bandiera della Repubblica di Lugansk. Sono circa le 19.00 e un giovane ucraino, passante di lì, comincia a discutere animatamente con una delle organizzatrici. La situazione degenera in fretta, fino a che la donna è costretta a chiudere lo stand del Comitato per evitare il peggio. Il ragazzo viene allontanato dagli organizzatori ma passa alle telefonate.
Dopo poco piombano alla festa una ventina ucraini che parlano perfettamente italiano. Vero o falso che sia, due di loro con abbigliamento da motociclisti, si dicono esponenti di Pravyj Sektor, organizzazione paramilitare ucraina di estrema destra. A loro si aggiunge un terzo che si presenta con i simboli del Battaglione Azov, associato ai neonazisti. C’è tra i presenti anche chi dice di ispirarsi al collaborazionista dei nazisti tedeschi Stepan Andrijovič Bandera. L’alterco rischia di degenerare in qualcosa di più grave. Alla fine, dopo oltre un’ora di urla, aggressività, insulti, minacce e provocazioni i gestori della festa allontano gli ucraini, evitando una degenerazione dello scontro verbale.
L’evento sembra aver colto di sorpresa i partecipanti. In rete, negli ambienti della sinistra bolognese se ne discute: “Tutto questo è successo a Bologna nel 2022 in una festa il cui intento era celebrare la Resistenza antifascista in vista del 25 aprile. Cioè… avete capito?”, si chiede Giuseppe che racconta di essere stato testimone oculare dell’accaduto, “nazifascisti che entrano di prepotenza per dettare le regole ad una celebrazione per la Liberazione contro il nazifascismo. C’è bisogno di dire altro?”.
E poi commenta: “Mi ha colpito l’arroganza con cui si mostravano padroni in un contesto che non era il loro ed anche quel mix di vittimismo e violenza che istituzioni e media mainstream stanno avallando”. Un quadro non proprio rassicurante.
“Se quello che è accaduto ieri sera in Bolognina fosse successo anche solo pochi anni fa”, si chiede Daniele, “sono certa che tutti lo avrebbero considerato come qualcosa di assolutamente inaccettabile ed inaudito. Oggi invece forse la reazione non è esattamente la stessa e su questo ci si dovrebbe interrogare”.
Tra gli altri si interroga l’attore e attivista Riccardo Paccosi, preoccupato dell’acritica versione dei fatti ucraini avallati dai media e partiti italiani e del possibile trasferimento sul nostro territorio della “logica di conflitto” in stile ucraino, fondata sulla violenza. Paccosi: “La storia ci ha insegnato che lo squadrismo diviene forza inarrestabile quando ha l’appoggio dei poteri economici e quando lo si sottovaluta all’inizio”.
C’è chi in rete racconta di altre aggressioni avvenute in Italia, principalmente ai danni di cittadini russi, chi si chiede come possa accadere un fatto del genere nell’indifferenza generale e chi, come Anna, pone un interrogativo sulla superficialità di far passare per martiri dei sedicenti neonazisti: “E cosa vedremo dopo aver sdoganato e fatti passare per eroi quelli del battaglione Azov?”. (Qui)

Nel frattempo al di là dell’Atlantico, a pochi giorni dall’episodio precedente

Nel frattempo in Ucraina il dittatore nazista sedicente ebreo… (mi raccomando: leggete bene il testo del discorso. E, oltre a tutto il resto, mi chiedo: ma come ha fatto a fare l’attore con una voce così schifosa, così monocorde e mal impostata, così inespressiva?)

Nel frattempo in Russia (prevedibilmente e comprensibilmente – per non dire giustamente)

Rosalba Diana

L’ambasciatore russo Serghey Razov, da grande professionista della diplomazia – altro che quel venditore ambulante di Di Maio – spiega pacatamente ai giornalisti come le 450 imprese italiane che attualmente lavorano in Russia verranno a breve sostituite da imprese di altri paesi. Naturalmente imprese, impiegati e operai al loro rientro in Italia potranno sempre fare domanda per il reddito di cittadinanza….
Dalla pagina di Alberto G.

