DOBBIAMO ACCETTARE SERENAMENTE DI SOFFRIRE

perché abbiamo il dovere morale di difendere la democrazia. L’articolo è lunghissimo, ma d’altra parte quando le cose da denunciare sono molte, non si può cavarsela con due paginette. Magari leggetelo a rate, ma leggetelo per favore.

Sparizioni, imprigionamenti ed esecuzioni extragiudiziali in Ucraina da parte dei servizi di sicurezza di Kiev

Rilancio dallo scrittore Enrico Vigna un report da lui approntato intitolato “Retate e rappresaglie in Ucraina. Una macchina di terrore di stato contro qualsiasi dissenso o di sostegno a soluzioni di pace”.
Il resoconto sfrutta fonti Open – anche occidentali come ABC, BBC, e NBC – per porre l’accento sulla campagna repressiva messa in atto dal governo Zeensky. Le vicende descritte in realtà sono ampiamente note ‘agli addetti ai lavori’, sia perché sono state pubblicizzate dalle fonti indicate a margine, sia perché esiste una buona quantità di documentazione a riguardo:

Retate e rappresaglie in Ucraina. Una macchina di terrore di stato contro qualsiasi dissenso o di sostegno a soluzioni di pace.

Enrico Vigna, luglio 2022

“Caccia all’uomo” dispiegata in Ucraina, con metodi terroristici e persecutori, contro antifascisti, giornalisti, democratici, donne e attivisti per la pace, padri ortodossi, comunisti, socialisti o chiunque non sia assoggettato alla giunta golpista.

