E DOPO UN ATTIMO DI TREGUA

Dopo il doveroso attimo di tregua (ogni tanto bisogna pur tirare il fiato) torniamo a calarci nella drammatica realtà dei nostri giorni: sto parlando della tragedia che si è consumata a Ginevra, per commentare la quale penso che la cosa migliore sia cedere la parola a Ugo Volli.

Finalmente siamo arrivati a Monaco
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,
ve lo avevo annunciato con un paio di settimane di anticipo per via dell’imprevisto intervento francese, ma stavolta, con la firma degli accordi di Ginevra, l’Impero americano è veramente morto. Dopo aver tentato di “guidare da dietro” la guerra alla Libia, col risultato che si è visto, la dissoluzione del paese in parti tribali e la reintroduzione della Shari’a; dopo essersi ritirato precocemente dall’Iraq, con un identico risultato e in più l’egemonia iraniana; dopo aver tentato di instaurare un regime islamista in Egitto e regalato alla concorrenza russa, ora l’Egitto tornato su una strada di laicità (non ditemi che c’entra la democrazia, perché le elezioni che hanno eletto Morsi erano chiaramente taroccate); dopo aver fatto giravolte infinite sulla Siria minacciando un intervento, poi riducendolo a “piccolissimo”, infine cedendo alla Russia, grande protettrice di Siria e Iran; adesso Obama cede su una politica trentennale di contenimento e lascia agli ayatollah mano libera in Medio Oriente.  Il risultato sarà un Iran economicamente ricco, senza più vincoli nel procurarsi le armi, in condizione di produrre la bomba atomica in tre settimane, per nulla pacificato nei confronti di Israele.
Un disastro: l’8 settembre americano. Tutti a casa, ma non la fine della guerra, bensì il suo inizio.
Quando cadono gli imperi, o si suicidano, come in questo caso, non succede un’idilliaca libertà generale, ma la legge della jungla. Tutti si armano (in questo caso tutti in Medio Oriente si forniranno di un armamento nucleare) e ciascuno combatte per sé.
Lasciatemi spiegare il punto fondamentale, che i giornali non hanno mai raccontato, tutti intenti a cantare le lodi della pace raggiunta, come facevano in Inghilterra nei confronti di Chamberlain che tornava da Monaco con un accordo in cui cedeva a Hitler la Cecoslovacchia.
Il punto è l’arricchimento dell’uranio. Dovete sapere che l’Uranio si presenta in natura in diversi isotopi, cioè sostanze che hanno le stesse proprietà chimiche, ma diversi comportamenti fisici. L’isotopo di peso atomico 238 è il 99% ed è fisicamente inerte. Quello di peso atomico 235 è radioattivo, cioè tende a spaccarsi spontaneamente emettendo neutroni ed energia.
Anche se è colpito da un neutrone, un atomo 235 si scinde. È dunque possibile un processo a catena, che dipende dalla massa del materiale e dalla percentuale di presenza dell’isotopo 235. Le centrali nucleari tradizionali funzionano con qualche tonnellata di uranio, in cui la presenza del 235 è arricchita al 2 o 3 %, “moderata” da acqua e grafite; dal 20% in poi vi sono le condizioni perché il processo diventi esplosivo, ma con l’arricchimento al 90% bastano 50 chilogrammi per una bomba atomica, che viene fatta brillare con dell’esplosivo tutto attorno che la fa implodere e concentrare abbastanza perché il processo porti all’esplosione nucleare che conosciamo.
Vedete che il processo di arricchimento è decisivo; esso si compie di solito con delle centrifughe che separano gli isotopi in base al loro peso. Dato che la separazione è proporzionale, la parte difficile è portare la concentrazione al 20%, l’arricchimento ulteriore è facile e veloce. Non vi sono praticamente  usi civili per l’uranio arricchito oltre il 3%.
L’Iran afferma il suo diritto ad arricchire l’uranio quanto vuole (il che significa armarsi di bombe atomiche). Il trattato gli impone di arrestare l’arricchimento, ma non di smantellare le sue 18.000 centrifughe, solo di fermarle.
Si è calcolato che rispetto alla massa di uranio arricchito che dichiara, bastano 3 settimane per avere la quantità di materiale fissile necessario per una bomba. Questo senza contare i siti clandestini che continuano a essere scoperti (e chissà quanti ce ne sono).
In sostanza le sanzioni vengono tolte in cambio di una sospensione ovviamente reversibile, alla soglia della bomba atomica, raggiungibile in pochissimo tempo una volta che la comunità internazionale abbia altro da fare. Un accordo di sospensione del genere fu fatto nel 2004 con la Corea del Nord, e dopo tre anni i coreani fecero esplodere la loro prima atomica. A modo loro, del resto, gli ayatollah sono onesti: sono passati appena un paio di giorni dacché il vero capo dell’Iran (che non è il bravo attore comico Rohani, ma la “guida suprema” che in tedesco si traduce Führer), ha detto che Israele è un “cane rabbioso” destinato a essere soppresso).
Chiaro, no, che cosa vogliono farsene del loro uranio arricchito? Pur di andarsene a casa, l’America di Obama ha fatto agli ayatollah un “incredibile regalo di Natale“, come ha detto Netanyahu e in sostanza ha certificato la propria uscita dal Medio Oriente, e con ciò la fine del “secolo americano”. Obama stesso aveva dichiarato questo programma all’Onu a settembre, con un discorso in cui annunciava al mondo il suo bye-bye. Senza essere complottisti e pensare che queste scelte derivino da un’appartenenza islamica su cui spesso si è parlato , è chiaro che vi è una base ideologica per lo smantellamento dell’Occidente (che da un secolo è il nome collettivo degli alleati dell’impero americano).
Di fine dell’impero parlano con soddisfazione da tempo gli intellettuali della sinistra americana e lo scenario è spesso stato analizzato nel dettaglio. Ora siamo arrivati alla sua certificazione ufficiale. Non rallegriamoci però noi europei. Perché la nostra pace durata quasi settant’anni è stata garantita dall’ombrello americano che per noi ha, per esempio, contenuto le pretese russe e ha reso impossibile una guerra fra gli alleati. Ora l’ombrello non c’è più e la pioggia farà presto a raggiungerci.
Da Sudest, dove l’aggressività islamica non si fermerà certo più alla lenta invasione degli immigrati; e da Est, dove la Russia è impaziente di riconquistare il suo impero continentale. A questa svolta è assai più preparato Israele, che sa da sempre di doversi difendere, di un’Europa che si sogna accogliente e disarmata.
Meno di un anno dopo gli accordi di Monaco, quando un trionfante Chamberlain fu acclamato per aver ceduto a Hitler, scoppiava la seconda guerra mondiale. Che il cielo non voglia che anche a noi sia riservata la stessa sorte. (Ugo Volli su Informazione Corretta; qui qualche altro importante dettaglio)

