PARTIAMO DA DARYA DUGINA

Da quando è iniziata la guerra russa (giusto chiarire, perché la guerra ucraina è iniziata otto anni e mezzo fa, nel silenzio quasi generale del mondo), sentiamo parlare di Aleksandr Dugin come dell’ideologo di Putin: ecco, se qualcuno si immagina che Putin possa avere un ideologo che gli suggerisca cosa e come fare e soprattutto lo suggestioni con le proprie idee, non ha capito un cazzo di Putin, né di nessun’altra cosa al mondo. E passo ad alcuni articoli che rappresentano piuttosto bene il mio pensiero.

Andrea Cecconi

L’assassinio, probabilmente, da parte dei servizi segreti ucraini della giovane giornalista figlia del filosofo russo Aleksandr Dugin segna per sempre una macchia indelebile sul conflitto ucraino, questo orribile delitto ci obbliga ad una profonda riflessione.
Questo vero e proprio atto di terrorismo ci ripropone fatti di cronaca vissuti nel periodo fascista e nazista dove i sicari del governo venivano incaricati di eliminare personaggi scomodi anche se residenti all’estero.
Il clima antirusso scatenato da tutti i governanti europei, fatta eccezioni degli ungheresi e da pochi altri, sta alimentando questo terribile clima razzista.
La popolazione russa residente fuori dai propri confini sta subendo forti discriminazioni, sono stati congelati conti correnti, sequestrati beni, case, navi, si è impedito di viaggiare bloccando visti, sono avvenute espulsioni a pacifici e innocui turisti e viaggiatori.
Il governo italiano è responsabile di aver contribuito con queste nuove “leggi razziali” alla vergogna, al clima di odio, che ci riporta indietro nel tempo a rivivere incredibili momenti bui, che violano la carta costituzionale fondamento dei principi repubblicani.
I rifugiati ucraini in Italia sono circa 100 mila, è urgentissimo scoprire se fra di loro ci siano infiltrati dei servizi segreti del loro paese che potrebbero compiere crimini, dobbiamo assolutamente proteggere i cittadini russi che vivono in Italia.
Mi dissocio totalmente dal governo italiano per aver creato queste vergognose leggi e rinnovo la mia grande amicizia e fratellanza al popolo russo, per le sue tradizioni, per la sua cultura, per le opere d’arte che i suoi grandi artisti hanno donato all’intera umanità.
Vigliacchi! Ignobili! Governanti.
Vergogna! Vergogna! Vergogna!
Il popolo italiano si è sempre distinto per la solidarietà, l’accoglienza, per la fratellanza e fraternità fra i popoli, questi politici non ci rappresentano, cacciamoli via, chi voterà i vecchi partiti sarà responsabile di questo razzismo strisciante, non potrà più essere denominato “un italiano” ma un servo della macchina diabolica della guerra che semina paura, sdogana comportamenti di rancore che poi viene trasmesso alle nuove generazioni.
Non un solo politico italiano questa mattina ha espresso cordoglio e ha condannato questo grave atto criminale, viscidi luridi burocrati italiani non siete degni di occupare i banchi del parlamento dove erano seduti i padri fondatori della nostra Repubblica.

“Fintanto che ciascun uomo non sarà diventato veramente fratello del suo prossimo, la fratellanza non avrà inizio. Nessuna scienza e nessun interesse comune potrà indurre gli uomini a dividere equamente proprietà e diritti. Qualunque cosa sarà sempre troppo poco per ognuno e tutti si lamenteranno, si invidieranno e si ammazzeranno l’un l’altro.”
(Fëdor Dostoevskij)

Paolo Di Ruzza

Lucida analisi dell’amica H(S)V:

“I russi hanno l’ennesima conferma che non hanno scelta, devono vincere e annientare l’élite occidentale. Altrimenti saranno a loro volta annientati.
Leggo di possibili rappresaglie russe al terribile attentato terroristico avvenuto ieri a Mosca nel quale ha perso la vita la figlia di Alexandr Dugin che (erroneamente) viene definito “l’ideologo di Putin”. Non ci sarà nessuna rappresaglia da parte russa, ci sarà solo l’aumento delle misure di sicurezza su tutta l’élite russa sia politica che militare che intellettuale e ovviamente sui loro familiari.
Questo ovviamente non significa che non cambierà nulla: i russi hanno l’ennesima conferma che non hanno scelta, devono vincere e annientare l’élite occidentale. Altrimenti saranno a loro volta annientati. E allora cosa faranno? Continueranno a fare quello che stanno facendo, una lentissima guerra di conquista del Donbass palmo a palmo. Continueranno a piccarsi di rispettare i contratti per le forniture del gas sin nel minimo dettaglio e quindi il 30 Agosto staccheranno l’ultima turbina che alimenta il gasdotto NorthStream1 e faranno la loro manutenzione: se troveranno anche la più piccola imperfezione (come da protocollo Siemens) non riattaccheranno la turbina e la Germania rimarrà del tutto senza gas. Poi attenderanno che i gasdotti passanti per l’Ucraina siano spillati dagli ucraini che hanno la necessità di riscaldarsi; a quel punto denunceranno “i furti di gas” e chiuderanno anche questi gasdotti (che alimentano anche l’Italia). Il gas, già a prezzi impossibili, a quel punto schizzerà ancora di più alle stelle facendo collassare il nostro sistema produttivo.
A cosa serve ai russi bombardare il distretto delle ceramiche di Sassuolo, dell’acciaio di Brescia, l’acciaieria di Taranto e via discorrendo…se sono tutti siti produttivi già ampiamente fuori mercato e al limite della chiusura? A niente…sono già siti dismessi, come si sta dismettendo tutto il nostro tessuto produttivo, basta vedere le migliaia di bollette che dall’esercente del bar al piccolo industriale stanno postando sui social.
I russi per questo vile attentato di stampo mafio-nato saranno ancora più risoluti a lasciare che il loro più grande alleato – il Generale Inverno – faccia la sua parte.”

Fabio Federico Secondo

In Ucraina esiste un sito governativo nel quale sono schedati i “nemici della nazione”, personalità di tutto il mondo -militanti, giornalisti, politici, artisti- che hanno osato mettere in discussione l’operato del governo ucraino, da Maidan in poi.
ANDREA ROCCHELLI, reporter italiano, era su Myrotvorets.
DARJA DUGIN, filosofa e giornalista, era su Myrotvorets.
GIORGIO BIANCHI, giornalista italiano, è su Myrotvorets.
《LIQUIDATI》, è la dicitura apparsa sul sito quando Andrea Rocchelli e Darja Dugin sono stati ammazzati.
Il governo di un Paese europeo che riceve finanziamenti e considerazione dalla UE addita cittadini italiani come personalità da colpire e quando vengono uccisi li “liquida” come problema risolto e i governi italiano e della UE tacciono?
Nella lista nomi, cognomi e dettagli personali di professionisti che non si sono macchiati di alcun reato, dalle vite irreprensibili, esposti al rischio di essere ammazzati per istigazione dei nazionalisti ucraini.

E mettiamoci anche il papa.