Il 24 febbraio la SBU ha ufficialmente dato ordine, in tutte le città dell’Ucraina di arrestare e colpire qualsiasi tipo di oppositori che esprimano critiche alle politiche di Kiev, o che chiedono il rilancio dei principi degli accordi di Minsk, come unica possibilità di trovare e sostenere una soluzione negoziale del conflitto militare nel Donbass e proposte di cooperazione paritaria con la Russia, contro le politiche russofobe della giunta di Kiev e delle forze neonaziste. Nell’Ucraina golpista, sotto la direzione dei servizi di intelligence statunitensi, sono state stilate “liste” di cittadini e cittadine ucraini inaffidabili o sospettati di dissentire dalle scelte di Kiev. Elenchi con indirizzi e numeri di telefono, sono stati compilati in tutte le città e il dipartimento di controspionaggio della SBU e la direzione principale dell’intelligence del ministero della Difesa, sono i responsabili di questo lavoro. Sono state date istruzioni per sequestrare o colpire chiunque, sia anche solo sospettato di simpatia per la Russia, di propagandare idee comuniste, socialiste o antifasciste, di sostenere relazioni costruttive o proponga forme di cooperazione o amicizia con la Russia.
Si colpisce in modo indiscriminato e si stanno riempiendo centri di detenzione e tortura non conosciuti. L’indicazione, come è già avvenuto e viene documentato in questo dossier, è quella che, se ci sono resistenze, di sparare e uccidere senza indugi, come è già accaduto.
Il numero degli accusati di “violazione dell’integrità territoriale” è aumentato: da 5351 a 5962, cioè di 611 casi (l’articolo 110 perseguita principalmente blogger, giornalisti non ufficiali e chiunque abbia espresso un’opinione diversa dalla propaganda di stato). Cioè, ogni giorno 87 ucraini vengono accusati ai sensi di questo articolo. Il numero delle repressioni aumenta quotidianamente in modo rilevante.
Anche il numero delle persone accusate di “alto tradimento” (articolo 111 del codice penale) è aumentato da 1075 a 1117. Cioè, nelle ultime settimane, una media di 6 cittadini al giorno sono stati accusati di “alto tradimento”. Il “tradimento” (art. 111 cp) è l’accusa politica più grave. Un cittadino accusato può finire in carcere per 15 anni o per tutta la vita.
Tutto questo sanguinoso lavoro è coordinato dal generale A. Poklad, capo del controspionaggio della SBUin stretta collaborazione con le agenzie di intelligence statunitensi e britanniche. E per liberarsi da accuse di rappresaglie extragiudiziali, nei documenti riservati, ai vari rami locali della SBU si raccomandava di incaricare la Difesa Territoriale locale, composta dalle forze neonaziste e criminali comuni, di fare il lavoro più sporco. Ad esempio, sono loro, i “vendicatori del popolo” o “tribunali del popolo” che sequestrano e torturano, organizzano rappresaglie contro “traditori e rinnegati” dell’Ucraina, e che poi rivendicano e pubblicizzano sui social orgogliosamente. Veri e propri “squadroni della morte” di memoria sudamericana, già in funzione dal dopo Maidan.
La sua attuazione ha significato in questi mesi, un’ondata di migliaia di arresti, sequestri e rapimenti di politici di opposizione, giornalisti, attivisti per la pace, antifascisti, comunisti, socialisti, persino Padri ortodossi e personaggi pubblici dei Media ucraini, che ha investito il Paese.
Inoltre, nei confronti di persone non troppo note, i “guardiani dell’ordine” neonazisti non si preoccupano nemmeno di avviare procedimenti penali. Nell’Ucraina golpista, una persona può essere uccisa e dichiarata “scomparsa”, oppure legata a un palo col nastro isolante, oppure torturata e picchiata a morte come “bandito” o perché non ha gridato “Slava Ucraina”, motto degli ucronazisti dei tempi del Terzo Reich e oggi rappresentazione identitaria dei Battaglioni come Azov e similari, oppure per non aver pronunciato correttamente la parola “polyanytsya”.
Denunciando questa situazione, prima di scappare dal paese e poi essere arrestato in Spagna negli scorsi mesi, il deputato e leader del suo partito democratico, Anatoly Shariy aveva messo in guardia : “Non solo attivisti e fautori cadranno sotto questa daga di terrore, ma in generale, verranno colpiti anche tutti coloro che saranno denunciati dai vicini per i motivi più diversi, tutti quelli che una volta hanno espresso qualche opinione, tutti quelli che non hanno sostenuto
abbastanza le autorità, ecc. .”.
L’ufficio del procuratore generale dell’Ucraina ha recentemente riferito sui risultati del suo lavoro. Dal 24 febbraio di quest’anno dall’inizio delle operazioni militari russe per smilitarizzare e denazificare l’Ucraina, le autorità di Kiev hanno aperto 7.283 procedimenti penali ufficiali (ci sono alcune migliaia di “scomparsi” non riconosciuti dalla SBU…) contro civili. Di questi, 1.653 casi si riferiscono a “violazione dell’integrità territoriale”, 453 per “alto tradimento”, 43 per “guerra aggressiva”, 56 per “sabotaggio”. Sotto tutte queste accuse di alto profilo, si celano atti di repressione politica da parte delle autorità contro qualsiasi forma di dissenso politico, informativo, civile o religioso.
Inoltre è stato anche legalizzata con la legge 7194, la confisca dei beni per chiunque sia sospettato di essere fautore della Russia.
Così la Rada ha legalizzato la rapina alla popolazione a livello istituzionale. Come si sa, in questi 8 anni, i militanti della Difesa territoriale ucraina e i battaglioni neonazisti erano già usi a saccheggiare e portare via con la forza, beni e proprietà di chiunque fosse indicato come “separatista”.
Nel regime golpista di Kiev si può essere considerati “traditori” e “sabotatori”, anche soltanto per la richiesta di trovare soluzioni negoziali o di dialogo con la Russia. Come nel caso che tratterò dopo, del noto blogger ucraino di Leopoli, Gleb Lyashenko, imputato di “alto tradimento”, la cui spaventosa colpa, è racchiusa nel fatto che, dopo l’inizio dell’operazione speciale russa, ha invitato le parti in conflitto alla pace e aveva scritto, sulla sua pagina social: “…Il presidente Zelensky può continuare a prendere il gatto per la coda, ma tutta la responsabilità della distruzione delle città ucraine è sulla sua coscienza personale. Ogni civile ucciso accidentalmente, ogni soldato ucraino ucciso è responsabilità personale di Zelensky”Dopo l’accusa non è stata fornita alcuna prova di suoi eventuali legami con la Russia, quindi esprimere un’opinione diversa in Ucraina, significa, dal punto di vista dell’attuale legge, essere accusati di “alto tradimento”. D’altronde nell’Ucraina golpista le leggi stabiliscono che, per finire in prigione per 15 anni, basta mancare di rispetto alle autorità vigenti.
Gli attivisti per i diritti umani denunciano quotidianamente gravi maltrattamenti, discriminazioni e intimidazioni violente nei confronti dei cittadini in Ucraina. Amnesty International (AI) riferisce nel suo ultimo rapporto del 29 marzo che l’ufficio del procuratore generale ucraino ha ricevuto un totale di 79 nuovi casi di presunta tortura e 1.918 casi di presunti abusi da parte delle forze dell’ordine per il 2021. Nella maggior parte dei casi, “l’impunità continua a prevalere”. Inoltre, AI ha criticato i poteri di vasta portata del servizio di intelligence interno ucraino SBU nell’arresto e nell’interrogatorio di persone e nell’uso della forza letale, nonché nella sorveglianza della popolazione.
Già a marzo 2021, la Corte europea dei diritti dell’uomo si era pronunciata a favore dei querelanti contro l’Ucraina in 115 casi, stabilendo che le loro condizioni di detenzione costituivano tortura o altri maltrattamenti. Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti ha segnalato numerose violazioni della Convenzione europea contro la tortura nelle carceri ucraine nel 2020.
Nel 2018, anche il “think tank” ATLANTIC Council, che è vicino all’esercito americano, aveva espresso grande preoccupazione per il fatto che il governo ucraino stesse sostenendo finanziariamente gruppi militanti neonazisti come C14, usandoli come polizia ausiliaria armata, e che l’SBU stesse anche cooperando operativamente con le organizzazioni nazifasciste.
Le notizie di atrocità contro i prigionieri di guerra russi si stanno accumulando. Sempre più spesso, tuttavia, anche i civili ucraini stanno diventando vittime di atti di violenza. Ad esempio, con l’accusa di collaborare con gli invasori russi o di mantenere “collegamenti con Mosca”, come dice il gergo del governo di Zelensky. I nazifascisti, per lo più membri delle forze armate, apparentemente vedono la legge marziale come una carta bianca per torturare e uccidere le persone.
Quotidianamente vengono perseguiti, arrestati e fatti sparire migliaia di persone, con la motivazione di attività antinazionali o di opposizione al regime golpista.
In questo modo sono stati arrestati o sequestrati, centinaia di giornalisti o blogger indipendenti che cercavano di portare informazioni obiettive su ciò che sta accadendo, pur essendo cittadini ucraini, o deputati che hanno proposto tavoli di negoziazione o di dialogo per fermare la conflittualità militare, o esponenti dei diritti umani, esponenti antifascisti, militanti comunisti e socialisti, Padri ortodossi che difendono i templi da saccheggi o distruzioni, da parte delle bande neonaziste legalizzate nella Guardia Nazionale ucraina.
La cosa gravissima è che in tantissimi casi, dopo l’arresto vengono fatti sparire e nessun familiare o avvocato ha loro notizie o può comunicare e verificare se sono stati torturati o picchiati, come dichiarato da un membro dell’Human Right Council, in riferimento alla scomparsa dello scrittore e giornalista Yan Taksyur e di Elena Berezhnaya la più nota attivista ucraina per i diritti umani e antifascista, ambedue sequestrati dai Servizi speciali dell’USB nelle loro case e scomparsi da mesi.
Un paese, l’Ucraina di questi 8 anni, che ha partorito un comico come presidente, ovviamente uno stolto strumento di ben altri poteri che tirano i fili per alte strategie geopolitiche, il quale viene osannato e omaggiato in tutte le capitali occidentali, con ruoli coreografati e sceneggiati con cura mediatica di altissimo livello comunicativo. In una di queste comparsate mediatiche al Congresso degli Stati Uniti il 16 marzo scorso, Zelensky aveva dichiarato: “..In questo momento si decide il destino del nostro Paese. Il destino del nostro popolo, se gli ucraini saranno liberi, se saranno in grado di preservare la loro democrazia…”. Dopo parole così profonde e toccanti, tutti i media corporativi statunitensi e occidentali hanno posto il presidente ucraino golpista, su un piedistallo della democrazia e della “superiore civiltà occidentale”, arrivando a proporre una campagna per la sua candidatura al Premio Nobel per la pace.
Come solitamente accade nelle “democrature” occidentali, i media assoggettati al sistema, hanno dimenticato o silenziato, quanto stanno compiendo Zelensky e gli alti funzionari della sua amministrazione, con una campagna di rapimenti, torture e assassinii quotidiani di parlamentari ucraini , di sindaci e altri funzionari ucraini uccisi dallo scoppio della guerra, molti, secondo quanto riferito dagli stessi funzionari statali ucraini, solo per aver cercato e gettato le basi di dialoghi per fermare la conflittualità militare, oppure colloqui per la riduzione dell’escalation bellica con la Russia.
Mentre il candidato premio Nobel occidentale per la pace, si esibisce nei teatrini occidentali, il consigliere del ministero degli Interni Anton Geraschenko, suo stretto collaboratore e fondatore della famigerata e criminale “lista nera” pubblica, di Myrotvorets dei “nemici dello stato”, dove si legalizza la persecuzione o l’assassinio di ucraini accusati di simpatie russe o “antinazionali”, commentava con queste parole: “C’è un traditore in meno in Ucraina”, l’omicidio di Volodymyr Struk, sindaco ucraino eletto di Kremennaya ed ex deputato, accusato di “collaborare” con la Russia, in realtà cercava vie negoziali per ritrovare la pace per il popolo ucraino. Rapito da uomini in uniforme militare, giustiziato con un colpo al cuore dopo essere stato torturato. Il 3 marzo sono apparse le immagini del corpo orrendamente torturato di Struk. Ad oggi risultano scomparsi o sequestrati undici sindaci di diverse città ucraine.
Il 12 aprile, Zelensky ha annunciato l’arresto del suo principale rivale politico, Viktor Medvedchuk,
 da parte dei servizi di sicurezza della SBU ucraina. Il fondatore del secondo partito più grande in Ucraina, l’ormai illegale Patriots for Life, Medvedchuk era il rappresentante de facto della popolazione russofona e antifascista del paese a livello istituzionale.
Vengono sistematicamente arrestati oppositori politici, rappresentanti della Chiesa ortodossa che in tutti questi otto anni hanno lottato per la pace e chiunque abbia opinioni critiche.
I servizi di sicurezza della SBU ucraina sono utilizzati come braccio esecutivo della campagna di repressione ufficialmente autorizzata. Con l’addestramento della CIA e lo stretto coordinamento con i paramilitari neonazisti ucraini incorporati nella Guardia Nazionale dell’esercito, la SBU ha passato le ultime settimane a riempire la sua rete di luoghi di tortura, riempiendola di dissenzienti politici.
Sul campo di battaglia, nel frattempo, sono stati compiuti atti di atrocità contro i soldati russi catturati, mostrando con orgoglio gli atti sadici sui social media pubblici.
Come denunciato dalla giornalista tedesca dello Junge Welt, Von Susann Witt-Stahl, il 2 aprile 2022: “Ore di pestaggi e umiliazioni. I servizi segreti ucraini e i neonazisti maltrattano e rapiscono attivisti di sinistra a Dnipro. La guerra viene usata per rapire, imprigionare e persino uccidere membri dell’opposizione che esprimono critiche nei confronti del governo…”.
Il servizio di sicurezza ucraino SBU, rifondato dopo il golpe di EuroMaidan del 2014, e imbottito di militanti neonazisti, è stato il principale responsabile delle continue campagne di repressione politica interna del governo golpista. Osservatori filo-occidentali, tra cui l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (ONU OHCR) e Human Rights Watch, hanno accusato la SBU di torturare sistematicamente oppositori politici e dissidenti ucraini nella quasi totale impunità.
L’ OHCR delle Nazioni Unite ha rilevato che “la detenzione arbitraria, le sparizioni forzate, la tortura e il maltrattamento di detenuti legati al conflitto sono pratiche comuni della SBU… Un ex ufficiale della SBU di Kharkiv ha spiegato: Per la SBU, la legge praticamente non esiste in quanto tutto ciò che è illegale può essere classificato o giustificato facendo riferimento alle necessità dello Stato”. Yevhen Karas, il fondatore della famigerata unità neonazista C14, ha descritto in dettaglio lo stretto rapporto che la sua banda e altre fazioni di estrema destra hanno intrattenuto con la SBU: ”… i guerrieri della nazione sono stati direttamente coinvolti in rapimenti e liquidazioni, la SBU informa non solo noi, ma anche Azov, il Settore Destro, e così via”, si vantava Karas in un’intervista del 2017.
Il giornalista statunitense Dan Cohen ha intervistato un uomo d’affari ucraino di nome Igor, che era stato arrestato dalla SBU per i suoi legami finanziari con società russe e detenuto lo scorso marzo nel famigerato quartier generale del servizio di sicurezza nel centro di Kiev. Igor ha detto di aver sentito per caso i prigionieri di guerra russi picchiati con tubi, da volontari della Difesa Territoriale allenati da ufficiali della SBU. Presi a pugni al suono dell’inno nazionale ucraino, i prigionieri russi furono brutalizzati fino al loro svenimento. Poi venne il turno di Igor. “Hanno usato un accendino per scaldare un ago, poi me lo hanno messo sotto le unghie. Il peggio è stato quando mi hanno messo un sacchetto di plastica in testa e mi hanno soffocato, e quando mi hanno puntato alla testa la bocca di un fucile Kalashnikov e mi hanno costretto a rispondere alle loro domande”, ha detto a Cohen.
In queste situazioni vi è il ruolo di addestramento e gestione da parte della CIA, come testimoniato da Vassily Prozorov, un ex ufficiale della SBU che ha disertato ed è fuggito dopo il colpo di stato di Euromaidan, che ha descritto in dettaglio la sistematica dipendenza dei servizi di sicurezza ucraini dalla CIA dal 2014. “I funzionari della CIA sono presenti a Kiev dal 2014. Risiedono in appartamenti clandestini e case di periferia. Tuttavia, si recano spesso all’ufficio centrale della SBU per tenere riunioni specifiche o pianificare operazioni segrete”.
Valentyn Nalyvaichenko, il primo capo della SBU dopo il golpe del 2014, ha stretto forti legami con Washington, quando ha servito come console generale presso l’ambasciata ucraina negli Stati Uniti, durante l’amministrazione di G. W. Bush. Secondo il suo predecessore, Alexander Yakimenko, fu durante quel periodo, che Nalyvaichenko fu reclutato dalla CIA.
Nel 2021, Zelensky ha nominato una delle figure più famose dell’intelligence ucraina, Oleksander Poklad, a capo della divisione di controspionaggio della SBU. Poklad è soprannominato “Lo strangolatore”, in riferimento alla sua reputazione di usare torture e sordidi espedienti per incastrare i rivali politici dei suoi capi, con l’accusa di tradimento. Lo scorso aprile, è emersa una chiara illustrazione della brutalità della SBU sotto forma di un video, che mostra i suoi agenti mentre picchiano un gruppo di uomini accusati di essere oppositori di Kiev nella città di Dnipropetrovsk.
Mentre i media occidentali sono concentrati esclusivamente sulla ricerca di violazioni dei diritti umani in Russia, gli account dei social media filo ucraini e neonazisti espongono con orgoglio, crimini di guerra sadici, dalle esecuzioni sul campo alla tortura dei soldati prigionieri.
A marzo, un canale Telegram filo-ucraino chiamato White Lives Matter ha pubblicato un video di un soldato ucraino che chiamava la fidanzata di un prigioniero di guerra russo, con lui accanto e la atterriva con la promessa di castrare il prigioniero suo fidanzato.
L’uso da parte dei soldati ucraini dei cellulari dei soldati russi morti per terrorizzare e ingiuriare i loro parenti, è ormai una pratica comune. In effetti, il governo ucraino, come riferito dal Washington Post e dal New York Times, ha iniziato a utilizzare la tecnologia notoriamente invasiva di riconoscimento facciale di Clearview AI, la società tecnologica statunitense, per identificare le vittime russe e terrorizzare i loro parenti sui social media.
Ad aprile, un canale Telegram filo-ucraino chiamato fuckrussia2022 ha pubblicato un video che ritrae un soldato russo con uno degli occhi bendati, dicendo che gli era stato asportato durante la tortura e lo deride, definendolo un maiale “con un occhio solo”.
Forse è lo stesso soldato apparso nei giorni successivi in un’immagine raccapricciante, dove vi è la foto di un soldato russo torturato a cui è stato cavato un occhio prima di essere ucciso.
Ad aprile è emerso anche un video che mostra soldati ucraini che sparano alle gambe di prigionieri di guerra russi indifesi fuori dalla città di Kharkov. Un video separato, pubblicato dai soldati della Legione georgiana ucraina, fondata dagli Stati Uniti, mostrava i combattenti che eseguivano esecuzioni sul campo di prigionieri russi feriti vicino a un villaggio fuori Kiev.
Mamula Mamulashvili, il comandante di questa Legione georgiana, si è vantato ad aprile che la sua unità commette apertamente crimini di guerra: “… Sì, a volte leghiamo loro mani e piedi e li giustiziamo. Parlo a nome della Legione georgiana, non faremo mai prigionieri i soldati russi.
Nessuno di loro sarà fatto prigioniero”, come riportato da sito The grayzone. Allo stesso modo, Gennadiy Druzenko, il capo del servizio medico militare ucraino, ha dichiarato in un’intervista con Ucraina 24, di aver “emesso un ordine di castrare tutti gli uomini russi perché erano subumani e peggiori degli scarafaggi”.
Il 16 giugno, l’ufficio della Procura Generale di Kiev ha rilasciato nuove informazioni sui casi penali politici “ufficiali” su cui stanno indagando le forze dell’ordine ucraine, a partire dal 24 febbraio 2022.
È aumentato da 24.346 a 26.388, aumentato di 1864 casi rispetto al report precedente. Questo significa che l’ufficio del pubblico ministero ha aperto una media di 306 procedimenti penali al giorno. Nel periodo precedente le forze di sicurezza avevano aperto una media di 266 procedimenti penali per motivi politici al giorno.
Nelle condizioni create dal regime di Kiev per gli abitanti dell’Ucraina nelle sue varie componenti, è giusto ricordare l’eterna verità espressa all’epoca, dal pastore Martin Niemoller, uno dei più famosi oppositori del nazismo in Germania, presidente del Consiglio Mondiale delle Chiese, vincitore del Premio Internazionale Lenin “Per il rafforzamento della pace tra le nazioni”. Niemoller disse: “Quando i nazisti hanno sequestrato i comunisti, sono rimasto in silenzio: non ero comunista. Quando hanno imprigionato i socialdemocratici, sono rimasto in silenzio: non ero socialdemocratico. Quando hanno preso i membri del sindacato, sono rimasto in silenzio: non ero un membro del sindacato. Quando sono venuti per me, non c’era nessuno che intervenne per me“. E questo sta accadendo agli abitanti dell’Ucraina se non si rivoltano.
La NOSTRA Ucraina: Donne e uomini, indipendenti, affrancati e antifascisti. Da difendere, liberare, restare al loro fianco o onorarne la memoria. Assassinati dai banderisti di Kiev L’elenco di coloro che sono stati imprigionati o rapiti dai servizi di sicurezza ucraini dallo scoppio del conflitto militare, cresce di giorno in giorno ed è impossibile tenerlo aggiornato, da un lato è troppo ampio per essere riprodotto qui, dall’altro è tragicamente in aggiornamento continuo. Questo dossier… è già purtroppo vecchio.
Vorrei ricordare che dall’inizio dell’operazione militare speciale in Ucraina, 13 sindaci sono stati rapiti e scomparsi. Due di loro sono stati ritrovati morti e per gli altri ci sono poche speranze.
Il sindaco della città di Kremennaya, l’ex deputato Vladimir Struk, pochi giorni prima della sua morte, aveva esortato i suoi colleghi a negoziare con i funzionari filo-russi per trovare accordi e impedire derive militari pericolose per la popolazione. È stato rapito da sconosciuti in mimetica, dopo di che il suo corpo è stato trovato assassinato con una ferita da arma da fuoco nella zona del cuore, dopo essere stato brutalmente torturato. I neoazisti hanno rivendicarono pubblicamente la responsabilità dell’omicidio, e il consigliere del capo del ministero degli Affari interni, Anton Gerashchenko, a sua volta, sulla sua pagina Telegram, ha definito l’assassinato Struk un “traditore” e ha spiegato che è stato condannato da una cosiddetta “Corte del tribunale del popolo ucraino”.
Molto strano, perché Struk era stato regolarmente votato ed eletto più volte dal suo popolo… ucraino.
Il 7 marzo il sindaco di Gostomel, Yuri Prylipko, è stato trovato assassinato. Secondo quanto riferito , Prylipko aveva avviato negoziati con l’esercito russo per organizzare un corridoio umanitario per l’evacuazione dei residenti della sua città, una linea rossa per gli ultranazionalisti ucraini che erano stati a lungo in conflitto con il sindaco. Sulla stampa e sui social network dell’Ucraina, avevano scritto che il capo della comunità di Gostomel, era stato ucciso insieme ad altre due persone, dai soldati russi mentre distribuiva cibo ai suoi cittadini.
“Il presidente della comunità di Gostomel, Yuri Ilyich Prilipko, è morto distribuendo pane agli affamati e medicine ai malati, confortando coloro che si scaldavano e aiutando i disperati. Per questo, lui, insieme a Ruslan Karpenko e Ivan Zore, sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco dagli occupanti”, affermava in un post il sito Telegram Vesti.
Nonostante i tentativi di falsificare gli avvenimenti e disinformare la popolazione, la verità è emersa grazie ai parenti di Prilipko, che si sono affrettati a confutare la notizia diffusa da Kiev, secondo cui il loro parente sarebbe stato ucciso dagli “occupanti” russi. Il genero e in seguito il suo vice Rostislav Skuratovsky, si sono affrettati a denunciare l’inaffidabilità di queste dichiarazioni.
Intervistati da 5-T, hanno ricordato che era noto a tutti che Prilipko e il suo consiglio di paese, erano stati continuamente in conflitto con i nazionalisti e che questi avevano ripetutamente minacciato il sindaco ed i suoi collaboratori.
A Kiev il 5 marzo, è stato ucciso Denis Kireev. Quel giorno, i media ucraini, citando il vice presidente della Rada, Oleksandr Dubinsky, hanno scritto che il Kireev era sospettato di tradimento, ucciso da membri del Servizio di Sicurezza dell’Ucraina, vicino all’edificio del tribunale distrettuale Pechersky di Kiev. Kireev, che era stato un membro della delegazione ucraina nei negoziati di pace con la Russia, aveva espresso una posizione di ricerca negoziale realistica e di cercare un compromesso con la Russia e non trascinare l’Ucraina in un ruolo di strumento di politiche e interessi statunitensi, letali per il popolo ucraino. L’ONU ha chiesto, senza alcun esito, un’indagine sull’omicidio di Kireev.
In questi ultimi otto anni, diversi giornalisti e dissidenti ucraini, erano già stati assassinati dagli squadroni della morte approntati dalla giunta ucraina, dopo che i loro nomi erano comparsi nell’elenco dei traditori. Il caso più conosciuto è quello del noto giornalista ucraino Oles Buzina ucciso il 16 aprile 2015 davanti alla sua abitazione a Kiev, ucciso da due uomini in pieno giorno.
I Desaparecidos dell’Ucraina popolare antifascista, democratica e indipendente

