VENGONO ANCHE LORO? NO LORO NO

Il gender non è più una teoria, ma una dittatura culturale che non tollera dissenso

Se 25 anni dopo i “liberi pensatori” tolgono un premio a Richard Dawkins significa che possono tutto. Libri al macero, scrittori estromessi, accademici licenziati, conferenze cancellate…

L’American Humanist Association ha deciso di cancellare retroattivamente 25 anni dopo il “Premio Umanista dell’Anno” a Richard Dawkins, sulla base del fatto che non è sufficientemente devoto al “culto del transgenderismo”, come il famoso biologo lo ha definito, dicendo che da biologo non può ignorare i cromosomi XX e XY. “Dato il suo disconoscimento di uno dei più famosi atei al mondo, è difficile evitare la conclusione che la parte ‘progressista’ stia vincendo e, per estensione, che i ‘valori progressisti’ non includano più alcun dissenso”, scrive la National Review

Anche a giudicare dalla lista lunghissima dei “caduti” di una ideologia criticata ormai anche da molti intellettuali di sinistra, come il filosofo spagnolo Fernando Savater su El País.

  • Qualche settimana fa, Amazon ha eliminato dalle vendite un best seller critico dell’ideologia trangender, When Harry became Sally di Ryan Anderson. Il suo editore ha poi spiegato sul Wall Street Journal che il volume sta scomparendo anche da altri colossi delle vendite online.
  • Uno degli autori della serie Doctor Who, Gareth Roberts, è stato estromesso da una nuova antologia a causa di quello che la Bbc Books (di proprietà della Penguin Random House e dell’emittente pubblica inglese) ha descritto come “linguaggio offensivo sulla comunità transgender”. Roberts, che è gay, aveva solo detto di non credere nell’identità di genere: “E’ impossibile per una persona cambiare il proprio sesso biologico”.
  • Allan M. Josephson, primario della scuola di Medicina pediatrica dell’Università di Louisville, Stati Uniti, aveva partecipato a una tavola rotonda del think tank Heritage sul gender, campo in cui è esperto. Josephson aveva affermato che il gender non ha basi scientifiche, perché “dovrebbe avere la meglio su cromosomi, ormoni e organi riproduttivi”. Il professore è stato licenziato dopo 43 anni di docenza. 
  • E’ stata licenziata un’autrice di bestseller per bambini, Gillian Philip, dopo che aveva espresso sostegno per la collega scrittrice J. K. Rowling.
  • Sasha White è stata licenziata dalla Tobias Literary Agency di New York dopo avere espresso solidarietà a J. K. Rowling e aver scritto: “Il gender non conformista è meraviglioso; negare il sesso biologico no”.
  • La Open University, la più grande del Regno Unito, ha cancellato un commento sul gender di Alistair Bonnington, insigne giurista ed ex consulente legale della Bbc, che ha avuto l’attuale premier scozzese Nicola Sturgeon fra i suoi allievi. Bonnington aveva criticato la legge sui crimini d’odio in Scozia, affermando che “renderebbe un crimine negare che una donna trans (cioè un uomo) sia una vera donna. Sembra che le femministe in Scozia possano aspettarsi l’incarcerazione”. Bonnington ha anche ricevuto una lettera disciplinare in cui l’università dichiarava che aveva violato le regole del forum. 
  • Sarah Honeychurch dell’Universià di Glasgow è stata licenziata come redattrice della rivista accademica Hybrid Pedagogy, dopo aver firmato una lettera di femministe critiche delle linee guida dell’università sul gender.
  • All’Università di Bordeaux, Francia, è stata eliminata la conferenza di Sylviane Agacinski, famosa femminista e psicoanalista rea di aver attaccato il gender nel libro Femmes entre sexe et genre
  • A Germaine Greer, icona femminista che si è schierata contro il gender, hanno impedito di parlare all’Università di Cardiff, Inghilterra.
  • La giornalista Suzanne Moore si è dovuta dimettere dal Guardian, per il quale ha lavorato per vent’anni, dopo mesi di accuse di “transfobia” interne al giornale. Era stata bullizzata da 338 colleghi.
  • Un rapporto inglese appena reso noto dal Telegraph dettaglia 21 casi di cancellazioni nelle università a causa del gender. Quando Kathleen Stock, docente di Filosofia all’Università del Sussex, ha criticato il transgender, le reazioni sono state molto tolleranti. Manifestazioni studentesche contro di lei, una condanna del sindacato, appelli a licenziarla e aggressioni online. Molti colleghi le hanno detto di essere d’accordo ma che non lo dicono pubblicamente per paura di rovinarsi.