Ucraina – Pochi dicono la verità (e anche il Papa viene censurato)

Papa Francesco ha definito la morte della figlia Daria del “filosofo eurasiatico” Alexander Dugin “un esempio della follia della guerra”, riferisce RIA Novosti . Il Papa ha chiesto misure concrete per porre fine al conflitto e scongiurare la minaccia di una catastrofe nucleare a Zaporozhye. “Conservo nel mio cuore i prigionieri, soprattutto quelli che si trovano in condizioni difficili, e chiedo alle autorità responsabili di adoperarsi per la loro liberazione”, ha aggiunto Francesco.
L’ambasciatore ucraino in Vaticano Andriy Yurash ha espresso il suo disappunto per i commenti di papa Francesco sulla morte di Daria Dugina. “Penso alla povera ragazza che è stata fatta saltare in aria da una bomba sotto un sedile di un’auto a Mosca. Gli innocenti pagano per la guerra. E quelli che fanno soldi con la guerra e con il commercio di armi sono criminali”, ha detto il Papa durante l’udienza.
Questo è un esempio plastico di come ormai oggi l’Ucraina possa dare giudizi su ogni cosa e verso chiunque. La sua versione dei fatti sarà avvallata anche quando palesemente falsa e giustifica il puro banditismo.
Infatti, il Papa dicendo che Daria Dugina è una innocente che ha pagato ingiustamente, ha detto la sacrosanta verità. Mentre la reazione dell’ambasciatore ucraino dimostra una connivenza, almeno morale, con il crimine.
È chiaro che non si tratta solo di Daria Dugina. Possiamo notare che nell’intero corso della guerra, qualsiasi azione della parte ucraina è giustificata, anche se lontana dagli ‘standard occidentali’.
È altrettanto chiaro che finché sarà SOLO il Papa a dire la verità sulla guerra in corso (seppure in maniera saltuaria ma non per questo meno incisiva), non cambierà granché nella deriva in corso che non è solo dal lato militare ma anche antropologico e spirituale.
Sarebbe interessante sapere:

  • Cosa pensano i giornalisti occidentali dell’uso mirato delle loro armi contro i civili, come i colpi di Himars su obiettivi non militari o la disseminazione di mine antiuomo nelle città di Donetsk in Donbass e Belgorod in Russia??
  • Perché le organizzazioni occidentali per i diritti umani tacciono e non se ne accorgono?
  • Perché si giustificano azioni ingiustificabili e sanzionate dalle leggi internazionali?

È come se la leadership ucraina conoscesse solo la storia del 24 febbraio, quella dell’invasione. Mentre nel silenzio colpevole dell’occidente, finge di non sapere che nelle guerre ci sono regole anche per la parte aggredita, regole che Kiev calpesta abbondantemente (vedi ad esempio qui).
In altri termini, il fatto che l’ONU abbia riconosciuto che l’Ucraina è stata aggredita dalla Russia, non solleva affatto Kiev dai suoi obblighi militari ed umanitari.  Il riconoscimento internazionale non cancella le proprie responsabilità odierne e passate, che sono tante e gravissime. Questo il Papa ha detto ed il frastuono della risposta dell’ambasciatore ucraino alla Santa Sede, non trasformerà una menzogna in verità.
Patrizio Ricci, VPNews, qui.

E ora guardiamo e ascoltiamo lei in persona. Eccola

(E non parlerò di quelli che “lei comunque la pensava come suo padre” per cui bisogna festeggiare il fatto che l’abbiano fatta fuori, perché mi viene troppo da vomitare)
Nel frattempo le armi americane continuano a distruggere e uccidere

e Liz Truss, probabile futuro primo ministro inglese, si dichiara pronta a usare le armi nucleari:

chissà se le hanno detto che di quei giocattolini Putin ne ha 37,7 volte più di lei e che la Russia è grande 81,68 volte l’Inghilterra, vale a dire che ha uno svantaggio di 3079,336 volte. Brutta cosa non saper fare i conti e in più essere una testa di cazzo.
E restando in tema di confronti

Per non parlare di quello che c’è adesso. E un’altra cosa interessante da guardare:

https://t.me/letteradamosca/8103

Com’era quella delle selvagge aspirazioni espansionistiche della Russia?

barbara

IN ARMENIA, NEL FRATTEMPO

“Noi Armeni abbiamo il terrore che la Turchia vinca la guerra in Ucraina”

Dai droni di Erdogan all'”invasione strisciante” dei villaggi armeni, intervista al giornalista armeno Tigrane Yegavian. “L’Europa pietisce il gas degli azeri che ci radono al suolo chiese e cimiteri”

La mappa della Turchia che vorrebbe Erdogan

“Un nuovo cucciolo di lemure nato allo zoo di Kiev è stato chiamato ‘Bayraktar’. Il lemure prende il nome dal drone turco sotto i riflettori globali per il suo successo nel campo di battaglia”. Il Financial Times racconta un aspetto decisivo della guerra in corso. Bayraktar è il nome della famiglia che produce il micidiale drone turco in dotazione dell’esercito ucraino. Il capo, Selcuk Bayraktar, è il genero del presidente turco Recep Tayyip Erdogan (ha spostato la figlia Sumeyye). “Sebbene il drone abbia spazzato via i carri armati armeni nel 2020, gli esperti avevano dubbi sul fatto che il drone potesse avere successo anche contro un esercito moderno come quello russo”.
La Turchia, scrive il quotidiano israeliano Haaretz, “uscirà come una vincitrice da questa guerra ucraina”. Lo si è visto nei giorni scorsi nel caso della “Convenzione di Montreux” del 1936 che consente ad Ankara, in tempo di guerra, di impedire a tutte le navi da guerra di attraversare i Dardanelli e il Bosforo. Invocare la convenzione compromette la mobilità delle navi da guerra russe tra il Mar Nero e la sua struttura navale sulla costa siriana. Due giorni fa, Erdogan ha aperto un gigantesco ponte sospeso (il più lungo al mondo) sui Dardanelli e che unisce Europa e Asia.