ARRESTATI e SCOMPARSI

Il 24 marzo, Gennady Matsegora, sindaco di Kupyansk, nell’Ucraina nord-orientale, ha rilasciato un video (sotto) in cui si appellava al presidente Zelensky e alla sua amministrazione per il rilascio di sua figlia, che era tenuta in ostaggio per ricattarlo, dagli agenti dell’intelligence ucraina SBU, che lo accusano di tradimento per aver negoziato con le forze russe la salvaguardia della cittadina.
Ora è stato arrestato ed è scomparso.

La più nota attivista ucraina per i diritti umani e sociali, Elena Berezhnaya, è stata arrestata e sequestrata a Kiev il 16 marzo scorso.
Elena Berezhnaya, fondatrice e direttrice dell’Istituto di politica giuridica e protezione sociale ucraino, la più nota attivista ucraina per i diritti umani, dal 16 marzo è stata sequestrata, dopo essere stata arrestata dalla polizia nel suo appartamento e portata al dipartimento di polizia del distretto di Goloseevsky, dopo un giorno l’hanno poi portata alla SBU, i Servizi di Sicurezza ucraini, e da allora nessuno sa più niente di lei.
Sei ufficiali della SBU, oppure sei loro armati neonazisti della Difesa Terrritoriale hanno rapito il noto politologo ed esperto militare, Yuri Dudkin a Kiev. L’unica “colpa” di Dudkin è che si è spesso presentato come un membro della squadra di Viktor Medvedchuk (anch’esso arrestato e picchiato),
che era fino a due mesi fa, l’unico partito di opposizione alla Rada, ora anch’esso fuorilegge. È stato duramente picchiato e costretto a fare una dichiarazione anti-russa davanti a una videocamera. Da quel momento il destino del politologo sequestrato è sconosciuto.