Nel frattempo nel mio blog

barbara

SPIGOLATURE 1

Cioè un po’ di cose raccattate qua e là con in mezzo qualche considerazione mia e qualche immagine e vignetta e anche una canzoncina, un po’ per ridere, un po’ per sorridere, un po’ per riflettere, un po’ per andare a cercare un mitra e sparare ad alzo zero. E cominciamo facendo il punto di ciò che abbiamo imparato, che è sempre importante.

Giovanni Orciani

In questa emergenza covid19 abbiamo imparato che:

1) le mascherine non servono (perché non ci sono) però è meglio tenere una sciarpa su naso e bocca;
2) andare a camminare in solitaria o in famiglia è pericoloso, mentre le file al supermercato sono sicure;
3) i nipoti non possono portare la spesa ai nonni, ma gli sconosciuti del delivery sì;
4) le forze dell’ordine hanno abbastanza uomini e mezzi per presidiare il territorio (ricordateglielo quando ne avrete bisogno a emergenza finita, se vi dicono che non c’è nessun mezzo disponibile);
5) i detenuti in custodia cautelare, quindi ancora privi di processo e di condanne definitive, non possono essere messi ai domiciliari ma i condannati in via definitiva per reati di mafia invece sì, anche se le condizioni ex 41 bis, prevedendo l’isolamento degli stessi li pone al riparo dal contagio;
6) tutte le manifestazioni sono sospese, comprese le messe pasquali e i funerali, ma l’ANPI può uscire tranquillamente a manifestare (un’Italia che sarebbe da liberare nuovamente tra l’altro da questa classe dirigente e politica);
7) i soldi per mantenere le aziende non ci sono, ma ci sono per le task force, gli stipendi dei politici e dei dirigenti pubblici e anche per dare le mancette ai sanitari in una manovra esclusivamente demagogica. (vedremo poi con le aziende chiuse come li pagherete gli stipendi pubblici);
8) la sanità lombarda è la peggiore di tutta Italia e le migliaia di italiani che ogni anno salgono nei loro ospedali sono evidentemente scemi: dovrebbero restare in quelli delle rispettive virtuosissime regioni;
9) gli aeroporti sono chiusi, non ci si può spostare da una regione all’altra, ma i porti sono rigorosamente aperti per far attraccare navi spagnole che, evidentemente, nel loro Paese non sarebbero accolte;
10) con un’app si possono monitorare i movimenti dei cittadini italiani (personalmente non ho alcun problema a scaricarla), ma non degli immigrati che richiedono asilo perché verrebbero lesi i loro diritti.
Sì! il 25 aprile dovremmo scendere tutti in piazza per dare un nuovo significato alla ricorrenza della Liberazione!

Dopodiché facciamo il punto anche su quello che abbiamo appreso con l’attesissima e benvenutissima fase 2, che cambierà la nostra vita da così a così (l’avete visto il movimento della mano? No?! Ma come no! Dai, era così chiaro!)

Stella Tarolla

Allora, vediamo se ho capito:

1) il virus non attacca le prime 15 persone che partecipano ad un funerale. Il 16mo è fottuto;
2) il virus non attacca i prossimi congiunti: per la definizione di “congiunto”, il virus applicherà le definizioni contenute nel codice civile. Quindi non fate i cretini: se dite di andare dai nonni e invece andate a casa di amici, ovvero a casa della moglie di vostro cugino di secondo grado, il virus se ne accorge e vi contagia;
3) da nonna, sì; dalla fidanzata, invece, il virus ti contagia; [poi però si è ravveduto e ci ha aggiunto gli affetti stabili, e immagino che sarà la polizia a decidere, mediante stringenti interrogatori separati, se sono stabili abbastanza o se si meritano una bella multa per avere bluffato solo per farsi una scopata o per passare una mezz’ora con l’amico di asilo-elementari-medie-liceo-università-militare-testimoni di nozze-padrini dei figli eccetera eccetera lungo settant’anni di vita]
4) le 15 task forces e i 450 superesperti che salveranno il Paese dalla catastrofe socioeconomicosanitaria non sanno neanche leggere un calendario… o avrebbero evitato di riaprire i parrucchieri lunedì 1^ giugno, giorno di loro chiusura (non foss’altro per evitare di essere perculati da oggi sino alla suddetta data); si riaprirà il 2 giugno, che non sarà più festa giacché la Repubblica parlamentare è stata soppressa (ve n’eravate accorti, sì?);
5) le udienze civili e penali e, in genere, l’intera attività giurisdizionale riprenderanno il 12 maggio, ma i cancellieri, i funzionari e il personale amministrativo tutto dei Tribunali (compresi i magistrati fuori sede?) continueranno con presidi, turnazioni e Smart working sino al 30 giugno. Quindi, tribunali vuoti, assenza di personale, ma avvocati al lavoro… a fa’ che?!?!?
6) Peppiniello e cosolino so’ stati capaci di fa’ incazza’ pure il Papa… fantastici;
7) “L’Inps ha evaso in un mese quello che normalmente evade in 5 anni” (Churchill de noartri, testuale Traduzione dal Propagandese all’Italiano: all’Inps solitamente non fanno un cazzo, atteso che normalmente impiegano 5 anni per evadere ciò che potrebbero fare in un mese… l’importanza di avere un grande addetto stampa che sa scegliere le parole;
8) in sintesi, non è cambiato un cazzo, tranne l’aver autorizzato e disciplinato i funerali… ci vogliono far capire qualcosa?
9) l’Europa ci invidia… ha detto proprio così. Questa deve avergliela dettata Grillo, che non ha saputo rinunciare a rendere onore al suo passato comico.

