L’APPELLO DI UN MEDICO IN PRIMA LINEA

Letteralmente, perché quella che si sta combattendo è una guerra, con bollettini dei caduti ogni giorno più drammatici. (È un po’ lunga, ma leggetela, vi prego)

“In una delle costanti mail che ricevo dalla mia direzione sanitaria a cadenza più che quotidiana ormai in questi giorni, c’era anche un paragrafo intitolato “fare social responsabilmente”, con alcune raccomandazioni che possono solo essere sostenute.
Dopo aver pensato a lungo se e cosa scrivere di ciò che ci sta accadendo, ho ritenuto che il silenzio non fosse affatto da responsabili. Cercherò quindi di trasmettere alle persone “non addette ai lavori” e più lontane alla nostra realtà, cosa stiamo vivendo a Bergamo in questi giorni di pandemia da Covid-19.
Capisco la necessità di non creare panico, ma quando il messaggio della pericolosità di ciò che sta accadendo non arriva alle persone e sento ancora chi se ne frega delle raccomandazioni e gente che si raggruppa lamentandosi di non poter andare in palestra o poter fare tornei di calcetto rabbrividisco.
Capisco anche il danno economico e sono anch’io preoccupato di quello. Dopo l’epidemia il dramma sarà ripartire. Però, a parte il fatto che stiamo letteralmente devastando anche dal punto di vista economico il nostro SSN, mi permetto di mettere più in alto l’importanza del danno sanitario che si rischia in tutto il paese e trovo a dir poco “agghiacciante” ad esempio che non si sia ancora istituita una zona rossa già richiesta dalla regione, per i comuni di Alzano Lombardo e Nembro (tengo a precisare che trattasi di pura opinione personale).
Io stesso guardavo con un po’ di stupore le riorganizzazioni dell’intero ospedale nella settimana precedente, quando il nostro nemico attuale era ancora nell’ombra: i reparti piano piano letteralmente “svuotati”, le attività elettive interrotte, le terapie intensive liberate per creare quanti più posti letto possibili. I container in arrivo davanti al pronto soccorso per creare percorsi diversificati ed evitare eventuali contagi. Tutta questa rapida trasformazione portava nei corridoi dell’ospedale un’atmosfera di silenzio e vuoto surreale che ancora non comprendevamo, in attesa di una guerra che doveva ancora iniziare e che molti (tra cui me) non erano così certi sarebbe mai arrivata con tale ferocia. (apro una parentesi: tutto ciò in silenzio e senza pubblicizzazioni, mentre diverse testate giornalistiche avevano il coraggio di dire che la sanità privata non stava facendo niente).
Ricordo ancora la mia guardia di notte di una settimana fa passata inutilmente senza chiudere occhio, in attesa di una chiamata dalla microbiologia del Sacco. Aspettavo l’esito di un tampone sul primo paziente sospetto del nostro ospedale, pensando a quali conseguenze ci sarebbero state per noi e per la clinica. Se ci ripenso mi sembra quasi ridicola e ingiustificata la mia agitazione per un solo possibile caso, ora che ho visto quello che sta accadendo.
Bene, la situazione ora è a dir poco drammatica. Non mi vengono altre parole in mente.
La guerra è letteralmente esplosa e le battaglie sono ininterrotte giorno e notte.
Uno dopo l’altro i poveri malcapitati si presentano in pronto soccorso. Hanno tutt’altro che le complicazioni di un’influenza. Piantiamola di dire che è una brutta influenza. In questi 2 anni ho imparato che i bergamaschi non vengono in pronto soccorso per niente. Si sono comportati bene anche stavolta. Hanno seguito tutte le indicazioni date: una settimana o dieci giorni a casa con la febbre senza uscire e rischiare di contagiare, ma ora non ce la fanno più. Non respirano abbastanza, hanno bisogno di ossigeno.
Le terapie farmacologiche per questo virus sono poche. Il decorso dipende prevalentemente dal nostro organismo. Noi possiamo solo supportarlo quando non ce la fa più. Si spera prevalentemente che il nostro organismo debelli il virus da solo, diciamola tutta. Le terapie antivirali sono sperimentali su questo virus e impariamo giorno dopo giorno il suo comportamento. Stare al domicilio sino a che peggiorano i sintomi non cambia la prognosi della malattia.