“La maggior parte dei professori negli anni Settanta credeva che la nuova teoria gender fosse una mania che sarebbe stata spazzata via come le foglie d’autunno”, ha detto a Quillette Camille Paglia, femminista che hanno provato a cacciare dalla University of the Arts di Philadelphia. Si sbagliavano. Da teoria di una nicchia ultra ideologizzata, l’ideologia transgender è diventata una dittatura culturale in fieri da cui non è ammesso dissenso. Pena, la reputazione e la carriera.

Giulio Meotti

E ancora

200 persone cancellate per i nuovi reati d’opinione

Database stila l’elenco delle personalità licenziate per aver criticato il gender, Black Lives Matter o la Cina. Giornalisti, accademici, scrittori. Il nuovo maccartismo in nome della “tolleranza”

“Puoi essere cancellato per aver citato uno studio scientifico. Puoi essere cancellato per credere nel sesso biologico. Puoi essere cancellato per aver detto che il tuo paese non è razzista. Puoi essere cancellato per il tweet sbagliato. Puoi essere cancellato per aver criticato Black Lives Matter…”

E’ lo slogan che campeggia sul sito Canceled People, un nuovo database che raccoglie le vittime della cancel culture che da un paio di anni divampa nelle società occidentali. Sono già 186 e viene aggiornato ogni giorno. Nel database si spiega che non è stato incluso chi ha usato espressioni razziste contro persone specifiche o negato l’Olocausto, ad esempio. Si è considerati “cancellati” per aver espresso una opinione ragionevole ma considerata ormai “blasfema” dal mainstream.
Ci sono importanti giornalisti come Andrew Sullivan, che si è dovuto dimettere dal New York Magazine per le sue critiche a Black Lives Matter, Adam Rapoport editor di Bon Appétit solo per aver indossato un cappello portoricano a Halloween, la scrittrice Gillian Phillip per aver espresso solidarietà sul gender a J.K. Rowling, l’ingegnere di Google James Damore per aver criticato la cassa di risonanza ideologica” della propria azienda sul gender, il ricercatore Noah Carl per aver criticato le politiche sull’immigrazione, la saggista di origine somala Ayaan Hirsi Ali cui è stato impedito di parlare a una università, l’economista Herald Uhlig per aver criticato Black Lives Matter, il Premio Nobel inglese Tim Hunt la cui carriera è stata distrutta per aver fatto una battuta sessista, il filosofo inglese Roger Scruton per aver criticato la Cina e George Soros, la storica di Oxford Selina Todd per aver difeso la realtà del sesso biologico, il professore della New York University Michael Rechtenwald per aver criticato gli “spazi sicuri” che proliferano nelle università, l’intellettuale marxista afroamericano Adolph Reed per aver criticato le ossessioni della sinistra dell’antirazzismo, Ryan Anderson censurato da Amazon per un libro critico dell’ideologia gender e tanti altri. 
Come ha spiegato il celebre avvocato liberal Alan Dershowitz nel suo nuovo libro, è un nuovo maccartismo: “Qualsiasi associazione con la parola comunista era sufficiente per cancellare, distruggere, diffamare ed emarginare la persona associata a quel termine.  Lo stesso vale oggi per la cancel culture. Una semplice accusa di razzismo, sessismo, omofobia, pregiudizi anti-musulmani o incapacità di sostenere Black Lives Matter o il movimento #MeToo sono sufficienti per cancellare una persona innocente”.
Sono i nuovi reati d’opinione per i quali oggi si viene licenziati, esposti al pubblico ludibrio e bruciati in effigie. Sempre in nome della “tolleranza” e dell’“inclusione”.

Sempre il nome del “progresso”, e sempre a firma di Giulio Meotti.

Per combattere il razzismo in America si eliminano i corsi di matematica avanzata

Alcuni stati introducono la “matematica democratica”. Finanzia Bill Gates, il bianco diventato ricco con i computer. Ma ora è il tempo della mediocrità in nome della razza