Anche il politologo e presentatore televisivo ucraino Dmitry Dzhangirov membro del movimento “Novyi Sotcialism/Nuovo socialismo”, è caduto nelle grinfie dei neonazisti ucraini. Volutamente non voleva lasciare Kiev, invitando la leadership del Paese al buon senso e a trovare soluzioni negoziali. Ora è tenuto in ostaggio (presumibilmente nel centro di detenzione preventiva della SBU), esprimendo “pentimento” in un video e condannando le azioni della Russia. Anch’egli è stato sottoposto a violenze e ricatti, e la famiglia non ha mai potuto incontrarlo o conoscere dove è detenuto. Sulla pagina Facebook di Dzhanguirov è comparso un video, in cui probabilmente sotto tortura dice cose che non affermerebbe mai.

Sequestrato anche il tenente colonnello della SBU in pensione Vladimir (Vlad) Mulyk, ufficiali della SBU lo hanno arrestato a Boryspil (nella regione di Kiev). Negli ultimi 7 anni, Mulyk era invitato come esperto militare sui canali televisivi ucraini e russi. Di cosa sia accusato e i reati a lui  imputati, così come dove è sequestrato Mulyk, sono sconosciuti.

I neonazisti hanno rapito anche il famoso scrittore, giornalista e presentatore televisivo 70enne Jan Taksyur. Persone armate hanno fatto irruzione nel suo appartamento di Kiev, presentandosi come ufficiali della SBU e lo hanno portato via in un luogo sconosciuto. “… Il 10 marzo, agenti della SBU con le mitragliatrici sono venuti nell’appartamento dei miei genitori, hanno rubato quasi tutti i soldi e portato via mio padre senza mostrare mandati o notificazioni. Ora non sappiamo dove sia detenuto, mia madre è andata all’ufficio della SBU, dicono che non ne sanno nulla. Non sappiamo dove sia mio padre, non sappiamo di cosa sia accusato. I suoi amici ora stanno cercando un avvocato per sapere dov’è, e conoscere sue condizioni fisiche”, ha detto ai media suo figlio Ilya Taksyur. Tuttora il destino di Tksyur è sconosciuto.

Nello stesso giorno, sconosciuti sono entrati nell’appartamento dello storico e pubblicista di Kiev Alexander Karevin. È uno studioso di scienze teologiche, che ha più volte criticato le azioni delle autorità ucraine. Nel programma di Jan Taksyur “Il diritto alla fede”, Karevin ha difeso i canoni dell’Ortodossia e ha dichiarato l’inammissibilità di uno scisma. Il suo destino è sconosciuto.

Il famoso sportivo di Kharkov, noto atleta ucraino che è stato campione nazionale di apnea, ed ex prigioniero politico nel 2014, Spartak Golovachev, risulta scomparso. Ricercato dalla SBU, negli ultimi anni era attivo in missioni umanitarie verso Slavyansk.

Il 4 marzo è scomparso Vladimir Ivanov, un attivista di sinistra della città di Zaporozhie. Non si sa dove si trovi e il suo account Telegram contiene post che chiaramente non sono suoi.
Il deputato del Partito Socialdemocratico Ucraino, Nestor Shufrich è stato arrestato dal battaglione Teroborona con l’accusa di aver cercato di fotografare un checkpoint. Preso dalla SBU non si hanno più notizie, è scomparso.
Il 10 marzo a Kiev, Dmitry Skvortsov, un attivista pacifista della Chiesa ortodossa ucraina, è stato arrestato, è riuscito solo a scrivere su Internet: “La SBU sta entrando in casa”. Di lui non ci sono più notizie. Scomparso.
A marzo, un canale Telegram filo-ucraino chiamato White Lives Matter ha pubblicato un video di un soldato ucraino che chiamava i familiari di un prigioniero di guerra russo e li irrideva con la promessa di castrare il prigioniero.

ARRESTATI e TORTURATI

Il 3 marzo nella città di Dnipro, ufficiali della SBU accompagnati da neonazisti di Azov, cinque in tutto, hanno fatto irruzione nella casa dei coniugi Matjuschenko, attivisti dell’organizzazione Livizja (Sinistra). La moglie Maria ha dichiarato che un membro dell’Azov “mi ha sputato in faccia e poi mi ha tagliato i capelli con un coltello”, mentre gli agenti della sicurezza dello stato torturavano per oltre due ore suo marito Alexander Matjuschenko, poi con la canna di una pistola alla testa lo costringevano a gridare ripetutamente il saluto nazionalista: “Slava Ucraina!” “Poi ci hanno messo dei sacchetti in testa, ci hanno legato le mani con del nastro adesivo e ci hanno portato all’edificio della SBU in macchina. Lì hanno continuato a interrogarci e hanno minacciato di tagliarci le orecchie”, ha detto la moglie di Matjuschenko al giornale tedesco Junge Welt.

I membri dell’Azov e gli agenti della SBU hanno registrato con i telefonini gli atti di tortura e pubblicato poi online le immagini del volto insanguinato di Matjuschenko.
Matjuschenko è stato incarcerato con la motivazione che stava “conducendo una guerra aggressiva o un’operazione militare”. Nonostante abbia diverse costole rotte dal pestaggio, gli è stata negata la possibilità di curasi con medici di fiducia. Nel frattempo, dozzine di altri esponenti di sinistra sono stati incarcerati con accuse simili a Dnipro e molti denunciano che: “La guerra viene usata per rapire, imprigionare, persino uccidere membri dell’opposizione, che sono anche solo critici nei confronti del governo”, ha detto a JW un attivista. “Dobbiamo tutti temere per la nostra libertà e per le nostre vite”.
Qui sotto una immagine dei filmati delle torture ad Alexander Matjuschenko, registrata dai membri di Azov e pubblicati sul canale Telegram della città di Dnipro.

Matyushenko è un noto antifascista e membro di Livitsya (Sinistra), un’associazione fondata da attivisti di vari movimenti sociali del Dnipro. Il movimento si è sempre impegnato con proteste contro i tagli sociali, i bassi salari, la restrizione della democrazia e l’ uniformazione dei media. Già in passato, Alexander era stato ripetutamente sottoposto a tentativi intimidatori da parte dei fascisti, ma anche della polizia, ha dichiarato la moglie. Matyushenko, è stato poi portato in un centro di detenzione, dove un medico alla fine ha curato le sue ferite: numerose fratture costali, lividi, lacerazioni agli occhi e al viso.

Ancora prigionieri i fratelli Mikhail e Aleksander Kononovich. I due giovani ucraini, nativi di Volyn, erano stati arrestati il 6 marzo dalla SBU. Sono accusati di diffondere opinioni filo-russe e filo-bielorusse e per la loro appartenenza all’Unione della Gioventù Comunista Leninista dell’Ucraina, un’organizzazione messa fuorilegge e dichiarata illegale e terroristica, dopo EuroMaidan. Mikhail ne è il primo segretario. Sono detenuti in un carcere di massima sicurezza, ma della loro condizione si sa poco, se non che sono stati torturati pesantemente per fargli dire i nomi dei loro compagni. I due ragazzi incriminati, infatti, sin dal 2014 sono stati alla testa delle mobilitazioni giovanili e studentesche che tentarono di aprire gli occhi al popolo ucraino sulla vera natura di EuroMaidan. Battaglie che in questi 8 anni sono state attaccate e poi represse nel sangue da Pravi Sektor, Azov e dalle altre organizzazioni di estrema destra, mentre l’Occidente si tappava occhi e orecchie. Noti oppositori del regime di Kiev, sono stati spesso aggrediti e picchiati, e arrestati più volte e anche i loro familiari e amici hanno subito minacce e intimidazioni.

L’SBU ha rapito e picchiato il campione dell’Ucraina di “Sambo” Maxim Ryndovsky .
Il tre volte campione mondiale ed europeo, e tre volte campione dell’Ucraina nel “Sambo da combattimento“ (un arte marziale di difesa personale senz’armi), Maxim Ryndovsky è stato sequestrato dai nazisti di Kiev il 6 marzo. In rete è apparso un video del pestaggio del tre volte campione dell’Ucraina, dal video si sente i torturatori che lo stanno picchiando, accusarlo di aver “bevuto e abbracciato coloro che stanno combattendo contro l’Ucraina“. Secondo le informazioni in rete, sarebbero appartenenti del 5° dipartimento di controspionaggio della SBU, ad aver rapito il campione, picchiato e filmato le torture, per terrorizzare l’intera popolazione e coloro che non sono allineati con la giunta di Kiev. La SBU poi ha smentito dichiarando che era stata una operazione delle Unità di Difesa Territoriali. Per levarsi le responsabilità, hanno detto che ci sono gruppi di “vendicatori del popolo”, che compiono rappresaglie extragiudiziali.
Osservando il filmato, si può vedere che Ryndovsky è stato brutalizzato e picchiato e c’è una pozza di sangue sul pavimento accanto a lui. (https://vk.com/video-89049368_456260628)

Il 12 marzo, si è saputo dell’arresto del noto politico antifascista ucraino Vasily Volga, dirigente dell’Unione delle Forze di sinistra che aveva da sempre sostenuto lo status neutrale dell’Ucraina, la cacciata dai posti di comando e di governo delle forze neonaziste e fasciste, la loro messa fuorilegge, e la conservazione dello status di la seconda lingua di stato per la lingua russa. Su chi esattamente lo ha arrestato o semplicemente sequestrato, non c’è alcuna informazione. Neanche i familiari hanno avuto alcuna comunicazione con lui. La famiglia ha denunciato che durante il sequestro è stato gravemente picchiato e ferito. Si è poi venuto a sapere che è stato torturato in modo terribile ed è in gravi condizioni. E’per questo che non si è permesso a nessuno di incontrarlo.
La sua famiglia è stata minacciata se divulga notizie. Solo pochi giorni addietro, dopo che la Russia ha posto il caso all’ONU, Volga ha ricevuto la visita di un medico, che ha solo dichiarato di averlo curato, senza altre informazioni.