Ora però è arrivato quel bisogno di posti letto in tutta la sua drammaticità. Uno dopo l’altro i reparti che erano stati svuotati, si riempiono a un ritmo impressionante. I tabelloni con i nomi dei malati, di colori diversi a seconda dell’unità operativa di appartenenza, ora sono tutti rossi e al posto dell’intervento chirurgico c’è la diagnosi, che è sempre la stessa maledetta: polmonite interstiziale bilaterale.
Ora, spiegatemi quale virus influenzale causa un dramma così rapido. Perché quella è la differenza (ora scendo un po’ nel tecnico): nell’influenza classica, a parte contagiare molta meno popolazione nell’arco di più mesi, i casi si possono complicare meno frequentemente, solo quando il VIRUS distruggendo le barriere protettive delle nostre vie respiratorie permette ai BATTERI normalmente residenti nelle alte vie di invadere bronchi e polmoni provocando casi più gravi. Il Covid 19 causa una banale influenza in molte persone giovani, ma in tanti anziani (e non solo) una vera e propria SARS perché arriva direttamente negli alveoli dei polmoni e li infetta rendendoli incapaci di svolgere la loro funzione. L’insufficienza respiratoria che ne deriva è spesso grave e dopo pochi giorni di ricovero il semplice ossigeno che si può somministrare in un reparto può non bastare.
Scusate, ma a me come medico non tranquillizza affatto che i più gravi siano prevalentemente anziani con altre patologie. La popolazione anziana è la più rappresentata nel nostro paese e si fa fatica a trovare qualcuno che, sopra i 65 anni, non prenda almeno la pastiglia per la pressione o per il diabete. Vi assicuro poi che quando vedete gente giovane che finisce in terapia intensiva intubata, pronata o peggio in ECMO (una macchina per i casi peggiori, che estrae il sangue, lo ri-ossigena e lo restituisce al corpo, in attesa che l’organismo, si spera, guarisca i propri polmoni), tutta questa tranquillità per la vostra giovane età vi passa.
E mentre ci sono sui social ancora persone che si vantano di non aver paura ignorando le indicazioni, protestando perché le loro normali abitudini di vita sono messe “temporaneamente” in crisi, il disastro epidemiologico si va compiendo.
E non esistono più chirurghi, urologi, ortopedici, siamo unicamente medici che diventano improvvisamente parte di un unico team per fronteggiare questo tsunami che ci ha travolto. I casi si moltiplicano, arriviamo a ritmi di 15-20 ricoveri al giorno tutti per lo stesso motivo. I risultati dei tamponi ora arrivano uno dopo l’altro: positivo, positivo, positivo. Improvvisamente il pronto soccorso è al collasso. Le disposizioni di emergenza vengono emanate: serve aiuto in pronto soccorso. Una rapida riunione per imparare come funziona il software di gestione del pronto soccorso e pochi minuti dopo sono già di sotto, accanto ai guerrieri che stanno al fronte della guerra. La schermata del pc con i motivi degli accessi è sempre la stessa: febbre e difficoltà respiratoria, febbre e tosse, insufficienza respiratoria ecc… Gli esami, la radiologia sempre con la stessa sentenza: polmonite interstiziale bilaterale, polmonite interstiziale bilaterale, polmonite interstiziale bilaterale. Tutti da ricoverare. Qualcuno già da intubare e va in terapia intensiva. Per altri invece è tardi…
La terapia intensiva diventa satura, e dove finisce la terapia intensiva se ne creano altre. Ogni ventilatore diventa come oro: quelli delle sale operatorie che hanno ormai sospeso la loro attività non urgente diventano posti da terapia intensiva che prima non esistevano.
Ho trovato incredibile, o almeno posso parlare per l’HUMANITAS Gavazzeni (dove lavoro) come si sia riusciti a mettere in atto in così poco tempo un dispiego e una riorganizzazione di risorse così finemente architettata per prepararsi a un disastro di tale entità. E ogni riorganizzazione di letti, reparti, personale, turni di lavoro e mansioni viene costantemente rivista giorno dopo giorno per cercare di dare tutto e anche di più.
Quei reparti che prima sembravano fantasmi ora sono saturi, pronti a cercare di dare il meglio per i malati, ma esausti. Il personale è sfinito. Ho visto la stanchezza su volti che non sapevano cosa fosse nonostante i carichi di lavoro già massacranti che avevano. Ho visto le persone fermarsi ancora oltre gli orari a cui erano soliti fermarsi già, per straordinari che erano ormai abituali. Ho visto una solidarietà di tutti noi, che non abbiamo mai mancato di andare dai colleghi internisti per chiedere “cosa posso fare adesso per te?” oppure “lascia stare quel ricovero che ci penso io”. Medici che spostano letti e trasferiscono pazienti, che somministrano terapie al posto degli infermieri. Infermieri con le lacrime agli occhi perché non riusciamo a salvare tutti e i parametri vitali di più malati contemporaneamente rilevano un destino già segnato.