In America il progressismo non conosce più freni inibitori. L’università di Yale elimina il suo famoso corso di storia dell’arte perché “problematico” (leggi troppo bianco) e si mandano al macero alcuni libri per bambini del Dr. Seuss. C’è una disciplina che era sempre stata al riparo da questa ideologia: la matematica. Finora, almeno. 
Due settimane fa, nella newsletter, avevo intervistato il celebre matematico di Princeton Sergiu Klainerman, che raccontava di come in America ora in nome dell’antirazzismo avanza una nuova disciplina, la “matematica democratica”. Klainerman ne aveva scritto anche qui.
Il Virginia Department of Education ha appena deciso di eliminare i corsi di “matematica accelerata” prima dell’undicesimo anno per “migliorare l’equità nelle opportunità di apprendimento”. A Seattle si incoraggiano gli studenti a pensare come la matematica sia stata “usurpata” dalla cultura occidentale e utilizzata nei sistemi di potere e oppressione. Lo stato dell’Oregon introduce corsi di “etno-matematica”. E un docente di matematica di New York, Paul Rossi, è stato appena licenziato dopo aver accusato la sua scuola di fare il lavaggio del cervello agli studenti, instillando loro l’“odio per i bianchi”. 
“E’ in corso un’acquisizione veramente allarmante dell’istruzione, che si basa sull’idea che non ci si dovrebbe aspettare che i bambini neri e i bambini latini ottengano dei risultati, che siano precisi, e che imporre loro la matematica è razzista” ha detto il linguista afroamericano John McWhorter. “I progressisti sono dei razzisti in una nuova veste, pensano a se stessi letteralmente come a Gesù”. 
L’idea si basa su un consorzio di 25 organizzazioni educative che ha offerto “A Pathway to Equitable Math Instruction”, che cerca di “smantellare il razzismo nell’insegnamento della matematica”. Il gruppo rileva suprematismo bianco in pratiche insidiose come concentrarsi sulla risposta giusta, cioè l’apprendimento. E’ finanziata dalla Bill & Melinda Gates Foundation. Sì, Bill Gates, l’uomo che ha fatto fortuna con i computer. Ma ora è il tempo della mediocrità in nome della razza! 

Cioè, in parole povere, hanno incontrovertibilmente stabilito che i negri sono una razza inferiore e non saranno mai in grado di fare le cose che facciamo noi. Ancora un po’ e li toglieranno dalle università e dalle scuole e li manderanno sui campi a raccogliere il cotone. Ma si sbagliano, fanno male a credere che i negri non sappiano fare niente; al contrario, sono stati addirittura capaci di inventare un nuovo comandamento: “Odia il prossimo tuo”. E riusciranno sicuramente a rispettarlo, dato che hanno invocato, a questo scopo, l’aiuto del Signore.

Il libro, “A Rhythm of Prayer”, è già in cima alla lista dei best seller di Amazon e del New York Times. Racconta Newsweek di oggi che all’interno della raccolta di interventi del libro c’è un brano di Chanequa Walker-Barnes, teologa e professoressa, intitolato “Prayer of a Weary Black Woman”. Inizia così:
“Caro Dio, per favore aiutami a odiare i bianchi… Voglio smetterla di preoccuparmi di loro, individualmente e collettivamente. Voglio smetterla di preoccuparmi delle loro anime fuorviate e razziste, smetterla di credere che possano essere migliori, che possano smettere di essere razzisti”.
Niente male per chi si definisce antirazzista.
Nelle stesse ore Roger Kimball, l’editore americano controcorrente di Encounter Books, sul Wall Street Journal raccontava come da Amazon a Bookshop i giganti delle vendite di libri hanno rimosso una serie di suoi titoli critici dell’ideologia transgender, come il best seller di Ryan Anderson “When Harry Became Sally”.
“In qualità di editore di quel bestseller del 2018, sono rimasto sorpreso dai rapporti secondo cui il libro di Anderson non era disponibile nella ‘libreria più grande del mondo’” scrive Kimball. “All’inizio, mi sono chiesto se ci fosse qualche errore. Ma no. È stato un atto deliberato di censura. Non hanno semplicemente smesso di vendere il libro. L’hanno inserito nell’oblio digitale, cancellandone ogni traccia dal sito di Amazon. Hanno fatto la stessa cosa presso Audible, che vende audiolibri, e AbeBooks, che vende libri di seconda mano. La decisione di schiacciare il libro di Anderson è l’avanguardia di uno sforzo più ampio per mettere a tacere il dibattito e imporre la conformità ideologica su qualsiasi questione controversa in cui i commissari della cultura hanno fatto un investimento. Non ha niente a che fare con i principi e tutto a che fare con il potere. Ci saranno più interdizioni, cancellazioni e soppressioni. Possono farlo, quindi lo faranno”.
Perché sono stati in grado di far passare anche l’idea che è in nome della tolleranza e dell’“inclusione”, ovvero nella spaventosa neolingua politicamente corretta, che si può pregare di odiare i bianchi.