Il Patto di Monaco, di 75 anni fa, ha aperto la porta alla seconda guerra mondiale, che è costata oltre settanta milioni di morti. E non c’era, allora, la bomba atomica (la somma dei morti di Hiroshima e Nagasaki rappresenta lo 0,2% del totale dei morti a causa della guerra): il solo pensare alle possibili conseguenze di questa nuova capitolazione, mette i brividi (io, personalmente, sono terrorizzata). Sembra, per fortuna, che Israele non sia del tutto sola a fronteggiare l’apocalisse che si avvicina, ma questo non basta certo a farci dormire sonni tranquilli.

NB per i lettori: se per caso coltivaste la bizzarra idea che difendersi dall’annientamento sia un diritto, se per caso foste dell’assurda opinione che uno stato abbia il dovere di difendere i propri cittadini, se per caso foste così folli da pensare che sia giusto cercare di restare vivi, ebbene, signori, VOI SIETE NAZISTI, sappiàtelo (nei commenti alla fine del blogroll).
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barbara

OBAMA E ISRAELE

Il signor Barack Hussein Obama ha recentemente spiegato che Israele non sa quale sia il suo vero interesse (il suo nel senso dell’interesse di Obama? Beh, magari lo sa, ma non vedo perché dovrebbe interessargli). Penso possa essere utile, in questa circostanza, riproporre un mio post di tre anni e mezzo fa (il lupo, you know, perde il pelo ma non il vizio e il signor Barack Hussein Obama, anche con qualche capello bianco in più, non fa certo eccezione).