Non esistono più turni, orari. La vita sociale per noi è sospesa.
Io sono separato da alcuni mesi, e vi assicuro che ho sempre fatto il possibile per vedere costantemente mio figlio anche nelle giornate di smonto notte, senza dormire e rimandando il sonno a quando sono senza di lui, ma è da quasi 2 settimane che volontariamente non vedo né mio figlio né miei familiari per la paura di contagiarli e di contagiare a sua volta una nonna anziana o parenti con altri problemi di salute. Mi accontento di qualche foto di mio figlio che riguardo tra le lacrime e qualche videochiamata.
Perciò abbiate pazienza anche voi che non potete andare a teatro, nei musei o in palestra. Cercate di aver pietà per quella miriade di persone anziane che potreste sterminare. Non è colpa vostra, lo so, ma di chi vi mette in testa che si sta esagerando e anche questa testimonianza può sembrare proprio un’esagerazione per chi è lontano dall’epidemia, ma per favore, ascoltateci, cercate di uscire di casa solo per le cose indispensabili. Non andate in massa a fare scorte nei supermercati: è la cosa peggiore perché così vi concentrate ed è più alto il rischio di contatti con contagiati che non sanno di esserlo. Ci potete andare come fate di solito. Magari se avete una normale mascherina (anche quelle che si usano per fare certi lavori manuali) mettetevela. Non cercate le ffp2 o le ffp3. Quelle dovrebbero servire a noi e iniziamo a far fatica a reperirle. Ormai abbiamo dovuto ottimizzare il loro utilizzo anche noi solo in certe circostanze, come ha recentemente suggerito l’OMS in considerazione del loro depauperamento pressoché ubiquitario.
Eh sì, grazie allo scarseggiare di certi dispositivi io e tanti altri colleghi siamo sicuramente esposti nonostante tutti i mezzi di protezione che abbiamo. Alcuni di noi si sono già contagiati nonostante i protocolli. Alcuni colleghi contagiati hanno a loro volta familiari contagiati e alcuni dei loro familiari lottano già tra la vita e la morte.
Siamo dove le vostre paure vi potrebbero far stare lontani. Cercate di fare in modo di stare lontani. Dite ai vostri familiari anziani o con altre malattie di stare in casa. Portategliela voi la spesa per favore.
Noi non abbiamo alternativa. E’ il nostro lavoro. Anzi quello che faccio in questi giorni non è proprio il lavoro a cui sono abituato, ma lo faccio lo stesso e mi piacerà ugualmente finché risponderà agli stessi principi: cercare di far stare meglio e guarire alcuni malati, o anche solo alleviare le sofferenze e il dolore a chi non purtroppo non può guarire.
Non spendo invece molte parole riguardo alle persone che ci definiscono eroi in questi giorni e che fino a ieri erano pronti a insultarci e denunciarci. Tanto ritorneranno a insultare e a denunciare appena tutto sarà finito. La gente dimentica tutto in fretta.
E non siamo nemmeno eroi in questi giorni. E’ il nostro mestiere. Rischiavamo già prima tutti i giorni qualcosa di brutto: quando infiliamo le mani in una pancia piena di sangue di qualcuno che nemmeno sappiamo se ha l’HIV o l’epatite C; quando lo facciamo anche se lo sappiamo che ha l’HIV o l’epatite C; quando ci pungiamo con quello con l’HIV e ci prendiamo per un mese i farmaci che ci fanno vomitare dalla mattina alla sera. Quando apriamo con la solita angoscia gli esiti degli esami ai vari controlli dopo una puntura accidentale sperando di non esserci contagiati. Ci guadagniamo semplicemente da vivere con qualcosa che ci regala emozioni. Non importa se belle o brutte, basta portarle a casa.
Alla fine cerchiamo solo di renderci utili per tutti. Ora cercate di farlo anche voi però: noi con le nostre azioni influenziamo la vita e la morte di qualche decina di persone. Voi con le vostre, molte di più”.
Per favore condividete e fate condividere il messaggio. Si deve spargere la voce per evitare che in tutta Italia succeda ciò che sta accadendo qua.