Erdogan presenta la mappa della Turchia con i territori della Russia meridionale

Per la Russia il “panturchismo” – l’ideologia volta all’unità dei popoli turchi è una minaccia all’unità della Federazione Russa. Di etnia turca sono, infatti, le popolazioni che abitano diverse cruciali repubbliche della Russia centrale, dal Tatarstan alla Jacuzia, passando per Tuva e l’Altaj. Il “bacino turco” secondo Erdogan si estenderebbe dal mare Adriatico all’Asia centrale. Nelle scuole, durante il mandato di Erdogan, sono apparse mappe che mostrano il potere turco. Si fa riferimento al “Patrimonio turco dal mare Adriatico alla Grande Muraglia cinese”: “I manufatti culturali turchi sono visibili in una vasta regione, a cominciare dai paesi dell’Asia centrale e orientale, come Cina e Mongolia, e si estende in Erzegovina e in Ungheria…”. “Siamo una grande famiglia di 300 milioni di persone dall’Adriatico alla Grande Muraglia cinese”, ha detto Erdogan in un discorso in Moldavia.
A differenza della Russia, la cui popolazione in una generazione crollerà a 113 milioni, la Turchia si avvia a diventare una potenza da 100 milioni di abitanti.
Approfittando della guerra ucraina, da una settimana l’intero Nagorno Karabakh armeno è stato lasciato senza gas dagli azeri, perché la condotta che arriva dall’Armenia è stata interrotta in un tratto sotto controllo azero e i soldati del regime azero impediscono ai tecnici di ripararlo. Ci sono nuovi scontri militari fra Armeni e Azeri, sostenuti dalla Turchia. “Alla fine dell’ultimo conflitto, che ha causato 5.000 morti da parte armena, l’autoproclamata repubblica dell’Artsakh si è trovata amputata per due terzi del suo territorio e circondata dall’Azerbaigian al 95 per cento” scrive su Le Figaro di questa settimana Jean-Christophe Buisson. “Lungo decine di chilometri, molti borghi e villaggi armeni sono bersaglio quotidiano di vessazioni e attacchi armati. L’obiettivo degli azeri? Svuotarli dei loro abitanti, stanchi di una minaccia costante. I contadini sono minacciati durante il lavoro agricolo, le strade e le comunicazioni sono regolarmente tagliate, i fiumi, che ora hanno la sorgente in territorio azero, sono prosciugati. Una vera tortura cinese nel mezzo del Caucaso. Dall’inizio della guerra in Ucraina, la situazione degli armeni è peggiorata. Dopo aver approfittato della tumultuosa campagna elettorale americana nell’autunno 2020 per lanciare il suo attacco militare su larga scala, Baku ora sembra volerlo rifare: chi si preoccuperà in questo momento degli armeni protetti da un esercito russo emarginato dalla comunità internazionale? La scorsa settimana, postazioni militari e villaggi armeni sono stati presi di mira da granate e colpi di mortaio, provocando diverse vittime (soldati e civili). Ai margini di villaggi come Taghavard, gli azeri trasmettono messaggi tramite altoparlanti esortando i residenti ad andarsene prima di essere costretti a farlo. L’Alto rappresentante europeo Josep Borrell e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel hanno incontrato intanto i ministri e il presidente azero per negoziare ulteriori importazioni di gas. Un gesto visto da Stepanakert, capitale dell’Artsakh, come un incoraggiamento rivolto al dittatore Ilham Aliev nella sua politica di ‘invasione strisciante’ del territorio armeno”.
Già, l’energia… Lo stop al grande gasdotto russo Nord Stream 2 va a vantaggio del famoso “Corridoio meridionale del gas” (conosciuto come Tap Tanap) che attraversa tutto il territorio della Turchia per concludere il suo flusso nel Salento.
Anche Grecia e Cipro (che nella mappa di Erdogan deve diventare tutta turca) sono preoccupate che la Turchia approfitterà del caos ucraino per farà avanzare le sue pedine nel Mediterraneo. E nei Balcani, dove l’Impero Ottomano ha dominato a lungo, la Turchia di Erdogan svolge adesso il ruolo che un tempo aveva la Russia.
Un appello su Le Figaro, a firma dell’etnologo Stéphane Breton, dello storico Hamit Bozarslan, del filosofo Pascal Bruckner e dello storico Jean-François Colosimo, ha denunciato: “Ankara vuole estendere la sua influenza affidandosi a un islamismo conquistatore. Chi ha seminato il caos in Siria, Iraq, Libia? Chi è intervenuto nel Caucaso? Chi cerca di destabilizzare il Libano, l’Egeo, Cipro? Chi punterà domani a sconvolgere i Balcani, l’Asia centrale? La storia ci insegna dolorosamente che una pacificazione non ha mai placato l’appetito di un regime espansionista né fermato la marcia di un’ideologia mortale”. 
La sconfitta della Russia in Ucraina metterebbe sicuramente un freno al violento espansionismo di Mosca, ma sarebbe una manna per l’espansionismo turco che ha l’Europa nel mirino. “Cui bono?”, si domanda l’analista Srda Trifkovic su Chronicles Magazine. Chi vincerebbe in Ucraina? “Certamente la Cina e il mondo musulmano e in particolare Erdogan, per il quale gli infedeli che litigano tra loro creano nuovi e significativi spazi di manovra”.
Intanto, al Parlamento Europeo lo svedese Charlie Weimers denunciava il 10 marzo: “Ho assistito ai risultati del genocidio culturale dello Stato islamico contro cristiani, caldei, assiri e siriaci quando ho visitato l’Iraq e la Siria. Chiese sconsacrate millenarie, statue di Maria decapitate, icone distrutte, pagine carbonizzate di Bibbie sparse per le strade. Distruggere il patrimonio culturale è cancellare un’identità, una storia, una nazione. Il presidente dell’Azerbaigian Aliyev sta seguendo le orme dello Stato islamico. I rapporti nelle immagini satellitari hanno meticolosamente tracciato la distruzione sistematica di 100 chiese armene medievali, migliaia di croci e decine di migliaia di lapidi. Signor Commissario, colleghi, l’UE deve condannare il genocidio culturale commesso dal presidente Aliyev contro i siti del patrimonio cristiano armeno. Lo riterrà responsabile del continuo genocidio culturale contro gli armeni?”.
La risposta non è difficile…

(ma sarà poco figo?!)

Ne parlo per la newsletter con Tigrane Yegavian, giornalista e saggista armeno fra i migliori in Europa.

Gli azeri stanno attaccando di nuovo voi armeni…
Gli azeri stanno cercando di avanzare le loro pedine e di ottenere il massimo dalla debolezza strutturale armena e dalla situazione internazionale. Gli armeni hanno molto da perdere da questa guerra in Ucraina. Se i Russi perdessero, dovrebbero abbandonare il Karabakh, dove l’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, ridotta al minimo indispensabile, sopravvive grazie alla protezione delle forze russe il cui mandato scade nel 2025. Gli azeri e i turchi puntano ora a conquistare la fascia di terra armena che le unirebbe.

Perché l’Europa è così fredda con i cristiani armeni?
Ipocrita Europa, che ha bisogno del gas azero, specie ora che deve fare a meno di quello russo. L’Europa è debole, divisa, è succube della diplomazia del caviale e del gas. L’Europa è in una crisi morale profonda.

Cosa rappresenta l’Armenia per noi occidentali?
Noi armeni siamo vittime del rullo compressore della mondializzazione. E se scomparissimo, saremmo la sentinella dell’Occidente.

Come avete preso voi armeni la guerra in Ucraina?
Questa guerra in Ucraina offre all’Azerbaigian l’opportunità di gonfiare il petto e negoziare le consegne di gas agli europei come alternativa alla Russia. L’Ucraina ha scelto il suo campo, quello della Nato e della Turchia, ma anche quello dell’Azerbaigian. Gli armeni, dal canto loro, non dimenticano che durante la guerra dell’autunno 2020, erano state le bombe al fosforo fabbricate in Ucraina a causare scompiglio tra i soldati e le foreste dell’Artsakh… Non contenti di attaccare i vivi, moltiplicando il fuoco dei cecchini sui contadini e sulle abitazioni isolate, rubando il bestiame, avvelenando le fonti d’acqua, esercitano ogni tipo di abuso e tortura sui prigionieri armeni e sui civili rapiti. Gli azeri perseguono un vero e proprio etnocidio nei territori che hanno conquistato eliminando sistematicamente ogni traccia dell’eredità cristiana armena, radendo al suolo cimiteri, chiese, distruggendo musei, biblioteche….Il futuro del Karabakh armeno è quindi strettamente legato a quello della Russia in quanto l’Armenia, troppo debole, non può più garantirne l’integrità.

Quali sono gli interessi comuni di Turchia e Ucraina?
I turchi hanno interessi in Ucraina, in particolare in Crimea per la minoranza di lingua turca. L’Armenia ha riconosciuto l’annessione della Crimea alla Russia mentre l’Ucraina riconosce l’integrità territoriale dell’Azerbaigian, il caos è stato importato dall’Ucraina. Turchi e ucraini hanno entrambi interesse a unirsi per affrontare l’espansionismo russo nel Mar Nero. Kiev e Ankara sono ora legati da una partnership geostrategica che ha senso, in quanto Erdogan, che vende i suoi droni bayraktar agli ucraini, ha ulteriore influenza sui russi con i quali mantiene una rivalità nel Mediterraneo orientale, nel Caucaso e in Africa. Non dimentichiamo che i russi temono il tentativo di destabilizzazione attraverso la strumentalizzazione delle decine di milioni di musulmani in Russia, oggetto di tutta l’attenzione di Ankara.
Giulio Meotti

Come sempre, guerre di serie A e guerre di serie B, vittime di serie A e vittime di serie B, indignazioni a comando e a corrente alternata, ma se li chiami ipocriti (sepolcri imbiancati, li chiamava un ebreo di una certa notorietà) strillano come vergini violate.
All’Ucraina, visto che avete già avuto abbastanza da leggere, oggi dedicherò solo un po’ di immagini, e per la precisione, a un po’ di sbufalamenti. Il primo riguarda la cosiddetta strage di Mariupol, che finalmente si sono dovuti arrendere e riconoscere che era inventata, ma a qualcuno, a quanto pare, il fatto che quei mille morti non ci sono stati dispiace parecchio

Per i bambini greci, qui per chi non ricordasse.