E a proposito del Presidente del Consiglio che l’intera Europa, cosa dico, l’intero mondo e le galassie tutte ci invidiano, della sua specchiata onestà e del suo lavorare alla luce del sole e non col favore delle tenebre come fanno invece altri loschi figuri di cui potrei fare nomi e cognomi ma non li faccio per carità di patria, guardate questo che carino!

Passo ora a questo capolavoro di alta strategia internazionale
strategia
E a questo proposito merita menzione la
spettacolare figura di cacca che ha fatto Lilli Gruber propagandando la strasmentita bufala di Trump che vorrebbe iniettare la varechina in vena ai pazienti.

Otto e Mezzo, Lilli Gruber smentita da Riccardo Luna su Donald Trump: gelo in studio

26 aprile 2020

Smentita a casa sua. Si parla di Lilli Gruber, che a Otto e Mezzo su La7 ha dovuto incassare il “colpo basso” di Riccardo Luna, giornalista di Repubblica e componente della task-force del governo contro le fake-news. Il tema erano le controverse dichiarazioni di Donald Trump circa la possibilità di testare iniezioni di candeggina. E la Gruber, rivolgendosi a Fabrizio Pregliasco, presente in collegamento, ha affermato: “Trump ha detto che potrebbero funzionare delle iniezioni di disinfettante, chi può credere ad una simile panzana?”. E Pregliasco ha parlato di “esempio micidiale di disinformazione“, in riferimento alla “ricetta” di Trump. Ma a quel punto si è inserito Luna, il quale ha puntualizzato: “Se si va a vedere la conferenza stampa si scopre che Trump non lo ha detto. Ha fatto una domanda, che è molto diverso”.

Dunque, Luna ha spiegato nel dettaglio quanto accaduto: “Le conferenze sono molto divertenti, se non fosse che stiamo parlando di una tragedia. Trump ne ha dette di tutti i colori, ma questa volta ha fatto una domanda, ha chiesto ad un medico se poteva essere una buona idea, ovviamente non lo era. Si comporta come un uomo della strada. La cosa migliore che è accaduta è che il medico lo ha spiegato, tutta la stampa lo ha spiegato. Il miglior antidoto contro le fake sono la credibilità dei giornalisti e degli scienziati. La domanda di Trump è finita lì”. Evidente l’imbarazzo della Gruber, che con palese stizza e disappunto ha affermato: “Sì sì, diciamo così… era una domanda alla Trump… ma chi non è esperto e poco avveduto e attento…”. Gelo in studio. (qui)

Ma siccome Trump è brutto cattivo e antipatico, la favoletta di Trump che propone di iniettare varechina in vena continuerà a trovare adepti fra i soliti dementi che preferiscono le bufale preconfezionate (e anche prematurate?) piuttosto che la realtà (interessante comunque che la signora Dietlinde, tutta botulino, silicone e filoterrorismo, riconosca di essere non esperta, poco avveduta e poco attenta). E, visto che siamo in tema di sanità negli Stati Uniti, aggiungo un testo scritto da chi ci vive.