Anche i comuni cittadini ucraini sono stati sottoposti a torture e brutalizzazioni dal febbraio scorso.
Innumerevoli video sono apparsi sui social che mostrano civili legati ai lampioni, spesso con i genitali scoperti o con la faccia dipinta di verde, donne denudate. Atti perpetrati da volontari neonazisti della Difesa Territoriale incaricati di far rispettare la legge e l’ordine, questi atti di umiliazione e tortura hanno preso di mira tutti, dagli accusati di simpatizzare per la Russia, agli antifascisti, ai rom o parenti di arrestati. Qui sotto alcuni esempi tratti da twitter: #BREAKING:Street View di Kiev: un’altra donna è legata a un post come questo. La sua faccia non era dipinta di verde, ma i suoi pantaloni erano stati tolti.
#RussiaUcrainaGuerra #Ucraina #Ucraini #Zelensky pic.twitter.com/525fCVrxgx
— Voce della giustizia delle Nazioni Unite (@TheUN_voice) 3 aprile 2022

Il 4 marzo nella città di Lutsk, l’SBU ha arrestato Oleg Smetanin, violinista della filarmonica regionale di Volyn, accusato di aver dato alla Russia informazioni sull’aeroporto di Lutsk.
Proveniente da una famiglia di musicisti, è cresciuto a Lutsk in un micro distretto un tempo abitato dall’esercito sovietico. Si vantava che suo nonno fosse uno scienziato missilistico sovietico e sua madre voleva diventare una pilota. Egli scelse la professione musicale. Smetanin si era diplomato alla Lutsk Music School n. 2, in seguito alla Volyn State School of Culture and Arts intitolata a Igor Stravinsky e all’Accademia nazionale di musica di Leopoli intitolata a Mykola Lysenko. Dopodichè ha iniziato a fare numerosi concerti in Russia e in Europa. In un video girato dalla SBU, dove si può rilevare che è stato picchiato, dichiara di essere stato una spia russa e di chiedere scusa al popolo ucraino. Di lui non si hanno notizie di dove è detenuto.

L’11 marzo a Odessa, l’SBU ha arrestato Elena Viacheslavova, la figlia di Mikhail Viacheslavov, bruciato vivo dai nazisti ucraini il 2 maggio 2014, nella Casa dei sindacati di Odessa.
Sul sito dei giornalisti dell’opposizione ucraina “La Voce della Verità”, si denuncia che:” L’unica colpa di questa donna è che è la figlia di Mikhail Vyacheslavov, ucciso il 2 maggio alla Casa dei Sindacati nel 2014 e ha sempre partecipato a manifestazioni in memoria del 2 maggio sul campo Kulikovo a Odessa, e che, nei suoi social network, da credente, esprimeva fiducia che gli assassini prima o poi sarebbero andati all’inferno. Per questo sono venuti da lei… ”.
Dopo maltrattamenti e pressioni la SBU ha costretto la Vyacheslavova di registrare in video un appello con … scuse all’Ucraina: “Io, Vyacheslavova Elena, condanno l’aggressione russa, Odessa è una città ucraina, mi scuso per le mie dichiarazioni sui social network e gloria all’Ucraina!”, la si vede con uno sguardo intimorito e afflitto mentre parla sottovoce alla telecamera, con le mani legate dietro la schiena. Credere alla enunciazione di questo slogan nazionalista è impossibile, ricordando che ella è la figlia di Mikhail Vyacheslavov, è stato bruciato vivo dai nazisti il 2 maggio 2014  alla Casa dei sindacati.

Il 15 marzo l’SBU ha arrestato e picchiato Artem Khazan, un rappresentante del partito Shariy nella città di Alessandria della regione di Kirovograd. Il giorno dopo sui social network è apparso un video in cui Khazan, chiaramente sottoposto a maltrattamenti, calunniava il presidente del partito Anatoli Shariy e invitava alla collaborazione con la polizia. “Ero il capo del partito politico “Shariy” nella regione di Kirovograd. Il partito aveva il compito di fare propaganda anti-ucraina su Internet. Dopo l’attacco della Russia alla mia Patria, ho capito appieno il mio errore. Ora considero lo Shariy un ramo della propaganda russa. Da ora rifiuto completamente qualsiasi cooperazione con esso e il suo programma politico”, ha affermato Khazan nel video.
Non si sa dove si trovi attualmente Artem Khazan.

FONTI:
Washington Post
Fondazione per la lotta alla repressione, Ucraina
Al Jazeera Ukraine
Mintpressnews
New York Times
5 – TV
ABC
SOZH Info
Ukraina.ru
Junge Welt
NBC
BBC
Telegram ucraino White Lives Matter
Voce della Verità, Ucraina

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Enrico Vigna: scrittore, è presidente dell’Associazione SOS Yugoslavia – SOS Kosovo Metohija, di cui è responsabile dei Progetti di solidarietà del Kosovo; è portavoce del Forum Belgrado per un mondo di eguali e delegato del Consiglio Mondiale della Pace; è stato portavoce per l’Italia settentrionale del Tribunale R. Clark, per i Crimini di guerra nella ex Jugoslavia. Tra i suoi libri: Dalla guerra all’assedio e Kosovo liberato (La Città del Sole); Pagine di storia rimosse (Ed. Arterigere). Tra i suoi documentari: Viaggio nell’Apartheid in Europa; I Dannati del Kosovo; I Guardiani del silenzio; Ci vinceranno, ma non ci convinceranno.

Patrizio Ricci, qui.

Su, forza, venite a raccontarci di doveri morali, di miliardi di dollari di armi necessarie per difendere la democrazia e tutto il resto del ciarpame della vostra immonda propaganda del cazzo.

barbara

CORSI E RICORSI

È stato Luigi Barzini – eroe, oltre che grande giornalista, della mitica Parigi-Pechino – che alla domanda “Ma è faticoso fare il giornalista?” ha risposto: “Sempre meglio che lavorare”. Oggi quella risposta, più che mai valida per i giornalisti, potrebbe darla, ad ancor maggiore ragione, un sindacalista. Uno a caso, diciamo

(e no, non dico braccia rubate all’agricoltura, perché per fare il contadino devi saper fare un mestiere. E non puoi permetterti di essere stupido, se no muori di fame tu insieme a tutta la famiglia). Poi, sempre a proposito di parassiti che succhiano il nostro sangue, aggiungerei quel signore, di cui mi rifiuto di scrivere il nome, che ha gioiosamente annunciato che se arriveremo al 90° di vaccinati si potrà attenuare lo stato di emergenza. Ora, considerando che nella ormai massacrata Costituzione italiana NON ESISTE LO STATO DI EMERGENZA (esistono lo stato di guerra e quello di calamità, vale a dire terremoti eruzioni alluvioni, per una durata massima di 90 giorni e con valore locale, che se il Vesuvio, per dire, dovesse rifare una cosa tipo Pompei, non è che chiudono la Milano-Venezia e fermano i treni sulla Padova-Bologna); considerando che questo stato di emergenza è stato proclamato per sei mesi e poi prorogato di altri sei e poi prorogato di altri sei e poi prorogato di altri sei (illegalità alla quinta potenza); considerando che  con questo stato di emergenza non si è fatto un cazzo – e non ritornerò sui diciotto miliardi di cose che ho già scritto nel corso di un anno e mezzo – tranne imprigionare sessanta milioni di persone: che cosa dovremmo fare a uno che dopo due anni, con un tasso di contagi allo 0,6%, ci fa intravvedere la possibilità – forse magari può darsi chissà – di un’attenuazione? Consideriamo inoltre che il 90% degli italiani, tolti i bambini al di sotto dell’età vaccinabile e tolti quelli che per particolari patologie o allergie non si possono vaccinare, significa il 100% delle persone vaccinabili, che si sa perfettamente che non sarà mai raggiunto. In conclusione: l’attenuazione dell’emergenza, nei programmi di questo signore, non arriverà mai. E queste sono le circostanze in cui mi torna alla mente quel bellissimo capitolo di Papillon in cui un tizio viene spogliato, legato, gli vengono fatto su tutto il corpo tanti piccoli tagli da cui esce il sangue, e poi si apre una scatola piena di formiche rosse. Pare che a spolpare completamente un uomo ci mettano una settimana.

barbara

ROBERTO BURIONI SI È CLAMOROSAMENTE SBAGLIATO

Qualche tempo fa aveva detto: non vedo l’ora che arrivi il vaccino, prima di tutto naturalmente per poter salvare tante vite, ma anche per la soddisfazione di vedere i novax invocarlo in ginocchio. Beh, si sbagliava.

Sa, naturalmente, che c’è in giro un sacco di gente deficiente, ma ancora non ha capito quanto.

barbara

CATTIVI CATTIVI CATTIVI SOLDATI ISRAELIANI!

soldados sionistas
Guardate cosa sono capaci di fare a un povero ragazzo, e in cinque contro uno, oltretutto! Io l’ho rubata al mitico Livuso, aka Momovedim, alias Fulvio Del Deo, che l’ha a sua volta presa da un tale che si chiama Antisionista, votato allo smascheramento dei mostruosi crimini sionisti. Forse non ha le idee del tutto chiare sulla differenza fra israelita e israeliano, ma insomma accontentiamoci della buona volontà. La sua personale didascalia comunque parlava di soldados sionistas, quindi non possono esserci dubbi né equivoci. Ma forse, dando solo un’occhiata distratta alla foto, non vi siete ancora resi conto del livello di perfidia di questi soldati, ma adesso che ho attirato la vostra attenzione, guardateli meglio: per mimetizzarsi, per mascherarsi, per fare finta di non essere loro (ca sse vedesse che non c’erano), hanno addirittura rubato le uniformi dei carabineros cileni! Ma vi rendete conto?!