Una volta era di moda dire “Fermate il mondo, voglio scendere”; ecco, io no, non voglio scendere, e non lo voglio neanche fermare, però una bella ramazzata su tutta questa spazzatura, quanto volentieri la darei!

barbara

C’ERA UNA VOLTA

“Un re!” diranno subito i miei piccoli lettori. Ma no, stupidini, quelle sono le fiabe per bambini, siete forse dei bambini voi? Le cose che c’erano una volta di cui voglio raccontarvi sono altre. Il razzismo, per esempio: ne avete mai sentito parlare? Era una cosa bruttissima, sapete. Funzionava così: c’erano delle persone, i razzisti appunto, convinte che ci fossero delle razze superiori e razze inferiori; le vite delle razze inferiori, secondo loro, valevano meno, avevano meno diritti eccetera. Ebbene, adesso non esiste più! Al suo posto ha trionfato l’antirazzismo, che è una cosa bellissima: dice che solo le vite dei negri, preferibilmente musulmani, valgono e tutte le altre no, e se qualcuno si azzarda a dire che tutte le vite valgono – ma si può dire una simile assurdità?! – viene giustamente condannato a morte seduta stante e giustiziato sul posto.

Naturalmente l’antirazzismo punisce, giustamente, anche chi si permette di parlare di razze diverse dalla sua. Cioè no, non in assoluto: solo i bianchi che si permettono di parlare dei negri, mentre il contrario, giustamente, no, non è reato, non è peccato, non è sanzionabile.

Giulio Meotti

“È bianco, non può scrivere di schiavitù”. America e Inghilterra censurano lo scrittore francese de Fombelle. Un mio articolo sul Foglio sulla follia in cui siamo piombati
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Roma. Questo nuovo romanzo Timothée de Fombelle lo aveva pensato trent’anni fa. Aveva tredici anni quando i genitori lo portarono in Ghana per la festa di Ognissanti. “Siamo arrivati sui binari e lì, sulla costa, abbiamo potuto vedere dove gli olandesi, i francesi e gli inglesi hanno tenuto gli schiavi oltre due secoli fa prima di inviarli in America o nei Caraibi. La vegetazione aveva invaso il posto, ma c’erano ancora gli anelli appesi al muro e immagini che non dimenticherò mai…”.
Era nata così l’idea di “Alma”, uscito in Francia per Gallimard. Centinaia di migliaia di bambini in tutto il mondo hanno letto i suoi libri. De Fombelle ha scritto alcune delle opere più belle della letteratura francese per l’infanzia. Primo volume di una saga in tre volumi, “Alma” racconta la storia di una ragazza africana durante il periodo della schiavitù e ne evoca la lotta per l’abolizione. Ma il successo francese non sarà bissato in lingua inglese. Perché a differenza di tutti i suoi lavori precedenti, questo di de Fombelle non sarà pubblicato in Inghilterra o negli Stati Uniti. Sarà anche un eccellente scrittore, ma de Fombelle è bianco e in quanto tale non può affrontare il tema della schiavitù.
“Da Walker Books, il mio editore inglese che ha una filiale negli Stati Uniti, sono stato avvertito dall’inizio”, ha raccontato lo scrittore al Point. “Un argomento affascinante, ma troppo delicato, mi è stato detto: quando si è bianchi, quindi dalla parte di coloro che hanno sfruttato i neri, non si può appropriarsi della storia della schiavitù. A loro è piaciuto il libro, ma per la prima volta non lo pubblicheranno”. Come se prima di pubblicarlo avessero chiesto a Victor Hugo se avesse mai conosciuto la povertà per potere scrivere di Gavroche e dei “Miserabili”.
In “Alma”, il nome dell’eroina, de Fombelle porta il lettore a bordo della “Douce Amélie” nel 1786, che trasporta centinaia di schiavi verso la Francia. Il “crimine” ideologico dello scrittore è emerso negli anni 80 e si chiama “appropriazione culturale”, ovvero quando la cultura “dominante” prende elementi da una minoranza o cultura “dominata”. Due anni fa, a Montreal, la commedia Kanata del famoso drammaturgo del Quebec, Robert Lepage, ha visto una controversia simile perché raccontava la storia dal punto di vista degli amerindi. “Che un uomo bianco possa raccontare la storia della tratta degli schiavi dal punto di vista degli schiavi, anche se questa storia non è ovviamente la sua, è per me la definizione stessa di letteratura”, si è difeso de Fombelle. Ma così va ora.
Ora la statua di Victor Schoelcher di fronte al vecchio Palais de Justice di Fort-de-France nella Martinica è gettata a terra e fatta a pezzi. Perché il dandy ateo con vocazione umanitaria che abolì la schiavitù in Francia, per i nuovi antirazzisti, sarebbe in realtà un cripto razzista. E non importa che il vate della negritudine, Aimé Césaire, lo avesse celebrato con queste parole: “Contro la propensione alla tirannia, c’è un antidoto: lo spirito di Victor Schoelcher”. Oggi un bianco non può raccontare gli schiavi, figuriamoci averli liberati. Può solo inginocchiarsi e tacere.
de Fombelle
E poi c’era una volta, nel barbaro mondo occidentale, patria di ogni oscurantismo, una cosa mostruosa come la libertà religiosa: volevi pregare, non volevi pregare, volevi andare in chiesa, non volevi andarci, volevi pregare per i poveri bambini dell’India che morivano di fame o per le anime del purgatorio per mandarle più presto in paradiso o per la zia malata o perché il fidanzato tornasse da te: erano affari tuoi. Ma oggi per fortuna anche in questo campo la civiltà sta prendendo il sopravvento sulla barbarie: giù le chiese, e basta coi preti che pretendono di pregare per quello che vogliono loro.