Jaime MancaGraziadei

Tutti gli Stati americani sono tenuti a rispettare le leggi Federali. Ci sono ben 2900 ospedali pubblici e “no profit” e tre leggi Medicare (1965) , Medicaid (1966) ed EMTALA (1986) che coprono i non coperti da assicurazione, i non abbienti e coloro che hanno reddito inferiore ai 23.000 inclusi i pensionati, i disabili, i senzatetto, i senza lavoro, ragazze madri e figli… tutti. Il tutto è coperto ed incluso nel welfare USA di 2700 miliardi di dollari ogni anno. E, sempre sotto EMTALA, a NESSUNO possono essere rifiutate cure. Alle volte si recano in un Urgent Care, un gabinetto poliambulatorio NON attrezzato con semplici infermieri e quasi mai dottori come il ragazzo deceduto in California recentemente, e quindi, non potendo intervenire, li indirizzano al più vicino ospedale, come infatti è successo. Tutti gli altri vengono curati ed, a seconda della polizza scelta, parte la pagano loro il resto dalle assicurazione o, se hanno scelto copertura totale, paga tutto l’assicurazione.

Aggiungo che noi, con la nostra preziosissima sanità pubblica, lasciamo allo stato molto più di quello che un americano paga per una copertura totale, che comprende visite, diagnostica, medicine, ricoveri, interventi chirurgici e dentista. Io solo con quello che ho speso di dentista almeno un bilocale lo avrei comprato. Oltre a tutto quello che devo spendere in aggiunta di ticket per medicine mutuabili e prezzo intero per quelle che non lo sono, visite specialistiche private perché altrimenti devo aspettare anche sei mesi o più, ed esami diagnostici privati perché per quelli convenzionati – e comunque con ticket di molte decine di euro – ho trovato liste d’attesa addirittura di 21 mesi. Quindi sarebbe ora di finirla con le bufale sulla sanità americana che lascia morire i poveri mentre da noi salva tutti. Così come ci salva il conticino
salvataggio
che si circonda di esperti per poter fare sempre le scelte giuste
tampone
e soprattutto mette al primo posto e la sicurezza degli italiani
mafia
e la giustizia per tutti,
contrario
ma contemporaneamente salvaguarda la nostra libertà, permettendoci di scegliere la nostra sorte
fragola
E infine ecco la canzoncina, di uno che non è mai stato fra i miei amori, ma questa cosetta qui mi è piaciuta un sacco.

barbara

I CRIMINALI ABUSI DEL GOVERNO – PARTE SECONDA

Iniziamo con la denuncia di nove magistrati.

“Le passeggiate non sono reati, contrastiamo invece la criminalità”

La lettera aperta di nove magistrati della Valle d’Aosta

Una lettera aperta alla cittadinanza valdostana, in cui dicono che le passeggiate non sono illeciti e che “il denaro pubblico è più utile se speso per contrastare la  microcomunità che per i controlli”. A scriverla sono nove magistrati di Aosta, che però intervengono in qualità di cittadini.

Eugenio Gramola, presidente del tribunale, i giudici Anna Bonfilio, Maurizio D’Abrusco, Luca Fadda, Davide Paladino, Marco Tornatore, Stefania Cugge (giudice a Ivrea) e i pm Luca Ceccanti ed Eugenia Menichetti scrivono che “Con estremo sconforto – soprattutto morale – abbiamo assistito – ed ancora assistiamo – ad ampi dispiegamenti di mezzi per perseguire illeciti che non esistono, poiché è manifestamente insussistente qualsiasi offesa all’interesse giuridico (e sociale) protetto”.

“In un territorio  qual è quello valdostano, ma anche altrove, in zone di campagna o collinari su tutto il territorio italiano, ove molti comuni hanno una densità di popolazione assai limitata a fronte di un territorio in gran parte esteso in zona rurale, che pericolosità rivestono le condotte di chi, per sopravvivere alla situazione pesante in cui tutti viviamo, avendo la fortuna di abitare in comune montano – o comunque in zone isolate – (con gli inconvenienti ben noti in condizioni normali, soprattutto in stagione invernale, per spostamenti anche ordinari) faccia una passeggiata nei boschi osando allontanarsi anche per qualche chilometro dalla propria abitazione, laddove superate le ‘quattro case’ del paese – proprio nel raggio delle poche centinaia di metri di spostamento consentito od almeno tollerato – si spinga fino alle zone solitarie di montagna dove – se ha fortuna – potrà incontrare forse qualche marmotta, o capriolo o volpe, transitando al più in prossimità di qualche alpeggio, al momento anche chiuso”.