Poi ci sono i pompieri australiani spacciati per pompieri ucraini, con tanto di photoshop della bandiera ucraina sulla manica

Poi c’è quella che non è mica vero che in Ucraina c’è un po’ di nazismo

E poi c’è questo spettacolare grafico a torta

Notate niente? A parte i contrari in un verde un po’ smorto, che già di per sé sfugge all’occhio e sembra rimpicciolirsi, mentre il settore dei favorevoli è di un rosso brillante e squillante, che si impone all’occhio, anche a riuscire a guardarlo con obiettività, il settore del 55% dei contrari è meno della metà, mentre quello dei favorevoli appare decisamente maggiore di 1/3 del totale. Ora, per fare un grafico si devono solo inserire i dati, e il sistema fa tutto da solo. Io non ne avevo mai fatti, ma ho voluto provare per l’occasione: ho selezionato inserisci grafico, ho selezionato quello a torta, ho inserito le percentuali e il sistema, senza che io dovessi fare nient’altro, mi ha dato questa immagine

Quindi quella pubblicata è stata alterata a mano per dare l’impressione che i contrari non siano la maggioranza assoluta. E questi sono i nostri mass media, a cui quelli intelligenti hanno scelto di credere a occhi chiusi.
Ma la più strepitosa di tutte è questa

in uno stato governato da un fantoccio messo su dalla NATO+Obama+Biden+Soros (dichiaratamente) dopo un colpo di stato piuttosto sanguinoso per il quale sono stati spesi 5 miliardi di dollari, che ha dichiarato fuorilegge tutti i partiti dell’opposizione e imbavagliato le televisioni: servono commenti? E, a parte questo, che cosa significa l’immagine? Quali sarebbero le democrazie supportate con le invasioni elencate a sinistra?
E poi c’è Cicciobello nostro, che parla ai parlamenti e commuove tutti. Convince tutti. Ma, scusate, cosa ci sarebbe di strano? Quale attore, anche non eccelso, non è capace di far piangere? L’attore fa sempre e solo quello che regista e produttore gli ordinano di fare, e diventa ciò che i suddetti padroni gli ordinano di essere. Per dire, questa è Helen Mirren

e questa è sempre Helen Mirren.

E questo è Zelenzky

e questo è sempre Zelensky, la stessa identica persona.

Col parlamento Israeliano, però, che doveva rappresentare l’apoteosi, ha decisamente pisciato fuori dal vaso (dopo avere, per la verità, già pisciato fuori dal vaso rimproverando fortemente Israele per la sua neutralità, ossia per non essersi accodata alla costruzione della terza guerra mondiale). Dopo avere evocato Churchill con gli inglesi, l’11 settembre e Pearl Harbour con gli americani, il muro di Berlino coi tedeschi eccetera, con la Knesset non ha trovato di meglio che paragonarsi alle vittime della Shoah. Dalle mie parti si dice “l’osèo ingordo ghe crepa el gosso”, all’uccello ingordo si rompe il gozzo. E anche agli attori stupidi che obbediscono ai propri padroni senza poter usare un cervello che non hanno. E io sono fiduciosa che prima o poi tutti i nodi verranno al pettine.

barbara

IL PRESTIGIOSO PREMIO NOBEL

Quello che per la letteratura viene dato a Dario Fo e a Bob Dylan (e io ci metterei anche Quasimodo, che come “poeta” per me sta allo stesso livello di quei due, se non al di sotto). Quello che per la pace viene dato a una signora africana che ha piantato degli alberi (sic!) e che sostiene a spada tratta le mutilazioni genitali femminili. E a Barack Hussein Obama – preventivamente, cosa che non sta né in cielo né in terra, cioè praticamente glielo hanno dato perché è negro, altre spiegazioni non si trovano – il peggior nemico della pace mondiale dopo Hitler, che ha leccato il culo a tutti i peggiori fondamentalisti islamici e voltato il proprio, di culo, a tutti i più sinceri amici, che ha lasciato affondare e massacrare gli studenti dell’Onda Verde in Iran, al quale Iran ha regalato su un piatto d’argento la bomba atomica finalizzata a cancellare Israele dalla faccia della terra, che ha fatto scatenare le cosiddette primavere arabe con un bilancio, molto provvisorio, di molte centinaia di migliaia di morti. Eccetera. E al terrorista Arafat. E all’Onu, per le cui nefandezze non basterebbe un libro delle dimensioni di Guerra e pace, e, in particolare, nella persona di Kofi Annan. Ecco, quel premio Nobel lì. A chi sarà mai andato quest’anno quello per la letteratura?

Nobel a Gurnah contro il colonialismo. Quello europeo, non quello arabo

Il premio Nobel per la letteratura è stato conferito allo scrittore tanzaniano Abdulrazak Gurnah. Nelle motivazioni c’è la sua “intransigente e compassionevole analisi” degli effetti del colonialismo. Di quale colonialismo si parla? Di quello europeo. Eppure il colonialismo arabo a Zanzibar, in 13 secoli, deportò 12 milioni di schiavi. 

Il premio Nobel 2021 per la letteratura è stato conferito allo scrittore tanzaniano Abdulrazak Gurnah, residente dal 1967 in Gran Bretagna dove ha insegnato inglese e letterature post coloniali presso l’università del Kent fino alla pensione. Gurnah è autore di dieci romanzi e di diversi racconti e saggi. I suoi personaggi, spiega la fondazione Nobel “si trovano in uno iato tra culture e continenti, tra una vita che era e una vita emergente” con il merito di “rifuggire dalle descrizioni stereotipate” e di “aprire il nostro sguardo su un’Africa orientale culturalmente diversificata, sconosciuta a molti in altre parti del mondo”.

La fondazione Nobel ha ragione. Le coste e le isole dell’Africa orientale sono state nei secoli uno straordinario luogo di incontro di etnie, culture e religioni. In quelle del Kenya e del Tanzania è nata e si è sviluppata la società swahili, urbana, una delle poche realtà africane proiettate verso l’esterno, con regolari rapporti commerciali lungo l’Oceano Indiano, fino in Cina, già a partire dall’VIII Secolo, con una lingua antica come quella italiana. Che sia un “melting pot”, un crogiuolo di culture ed etnie, come sostengono alcuni antropologi è opinabile. L’evidenza, lì come in altri contesti, è piuttosto di una supremazia della componente più forte: in questo caso, imposta dalla popolazione arabo-islamica – i Waswahili – e subita dalle tribù bantu originarie e da ogni altra componente via via aggiuntasi, almeno finché la regione non è stata colonizzata da Gran Bretagna e Germania alla fine del XIX Secolo.