E poi c’erano la libertà di pensiero, la libertà di parola, la libertà di stampa. Ecco, provate a rigirarvele in bocca, queste oscenità: non vi viene voglia di sputarle? Non vi viene un conato di vomito per lo schifo? Ma ora rilassatevi: le Forze del Bene hanno lavorato duramente, hanno lottato, hanno sofferto, si sono sacrificate, e alla fine il Bene ha trionfato!

Giulio Meotti

Avevano assunto una columnist non liberal. Ora arrivano le dimissioni di Bari Weiss dal New York Times (oggi si è dimesso anche Andrew Sullivan dal New York Magazine). Storia esemplare su come la sinistra intellettuale sia diventata l’intolleranza ideologica fatta carta. Per quei (pochissimi) giornalisti non progressisti o non ancora allineati al pensiero unico rimasti è sempre più dura. Traduco alcuni stralci della sua lettera di dimissioni perché è un documento importante del tempo miserabile in cui viviamo:

“È con tristezza che scrivo per dirti che mi dimetto dal New York Times. Sulla stampa è emerso un nuovo consenso, ma forse soprattutto in questo giornale: la verità non è un processo di scoperta collettiva, ma un’ortodossia già nota a pochi illuminati il ​​cui compito è informare tutti gli altri. Twitter è diventato l’editor del New York Times. Le mie incursioni nel ‘Wrongthink’ mi hanno reso oggetto di costante bullismo da parte di colleghi che non sono d’accordo con le mie opinioni. Mi hanno chiamato nazista e razzista. Alcuni colleghi insistono sul fatto che ho bisogno di essere sradicata se questa compagnia vuole essere veramente ‘inclusiva’, mentre altri postano emoji accanto al mio nome. Una parte di me vorrebbe poter dire che la mia esperienza è stata unica. Ma la verità è che la curiosità intellettuale – per non parlare dell’assunzione di rischi – è ora una responsabilità al Times. Perché scrivere qualcosa di audace solo per passare attraverso il processo paralizzante di renderlo ideologicamente kosher, quando possiamo assicurarci la sicurezza del lavoro (e dei clic) pubblicando il nostro articolo sostenendo che Donald Trump è un pericolo unico per il paese e il mondo? E così l’autocensura è diventata la norma”

E, aggiungo io, il giornalismo sta morendo…

E infine, nell’orribile mondo arretrato, troglodita, selvaggio, spietato, disumano di una volta c’era lo stupro. La potete immaginare una cosa più orribile, una violenza che non si limita a colpire l’esterno del corpo ma lo vuole colpire anche da dentro, che trasforma l’atto più bello donato alla specie umana in una sofferenza senza fine. E oggi? In questo nostro splendido mondo progressista pieno di luce dove sorge il sol dell’avvenir che sorge libero e giocondo (uhm, no, mi sa che ho fatto un po’ di confusione. Che poi però forse a pensarci bene magari anche no), in questo nostro splendido mondo, dicevo, lo stupro è scomparso? Ecco, proprio scomparso scomparso no, ci vuole un po’ di pazienza, però fortemente diminuito sì. Perché se una donna bianca accusa di stupro un non bianco si tratta chiaramente di una sporca razzista, meritevole del massimo disprezzo e del più deciso ostracismo, e qual è la donna che, dopo avere subito l’onta dello stupro, abbia voglia di coprirsi anche di disonore e di essere trattata come una reietta? E data l’alta percentuale di stupri perpetrati da non bianchi, ecco che la piaga degli stupri denunciati si ritrova come per incanto meravigliosamente ridimensionata.

Ah, come siamo fortunati a vivere oggi, e non nei tempi tristi e bui del C’era una volta!

barbara

SEGUENDO LA LOGICA

Se un bianco non può doppiare un attore nero, né interpretare Otello dipingendosi la faccia di nero (oggettivamente, non è che l’Europa pulluli di doppiatori neri o attori teatrali neri, meno che mai cinquant’anni fa o cento anni fa) perché si tratta di indebita appropriazione culturale, perché, si chiede l’amico Shevathas, un negro dovrebbe poter fare il programmatore?