Quindi “fermo restando che è compito delle Forze di Polizia, e prima ancora dell’autorità politica che ne dirige l’operare, decidere come e dove concentrare i controlli sull’osservanza delle disposizioni emanate dal Governo, è difficile non chiedersi se davvero non si sappia immaginare un modo più utile per spendere il danaro pubblico, in settori ove ce n’è ben più bisogno per le tante necessità urgenti delle strutture sanitarie o per più seri interventi di prevenzione e protezione degli anziani in strutture di accoglienza”.

“Tutto ciò avviene con sacrificio estremo, manifestamente non necessario, di diritti fondamentali di libertà personale e di circolazione dei cittadini di cui alla parte I della Costituzione, che meriterebbe rinnovata lettura ed attenta meditazione. Non dimentichiamo che le norme che vengano ad incidere e sacrificare diritti costituzionalmente garantiti, anche a tutela di altri diritti di pari rango che vengano a confliggervi, sono comunque sempre soggette a stretta interpretazione e perdono ogni legittimazione laddove le condotte sanzionate siano prive di lesività per il bene preminente salvaguardato”.Nell’ambito dell’emergenza da coronavirus, in Valle d’Aosta è prevista “in senso ulteriormente restrittivo” rispetto alla normativa nazionale (per via di una ordinanza regionale) la possibilità di svolgere attività motoria e di uscire con l’animale da compagnia “solo in prossimità della propria abitazione”, ricordano giudici e pm. Nella lettera aperta fanno riferimento in particolare alla “Circolare del Ministero dell’Interno 31.03.2020”, in cui si ricorda che “la finalità dei divieti” risiede “nell’esigenza di prevenire e ridurre la propagazione del contagio” e che “il perseguimento della predetta esigenza implichi valutazioni ponderate rispetto alla specificità delle situazioni concrete”.

Inoltre “non sarebbe forse “strategicamente” più utile limitare l’applicazione dei provvedimenti in vigore nell’ambito effettivamente necessario per il perseguimento dei fini loro propri di contenimento dei rischi reali – e non immaginari – di diffusione dell’epidemia in atto, salvaguardando il più possibile le libertà fondamentali dei cittadini? Ciò perché i cittadini stessi, ben consapevoli e largamente convinti della necessità di un regime comunque restrittivo, poiché coscienti – per la maggior parte almeno – dei rischi conseguenti al mancato contenimento della diffusione epidemiologica in atto, sarebbero così assai più motivati e spontaneamente disposti al pieno rispetto della normativa vigente, ragionevole ed equilibrata, e non si sentirebbero invece costretti a cercare i più umilianti sotterfugi per sottrarsi a solerti controlli che finiscono per essere percepiti come gratuite persecuzioni di nessuna utilità per l’effettiva tutela del bene della salute pubblica”. Infine “se superassimo il pericolo da coronavirus lasciando sul tappeto libertà fondamentali e diritti primari di libertà che oggi vengono seriamente posti a rischio da condotte repressive non adeguate rispetto ai fini perseguiti, che risultato avremmo conseguito?”. (qui)

E proseguiamo con quella di ottanta avvocati.

80 avvocati contro le restrizioni alla libertà del Governo: “Applicate senza giusta disciplina giuridica”

23 aprile 2020

Ottanta avvocati hanno redatto e sottoscritto un appello nel quale hanno voluto segnalare all’opinione pubblica i profili di conflittualità con il nostro quadro costituzionale dei provvedimenti adottati in queste settimane dal Governo italiano. Secondo quanto riportato nello scritto, si evidenzia che “sono state applicate pesanti restrizioni alle libertà individuali (la libertà personale, la libertà di circolazione, la libertà di riunione, la libertà di culto), per il tramite di atti amministrativi (decreti ed ordinanze), in assenza di una puntuale disciplina legislativa e violando il principio di diversificazione delle competenze amministrative”. Gli avvocati hanno anche aggiunto che  essendo le restrizioni in questione avvenute sulla base di atti amministrativi, “le ha sottratte ad ogni forma di controllo preventivo e successivo”.