Abdulrazak Gurnah è nato nel 1948 a Zanzibar, l’isola da cui per secoli gli arabi, la cui colonizzazione del continente africano è iniziata subito dopo la morte di Maometto nel 632, hanno controllato le coste africane e gestito il commercio sia con l’interno del continente sia con i Paesi asiatici. Gli schiavi erano una delle merci: uomini, donne e bambini comprati o catturati, più di dodici milioni di persone nell’arco di 13 secoli. La tratta degli schiavi è stata proibita sulla costa swahili dalla Gran Bretagna all’inizio del XX Secolo, ma il risentimento, il desiderio di rivalsa delle popolazioni bantù è rimasto vivo. Non si spiega diversamente la feroce rivolta delle popolazioni bantu di Zanzibar che nel 1964, istigate da due partiti di ispirazione comunista (Che Guevara all’epoca si stava illudendo di fare dell’Africa il centro da cui iniziare la rivoluzione comunista mondiale), hanno ucciso da 5mila a 12mila Waswahili su un totale di 22mila. Abdulrazak Gurnah e i suoi famigliari sono tra i sopravvissuti che hanno lasciato l’isola non appena hanno potuto, finendo per ottenere asilo in Gran Bretagna.

Il protagonista di Paradise, il romanzo che lo ha fatto conoscere al grande pubblico anglofono nel 1994, è un ragazzino venduto dal padre per pagare un debito. Descrive  una situazione comune un tempo. Di solito erano le famiglie bantu dell’entroterra swahili a vendere i figli, preferibilmente le femmine, in caso di necessità. Oppure, durante una carestia, scambiavano un figlio con del mais che ai Waswahili della costa non mancava mai. Forse è questo mondo che Gurnah racconta nei suoi libri, insieme alla sua personale esperienza di profugo. La fondazione del Nobel ha deciso di conferirgli il premio “per la sua intransigente e compassionevole analisi degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti”.

Ma quando, riferendosi all’Africa, si dice “colonialismo”, senza specificare, si intende sempre unicamente il colonialismo europeo, non altri, di cui si dimentica o si rifiuta di ammettere l’esistenza. Forse quindi alla fondazione Nobel, di Gurnah, è piaciuto che nei suoi libri descriva i traumi culturali e sociali prodotti dall’impatto con la società occidentale, non quelli patiti a causa della colonizzazione arabo-islamica che pure tante sofferenze ha inflitto e continua a infliggere in Africa, dove l’intolleranza islamica, combinata con il tribalismo, fa vittime e danni anche quando non assume i caratteri estremi del jihad. 

Quanto ai rifugiati e al loro destino, l’ammirazione per l’analisi “intransigente e compassionevole” contenuta nei libri di Gurnah sarebbe condivisibile se non fosse che, come ormai fanno in tanti, lui confonde rifugiati ed emigranti illegali. “L’Europa dovrebbe accogliere gli emigranti con compassione invece che fermarli con il filo spinato – ha detto all’agenzia di stampa Reuters che lo ha intervistato il giorno in cui ha vinto il Nobel – e attualmente il governo britannico si comporta in modo davvero molto brutto con i richiedenti asilo e con chi chiede di entrare nel paese”. Non è che Gurnah non capisca la differenza. Come tutti i sostenitori dei “porti aperti”, delle frontiere aperte la conosce e semplicemente non la accetta. “Sembra così sorprendente al governo britannico – dice – che della gente che arriva da luoghi difficili voglia venire in un paese ricco? Perché si meraviglia tanto? Chi non vorrebbe venire in un paese più prospero? C’è della cattiveria nella sua risposta”.

E, seduto nel suo giardino di Canterbury, all’ombra di un acero – così lo descrive Reuters – parla in toni lirici dell’esperienza di emigrare, di lasciarsi alle spalle la famiglia e una parte della propria vita per vivere in una nuova società in cui si sentirà sempre in parte un estraneo. 

Anna Bono, qui.

Anna Bono è stata ricercatore in Storia e istituzioni dell’Africa presso il Dipartimento di culture, politica e società dell’Università di Torino fino al 2015. Dal 1984 al 1993 ha soggiornato a lungo in Africa svolgendo ricerche sul campo sulla costa swahili del Kenya. Dal 2004 al 2010 ha diretto il dipartimento Sviluppo Umano del Cespas, Centro europeo di studi su popolazione, ambiente e sviluppo. Fino al 2010 ha collaborato con il Ministero degli Affari Esteri nell’ambito del Forum Strategico diretto dal Consigliere del Ministro, Pia Luisa Bianco. Collabora con mass media prevalentemente di area cattolica.

Già, toccare i responsabili del peggiore schiavismo, in atto ininterrottamente da quasi un millennio e mezzo; del peggiore stragismo, in atto ininterrottamente da quasi un millennio e mezzo; del peggiore colonialismo, che in quasi un millennio e mezzo ha ormai invaso circa un quarto del pianeta

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e che, a differenza del colonialismo europeo da un pezzo morto e sepolto, sta continuando tuttora a espandersi guadagnando quartiere dopo quartiere tutte le nostre principali città e capitali – toccare quelli, dicevo, provare a pestare i calli a quei signori lì, richiede coraggio, che il Nostro evidentemente non ha. Molto più facile prendere a schiaffoni chi ti ha accolto, in fuga dalla rabbia di coloro che la tua etnia aveva oppresso e sfruttato colonialmente per secoli; molto più comodo sputare sul piatto che ti è stato offerto quando non avevi niente; molto più redditizio mordere la mano che ti ha nutrito senza chiedere niente in cambio. Com’era quel vecchio proverbio? Quando la merda monta in scranno, o fa puzza o fa danno. Soprattutto quando viene addirittura messa sul piedistallo dal Merdaio Supremo.

barbara

JOE BIDEN ALLA PRESIDENZA DEGLI STATI UNITI È LA PEGGIORE SCIAGURA CHE POTESSE CAPITARE AL MONDO

Ecco perché.