Quello che veramente sconvolge è che perfino di fronte a simili smaccate evidenze un sacco di gente sceglie di credere ai “crimini” israeliani “documentati” in questo modo. Nel blog della “Signora” di cui ho parlato nel post di qualche giorno fa, per esempio, ho trovato tutta la carrellata completa delle foto tarocche, prese in Siria e in Iraq, già smascherate da tutti i giornali di tutto il mondo: riprese da altro blog da cui anche molti altri le hanno a loro volta riprese: evidentemente c’è gente che ha talmente la menzogna nel DNA che se non si schiaffa in vena la sua dose quotidiana di menzogne – meglio se atte a demonizzare qualche innocente – rischia la crisi d’astinenza e lo shock anafilattico. E quindi giù menzogne, giù infamie e giù, come immediata conseguenza, commenti di orrore per quelle carrettate di poveri “bambini di Gaza” e inappellabile condanna dei maledetti criminali israeliani. E che nessuno mi venga a parlare di ignoranza in buona fede. E voglio dirlo forte e chiaro: chi usa strumentalmente quei corpicini straziati di bambini siriani o iracheni per diffondere odio antiebraico, chi sbatte quei cadaverini sulle pagine dei propri blog o di facebook con un anno, due anni, tre anni di ritardo perché quando sono stati massacrati non gli servivano, li sta ammazzando una seconda volta, VOI SIETE MORALMENTE DEGLI ASSASSINI.

Se poi qualcuno vuole farsi un’idea del perché succede che muoiano bambini palestinesi, guardi un po’ qui:

 

Tanto poi se i bambini crepano si mettono in conto a Israele e si vince così un’altra battaglia mediatica.

Ah, dimenticavo: la foto dei cinque soldados israelitas o sionistas. Diffondetela, mi raccomando. Perché i mass media si guarderanno bene dal farlo.

barbara

AGGIORNAMENTO: un po’ di chiarezza sulla storia del “cinema di Sderot” e le scritte sui missili, qui.

COME SAREBBE BELLO!

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E invece…

Liberare assassini porta la pace

di Stefano Magni

Isaac Rotenberg era riuscito a sopravvivere ai nazisti. Deportato a Sobibor era riuscito a fuggire e a raggiungere la resistenza ebraiche che combatteva nelle foreste dell’Est europeo. Dopo aver corso pericoli mortali di ogni genere, dopo essere scampato al più intenso sterminio della storia, era finalmente “in salvo” in Israele, quando stava lavorando in un cantiere a Petah Tikvah, nel 1994, un anno dopo l’avvio del “processo di pace”. Proprio lì, a casa sua, è stato assassinato a colpi d’ascia da un palestinese, Hazem Kassem Shbair.
Un anziano signore in pensione, Moris Eisenstatt, nel 1994 stava leggendo un libro, seduto su una panchina di Kfar Saba, quando è stato assassinato a colpi d’ascia da un altro palestinese, militante del partito Fatah, Ibrahim Salam Ali. Israel Tenenbaum, lavoratore agricolo, di notte prestava servizio volontario (per arrotondare lo stipendio) come guardia notturna di hotel. Aveva 72 anni quando, nel 1993, l’anno di inizio del “processo di pace”, fu aggredito a colpi di spranga da un militante di Fatah, Salah Ibrahim Ahmad Mugdad. David Dadi e Haim Weizman stavano dormendo nell’appartamento di Weizman, quando due palestinesi, Abu Satta Ahmad Sa’id Aladdin e Abu Sita Talab Mahmad Ayman, hanno fatto irruzione a casa loro e li hanno assassinati entrambi. Per dimostrare ai compagni di lotta che li avevano realmente assassinati, i due palestinesi mozzarono le orecchie alle loro vittime e le portarono come trofeo e prova dell’avvenuto delitto.
Ian Sean Feinberg, 30enne, padre di tre figli, era un idealista: nel 1993, primo anno del “processo di pace”, lavorava e studiava su progetti di sviluppo economico dei territori palestinesi. Era a una riunione di lavoro a Gaza, quando Abdel Aal Sa’id Ouda Yusef lo uccise a colpi di pistola. Tutti questi uomini, cittadini israeliani che avevano solo la colpa di essere ebrei in Israele, non ritorneranno più in vita. In compenso, i loro assassini e molti altri, sono tornati in libertà.
Gli assassini di cui sopra sono infatti parte della lista dei 26 prigionieri palestinesi (definendoli così sembrerebbero quasi dei prigionieri politici, o di coscienza) scarcerati, in cambio di una vaga promessa. Neanche una promessa di pace, ma un impegno, ancora privo di garanzie, a “ricostruire fiducia”. Le vittime israeliane e i loro parenti ancora in vita non hanno diritto di parola.
L’unico ministro che si è opposto alla loro liberazione, Naftali Bennett, è accusato di essere un “fascista”. L’unica preoccupazione apparente dei media italiani pare essere la ripresa delle costruzioni di case negli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Una “provocazione” che, così alcuni dicono, sarebbe stata ottenuta come contropartita alla liberazione dei killer di Fatah. È “realpolitik”, pensa e dichiara il premier Benjamin Netanyahu. Vale la pena di liberare 26 omicidi per costruire quattro case in più? Non solo. C’è la speranza che la loro scarcerazione sia solo un primo passo di un nuovo “processo di pace”. Un po’ come quello degli anni ’90, durante il quale furono assassinate tutte le vittime dei killer di Arafat.

(L’Opinione, 1 novembre 2013)

E poi provate a immaginare

Immaginate per un momento che Baruch Goldstein, l’ebreo che uccise 29 palestinesi musulmani e ne ferì altri 125 alla Cava dei Patriarchi a Hebron nel 1994, non fosse stato ucciso dagli scampati ma catturato, processato, condannato e messo in una prigione palestinese.
Immaginate che Goldstein avesse commesso questo atto in quanto membro di una organizzazione affiliata al partito Likud del primo ministro israeliano Binyamin Netanyahu.
Ora immaginate che Netanyahu dichiari che non ci potrà essere pace fino a quando Goldstein non venga liberato.
Immaginate poi che l’Autorità Palestinese decida di liberare Goldstein per far avanzare il processo di pace, e che migliaia di israeliani celebrino il suo ritorno in Israele, compreso il primo ministro Netanyahu.
Come reagirebbe il mondo? Immagino che Netanyahu sarebbe unanimemente condannato per la sua parte nell’assassinio dei fedeli palestinesi e per avere preteso la liberazione dell’assassino, gli israeliani sarebbero condannati per avere festeggiato il suo rilascio, e la nostra buona fede nel processo di pace sarebbe messa seriamente in dubbio.
Ora immaginate quest’altro scenario: Netanyahu in realtà è Mahmoud Abbas, gli israeliani sono i palestinesi, e Baruch Goldstein è decine di terroristi palestinesi imprigionati per l’assassinio di molti israeliani innocenti.
Ah no, questo non dovete immaginarlo: questo è successo.
Migliaia di palestinesi si sono radunati a Ramallah nelle prime ore di mercoledì mattina per salutare 21 prigionieri liberati dalla prigione israeliana nella West Bank come parte di un accordo per il proseguimento dei colloqui di pace israelo-palestinesi. Altri cinque palestinesi erano stati rilasciati prima a Gaza. Tutti e 26 erano condannati per omicidio, la maggior parte processati per crimini commessi prima degli accordi di Oslo del 1993.
Dalla folla si sono levate acclamazioni, molti portavano bandiere palestinesi e di Fatah, macchine fotografiche, AK-47 mentre gli uomini liberati venivano portati sulle spalle dai furgoni che li avevano portati dalla prigione di Ofer alla città palestinese. Sopra il frastuono si potevano udire spari celebrativi, fischi e grida di Allahu Akbar.
I prigionieri sono stati salutati di fronte al mausoleo di Yasser Arafat, nei pressi del quartier generale dell’Autorità Palestinese a Ramallah, da varie autorità palestinesi guidate dal presidente Mahmoud Abbas che li ha abbracciati e baciati uno per uno.
Rivolgendosi ai palestinesi riuniti, Abbas ha detto che non ci sarà alcun trattato di pace fino a quando ci saranno palestinesi dietro le sbarre in Israele, e che proseguirà nei suoi sforzi per liberare tutti i prigionieri dalle carceri israeliane.
Devo dire che non sto sentendo molte condanne per Abbas e il suo popolo.
Potete leggere altre informazioni sui terroristi rilasciati e sulle loro vittime – fra cui alcuni vecchi e un sopravvissuto all’Olocausto – qui. (fonte sconosciuta, traduzione mia)

barbara

VOI LO SAPETE CHE COS’È UNA NASCITA PARZIALE?