OBAMA DICE AGLI EBREI DOVE POSSONO VIVERE

Domenica, 28 giugno, 2009

di Joseph Farah

Barack Obama sta portando avanti ciò che la sua amministrazione chiama “un approccio più equilibrato alla politica mediorientale”.
Lasciatemi spiegare che cosa questo, alla lettera, significhi in termini reali.
Significa che il governo USA sta usando il suo peso con Israele per insistere che agli ebrei, non agli israeliani, badate bene, ma agli ebrei sia negato il permesso di vivere a Gerusalemme est e nelle terre storicamente ebraiche di Giudea e Samaria, usualmente chiamate West Bank.
Provate a immaginare l’indignazione, l’orrore, le proteste, il clamore, lo stridore di denti che esploderebbero se agli arabi o ai musulmani venisse detto che non possono più vivere in certe parti di Israele – per non parlare del loro proprio paese.
Questo, naturalmente, non accadrebbe mai con “un approccio più equilibrato al Medio Oriente”.
Siamo tornati agli anni Trenta. Questa volta sono le illuminate voci liberali di Hillary Clinton e di Barack Obama a dire agli ebrei dove possono vivere, come possono vivere e quanto si devono piegare se vogliono, semplicemente, continuare a vivere.
So che non l’avete mai sentita mettere in questi termini prima d’ora. E io veramente non so perché. Semplicemente non c’è un altro modo preciso per spiegare le macchinazioni che stanno dietro le ultime richieste dell’Occidente e del resto del mondo a Israele.
Si sta riducendo Israele ai “confini di Auschwitz”. Agli ebrei è già stato detto che non possono più vivere nella striscia di Gaza. Ora gli si dice che non possono più scegliere di vivere in nessuna delle zone che le elite internazionali hanno selezionato per un futuro stato di Palestina.
Di nuovo, domando: “Perché gli internazionalisti cercano di creare uno stato che sarà, per definizione, razzista, antiebraico, che non tollera neppure la mera presenza di ebrei?
Qualcuno mi sa rispondere?
Obama e Clinton – e dunque, per definizione, voi e io, contribuenti degli Stati Uniti – hanno deciso di cedere alla razzista, fanatica, antisemita pretesa dell’Autorità Palestinese che a nessun ebreo sia consentito di vivere nel loro nuovo stato.
Credo che in qualunque altra parte del mondo un simile tentativo di pulizia etnica di una regione sarebbe fermamente condannato da tutta la gente civile. E tuttavia, poiché la maggior parte della gente semplicemente non capisce il chiaro e ufficiale piano dei leader arabi di espellere tutti gli ebrei dal nuovo stato di Palestina, le politiche di capitolazione conservano un certo grado di simpatia, addirittura di sostegno politico, da buona parte del mondo.
Fate attenzione a ciò che sto dicendo: la politica ufficiale dell’Autorità Palestinese è che tutti gli ebrei siano espulsi dalla regione! Perché gli Stati Uniti sostengono la creazione di un nuovo stato razzista, antisemita, contrassegnato dall’odio? Perché il mondo civile considera ciò come una ricetta per la pace nella regione? Perché questa è considerata un’idea accettabile?
Esiste un’altra parte del mondo in cui questo tipo di politica ufficiale di razzismo e pulizia etnica sia tollerato – o addirittura scusato?
Perché in Medio Oriente le regole sono diverse? Perché per gli arabi le regole sono diverse? Perché per i musulmani le regole sono diverse?
Perché i dollari delle tasse americane mantengono la razzista, antisemita entità conosciuta come Autorità Palestinese?
È questo che facciamo quando vietiamo “costruzione di insediamenti”, riparazioni, crescita naturale, aggiunte alle comunità esistenti.
È “equilibrio” questo? C’è qualche proposta di imporre agli arabi e ai musulmani che non possano più trasferirsi in Israele? No. C’è qualche proposta di imporre agli arabi e ai musulmani che non possano comperare case in Israele? No. C’è qualche proposta di imporre agli arabi e ai musulmani che non possano riparare le case che già hanno in Israele? No. C’è qualche proposta di imporre agli arabi e ai musulmani che non possano costruire insediamenti dovunque vogliano? No.
Ora, tenete presente, ci sono già un bel po’ di stati arabi e musulmani in Medio Oriente. Molti di questi già vietano agli ebrei di vivere in essi. Alcuni lo vietano anche ai cristiani. Ma ora, all’unico stato ebraico al mondo, e i cui diritti su quella terra risalgono ai tempi di Abramo Isacco e Giacobbe, viene detto che gli ebrei devono restare fuori da territori che sono attualmente sotto il loro controllo ma che sono destinati ad essere trasferiti a gente che li odia, che li disprezza, che vuole vederli morti e non è neppure disposta ad accettare di vivere in pace con loro come vicini.
Nel frattempo Israele continua a tendere la sua ingenua mano di amicizia agli arabi e ai musulmani – accogliendoli nella propria minuscola nazione circondata da vicini pieni di odio. Ad arabi e musulmani sono offerti pieni diritti civili – e prestano anche servizio in cariche elettive. Pubblicano giornali e trasmettono liberamente alla radio e alla televisione.
Gli ebrei, per contro, sono a un passo dall’essere sfrattati da case che a volte hanno occupato per generazioni. Ciò che è accaduto a Gaza, sta per ripetersi ovunque.
Spero che i miei amici ebrei si ricordino di questo. Molti di loro hanno votato per Barack Obama. Molti di loro hanno votato per Hillary Clinton. Questi non sono vostri amici. Questi sono della stessa specie di coloro che hanno respinto le navi di ebrei in fuga dalla Germania negli anni Quaranta. Questi sono della stessa specie di coloro che si sono accordati con Adolf Hitler a Monaco. Questi sono della stessa specie di coloro che hanno reso così difficile la rinascita del moderno stato di Israele.
Io dico: “Basta con la pulizia etnica. Basta con l’antisemitismo ufficiale. Basta colpire gli ebrei. Si smetta di dire agli ebrei dove possono vivere, come possono vivere – e se possono vivere”. (traduzione mia, qui l’originale)