Il testo

L’emergenza sanitaria in atto ha dimostrato la fragilità del nostro sistema costituzionale e, in particolare, delle garanzie che i Padri costituenti avevano voluto scrivere a difesa delle libertà civili. Il Governo ha deciso di avocare a sé ogni competenza, utilizzando impropriamente lo strumento del decreto legge, con il quale sono stati solo genericamente descritti i “casi” di possibile restrizione delle libertà civili delegando al Potere esecutivo, nella persona del Presidente del Consiglio dei ministri, la scelta puntuale di quale misura adottare sia del grado di intensità della stessa. Tutto questo è stato fatto in ragione di uno stato di emergenza dichiarato dal Consiglio dei Ministri il 31 gennaio 2020, pur essendo noto che la nostra Carta costituzionale non prevede l’emergenza quale presupposto per derogare allo Stato di diritto. Ad entrare in crisi è stato innanzitutto il principio di divisione dei Poteri. La centralità del ruolo del Parlamento è stata sacrificata in forza della necessità ed urgenza dei provvedimenti da adottare. Il Potere esecutivo ha deciso di arrogarsi ogni decisione in materia, adottando decreti legge che hanno attribuito al Presidente del Consiglio il potere di integrarli ed attuarli in vista del fine del contenimento dell’epidemia coronavirus.

E’ stato posto in discussione anche il principio di competenza sia a livello centrale (comprimendo la competenza per materia dei vari dicasteri), sia a livello locale (residuando in capo alle Regioni solo un potere di intervento d’urgenza in attesa dell’adozione dei provvedimenti del Presidente del Consiglio). Il Decreto del Presidente del Consiglio è divenuto dunque una fonte strumentalizzata, dotato di un’efficacia tale da poter comprimere diritti costituzionalmente garantiti e da prevalere sui provvedimenti emessi dai singoli Ministri e sulle ordinanze emesse dagli enti territoriali (in primis le Regioni). Non è stato rispettato neppure il principio di gerarchia delle fonti. La libertà individuale gode di una protezione totale stante la riserva assoluta di legge (rinforzata), che impone al legislatore una descrizione precisa dei “casi” e dei “modi” di qualsiasi restrizione alla stessa. A sua tutela è pure prevista una riserva di giurisdizione. Anche la libertà di circolazione è garantita da una riserva di legge rinforzata; sono diritti soggettivi perfetti poi quelli di riunione, di associazione, di libertà di culto.

Solo una legge statale può limitare tali fondamentali libertà, e non certo una fonte secondaria governativa, e addirittura monocratica, quale il Decreto del Presidente del Consiglio. Ma anche accettando la possibilità dell’utilizzo della decretazione d’urgenza non c’è stato il rispetto del principio di tassatività: i due decreti legge adottati dal Governo hanno solo genericamente descritto i casi di possibile restrizione delle libertà civili, delegando ad un componente del Potere esecutivo, il Presidente del Consiglio dei Ministri, la titolarità di scelta sia del tipo di misura da adottare (i “casi”) sia del grado di intensità (i “modi). L’estrema genericità dei decreti legge contrasta poi con la Legge n. 400/1988, che richiede, per il rispetto dell’art. 77 Cost., l’emanazione di misure di immediata applicazione, con contenuto specifico ed omogeneo. Ed, anzi, un decreto-legge che abbisogni di un ulteriore provvedimento (nel caso un D.P.C.M.) per la sua attuazione, difficilmente può dirsi fondato su presupposti di straordinaria necessità e urgenza, poiché l’arco temporale necessario all’elaborazione della fonte secondaria smentisce in radice l’indifferibilità della misura.