Io non lo sapevo. Adesso lo so.
nascitaparziale
La scorsa settimana la più famosa clinica per gli aborti d’America, la Women’s Health Care Services a Wichita, Kansas, ha riaperto i battenti dopo l’uccisione nel 2009 del suo fondatore, il dottor George Tiller, per mano di un attivista pro life. La riapertura della clinica è stata salutata dalla stampa liberal come un “gesto di coraggio” contro le intimidazioni dei “terroristi della vita” che per anni hanno insanguinato i selciati delle cliniche. Nelle stesse ore a est, in Pennsylvania, nella città dell’Amore Fraterno, a Philadelphia, in un’aula di tribunale iniziava il processo-choc a un’altra clinica degli aborti, la Women’s Medical Society del dottor Kermit Gosnell, da trent’anni sulla piazza con la sua ditta di “pianificazione familiare”.
Come Gosnell, Tiller era specializzato nel porre fine alla vita di bambini sani e in grado di sopravvivere fuori dal corpo della madre. “Così va il mondo”, ripeteva il dottor Gosnell alle sue assistenti che ponevano scrupoli morali. Ma a differenza della clinica in Kansas, di quella a Philadelphia, ribattezzata “l’ossario dei bambini”, la stampa per giorni non ha parlato, provando vergogna, quasi a esorcizzarne l’esistenza stessa tramite un silenzio surreale. Poi il caso è scoppiato sulle pagine di tutti i giornali del paese. Il Weekly Standard, giornale neoconservatore, ha sbattuto il caso Gosnell in copertina: “Barbarie a Philadelphia”, accostando il nome del dottor Gosnell addirittura a quello di Pol Pot. WorldNetDaily, un media conservatore fra i più noti d’America, lo ha chiamato “angelo della morte di Philadelphia”, paragonando Gosnell al medico nazista Josef Mengele. Che differenza c’è fra le due cliniche di Tiller e Gosnell, chiedono i conservatori dell’American Thinker? “L’igiene”. Tiller, ucciso da un militante antiabortista, aveva una clientela bianca della middle class e proveniente da ogni parte del mondo. Perché la sua a Wichita era una delle sole cinque cliniche d’America in cui si eseguivano “aborti a nascita parziale”, ovvero oltre la 24esima settimana di gravidanza. Prima dell’uccisione, Tiller si vantava nel sito web della clinica di avere “più esperienza nell’aborto tardivo di ogni altra persona nell’emisfero occidentale, con più di 60 mila aborti dal 1973”. Avendo la Corte suprema degli Stati Uniti deliberato che il termine “persona”, così come viene usato nel 14esimo emendamento della Costituzione, non si applica al bambino non nato, se n’è dedotta la possibilità di porre un termine alla vita senza incorrere in azioni giudiziarie, fino al momento del parto. E’ l’avvento dell’“aborto a nascita parziale”. E’ la tecnica dell’aspirazione del cervello del bambino partorito soltanto a metà, perché altrimenti sarebbe omicidio (per questo Gosnell è a processo). Il medico afferra con una pinza i piedi del feto e porta fuori dall’utero prima le gambe poi il corpo, tranne la testa. A quel punto esegue un’incisione alla base del cranio per aspirare il cervello, poi completa il parto. Almeno mille aborti all’anno in America avvengono così. Scriveva nei giorni scorsi Jonah Goldberg sul Los Angeles Times: “Gosnell è accusato di aver eseguito aborti illegali e di aver fatto nascere e poi ucciso numerosi neonati. Ma la domanda più profonda è quale sia la differenza morale fra uccidere un bambino fuori dal corpo della madre per pochi secondi e ucciderlo ancora al suo interno”. Per questo il caso Gosnell non è un caso di malasanità o di orrore (Gosnell è stato ribattezzato “uno dei serial killer più spietati della storia americana”), ma apre la ferita degli aborti tardivi legali e indiscriminati negli Stati Uniti. Per questo sulla rivista cattolica First Things il filosofo conservatore Robert George ha implorato i giudici di salvare la vita al dottore: il problema non è lui, ha scritto George, ma l’aborto di massa.

Perché il processo a Gosnell non ha attirato un centesimo dello spasimo che i media nutrono sempre per gli assassini seriali? Perché la grande stampa ha paura della storia. Perché Gosnell, come Tiller, aveva fama di paladino dell’aborto. Ma a differenza di Tiller, Gosnell attirava donne povere e spesso abbandonate. Di ritorno da New York, dove si era laureato in Medicina e aveva appreso i rudimenti della lotta abortista, Gosnell era tornato a Philadelphia, per aprire una clinica di aborti nel Mantua, una zona per poveri e minoranze, sostenuto dalla Planned Parenthood, la più grande, capillare e potente organizzazione abortista d’America. “Volevo essere una forza positiva per le minoranze”, ha detto Gosnell al Philadelphia Daily News. “Aspiravo alla perfezione per i miei pazienti, a dare loro quello che avrei dato a mia figlia”. Ma andiamo con ordine. La vicenda inizia il 18 febbraio 2010, quando l’Fbi fa irruzione nella clinica abortista di Philadelphia Women’s Medical Society, dove il medico progressista Gosnell opera da molti anni. Gli agenti scoprono che molti dei bambini abortiti avevano un’età di gestazione superiore al limite di 24 settimane fissato dalla legge dello stato (un bambino che viene fatto nascere dopo la 24esima settimana ha molte probabilità di sopravvivere se riceve cure mediche adeguate). Non solo, Gosnell avrebbe praticato l’infanticidio su centinaia di bambini nati. Nelle ultime due settimane in aula gli assistenti del medico raccontano come la clinica fosse frequentata, giorno e notte, da donne fuori tempo limite per ottenere un aborto legalmente, proprio perché il celebre medico “assicurava la morte fetale”.
Molti stanno raccontando di avere ancora vivi negli occhi le “contorsioni dei bimbi appena venuti alla luce” e nelle orecchie “il pianto dei bambini nati” e successivamente uccisi da Gosnell attraverso una metodica spietata e semplice: la recisione del midollo spinale, con una tecnica che lui stesso chiamava “snipping”.
I testimoni raccontano di decine, pare un centinaio, di “morti fetali” perpetuate così: bambini di trenta settimane lasciati piangere per venti minuti e poi messi a tacere con lo “snipping”. Di un bambino appena nato, il medico disse “è così grande che potrebbe accompagnarmi alla fermata dell’autobus”. Secondo James Taranto del Wall Street Journal, la vicenda è “un colpo mortale alla Roe vs. Wade”, la sentenza che ha reso assoluto il diritto all’aborto in America. L’argomento dei sostenitori della sentenza è che la proibizione dell’aborto, o anche solo di alcune sue pratiche come quello a “nascita parziale”, costringerebbe le donne al pericolo di interventi clandestini. Il caso Gosnell dimostrerebbe il contrario: anche in presenza di un quadro legalistico permissivo, l’aborto sfugge di mano ai suoi demiurghi, scrive Taranto. L’aborto non è mai “safe”. Sicuro. Gosnell avrebbe praticato centinaia di simili interventi di infanticidio e in tribunale deve rispondere di sette in particolare, compresa la morte di una donna. “Non riesco e descriverlo, sembrava un piccolo alieno”. Così Sherry West ha raccontato le urla di un bambino nato vivo a seguito di un aborto tardivo. Stephen Massof, un altro membro dello staff di Gosnell, racconta come il dottore con una sforbiciata secca alla colonna vertebrale separasse il cervello dal resto del corpo dei bambini. Una specie di “decapitazione”, l’ha definita il collaboratore del medico. “Queste uccisioni erano diventate talmente di routine, che nessuno ha potuto dare una cifra esatta”, dice il rapporto del Gran Giurì. “Erano considerate ‘procedure standard’”.
Contro l’aborto a nascita parziale, praticato per anni nella sua forma estrema da Gosnell, si schierò l’ex presidente George W. Bush, che nel 2003 firmò una legge approvata dal Congresso Usa per il bando della brutale pratica, che il senatore democratico liberal Moynihan definì “infanticidio”. Nel 2007 la Corte suprema confermò la costituzionalità della messa al bando di questo tipo di intervento, ma in tredici stati le corti statali hanno bloccato il divieto. Anche il presidente Barack Obama si è sempre opposto a misure che limitassero il ricorso all’aborto a nascita parziale. Il caso Gosnell porta dunque alla luce una pagina vergognosa della medicina occidentale. I pro life lamentano la scarsissima attenzione che tv, siti internet e giornali hanno dedicato alla storia della clinica di Philadelphia.