Dott. Daniele Macchini, chirurgo Humanitas Gavazzeni, Bergamo

Spero che la leggano in molti, e spero che qualcuno si riscuota dal tragicamente incosciente pensiero magico “se gli mostro che non ho paura, il virus mi lascia in pace”.
PS: in realtà il titolo che ho dato a questo post è piuttosto fuorviante, perché in questo momento sono tutti in prima linea.

barbara

APPELLO PER IL MUSEO LUZZATI

IL MUSEO LUZZATI AL GIRO DI BOA: A RISCHIO CHIUSURA

 

Il Museo Luzzati celebra i suoi 15 anni, dopo aver realizzato 27 mostre su diversi aspetti dell’opera di Emanuele Luzzati in sede (dai grandi temi come la fiaba, il cinema d’animazione, la grafica, il design ad aspetti più specifici come il fumetto, Pulcinella, le opere per Calvino, l’opera giovanile…) , 32 mostre di Emanuele Luzzati in altre sedi in Italia e all’estero (tra cui Roma, Torino, Vicenza, Ferrara, Gerusalemme), 6 mostre collettive con importanti temi (Pinocchio, Genova, la rappresentazione degli animali) 19 mostre monografiche di altri artisti (tra cui Altan, Quentin Blake, Mordillo, Jutta Bauer, Nicoletta Costa, Andrea Pazienza, Silver, Gipi) e curate 11 monografie scientifiche.
Il Museo Luzzati è però un museo privato, questo vuol dire che vive al 90% con i ricavi delle sue attività: ingressi, laboratori, bookshop, vendita mostre, rari sponsor e gestione diritti di uso immagine e nome di Luzzati affidataci dagli eredi. Solo una minima percentuale delle attività è finanziata da contributi pubblici, spesso richiesti (e non sempre ottenuti) per singoli progetti.
Ebbene tutto questo non basta. I conti non tornano, da alcuni mesi chi lavora al Luzzati non percepisce stipendio, risulta difficile soddisfare i creditori, ma anche gestire gli assetti finanziari e amministrativi e garantire continuità della nostra opera.
I costi annuali sono in media €450.000  (personale, gestione spazi, organizzazione mostre, eventi e officina didattica, comunicazione) I ricavi degli ultimi anni sono in media circa 240.000 (tra ingressi, vendita mostre, ricavi da laboratori, artshop e diritti,  contributi di istituzioni e sponsor privati) Per mantenere in vita la programmazione ci servirebbero quindi ulteriori € 210.000 all’anno, in fondo non una grande cifra in un’ottica “pubblica”, gravosa invece se lasciata sulle spalle di una piccola azienda privata.
In questa situazione l’esistenza del Museo Luzzati è a forte rischio.
Riteniamo che l’attività del Museo si sia trasformata negli anni in una risorsa per Genova, accogliendo da 30.000 a 40.000 visitatori l’anno, divenendo sempre più riconosciuta a livello nazionale e internazionale; e che la struttura, seppure “privata”, abbia reso alla comunità un forte contributo in termini di servizio e di immagine.
Ci teniamo a sottolineare l’importante lavoro svolto in questi anni, un lavoro in cui il carattere “culturale” prevale nettamente rispetto al “commerciale”: 

  • Le nostre mostre e cataloghi sono curati direttamente con gli artisti o  selezionando le opere di Luzzati  e sono supportati da un lavoro scientifico autonomo, una scelta complessa e culturalmente appagante che ci ha sempre caratterizzato.
  • Incontriamo annualmente oltre 14.000 bambini provenienti da scuole, famiglie e centri disabili nei laboratori dell’Officina Didattica  che svolge le sue attività a Genova e su territorio nazionale. Il costo di partecipazione è  tra i più bassi (€5), anche in confronto alle offerte di simili istituzioni pubbliche. Il lavoro didattico promuove inoltre l’educazione sociale attraverso convegni internazionali, presentazioni, incontri con esperti e addetti ai lavori.
  • Portiamo avanti un attento lavoro di catalogazione dell’opera di E. Luzzati, continuiamo a difendere e a diffondere l’ immagine dell’artista di cui siamo unici referenti riconosciuti dalla famiglia. 
  • Comunichiamo e promuoviamo a livello nazionale con grandi risultati la nostra attività, la figura e l’opera di Emanuele Luzzati e quindi anche Genova e il suo patrimonio artistico, turistico e culturale.