Ciò che dice Joseph Farah dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti, e il riuscire a vederlo e a capirlo dovrebbe essere una questione di puro e semplice buonsenso. E invece, chissà perché, sono così pochi ad accorgersene, e il dirlo appare ai più come pura follia.
Munchener Abkommen
Prossimamente su questi schermi

Poi, per rinfrescare un po’ la memoria, andate a rileggervi anche questo.

barbara

L’IRAN NON RINUNCERÀ MAI AL NUCLEARE, PAROLA DEL REGIME


Si aprono oggi a Baghdad i negoziati per cercare di trovare una soluzione negoziale al programma nucleare iraniano. Il Gruppo del 5+1 e i negoziatori iraniani, si ritroverranno quindi nella capitale irachena per trovare una via d’uscita a questa drammatica crisi. Purtroppo, al di là di come si risolverà questo round negoziale, il risultato politico sarà lo stesso: l’Iran riuscirà a guadagnare altro tempo utile per continuare ad arricchire l’uranio ed uscire, ancora una volta, dall’isolamento internazionale. Teheran, infatti, non ha alcun interesse di rinunciare al suo programma nucleare militare e la dimostrazione sta nelle parole dei membri del regime. L’Occidente, quindi, si sta riempiendo di illusioni e le conseguenze, purtroppo, saranno irreversibili

Le affermazioni dei dirigenti iraniani

A livello internazionale e nelle agenzie di stampa in lingua inglese, i dirigenti e i media iraniani evidenziano costantemente la pacificità del programma nucleare del loro Paese e ricordano, in ogni occasione, la supposta fatwa emessa da Ali Khamenei contro le armi nucleari. Lasciando stare, per ora, il tema della fatwa (una vera e propria bufala), vogliamo qui ricordare qualche affermazione di diversi dirigenti iraniani, dimostrando come in Iran sia ben chiara la finalità ultima del programma nucleare.