Sempre restando in tema di antirazzismo, che noi adoriamo con tutta la nostra anima, con tutto il nostro corpo e con tutta la nostra mente, non possiamo che applaudire, meglio se in piedi, l’iniziativa della Mercedes:

La Mercedes cambia look e lo fa ribadendo il suo impegno nella lotta al razzismo e a ogni forma di discriminazione: nel 2020 le W11 della scuderia campione del mondo in carica avranno una livrea nera al posto della tradizionale argento.
mercedes-nera
Che a me poi verrebbe da chiedermi in che modo cambiando il colore dell’auto si aiuteranno i negri di Harlem a uscire dal ghetto ed emanciparsi, ma si sa che io sono una brutta persona, e per mimetizzarmi e non farmi troppo notare applaudo anch’io. E altrettanto entusiasticamente e inpiedamente applaudiamo anche i nostri eroici piloti di Formula 1 che non esitano a inginocchiarsi in segno di… Boh, questo non lo so: non si può mica sapere tutto nella vita, no?

Piloti ricoperti d’oro da regimi autoritari e razzisti ci spiegano l’antirazzismo

Alla partenza del Gran Premio d’Austria di Formula Uno di questa domenica abbiamo assistito, cosa alquanto irrituale nel contesto sportivo automobilistico, ad un atto politico organizzato dal campione del mondo Lewis Hamilton per sostenere l’”anti-razzismo”, ma anche nei fatti, apertamente, il movimento Black Lives Matter.
Il clou è stato rappresentato dalla foto di gruppo dei piloti di Formula Uno con la maggior parte di essi inginocchiati al momento dell’inno nazionale, secondo il gesto reso celebre negli ultimi anni, ma soprattutto nelle ultime settimane, dalla campagna del movimento radicale “nero”.
È legittimo chiederci, certo, contro quale “razzismo” i piloti manifestino. E la risposta è facile. Puntano il dito contro il “razzismo” americano o in generale occidentale. Cioè puntano il dito, paradossalmente, contro l’unica parte del mondo che il razzismo è stata, nel tempo, in grado di riconoscerlo e in grandissima parte di superarlo – contro l’unica parte del mondo verso la quale persone di ogni razza ed etnia ogni anno accorrono alla ricerca di quei diritti e di quelle opportunità che non si vedono riconosciute dai propri compatrioti nelle terre natali.
E mentre punta il dito contro l’America e l’Occidente, la Formula Uno stabilisce un fondamentale accordo di sponsorizzazione con la compagnia petrolifera dell’Arabia Saudita. E si fa ricoprire di soldi da Paesi autoritari, razzisti e nemici dei diritti umani come la Russia, il Barhain, gli Emirati Arabi, la Cina o il Vietnam.
Hamilton non si inginocchia per il fatto che la Cina reprima i diritti degli hongkongesi o che sterilizzi forzatamente le donne della minoranza uigura, Non si inginocchia per l’oppressione dei montagnard in Vietnam, né per la persecuzione degli sciiti in Barhain, Quando si troverà a correre in quei Gran Premi, non ci saranno pugni chiusi, ma i sorrisi di sempre.
Con che coerenza, allora, ci si tappano gli occhi contro le più palesi violazioni di diritti e ci si scaglia invece proprio contro il Paese al mondo che conferisce più opportunità a qualsiasi minoranza?
A pensarci bene, forse, in realtà una coerenza c’è. La genuflessione di domenica in nome dell’”anti-razzismo” forse è più parente di quanto si pensi delle genuflessioni alla Cina, al Vietnam o al Barhain. In entrambi i casi semplicemente si va dove sono i soldi. In Occidente i soldi stanno con la gigantesca macchina di marketing del “virtue signalling” e del “politicamente corretto”, in altri Paesi stanno con i relativi regimi statali. E non c’è nessuna necessità di scegliere tra i soldi garantiti dall’opportuno “lip service” al progressismo occidentale e quelli del “lip service” ai peggiori sistemi autoritari del resto del mondo – perché tanto non c’è alcuna vero conflitto tra queste due sfere che si rispettano perfettamente in nome di una sorta di amorale “cujus regio, ejus religio”.
È come per la Lega Calcio che si proclama in prima linea nella battaglia per i diritti delle donne e contro il femminicidio ed allo stesso tempo decide di andare a disputare la finale della Supercoppa italiana a Riyadh con tanto di segregazione sugli spalti. Qualcuno forse ci ha visto una contraddizione?
Ma la perfetta recita “anti-razzista” del Gran Premio austriaco ha avuto, a suo modo, la sua piccola nota stonata. Sei piloti – Charles Leclerc, Max Verstappen, Kimi Raikkonen, Daniil Kvyat, Antonio Giovinazzi e Carlos Sainz Jr – hanno rotto le righe e non si sono inginocchiati. E forse, più degli altri quattordici, il vero segnale lo hanno mandato loro: c’è anche chi, non senza qualche rischio personale in termini di immagine, è disposto a sostenere che la sostanza dei valori e dei comportamenti vale più dell’adesione a riti conformisti di sottomissione al “verbo di successo”.
E alla fine Charles Lecrerc, il “principino” monegasco della Ferrari, è persino arrivato davanti ad Hamilton.