No, Biden è solo un piccolo Carter, fa danni agli Usa e al mondo intero

Seguito a pensare che noi – in Europa e specialmente in Italia – abbiamo una visione ridotta e deformata dell’America e di tutto ciò che accade in quel grande paese da cui ci arrivano soltanto echi deformati e filtrati, in modo tale da poter soddisfare due o tre tipi di palati, non di più. Cosi è successo con il caso Biden. Biden più che un presidente è un enigma della storia americana. Il Presidente del passato che gli somiglia di più, ma con alte capacità visionarie fu Jimmy Carter; l’uomo nuovo che avrebbe vendicato la sinistra dopo le arroganze repubblicane, ma che portò il paese alla rovina avendo avuto anche la sfortuna di trovarsi di fronte all’insediamento dell’ayatollah Khomeini in Iran, alla cattura degli ostaggi americani nell’ambasciata e al più sfortunato blitz della storia di quel paese quando gli elicotteri dei corpi speciali mandati a soccorrere gli rovinarono tutto per una diabolica serie di errori e guasti meccanici. Oggi è diverso. Biden è il successore di Donald Trump. I lettori del Riformista probabilmente ricordano e ancora si indignano per questa mia scandalosa opinione, ma il tycoon è stato per me l’uomo che scelse di esporsi in maniera ustionante all’opinione pubblica cosi da attirarsi i fulmini, le maledizioni e l’odio ideologico delle sinistre che lo volevano al rogo. I fatti: Donald Trump aveva deciso di ritirare le truppe americane da tutto il mondo dichiarando che l’America non avrebbe più fatto da babysitter (mandando a morire i propri soldati in ogni angolo del mondo) a chi risparmia sulla propria difesa e spendendo i miliardi di dollari così risparmiati – il riferimento era agli europei e soprattutto alla Germania – per promuovere industrie concorrenti a quelle americane. Tutto fu condensato nello slogan “America First” che voleva dire: per noi americani viene prima l’America, gli altri si arrangino. Questa posizione non poteva piacere alle Cancellerie ma aveva una logica evidente e brutalmente pacifista. L’America prima del Covid toccava i massimi picchi di occupazione di afroamericani e di tutte le minoranze emarginate grazie a un taglio delle tasse drastico usato dalle aziende per espandersi e assumere. Tutto ciò in Europa era visto più o meno come i conservatori potevano vedere la Rivoluzione Russa dai loro consigli d’amministrazione nella City di Londra e nella Wall Street di un secolo fa: un pessimo esempio di stroncare. Trump stava dando un pessimo esempio della utilità sociale del più brillante (e regolato) capitalismo che tra l’altro ha prodotto in tempi fulminei i vaccini che ci stanno salvando la pelle. Gli stessi vaccini su cui Trump contava per poter essere rieletto. Biden è stato riciclato da uomo d’apparato e di rappresentanza ai cocktail come antagonista vendicatore delle sinistre di tutto il mondo unite. In realtà Biden non è nessuno. È stato scelto come il più anziano candidato degli Stati Uniti perché si portava in ticket Kamala Harris, una donna che finge di essere nera mentre è soltanto figlia di un funzionario indiano dell’ex impero inglese. La Harris, come Obama, non discende dagli schiavi acquistati dagli inglesi presso i mercanti arabi anche alla Serenissima Repubblica di Venezia (che cosa pensate che fossero tutti quegli africani in livrea e scimmietta sulle spalle nei quadri del Canaletto?).
I progettisti della vittoria di Biden (l’unico presidente eletto con una maggioranza di voti postali recapitati per camion, tutti soltanto col suo nome) sono stati i clan Obama e Clinton, desiderosi di insediare un presidente traballante sulla cui longevità nessuno scommette, e di piazzare automaticamente, insieme a lui, non solo una donna, ma una donna che finge di essere nera: «I’m not a socialist – disse la Harris in un’intervista – but just a mother of a black child». «Non sono una socialista, sono soltanto la mamma di un bimbo nero». Quanto alle sue proprie qualità, oltre a un lifting facciale da neonato, è una che perde la parola e che dà distrattamente del killer al presidente. Per la Harris in Italia stravedono tutti per riflesso pavloviano. È colorata? È il nostro idolo. Perché? perché prevale un pregiudizio razziale, prudentemente espresso in maniera inversa. lo ho due figli americani con cui parlo ogni giorno, e loro e i loro amici detestano Kamala Harris perché come Procuratore ha mandato in galera il più alto numero di ragazzi di colore solo per aver fumato marijuana. Biden ha combinato una catastrofe in Afghanistan di proporzioni ancora ignote. L’Afghanistan produce due beni: la più grande quantità di eroina destinata ai mercati mondiali che frutta ai talebani fra i tre e i quattrocento miliardi di dollari l’anno. Ma c’è dell’altro e Biden lo sa. O dovrebbe saperlo. L’Aghanistan produce minerali, detti “terre rare”, con cui varare la futura generazione dei cellulari, dei sistemi d’arma, del tiro dei carri armati, dei satelliti. La Cina è già in Afghanistan, ben piantata insieme ai russi e al Pakistan. I cinesi sono i nemici già scelti della prossima guerra americana che Trump aveva disegnato come possibile e che Biden ha fatto riclassificare come “probabile” in quel mare del Sud della Cina che non è della Cina ma dove la Cina si è piazzata armando abusivamente gli atolli per spingere i confini oltre i limiti già rifiutati dal tribunale dell’Aja. In quel mare la Cina ha varato una flotta che per qualità e quantità supera quella degli Stati Uniti. L’India è permanente terra di frontiera con la Cina, che a sua volta si è riavvicinata alla Russia con cui compie continue esercitazioni militari. Il mondo è dunque una polveriera minacciato da una guerra di cui non abbiamo la più pallida idea. La Cina grazie a Biden è in trattativa con i talebani per un faraonico programma di industrializzazione, sapendo che i narcotrafficanti travestiti da santissimi uomini della sharia pagheranno in narco-dollari. Tutti gridiamo il nostro sdegno per il mostruoso dramma delle donne e delle bambine afghane che già vengono uccise e cacciate dalle scuole. Ma non abbiamo visto una sola grande manifestazione nelle città italiane perché al di là di quattro parole di circostanza la sinistra italiana non se la sente di scendere in piazza contro le pratiche islamiche nemiche della donna e della democrazia. Quanto al fatto che le democrazie non si esportano con le armi, il Giappone è il lampante esempio del contrario: il generale americano MacArthur, dopo aver imposto al Giappone la resa senza condizioni e dopo averne impiccato i criminali di guerra, dette ordine di edificare un Parlamento, poi scrisse la Costituzione del Giappone e disse: da oggi, e in nome delle nostre armi, questa è una democrazia parlamentare libera con elezioni libere. Da quel momento il Giappone è diventato una delle più perfette e funzionanti democrazie del mondo.
Ma la sinistra italiana imbavagliata e legata come un salame dai propri pregiudizi seguita a fare il tifo per un uomo come Biden, che ha dato dei vigliacchi ai poveri afghani (che hanno avuto settantamila morti in combattimento, mentre gli americani sono stati poco più di mille) vittime di un’invasione esterna, quella talebana, e che accusa di incapacità. Abbiamo visto che gli afghani forse non volevano ancora la democrazia non sapendo bene che cos’è ma avevano imparato qualcosa come la libertà, il rispetto per le donne, la pubblica istruzione, l’umanità. I nostri soldati in Afghanistan avevano le braccia legate dietro la schiena quanto a uso delle armi perché non potevano far altro che rispondere al fuoco se attaccati ma hanno fatto miracoli incredibili per aiutare le persone e difenderle. Gli afghani hanno assaggiato la libertà dalla paura e oggi si passano i bambini attraverso il filo spinato, che è il filo spinato di Biden il quale rischia di portare l’umanità sull’orlo della catastrofe e – udite, udite – i democratici hanno deciso di metterlo sotto inchiesta davanti al Senato e alla Camera bassa per indagare con quali criteri abbia agito il loro Presidente per produrre un danno così devastante all’immagine degli Stati Uniti, agli ideali degli Stati Uniti, al prestigio degli Stati Uniti, alla vittoria del male contro il bene. Biden balbetta. Fa discorsi carichi di odio nei confronti dei perdenti e ammette di aver ordinato la rotta dall’Afghanistan perché doveva pagare la cambiale elettorale all’estrema sinistra socialista che lo aveva votato. E non sapendo come chiudere un discorso imbarazzante per il mondo intero, dopo una lunga pausa e strizzando gli occhi per far capire che è molto arrabbiato, assicura che se i talebani si comporteranno male, be’, allora la sua vendetta sarà devastante. Il corpo dei giornalisti accreditati si è chiesto a base di quale bevanda fosse stato l’aperitivo.
Paolo Guzzanti, qui.

E dunque abbiamo visto Carter abbandonare l’Iran nelle mani degli ayatollah e fallire penosamente il tentativo di liberare gli ostaggi, e abbiamo pensato che quello è stato indubbiamente il peggior presidente degli Stati Uniti e che difficilmente si sarebbe potuto fare di peggio. Poi abbiamo visto Obama prendere a calci gli alleati e baciare i nemici, lo abbiamo visto devastare l’intero Medio Oriente con le cosiddette primavere arabe, abbandonare gli studenti iraniani senza pronunciare una sola parola, regalare l’atomica all’Iran, rifiutarsi di ricevere il Dalai Lama per non irritare la Cina, mettere ripetutamente in pericolo Israele – nei cui confronti non ha mai nascosto il proprio incontenibile odio – con l’aggiunta di tutta una serie di pesanti sgarbi diplomatici nei confronti di Netanyahu, e abbiamo pensato che sì, peggio di Carter era possibile e che lui lo aveva abbondantemente superato. Poi è arrivato Biden… Certo che vedere sotto inchiesta il capo di quelli che hanno passato quattro interi anni e speso decine di milioni di dollari nel tentativo di mettere sotto inchiesta Trump è veramente una cosa da festeggiare col migliore champagne.
Se però, arrivati fin qui, pensate di avere visto tutto, beh, vi sbagliate di grosso. Leggete un po’ qui.