In questo momento di forte crisi e di prospettiva di chiusura chiediamo l’intervento di istituzioni pubbliche e private per trovare soluzioni che preservino il nostro lavoro e il grande valore che il Museo Luzzati ha saputo costruire negli anni. Ci piacerebbe essere coinvolti in progetti pubblici e privati che consentano di utilizzare le grandi risorse del Museo e di Luzzati per ottenere i ricavi mancanti.
Siamo disponibili pertanto a lavorare su iniziative che possano coinvolgere aziende, società, enti mettendo a disposizione un patrimonio artistico unico e prezioso che consenta al Museo di poter continuare nella sua importante missione sociale e culturale.

Il direttore
Sergio Noberini

APPELLO URGENTE

CERCASI CON LA MASSIMA URGENZA CONSISTENTE STOCK DI PRESERVATIVI PER UNA POVERA MAMMA SFINITA CHE NON NE PUÒ PIÙ
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È venuto su quello del piano di sotto, che aveva da chiedermi un favore. Poi, siccome ci trovavamo proprio davanti a una bandiera israeliana (in effetti in casa mia è praticamente impossibile non trovarsi di fronte o di fianco a una bandiera israeliana) mi fa: “Visto che a lei interessano gli ebrei, come è andata a finire con Priebke?” Si parla un po’ della questione, io dico che secondo me la cosa migliore sarebbe stata di fare come con Eichmann (anche se va detto che Eichmann non aveva un avvocato adoratore pronto a muovere mari e monti pur di suscitare il massimo clamore intorno a lui e a ogni cosa che lo riguardasse); si parla un po’ di Eichmann e dell’operazione del Mossad per catturarlo (lui è italo-argentino, la cosa in qualche modo lo tocca abbastanza da vicino), e di Peron e dell’assistenza da lui fornita ai nazisti. Mi dice che Peron alla fine della guerra ha firmato personalmente quarantamila passaporti in bianco perché venissero consegnati ai criminali nazisti in fuga (mai sentito che di firmare i passaporti si occupino presidenti e affini, ma insomma vabbè). E poi mi fa la grande rivelazione: “C’è mio figlio che è in Inghilterra e ha letto un articolo proprio l’altro giorno, non so se l’ha sentito anche lei (più o meno in questo tono qui), che hanno scoperto che Hitler non è mica morto nel bunker: hanno scavato un tunnel e da lì l’hanno fatto scappare, l’hanno imbarcato su un sottomarino e lo hanno portato in salvo in Argentina. Lo sapeva lei?” Ho detto ah sì, ne girano tante di queste leggende, ogni tanto ne inventano una nuova. Mi ha guardata come voi guardereste un quarantenne convinto che la Befana scenda ogni anno dal camino per appendere la calza coi dolci.
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barbara

DEDICATO AL SIGNOR ABBADO CLAUDIO, NEOSENATORE A VITA DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Premessa

Nel 2005 un accorato appello ha chiesto al mondo intero di intervenire contro la possibilità che la Commissione per i diritti umani dell’Onu si permettesse di giudicare Cuba, faro di luce e di civiltà. L’appello è questo:

BISOGNA FERMARE LA NUOVA MANOVRA CONTRO CUBA

Dal 14 marzo al 22 aprile 2005 avrà luogo a Ginevra la 61ma sessione della Commissione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, dove, ancora una volta, il governo degli Stati Uniti, esercitando la pressione sugli stati membri, tenterà di far votare una risoluzione contro Cuba. Si tratta di una manipolazione finalizzata a giustificare la recrudescenza della politica del “blocco” e di aggressione che, in violazione del diritto internazionale, esercita la maggiore potenza mondiale nei confronti di un piccolo paese. La Commissione deve rappresentare tutti i popoli delle Nazioni Unite e sorvegliare sul rispetto dei diritti di tutti gli uomini e di tutte le donne del mondo intero. Tuttavia, bisogna rimarcare che in seno alla Commissione, durante la sessione dello scorso anno, non è stato possibile valutare, anche solamente per provocare un dibattito, sulle atroci violazioni dei diritti dell’uomo nelle prigioni di Abu Ghraib e Guantanamo.
Il Governo degli Stati Uniti non ha l’autorità morale per erigersi giudice sulla violazione dei diritti dell’uomo a Cuba, dove non c’è stato un solo caso di sparizione, di tortura o di esecuzione extragiudiziaria [carina questa, vero? ndb] e malgrado l’embargo non abbia danneggiato la sanità, l’informazione e la cultura, notoriamente a livelli internazionali.
Noi chiediamo ai paesi che rappresentano la Commissione di non permettere che questa sia utilizzata per legittimare l’aggressione che subisce Cuba da parte dell’Amministrazione Bush in un momento come l’attuale, dove la  politica aggressiva di Washington potrebbe avere un’escalation dalle gravissime conseguenze.
Inoltre, facciamo appello ai giornalisti, agli scrittori, agli artisti, ai professori, agli insegnanti e alle insegnanti e agli attivisti sociali a premere sui propri governi con tutti i mezzi possibili affinché si fermi questa manovra pericolosa.

L’appello è stato firmato da molte migliaia di persone, fra cui il nostro neosenatore, signor Abbado Claudio. Quello che segue è il post che ho scritto all’epoca, otto anni e mezzo fa.

L’appello era giusto, rivendica il Nostro, e ce ne spiega il perché:

Conosco Cuba, ci sono stato più volte e ci tornerò.
Visto? Lui ci è stato: serve altro?
Stranamente delle cose più valide che ci sono a Cuba non si parla mai. Cominciamo dalla ricerca medica, che a Cuba è all’avanguardia. C’è un dottore, Gregorio Martinez Sanchez, che sta lavorando alla ricerca per debellare il cancro e che ha «scoperto» una nuova e, a quanto pare, importante cura.
Sentito? C’è un dottore! Sta lavorando! “Pare” anche che abbia fatto una scoperta! A parte questo, che cosa ha a che fare il dottore col rispetto dei diritti umani?
L’ho fatto sapere al professor Umberto Veronesi, che qualche settimana fa mi ha scritto una lettera, in cui dice che appoggerà il progetto di questo medico cubano.
Grandioso! Adesso lo sappiamo per certo: quel medico è il nuovo Pasteur, il nuovo Jenner, il nuovo Sabin!
A Cuba, forse i potenti se lo dimenticano, non esiste l’analfabetismo, che è invece assai diffuso in molte altri parti del mondo.
QUALI altre parti del mondo, esattamente? Potrebbe cortesemente precisare? A parte questo, che cosa ha a che fare l’alfabetizzazione col rispetto dei diritti umani?
A Cuba con un po’ di terra libera, non ci si mette a speculare: loro preferiscono fare degli orti enormi,
momento: con UN PO’ di terra ci fanno degli orti ENORMI? Tipo moltiplicazione dei pani e dei pesci? Cazzarola, questa sì che è forte! A parte questo, che cosa hanno a che fare gli orti col rispetto dei diritti umani?
che serviranno poi a tutti (esempio che è stato ripreso poi da altre nazioni).
Sarebbe a dire che prima che Cuba lo insegnasse, nessuno al mondo faceva gli orti? Forte!
A dicembre ho portato la Mahler Chamber Orchestra per dei concerti, a gennaio l’Orchestra Giovanile Simon Bolivar, di cui facevano parte anche 44 cubani.
Ciò ci fa molto piacere, ma che cosa hanno a che fare i 44 orchestrali cubani in fila per sei con resto di due col rispetto dei diritti umani?
Il fatto poi che ho portato quei 44 musicisti cubani a Caracas e che l’anno prossimo li porterò con tutta l’orchestra in Europa, smentisce che i cubani non possono uscire.
Giusto! Se 44 cubani possono uscire, ciò significa che tutti i cubani possono uscire. E i condannati a morte per aver tentato di fuggire ce li siamo sognati noi.
C’è poi un gruppo di bravissimi musicisti cubani, ‘Ars Longa’, che ho voluto sostenere e che vengono regolarmente invitati al Festival Gesualdo in Basilicata. Li abbiamo fatti conoscere l’anno scorso attraverso una tournée che ha toccato anche Bari, Matera, Roma e Bologna.
Ciò ci fa molto piacere, ma che cosa ha a che fare il gruppo “Ars Longa” col rispetto dei diritti umani?
Mi chiedo anche perché non si parla quasi mai di nuove idee e realtà italiane, a mio avviso, molto importanti per l’ecologia e per l’ambiente, come i treni con nuovi locomotori che trasportano i Tir, o altri camion, attraverso il Brennero, da Monaco di Baviera a Innsbruck, Bolzano, Trento, Verona con nuovo innesto dal Veneto all’Emilia Romagna. Oppure di quella cittadina vicino a Trento che sta realizzando un progetto impostato sul traffico e riscaldamento totale con l’utilizzo di energie naturali (pannelli solari, idrogeno). Questa cittadina ha vinto fra l’altro il primo premio per il miglior progetto in Europa.
Ah, beh, allora, a questo punto non possiamo più avere dubbi: se ci sono treni con nuovi locomotori che attraversano il Brennero, e vicino a Trento usano i pannelli solari, allora vuol proprio dire che a Cuba i diritti umani vengono rigorosamente rispettati e loro hanno fatto benissimo a firmare l’appello!
abbado
E pensare che qualcuno aveva avuto da ridire quando era stata nominata Rita Levi Montalcini!