Marco Faraci, 7 Lug 2020, qui.

Ebbene sì, purtroppo questa bellissima festa antirazzista antifascista antituttelecosebrutte, è stata guastata da un branco di fascisti razzisti (e secondo me anche leghisti populisti sovranisti) che sono rimasti in piedi,
piloti
cose che proprio non si possono vedere che uno si chiede ma che problemi ha la gente? (Ci avete fatto caso? È la moda linguistica del momento: quando si vede un comportamento che a qualcuno appare follemente incomprensibile, tipo camminare per la strada a ottocento metri dalla persona più vicina senza mascherina, pretendere, da parte di qualche genitore, che a settembre la scuola riparta, rifiutarsi di dire avvocata sindaca ministra ingegnera, la sconsolata domanda che parte è: “Ma che problemi ha la gente?”)

Restiamo in materia di antirazzismo e logica ferrea? Ma sì, restiamoci! Ed ecco questa gentile signora che con inoppugnabili argomenti scientifici ci spiega che i bianchi (la razza bianca? gli sporchi bianchi? I bianchi di merda?) sono un errore genetico recessivo (sic!) e usano il suprematismo bianco per difendersi, perché sanno benissimo che i negri, avendo la genetica dominante, sono destinati a dominare e non appena conquisteranno il potere faranno sparire i bianchi dalla faccia della terra. Leggere per credere.

E ancora un esempio di antirazzismo militante:

Fulvio Del Deo

Atalanta, Georgia.

Secoriea ha 8 anni ed è insieme alla sua mamma Charmaine. Sono in macchina con un’amica e vorrebbero andare a fare compere in un negozio. Lungo la strada incontrano i manifestanti “antirazzisti” che non vogliono farla passare. Loro sono tipe toste e non si lasciano intimidire da ipocriti fighetti che giocano alla rivoluzione. Non sanno però che i fighetti sono cinici e spietati e, come i loro predecessori nazisti, devono ubbidire all’ordine di farsi ubbidire. Così sparano e uccidono la bimba.

Dice ma quelle sono nere,
Sicoriea
mamma Sicoriea
di sicuro si vedeva anche attraverso i vetri della macchina che sono nere, se ce l’hanno coi bianchi perché sparare a loro? E dai su, non fatela tanto lunga, con tutti i boveri negri ammazzati dai bianchi cosa sarà mai una in più o una in meno.

E ancora in tema di violenza e di logica:

Fulvio Del Deo

Ricordate quando succedeva solo in Israele, che i palestinesi tiravano sassi alle auto e voi dicevate: “E’ per via dell’occupazione, quelli hanno preso la loro terra…”
E adesso perché non dite lo stesso?
Su, ripetete con me: “Ci ammazzano, ci fanno a pezzi e ci mettono nel trolley, ci pisciano addosso, ci spaccano la testa col machete, ci tirano i sassi ecc., perché abbiamo preso la loro terra!”

E ancora

Lorenzo Capellini Mion

Solo per ricordare che i luoghi di contagio del virus di Wuhan siano i bar, i ristoranti, i piccoli negozi, le spiagge, le chiese, i seggi elettorali e i comizi di Trump.
per protestare 1
per protestare 2
Pagliacci

Poi godiamoci questo spezzoncino di politica interna

E concludiamo la carrellata con Silvietta nostra, che finalmente ha concesso la sua prima intervista. A chi? Al giornale dei Fratelli Musulmani, ovvio!

“PER ME IL MIO VELO È UN SIMBOLO DI LIBERTÀ” – PER LA PRIMA VOLTA SILVIA ROMANO (PARDON, AISHA) PARLA DELLA CONVERSIONE E DELLA PRIGIONIA: “COPRENDO IL MIO CORPO SO CHE UNA PERSONA POTRÀ VEDERE LA MIA ANIMA” – “NEL MOMENTO IN CUI FUI RAPITA, INIZIAI A PENSARE: È UN CASO O QUALCUNO LO HA DECISO? QUESTE PRIME DOMANDE CREDO MI ABBIANO GIÀ AVVICINATO A DIO” – “PENSAVO DI ESSERE LIBERA PRIMA, MA SUBIVO UN’IMPOSIZIONE. SENTO DENTRO CHE DIO MI CHIEDE