La deputata Marsha Blackburn parla del “più grande scandalo mediatico della storia americana”. “Se Gosnell fosse entrato in una clinica e avesse ucciso sette bambini con un AR-15 (un fucile semiautomatico, ndr), sarebbe stata una notizia nazionale”, ha detto il deputato repubblicano Chris Smith, che ha definito il processo Gosnell come quello “del secolo”, per via delle implicazioni che dovrebbe e potrà avere nel dibattito sull’aborto. Il caso Gosnell getta luce anche sulla volontà politica e generale di mettere un freno all’industria degli aborti. La clinica, infatti, venne del tutto lasciata senza controlli nel 1993, quando il democratico pro life Bob Casey perse le elezioni da governatore a favore di un candidato repubblicano pro choice, Tom Ridge. Da quella data – spiega il rapporto – il dipartimento della Salute della Pennsylvania ha optato per un blocco dei controlli per non “porre una barriera contro le donne” in cerca di un aborto. “Meglio lasciare fare le cliniche come volevano, anche se, come ha dimostrato Gosnell, questo significava che a pagare fossero sia donne che bambini”, continua il documento. Michelle Malkin ha scritto sulla National Review che l’intera vicenda della Women’s Medical Society è rivelatrice del dibattito sull’aborto. “L’indifferenza mortale per proteggere la vita non è marginale all’esistenza dell’industria dell’aborto: è la sua essenza”, sottolinea l’autrice. “L’orrore di Philadelphia non è una anomalia. E’ la logica, raccapricciante conseguenza di una malevola impresa con radici eugenetiche, sotto una veste femminista”, così conclude la Malkin. Al Wall Street Journal Leon Kass, bioeticista principe sotto i due mandati di George W. Bush e intellettuale straussiano di Chicago, ha detto che il caso Gosnell indica qualcosa di più rispetto ai sofismi legali che circondano l’aborto in America. Si tratta della mancanza di orrore che circonda ormai il maltrattamento della vita umana. Jeb Bush, ex governatore della Florida e probabile sfidante repubblicano nel 2016, ha scritto: “I media si sono dimenticati cosa va messo in prima pagina”. Anche fra i media mainstream si sono levate voci di scandalo per il silenzio giornalistico e culturale che circonda il caso Gosnell. Fra le tante quella di un editorialista dell’Atlantic di Boston, Conor Friedersdorf, che ha sottolineato come il caso metta in discussione tutti i punti che il pensiero abortista evita sempre di trattare: “Le regole interne alle cliniche, la legalizzazione dell’aborto a nascita parziale, le pene per chi non denuncia gli abusi, i termini di prescrizione per omicidi come quelli di cui è accusato Gosnell, la responsabilità del personale per il cattivo comportamento dei medici con cui lavorano”.
Durissima Kirsten Powers su Usa Today: “Decapitazione infantile. Feti buttati nei barattoli. Il pianto di un bambino ancora vivo dopo che è stato prelevato dalla pancia della madre durante un aborto. Avete mai sentito parlare di queste ripugnanti accuse? No e non è colpa vostra. Da quando il caso Gosnell è finito in tribunale la copertura mediatica è stata molto scarsa mentre invece la storia sarebbe dovuta essere su tutte le prime pagine dei giornali”. Per la giornalista “non era necessario essere contro l’aborto per trovarlo ripugnante, soprattutto se praticato oltre la scadenza dei termini o per considerare il caso Gosnell degno di attenzioni. L’assordante silenzio della stampa, prima una forza di giustizia in America, è una disgrazia”.
In fondo, quello che ha fatto Gosnell, con strumenti rozzi e sporchi, è teorizzato da un po’ di tempo da molti celebri bioeticisti. Un anno fa è apparso sul prestigioso Journal of Medical Ethics il saggio di due studiosi italiani che fanno ricerca in Australia, Alberto Giubilini e Francesca Minerva: “Se pensiamo che l’aborto è moralmente permesso perché i feti non hanno ancora le caratteristiche che conferiscono il diritto alla vita, visto che anche i neonati mancano delle stesse caratteristiche, dovrebbe essere permesso anche l’aborto post nascita”. Ovvero: al pari del feto, anche il bambino già nato non ha lo status di “persona”, pertanto l’uccisione di un neonato dovrebbe essere lecita in tutti i casi in cui è permesso l’aborto. Sembra che la Women’s Medical Society di Philadelphia mettesse in pratica queste idee.
Secondo il professor Jon A. Shields, docente al Claremont McKenna College che ha firmato un lungo saggio su Weekly Standard, “il dottor Gosnell si adatta al profilo di un killer sociopatico. Ma a differenza di molti deviati, Gosnell potrebbe sostenere di aver agito nell’esercizio dei suoi diritti costituzionali. Sotto le sentenze Roe e Doe, i medici hanno il diritto costituzionale a eseguire aborti durante il terzo trimestre di gravidanza”. Sarà questa la difesa di Gosnell al processo.
Secondo Shields, quello che ha commesso Gosnell è lecito in altri stati americani. “La Pennsylvania è uno dei nove stati che richiedono un secondo medico per concorrere con il ‘giudizio professionale’ di un dottore che vuole eseguire un aborto al terzo trimestre di gravidanza. Gosnell ha omesso di chiedere un secondo parere. Se Gosnell avesse eseguito le stesso aborto tardivo oltre il fiume a Cherry Hill, in New Jersey o in altri stati, non avrebbe commesso un reato procedurale”. Quanto a uccidere i bambini sopravvissuti agli aborti, Shields dice: “La protezione dei bambini che sopravvivono agli aborti rimane oggetto di controversie, non è una questione di diritto risolta. Mentre 27 stati tra cui la Pennsylvania hanno leggi che proteggono questi bambini, altri 23 stati e nel Distretto di Columbia non le hanno. Quindi, si potrebbe ragionevolmente chiedere se qualcuno merita la pena di morte per un atto che è legale in quasi la metà degli stati, un atto che non è visto di buon occhio da personaggi pubblici come il presidente degli Stati Uniti”.
L’accusa del professor Shields è a Obama, perché quando era senatore dell’Illinois votò per negare i diritti di base, protetti dalla Costituzione, ai bambini sopravvissuti all’aborto – non una sola, ma ben quattro volte. I pro life puntano già il dito contro il governatore democratico di New York, Andrew Cuomo, il cui disegno di legge parla infatti dell’aborto come di un “diritto fondamentale”, abolendo ogni limite temporale. Eccolo il lato più tragico del caso Gosnell: è la legge ad aver aperto le porte a questo orrore. Nel 1977 il giudice della Corte suprema Clement Haynsworth stabilì, nel caso di un bambino sopravvissuto all’aborto, che “il feto in questo caso non è una persona da proteggere”. Morì dopo venti giorni. Due anni dopo, in Colautti vs. Franklyn, la Corte attribuì ai medici la libertà di determinare la “vitalità fetale”, conferendo loro un potere che andava oltre la Roe. Il giudice William Rehnquist dissentì dall’opinione della maggioranza. Quattro anni dopo ci fu il caso Planned Parenthood vs. Ashcroft. Il magistrato Lewis Powell in quel caso stabilì che un aborto “effettivo” doveva comportare un nuovo nato privo di vita. Durante un caso di aborto tardivo il giudice della Corte suprema del New Jersey, Maryanne Barry, stabilì che quel bambino con la testa fuoriuscita dal corpo della madre non è “nato”, è diverso da un bambino “voluto”. Di queste e altre parole risuona l’aula di tribunale di Philadelphia dove si processa il dottor Gosnell. Nel paese in cui l’aborto è stato santificato come un diritto civile al pari della libertà di parola e che ha registrato 40 milioni di aborti in quarant’anni, nel ventre della nazione che giustamente si commuove per i bambini di Newtown, è passato sotto silenzio il caso di una “clinica della salute” in cui per anni si uccidevano bimbi appena nati recidendo loro la colonna vertebrale. Una macellazione civile giustificata per legge . Per dirla col dottor Gosnell, “così va il mondo”.
Giulio Meotti, Il Foglio, 27/04/13

barbara

LISTA

dei terroristi che questa settimana verranno rilasciati da Israele, con i relativi delitti e vittime, senza che si possa trovare una sola ragione al mondo per un simile efferato crimine perpetrato dal governo israeliano contro la propria popolazione, contro la legalità, contro la giustizia (poi venitemi a dire che non critico mai Israele!)

Terrorist Date of Arrest Charge(s) Names of Victim(s)
Fayez Mutawi al-Khur Nov-85 Murder, Attempted Murder Solomon AbuKassis, Menahem Dadon
Salah Ibrahim Ahmed Mugdad Jun-93 Murder Israel Tannenbaum
Samir Nayef al-Na’neesh Mar-89 Murder Binyamin Meisner
Yusef Abdel Hamid Irshaid Mar-93 Murder, Attempted Murder Nidal Rabo Ja’ab, Adnan Aj’ad Dib, Mofid   Can’an, Tawfik Jaradat, Ibrahim Said
Mustafa Othman al-Haj Jun-89 Murder Friedrich Rosenfeld
Salameh Abdallah Musleh Oct-93 Murder David Reuben
Atiyeh Salem Musa Mar-94 Murder Aizik Rotenberg (Holocaust survivor)
Salah Mahmoud Mukled Jul-93 Murder, Attempted Murder Joshua Deutsch
Mohamed Abdel Majid Sawalha Dec-90 Murder, Attempted Murder Baruch Heisler
Atef Izzat Sha’ath Mar-93 Accessory to Murder Simha Levi
Yusef Said al-Al Feb-94 Throwing a bomb, Accessory to Murder Ian Feinberg, Sami Ramadan
Midhat Fayez Barbakh Jan-94 Murder Moshe Becker
Ali Ibrahim al-Rai Apr-94 Murder Morris Eisenstadt
Mohamed Jaber Nashbat Sep-90 Accessory to Murder Amnon Pomerantz
Samir Hussein Murtaji Oct-93 Kidnapping, Manslaughter Samir al-Silawi, Khaled Malaceh, Nasser   Akilah, Ali al Zaabot
Hosni Faregh Sawalha Dec-90 Murder, Attempted Murder Baruch Heisler
Faraj Saleh al-Rimahi Jul-92 Murder Abraham Kinstler
Ala eddin Ahmed Abu Sitteh Jan-94 Murder David Daddi, Haim Weitzman
Ayman taleb Abu Sitteh Jan-94 Murder David Daddi, Haim Weitzman
Esmat Omar Mansour Oct-93 Accessory to Murder Haim Mizrachi
Khaled Mohamed Asakreh May-91 Murder Annie Lee
Nihad Yusef Jundiyeh Jul-89 Murder Zalman Schlein
Mohamed Mahmoud Hamdiyeh Jul-89 Murder Zalman Schlein
Jamil Abdel Wahab Natsheh Dec-92 Accessory to Murder Shmuel Gersh
Taher Mohamed Zaboud Feb-93 Murder Abraham Cohen
Sabih Abed Hammed Borhan Feb-01 Murder Jamil Muhamad Naim Sabih, Aisha Abdullah   Kharadin

Come dite? È un “gesto di buona volontà”? Ah, sì, capisco. Come quelli del 2012, per esempio
infographic2
(tabella e immagine rubate qui, e poi qui c’è qualcos’altro che dovete assolutamente leggere)
Quos vult perdere Jupiter…

barbara

E SE I MARTIRI SCARSEGGIANO

Niente paura: ci si ammazza in casa una bambina di due anni con uno di quei razzetti artigianali (oltre 130 in tre giorni: immaginate voi con quali immani sacrifici, poveri cari, con tutta la miseria che hanno in casa che sono tutti lì che muoiono di fame) che non fanno male a nessuno, come leggiamo su tutti i giornali un giorno sì e l’altro pure, si tenta di far ricadere la colpa su Israele; poi viene inconfutabilmente dimostrato che sono stati loro ma non importa, si seppellisce lo stesso come una martire.


Perché noi eroi di Palestina sull’infanzia – nostra e altrui – ci caghiamo, o yes.
(E le stelle stanno a guardare, o yes)

barbara