Ritiro dall’Afghanistan: secondo le rivelazioni di Reuters, ciò che ha fatto Biden è peggio di quanto pensassimo

Questo giovedì 19 agosto, i giornalisti Idrees Ali, Patricia Zengerle e Jonathan Landay hanno riportato informazioni inquietanti, accompagnate dall’immagine qui sopra.

Veicoli militari trasferiti dagli Stati Uniti all’Esercito Nazionale Afghano nel febbraio 2021

Si tratta del materiale militare che gli Stati Uniti hanno consegnato all’esercito afghano nel febbraio 2021 e che ora è nelle mani dei talebani. Ma l’informazioni più scioccante si trova nell’introduzione dell’articolo, in cui i giornalisti ricordano che gli elicotteri sono stati consegnati dall’amministrazione Biden solo un mese fa!
Circa un mese fa, il ministero della Difesa afghano ha pubblicato sui social le foto di sette elicotteri nuovi fiammanti consegnati dagli Stati Uniti e arrivati a Kabul, dice l’articolo.
Ma secondo le indagini l’amministrazione Biden non ha consegnato all’esercito afghano solo sette elicotteri nuovissimi nel luglio 2021, poche settimane prima del ritiro totale, lasciando tutto ai talebani, è peggio di così!
• Oltre a sette elicotteri UH60, poco prima del ritiro sono stati consegnati quattro elicotteri da combattimento MD 530 e tre aerei da combattimento rimessi a nuovo,
• E «nove elicotteri Mi-17 arriveranno entro fine settembre»
Abbiamo iniziato a consegnare [a Kabul] gli aerei di cui vi abbiamo parlato in precedenza. Tre di questi, recentemente rinnovati, sono atterrati a Kabul venerdì, e continueranno ad avere un analogo sostegno regolare in futuro», ha detto ai giornalisti venerdì 21 luglio al Pentagono il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin.
https://www.rev.com/blog/transcripts/defense-sec-lloyd-austin-gen-mark-milley-press-conference-transcript-july-21

INCOMPETENZA AI VERTICI DELLO STATO

Generale McKenzie, 12 luglio 2021: «In realtà stiamo per consegnare aerei in modo piuttosto massiccio laggiù»
Sapevamo che Joe Biden non controlla più il paese. L’economia si sta sgretolando e lui non ne è consapevole, il confine sud è un disastro e Kamala Harris si nasconde per non gestirlo, il costo della vita sale come non accadeva da molto tempo. Biden non ha più capacità cognitive sufficienti, non sa più che cosa sta succedendo intorno a lui. Mangia gelati.

Non sapevamo quanto fosse incompetente anche l’entourage del presidente Biden. La tragica fuga dall’Afghanistan ce ne ha appena dato la prova. Una cosa è infischiarsene della cultura Woke imposta al Pentagono, delle mutande LGBT e dei colori delle unghie consentiti nelle forze armate, un’altra è guardare in faccia le decisioni di generali e ministri piazzati dall’amministrazione Biden.
Il generale Mark Milley, presidente dei capi di stato maggiore, ha detto ai legislatori statunitensi lo scorso giugno che sarebbe «sbagliato credere ai discorsi dei talebani secondo cui le forze di sicurezza afghane stanno scomparendo di fronte al conflitto.»
Il generale Frank McKenzie, comandante del Comando Centrale degli Stati Uniti, da parte sua, in occasione del suo viaggio a Kabul l’11 luglio 2021 ha detto:
«La maggior parte delle nostre informazioni sui talebani provengono dal governo afghano. Hanno un sistema di intelligence abbastanza buono. Continueranno ad avere un apparato di intelligence piuttosto buono.»
Https://www.msn.com/en-us/news/world/us-finds-intel-a-struggle-in-afghanistan-as-troops-withdraw-and-taliban-surges/ar-AAM2Pvk
E ha aggiunto:
«In realtà stiamo consegnando aerei in modo piuttosto massiccio lì», ha detto McKenzie. Questo mese verranno consegnati sette elicotteri UH60 e quattro elicotteri da combattimento MD 530 e nove elicotteri Mi-17 arriveranno entro la fine di settembre.
Lo ha confermato l’esercito afghano, aggiungendo che altri saranno consegnati nei prossimi mesi:
«Gli elicotteri sono stati consegnati oggi a Kabul e devono essere ufficialmente consegnati all’aviazione durante una cerimonia speciale. In conformità con il piano, nei prossimi mesi verranno consegnati all’Afghanistan altri elicotteri», ha affermato il portavoce del 209° Corpo Shokhin dell’Esercito Nazionale Afghano(ANA) in una dichiarazione pubblicata da Interfax.
https://www.defenseworld.net/news/30041/Taliban_Shoots_Down_Afghan_Helicopter_Even_as_U_S__Delivers_New_Attack_Choppers#.YR_ksy0RoeY
I generali e il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin non sono gli unici membri incompetenti. Anche il Segretario di Stato Blinken vive in una realtà virtuale. Il 25 giugno ha dichiarato :
«Stiamo esaminando con molta attenzione la sicurezza sul campo in Afghanistan e ci chiediamo anche se i talebani siano davvero seri in merito a una risoluzione pacifica del conflitto», ha dichiarato il segretario di Stato in un’altra conferenza stampa.
https://www.reuters.com/world/asia-pacific/talebans-actions-inconsistent-with-pursuit-peace-afghanistan-says-blinken-2021-06-25/
Meno di un mese dopo ha fatto consegnare a Kabul degli elicotteri nuovi di zecca, quando 700 camion militari erano appena caduti nelle mani dei talebani.
Quando vi dicevo che è una cosa grave, non è tutto…

Obama e ISIS stagione 2
Non osiamo bombardare le attrezzature per paura che ciò possa irritare i talebani

La velocità con cui i talebani hanno spazzato via l’Afghanistan ci ricorda un precedente doloroso, sempre sotto la guida di un presidente democratico: i militanti dello Stato Islamico che hanno preso le armi dalle forze irachene appoggiate dagli Stati Uniti che hanno offerto poca resistenza nel 2014, e hanno catturato in poco tempo vasti territori.
E ricordate, in quell’occasione il presidente Obama si rifiutò di bombardare i pozzi di petrolio caduti nelle mani dell’ISIS per paura di causare danni ecologici, e dichiarò di essere in grado solo di «contenere» l’ISIS. Donald Trump, appena giunto al potere, li liquiderà in pochi mesi tra l’indifferenza dei media, che lo detestano al punto da non riconoscergli alcun merito per i suoi successi.
L’amministrazione Biden, in parte ereditata dalla squadra di Obama, è sulla stessa linea, e si è detta riluttante a bombardare le attrezzature cadute nelle mani dei talebani «per paura di irritarli» – Non sto inventando niente, ecco testualmente quanto scritto nell’articolo della Reuters:
L’amministrazione del presidente Joe Biden è così preoccupata per queste armi [sequestrate dai talebani] che sta valutando un certo numero di opzioni da perseguire.
I responsabili hanno dichiarato che il lancio di attacchi aerei contro le attrezzature più importanti, come gli elicotteri, non è stato escluso, ma che si teme che ciò possa irritare i talebani in un momento in cui l’obiettivo principale degli Stati Uniti è l’evacuazione delle persone.