– 14 dicembre del 2001, parla l’ex Presidente iraniano Ali Akbar Rafsanjani: “l’uso della bomba atomica contro Israele ne provocherebbe una distruzione totale. La stessa cosa contro il mondo islamico provocherebbe solo qualche danno. Questo scenario non è inconcepibile”;

– 14 febbraio del 2005, parla l’Ayatollah Mohammad Baqir Kharrazy, Segretario di Iran Hezbollah, ripreso dal Iran Emrooz: “Noi [l’Iran N.d.A] siamo in grado di costruire una bomba atomica e presto lo faremo. Noi non dobbiamo avere paura di nessuno. Gli Stati Uniti non sono altro che un cane che abbaia”;

– 29 maggio del 2005, parla l’Hojjat ol-Islam Gholamreza Hasani, Rappresentante personale della Guida Suprema Ali Khamenei presso la provincia dell’Azerbaijan Occidentale. Nell’occasione, Hasani dichiarò che l’arma nucleare rappresentava l’obiettivo principale dell’Iran, evidenziando che “il Corano ha detto ai mussulmani di essere forti e accumulare tutte le forze a disposizione a tale scopo”;

– 19 febbraio del 2006, un sito iraniano vicino all’ala riformista riportava le parole di Mohsen Gharavian, teologo di Qom e molto vicino all’Ayatollah Mohammad Taqi Mesbah-Yazdi, mentore spirituale di Mahmoud Ahmadinejad. Gharavian dichiarava che, per l’Iran, era “solamente naturale” possedere armi nucleari. Anzi, in un libro, l’Ayatollah Yazdi ha scritto proprio che l’ “Iran deve possedere armi nucleari“.

Con i negoziati l’Iran inganna l’Occidente, ecco le prove

Lo abbiamo ribadito più volte, la diplomazia iraniana è fatta di inganni, doppi giochi e sotterfugi. Lo abbiamo sempre chiaramente dimostrato ma, nel caso ce ne fosse bisogno, vogliamo riportare qui, due importanti dichiarazioni che riprovano quanto stiamo dicendo. (continua)

Ci chiamano cassandre, le anime belle, quando alziamo il nostro grido d’allarme. Dimenticando un piccolo dettaglio: Cassandra non ha mai sbagliato una profezia.

barbara

LA CINA È VICINA. TROPPO VICINA

TRENTO – «Dobbiamo usare la speranza e la libertà per sconfiggere la paura, non solo per i tibetani ma per tutto il mondo». È il messaggio che Lobsang Sangay, il primo ministro del governo tibetano in esilio ha portato a Trento ieri durante la sua visita uffrciale in Trentino. Ad accoglierlo nel capoluogo il kalon tripa non ha frovato un’apertura al confronto. L’annuncio del «Dialogo sull’autonomia del Tibet, del quale è stato protagonista ieri alle 17 assieme ai docenti di diritto istituzionale comprato Roberto Toniatti e Jens Woelk è infatti comparso sul calendario appuntamenti del sito web di facoltà per poi essere rimosso dopo poco in quanto avrebbe potuto «pregiudicare un futuro progetto di gemellaggio dell’ateneo trentino con l’università cinese dello Zhejiang.

L’annuncio
A segnalare l’accaduto è il professore Toniatti che parla di un «oscuramento» volontario dell’annuncio, di un «bruttissimo precedente» e che chiede vengano porte delle scuse al primo ministro e alle istituzioni accademiche: «In un periodo in cui ci sono tanti timori di compressione dell’autonornia dell’università da parte della Provincia credo si sia sperimentato che l’autonomia dell’ateneo può essere compromessa anche dall’interno dell’università».
Secondo quanto ricostruito, alla base della decisione di rimuovere la menzione dell’appuntamento vi sarebbe un’indicazione della professoressa Carla Locatelli, pro rettore per le relazioni internazionali, la docente avrebbe infatti ritenuto l’annuncio dell’incontro avvenuto a Giurispruderza un’esposizione che avrebbe potuto «pregiudicare» il gemellaggio che lega l’ateneo con la Zhejiang University. «Mi è stato fatto notare che nemmeno il mio editoriale sull’argomento apparso sul Corriere del Trentino di ieri è stato incluso nella rassegna stampa dell’ateneo», aggiunge Toniatti.