1 – SILVIA ROMANO SI RACCONTA DOPO IL SEQUESTRO: “VI SPIEGO PERCHÉ HO DECISO DI CONVERTIRMI ALL’ISLAM”

Sono passati quasi due mesi da quando Silvia Romano è stata liberata ed è tornata in Italia. Era il 9 maggio scorso quando il premier, Giuseppe Conte, rivelò che la cooperante milanese, rapita nel novembre del 2018 mentre si trovava in Kenya con l’associazione Africa Milele, e tenuta prigioniera per oltre un anno e mezzo

Oggi, Silvia, che intanto si è convertita all’Islam e si fa chiamare Aisha, ha raccontato per la prima volta i mesi della prigionia e la decisione di diventare musulmana. Lo ha fatto rilasciando una lunga intervista al giornale online La Luce, di cui è direttore Davide Piccardo esponente della comunità islamica di Milano.

La decisione di partire per il Kenya

“Prima di essere rapita – ha dichiarato la ragazza – ero completamente indifferente a Dio, anzi potevo definirmi una persona non credente; spesso, quando leggevo o ascoltavo le notizie sulle innumerevoli tragedie che colpiscono il mondo, dicevo a mia madre: vedi, se Dio esistesse non potrebbe esistere tutto questo male”.
E neppure il volontariato era tra le sue priorità: “Fino alla fine del mio terzo ed ultimo anno di università, non avevo un particolare interesse nel partire e andare a fare volontariato. Verso la fine della tesi mi interessai moltissimo all’argomento che stavo trattando: la tratta di donne ai fini della prostituzione, da lì ho avuto uno scatto nei confronti delle ingiustizie.
Ho sentito il bisogno di andare e mettermi in gioco aiutando l’altro nel concreto. L’idea di continuare a studiare e rimanere qui non mi andava, volevo fare un’esperienza vera, per crescere e per aiutare gli altri”.
Così è nata l’idea di andare in Kenya [a far giocare i bambini, che come tutti sanno è il primo dei bisogni del terzo mondo]. Un’esperienza che le ha letteralmente cambiato la vita. “Nel momento in cui fui rapita, iniziando la camminata, iniziai a pensare: io sono venuta a fare volontariato, stavo facendo del bene, perché è successo questo a me? Qual è la mia colpa? [Perché, prima era convinta che le cose brutte capitassero solo alle persone cattive? Che era scema l’avevamo capito da quel dì, ma fino a questo punto?!]
È un caso o qualcuno lo ha deciso? – ha continuato Silvia -. Queste prime domande credo mi abbiano già avvicinato a Dio, inconsciamente. Ho iniziato da lì un percorso di ricerca interiore fatto di domande
È così che ha cominciato un percorso di avvicinamento alla religione: “Il passaggio successivo è avvenuto dopo quella lunga marcia, quando già ero nella mia prigione; lì ho iniziato a pensare: forse Dio mi ha punito.
Un altro momento importante è stato a gennaio, ero in Somalia in una stanza di una prigione, da pochi giorni. Era notte e stavo dormendo quando sentii per la prima volta nella mia vita un bombardamento, in seguito al rumore di droni. In una situazione di terrore del genere e vicino alla morte iniziai a pregare Dio chiedendogli di salvarmi perché volevo rivedere la mia famiglia.
Gli chiedevo un’altra possibilità perché avevo davvero paura di morire. Quella è stata la prima volta in cui mi sono rivolta a Lui. Poi a un certo punto ho iniziato a pensare che Dio, attraverso questa esperienza, mi stesse mostrando una guida di vita, che ero libera di accettare o meno”.

Il velo come simbolo di libertà: “Mi sento protetta da Dio”

Infine, ha concluso la giovane milanese: “Sicuramente dopo aver accettato la fede islamica guardavo al mio destino con serenità nell’anima, certa che Dio mi amasse e avrebbe deciso il bene per me. Quando provavo paura per l’imminenza della morte o ansia per non avere notizie della mia famiglia e del mio futuro, trovavo consolazione nelle preghiere”.
Sulla questione velo, che ha indossato sin dal suo ritorno in Italia a maggio, ha detto: “Per me il velo è simbolo di libertà.
silvia
Quando vado in giro sento gli occhi della gente addosso; non so se mi riconoscono o se mi guardano semplicemente per il velo; in metro o in autobus credo colpisca il fatto che sono italiana e vestita così. Ma non mi dà particolarmente fastidio. Sento la mia anima libera e protetta da Dio“. (Qui. Segue il testo integrale dell’intervista, nel caso qualcuno avesse voglia di papparselo, che comunque secondo me ne vale la pena. Poi magari ci sarebbe anche questo)

E chiudo con questa cosa, che non c’entra niente ma la trovo bellissima.
ennio Ezio
barbara