In sintesi, sono state applicate pesanti restrizioni alle libertà individuali (la libertà personale, la libertà di circolazione, la libertà di riunione, la libertà di culto), per il tramite di atti amministrativi (decreti ed ordinanze), in assenza di una puntuale disciplina legislativa e violando il principio di diversificazione delle competenze amministrative. Il fatto poi che le restrizioni in questione siano avvenute appunto sulla base di atti amministrativi, le ha sottratte ad ogni forma di controllo preventivo e successivo. Tali provvedimenti, infatti, sono stati adottati dal Potere esecutivo (Presidente del Consiglio, Presidenti delle Regioni, Sindaci) in piena autonomia e senza una verifica da parte del Parlamento né un controllo del Presidente della Repubblica (previsto sugli atti aventi forza di legge e sui regolamenti governativi, questi ultimi adottati di solito con la forma del D.P.R.). La necessità che sia un atto avente forza di legge a limitare le libertà civili è del resto coerente con il nostro sistema di garanzie costituzionali: solo le leggi (ed atti equiparati ad esse) e non gli atti amministrativi (quali sono i decreti e le ordinanze) sono sottoponibili a giudizio di costituzionalità di fronte alla Corte Costituzionale, unico organo competente secondo il nostro Ordinamento a controllare, con efficacia erga omnes, la conformità alle norme e ai principi costituzionali degli atti legislativi, anche sotto il profilo della loro proporzionalità ed adeguatezza.

E’ mancata dunque qualsiasi verifica della conformità del mezzo (misure restrittive) con il fine (tutela della salute) nell’ottica di un bilanciamento con altri diritti cui la Costituzione riserva invece il grado più elevato di tutela: nessun controllo amministrativo, nessun passaggio parlamentare, nessuna verifica costituzionale. In conclusione gli scriventi ritengono che il fine non giustifica i mezzi. L’emergenza non può giustificare l’alterazione dei rapporti tra i poteri dello Stato e dello Stato con gli altri enti territoriali. Quando sono in gioco i diritti di libertà, allora l’alterazione delle garanzie costituzionali non riveste solo un aspetto formale, perché incide direttamente sulla tutela sostanziale di quei diritti che la Costituzione vorrebbe inviolabili. A meno che non si voglia incidere sulla forma dello Stato di diritto e infine sulla stessa forma di Governo.

I sottoscrittori (qui – e questa stampatevela e portatevela sempre dietro)

appello e sottoscrizioni-2

Poi arriva il 25 aprile, e salta fuori questa circolare ministeriale
25 APRILE
così commentata da

Simone Pillon

Nella foga di mettere a tacere le voci stridule di ANPI, il “Gabinetto del Ministro” autorizza le associazioni partigiane e combattentistiche ad affiancare le “Autorità deponenti”, purché lo facciano “in qualche modo”.
Guareschi ci avrebbe scritto sopra un romanzo.
Io, da giurista di campagna, mi limito a contemplare la morte del diritto: una circolare ministeriale che dispone in deroga di un Decreto Legge, e l’espressione “in qualche modo” che assurge a criterio giuridico. Tutto per non scontentare i sacerdoti del pensiero unico.

A cui io aggiungo: il più giovane dei partigiani, considerando tali anche i ragazzini che facevano le staffette per trasmettere ordini e comunicazioni e che non combattevano, oggi ha almeno 90 anni, i combattenti qualcuno in più: davvero ci sono ancora partigiani e combattenti iscritti all’ANPI che partecipano alle manifestazioni?

Prima di chiudere vi propongo questo accorato grido di dolore di Max Del Papa (e chissà se un giorno qualcuno scriverà una Pavana per una democrazia defunta) e infine questo sfogo esasperato di Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia.

(continua)

barbara

GIUSTIZIA, DOPO 26 ANNI

Mi è sempre rimasto sullo stomaco, nel corso degli anni e dei decenni, quell’osceno, spietato linciaggio morale nei confronti di un uomo onesto, la cui coscienza, ad un certo momento, non aveva più retto al peso dell’omertoso silenzio sui crimini, spacciati per giustizia popolare, perpetrati nel cosiddetto triangolo rosso. Finalmente, dopo ventisei lunghissimi anni, si è avuto il coraggio di riconoscere che Otello Montanari non è un infame, un traditore, una spia, un delatore ma, semplicemente, un uomo con una coscienza.