ll dibattito
«A me non risulta l’avviso sia stato rimosso dal sito del dipartimento, ma mi sto occupando dello statulo e non di questa faccenda» interviene il rettore Bassi. «L’annuncio del convegno è apparso nella pagina degli eventi dell’ateneo, ma è stato rimosso come tutti gli avvenimenti la cui rilevanza non vale per tutto l’ateneo e spostato solo sulla pagina on line del dipartimento di Scienze Giuridiche – è la versione dell’Ufficio comunicazione dell’università -. L’articolo del professor Toniatti non è comparso in rassegna invece perché la selezione avviene per parole chiave segnalate, non presenti nello scritto». Secondo la versione ufficiale «non si può però parlare di censura perhé venerdì alle 14.22 è stata diramata una segnalazione dall’ufficio stampa d’ateneo per ricordare l’evento». Secondo Toniatti, però, l’annuncio «è ricomparso ieri mattina su ordine del direttore di dipartimento». Ieri i vertici di Giurisprudenza hanno discusso dell’accaduto nel corso di un consiglio di facoltà.

Kalon tripa
Anche Lobsang Sangay ha deciso di prendere posizione sull’accaduto che riflette l’influenza che a livello macroscopico ha la diplomazia cinese: «Ogni comunità o religione – afferma – decide come perseguire le proprie relazioni con la Cina. Capita che le realtà si comportino così se non vogliono brutte relazioni. In Trentino ci sono democrazia e libertà d’espressione, la sfida di ogni giorno è quella di mantenere l’autonomia e condividerla con altre popolazioni. Può darsi dunque che anche degli studenti cinesi arrivino in questa provincia per studiare e portino qualcosa di buono del Trentino in Cina». Il Kalon Tripa ricorda però che i meccanismi di censura o auto-censura innescano reazioni a cascata: «Se si ascolta una volta il governo cinese, un tale comportamento verrà chiesto altre dieci volte. La domanda a questo punto è: la democrazia e l’autonomia per cui il Trentino ha combattuto è preservata o meno?».

La politica
A differenza dell’ambito accaedemico, le istituzioni regionali non hanno mostrato timori nello sposare la causa tibetana: il kalon tripa è stato ricevuto in giornata dai governatori Lorenzo Dellai e Luis Durnwalder e dai presidenti del Consiglio Bruno Dorigatti e Mauro Minniti. «Sappiamo che questa è una fase delicata per il suo paese – ha affermato Dellai – e possiamo assicurarle che l’amicizia fra il Trentino e il popolo tibetano continuerà anche in futuro».«Il premier è consapevole che l’indipendenza per i tibetani è difficilmente raggiungibile; per tale ragione punta a ottenere l’autonomia per il proprio paese che consenta di mantenere vive la cultura, la storia e le tradizioni del popolo tibetano», sono le parole di Durnwalder. «La democrazia è come l’aria – ha detto Dorigatti -: ce ne dimentichiamo finché non ci viene tolta. L’aria che tira per l’autonomia trentina non è favorevole, questa visita del primo ministro tibetano ci rafforza però nella convinzione della sua importanza come strumento di governo».
Se Roberto Pinter ha auspicato «un cambiamento in Cina che permetta al Dalai Lama di raggiungere il suo popolo», Michele Nardelli (presidente del Forum trentino per la pace) ha dichiarato: «La realpolitik porta a mettere le relazioni umane in secondo piano rispetto all’economia, mi sembra insopportanite che questa cosa venga fatta valere anche per l’università che dovrebbe essere luogo dove si custodiscono la cultura, la libertà e la difesa dei diritti umani».

Marta Romagnoli © RIPRODUZIONE RISERVATA

L’articolo del professor Toniatti non è comparso in rassegna invece perché la selezione avviene per parole chiave segnalate, non presenti nello scritto
Basterebbe questa frase per condannarlo a settantacinque randellate sulle gengive.

barbara