barbara

NO, IO QUESTA NON L’HO MICA CAPITA

 “Presidente Crocetta, stiamo con Battiato”: firma l’appello su ilfattoquotidiano.it

Una raccolta firme per far ritornare sui suoi passi il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta, a cui si chiede di reintegrare l’ex assessore Franco Battiato, ‘silurato’ dalla giunta siciliana dopo quel “nel Parlamento ci sono troppe troie disposte a tutto” pronunciato dal cantautore in quel di Bruxelles. E’ l’iniziativa di alcuni pezzi da novanta del mondo della cultura italiana e che Il Fatto Quotidiano ha deciso di sostenere tramite una raccolta firme sul nostro sito

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 30 marzo 2013

Una raccolta firme per far ritornare sui suoi passi il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta, a cui si chiede di reintegrare l’ex assessore Franco Battiato, ‘silurato’ dalla giunta siciliana dopo quel “nel Parlamento ci sono troppe troie disposte a tutto” pronunciato dal cantautore in quel di Bruxelles. E’ l’iniziativa di alcuni pezzi da novanta del mondo della cultura italiana e che Il Fatto Quotidiano ha deciso di sostenere tramite una raccolta firme sul nostro sito.

Ecco il testo dell’appello: “Egregio presidente Crocetta, esprimiamo il nostro rammarico per l’esclusione di Franco Battiato dalla sua Giunta. La straordinaria sensibilità artistica, il prestigio, il rigore e il senso dell’etica di Franco Battiato sono indiscutibili. La strumentalizzazione politica delle parole dell’artista è invece, secondo noi, profondamente ingiusta, anche alla luce del fatto che Battiato ha prontamente e chiaramente precisato che non voleva certo offendere né le donne né le istituzioni attuali. L’assenza di Franco Battiato dalla Sua Giunta è una grande perdita per la Regione da Lei presieduta. Distinti saluti”.

Poi le firme in calce: Dario Fo, Franco Rame, Aldo Nove, Barbara Spinelli, Isabella Ferrari, Alessandro Bergonzoni, Mimmo Paladino, Marco Travaglio, Stefano Bonaga, Piera Degli Esposti, Aldo Cazzullo, Demetrio Paparoni, Nanni Balestrini, Roberto Alajmo, Samuele Bersani, Marco Alemanno, Mario Sesti, Franco Mussida, Elisabetta Sgarbi, Eugenio Lio, Antonio Forcellino, Paola Pallottino. (qui)

Caro Fatto quotidiano: vai a cagare. Caro Dario Fo: vai a cagare. Cara Franca Rame: vai a cagare. Caro Aldo Nove: vai a cagare. Cara Barbara Spinelli: vai a cagare. Eccetera eccetera. Ma soprattutto: CARO FRANCO BATTIATO, che hai passato la vita a venderti peggio di una zoccola da bordello per militari e poi ti permetti di dare delle troie a chi, al massimo, ma proprio proprio al massimo, ha fatto quello che hai fatto tu: VAI A CAGARE.

POST SCRIPTUM: lo sapevate che c’è chi si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero?
Franco_Battiato
barbara

POST POST SCRIPTUM: questa mi è piaciuta un bordello.