Le storie del 25 aprile – Il “delatore” Montanari riabilitato dall’Anpi. Ma solo dopo 26 anni
Nel 1990 aveva cercato di alzare il velo sui delitti delle bande emiliane contro gli ex fascisti

FRANCO GIUBILEI
REGGIO EMILIA

Ci sono voluti 26 anni. Anni difficili, fatti di accuse di tradimento durissime da mandar giù per un ex partigiano comunista gravemente ferito in battaglia contro i nazifascisti, ma alla fine Otello Montanari si è visto riconoscere tutte le sue ragioni, con tanto di scuse dall’Anpi di Reggio Emilia. Parliamo del periodo successivo al 25 aprile 1945, quando nel cosiddetto «triangolo rosso» c’erano bande clandestine che facevano giustizia sommaria di persone ritenute legate al fascismo. Dopo l’uccisione del parroco di Correggio, don Umberto Pessina, nell’estate del ’46, si mosse anche Togliatti per porre fine alle spedizioni punitive e mettere ordine nella federazione Pci di Reggio.
Quarantaquattro anni dopo, Otello Montanari alzò il velo delle ipocrisie sul sangue versato nel Dopoguerra con una lettera al Resto del Carlino che si concludeva con l’appello «chi sa, parli», in relazione a un altro delitto eccellente: quello del direttore tecnico delle Officine Reggiane, Armando Vischi, ucciso il 31 agosto del ’45 da una formazione paramilitare. «Dopo la pubblicazione scoppiò l’ira di Dio, in poco più di un mese uscirono più di 1200 articoli su tutti i giornali italiani», ricorda oggi Montanari, 90 anni il prossimo maggio, una vita spesa fra Pci, di cui è stato deputato per una legislatura, Anpi e Istituto Cervi. La direzione del partito allora spedì a Reggio Piero Fassino per vederci chiaro: «Mi disse che avevo ragione e che avevo fatto bene – racconta Montanari -. Mi invitò a tener duro con la sola avvertenza di stare attento alle strumentalizzazioni fasciste, perché il Msi voleva fare una manifestazione».
La tempesta vera, però, con tutto il corredo di minacce telefoniche a casa, accuse di essere un delatore e l’ostracismo di Anpi e Istituto Cervi, si scatena a partire dal ’91, quando l’ex partigiano rivela prove decisive sulle responsabilità dell’omicidio Pessina, per cui nel frattempo erano finiti in galera due innocenti, Germano Nicolini ed Egidio Baraldi: «L’ex archivista del Pci Rangoni ritrovò la registrazione di una conversazione con l’allora responsabile della federazione Pci di Reggio, Nizzoli, in cui risultava che si era deciso di tacere sui veri colpevoli, così ci siamo rivolti al magistrato ed è stato possibile avviare il processo di revisione». Per Montanari cominciano i problemi veri, soprattutto dopo che «Diavolo», nome di battaglia di Nicolini durante la Resistenza, nel ’94 viene assolto: «Sono stati anni duri, amari, in cui ho sofferto io e ha sofferto molto anche la mia famiglia: non sono stato più chiamato a parlare a cerimonie pubbliche né dall’Anpi né dal partito».
L’ultimo colpo velenoso arriva nel 2011, con l’accusa del presidente provinciale dell’associazione partigiana, Giacomo Notari, di non aver raccontato tutto quel che sapeva sulla morte di don Pessina «qualche decennio prima, quando c’era Nicolini in galera. Se avesse parlato apertamente, forse Diavolo non avrebbe fatto tutta la galera che ha fatto ingiustamente. Così anche per Baraldi». «Per queste frasi l’ho querelato – spiega Montanari -. Di certo non potevo sapere cos’era successo, perché fino al ’46 sono rimasto in ospedale per le ferite riportate a inizio ‘45, quando le SS italiane mi spararono addosso 8 proiettili (colpi che lo avrebbero azzoppato per il resto della sua vita, ndr). Seppi della registrazione solo nel ‘91». Stavolta però, la retromarcia del presidente Anpi sono piene e incondizionate: «Riconosco che Otello, appena saputo di prove utili per ottenere giustizia, agì con tempestività, fornendo un decisivo contributo a svelare la verità. Chiedo scusa di avergli procurato sofferenze, amarezze e preclusioni». Per Montanari, un risarcimento morale: «È un fatto straordinario che dopo 26 anni vissuti in croce ci sia stata questa dichiarazione». (qui)
Otello Montanari
Ed è di qualche conforto il fatto che, pur con tanto vergognoso ritardo, il riconoscimento della sua onestà lo abbia raggiunto ancora vivo.

barbara