OLTRE 2.000 VEICOLI CORAZZATI CATTURATI

Secondo l’attuale valutazione dell’intelligence, i talebani hanno già preso il controllo di oltre 2.000 veicoli corazzati, inclusi Humvee, e fino a 40 velivoli, tra cui UH-60 Black Hawk, elicotteri d’attacco e droni militari ScanEagle.
Le armi leggere sequestrate dai terroristi, come mitragliatrici, mortai, nonché pezzi di artiglieria, compresi i lanciagranate, rappresentano un vantaggio per i talebani contro qualsiasi resistenza che possa sorgere in storiche roccaforti anti-talebane come la valle del Panjshir, a nord-est di Kabul.

REGALI A CINA, RUSSIA, ISIS E AL QAEDA

Reuters conclude così il suo rapporto:
Funzionari statunitensi, precedenti e attuali, temono che queste armi possano essere utilizzate per uccidere civili, sia che vengano sequestrate da altri gruppi militanti come lo Stato Islamico per attaccare gli interessi degli Stati Uniti nella regione, sia che vengano consegnate ad avversari come Cina e Russia.
Funzionari statunitensi hanno dichiarato che prevedono che la maggior parte delle armi siano utilizzate dagli stessi talebani, ma che era troppo presto per dire cosa avessero intenzione di fare, inclusa la possibile condivisione di attrezzature con stati rivali come la Cina.
Andrew Small, esperto di politica estera cinese presso il German Marshall Fund degli Stati Uniti, ha dichiarato che è probabile che i talebani concedano a Pechino l’accesso a tutte le armi americane che potrebbero ora controllare.
Siamo lontani dall’aver visto la fine di questo incubo,e ancora meno di tutte le sue ricadute.

Retrait d’Afghanistan : selon les révélations de Reuters, ce qu’a fait Biden est pire que ce que nous pensions

Riproduzione autorizzata con la menzione seguente : © Jean-Patrick Grumberg per Dreuz.info. (qui, traduzione mia)

Com’era quella cosa del sonno della ragione? Ragazzi, prendiamone atto: siamo nella merda. Tutti.

barbara

LA GUERRA È PACE, LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ, L’IGNORANZA È FORZA

E il razzismo più becero è antirazzismo.

L’America in rivolta perché a scuola i Dem dividono i bambini in base alla razza

L’America è in rivolta per la “teoria critica della razza” nelle scuole pubbliche. Una oscura ideologia accademica formulata negli anni Settanta, spiega il Wall Street Journal, è oggi al centro del dibattito politico. I legislatori della California e dei distretti scolastici di Washington e dell’Oregon l’hanno introdotta nel curriculum; i legislatori del Texas, dell’Idaho, dell’Oklahoma e, più recentemente, della Florida, hanno vietato agli insegnanti di promuovere in classe la teoria critica della razza. 
Cosa sia lo spiega su Usa Today il ricercatore che segue questo filone da un anno, Christopher Rufo del Manhattan Institute. “La teoria della razza critica è una disciplina accademica che afferma che gli Stati Uniti sono stati fondati sul razzismo, sull’oppressione e sulla supremazia bianca e che queste forze sono ancora alla radice della nostra società. Riformula la vecchia dialettica marxista di oppressore e oppresso, sostituendo le categorie di classe di borghesia e proletariato con le categorie di bianco e nero. Ma la conclusione fondamentale è la stessa: per liberare l’uomo, la società deve essere trasformata attraverso la rivoluzione morale, economica e politica”. 
Una forma di “marxismo basato sulla razza”, scrive Rufo, che fa molti esempi della sua penetrazione. A Cupertino, in California, una scuola ha costretto i ragazzi di terza elementare a decostruire le loro identità razziali e sessuali e classificarsi in base al loro “potere e privilegio”. A Springfield, nel Missouri, una scuola media ha costretto gli insegnanti a collocarsi su una “matrice di oppressione”. “Maschi, cristiani, etero di lingua inglese sono i più grandi oppressori”. A Filadelfia, una scuola ha costretto gli alunni di quinta elementare a celebrare il Black Communism e simulare un raduno del Black Power. A New York, un preside di una scuola pubblica ha inviato ai genitori materiale sostenendo la completa “abolizione dei bianchi”. A Portland, in Oregon, gli studenti sono istruiti sulla giustizia razziale in termini di “rivoluzione e/o resistenza”. In pratica, scrive Rufo, la teoria critica della razza nelle scuole è una forma di razzismo approvato dallo stato. 
La Stanford University ha obbligato i dipendenti a partecipare a “gruppi di affinità” basati sulla razza per riflettere sui propri pregiudizi. Due ebrei hanno denunciato la Commissione sulle pari opportunità per essere stati costretti a partecipare al gruppo dei bianchi, i quali hanno dovuto discutere il loro “privilegio razziale in quanto bianchi” e le “responsabilità dei bianchi”. Rufo ha anche diffuso i documenti relativi alle “sessioni di formazione” imposti dalla città di Seattle: dipendenti comunali e comuni cittadini vengono invitati a elaborare i loro white feelings, sentimenti di “tristezza, vergogna, paralisi, confusione, negazione”. 
“Se insegniamo che in qualche modo la fondazione degli Stati Uniti d’America era in qualche modo imperfetta, era corrotta, era razzista, è davvero pericoloso”, ha detto l’ex segretario di Stato Mike Pompeo a “The Cats Roundtable”. “Colpisce le… fondamenta stesse del nostro Paese. Si chiama teoria critica della razza, ma alla fine stanno attaccando le intese centrali che abbiamo condiviso insieme per 245 anni e tentano di dividere il Paese”. “Non dovrebbe essere difficile capire che risolvere il vecchio razzismo con un nuovo razzismo produrrà solo più razzismo” scrive anche Bret Stephens sul New York Times
Ma voci di rivolta contro questa ideologia arrivano anche dal mondo afroamericano. “I democratici lavorano notte e giorno per mantenere in buona salute l’ideologia della razza”. Lo scrive Barrington Martin II su Newsweek, che definisce la teoria critica della razza “un enorme business e fornisce un importante capitale politico ai democratici che desiderano far credere ai neri americani che il razzismo è onnipresente”. È in nome della teoria critica della razza che “stanno indottrinando questa generazione, invitando i nostri figli a guardarsi per il colore della pelle”. 
E non se ne esce. Come dice il ricercatore James Lindsay, uno dei principali critici di questa teoria: “Noti la razza? E’ perché sei razzista. Non la noti? E’ perché sei privilegiato, quindi razzista”. Nel dubbio non resta che inginocchiarsi.
Giulio Meotti

Sapevamo con certezza che con Biden, ossia il quadrumvirato (anche se in realtà sarebbe un triginato + un monovirato) Obama-Harris-Pelosi-Clinton alla Casa Bianca sarebbe iniziato un disastro planetario, sia per la pace mondiale che per la pace sociale interna, ma difficilmente si poteva immaginare che il disastro sarebbe stato di proporzioni così immani e di così rapida attuazione. Chi è credente preghi, chi non lo è si inventi qualche scongiuro o formula magica, perché il prossimo futuro lo vedo proprio nero nero, e non so se e fino a che punto sarà reversibile.

barbara

TUTTO IL BIDEN MINUTO PER MINUTO

Iniziamo con questa gustosa miscellanea di alcuni dei suoi momenti top

E passiamo alla recente conferenza stampa, chiamiamola così, con alcune annotazioni dell’amico Myollnir

ho appena visto la cd Conferenza stampa di Biden, la prima da quando è in carica. Penosa. E’ la prima volta che vedo qualcuno leggere le risposte ad un conferenza stampa (guai a pensare che le domande fossero concordate con la stampa amica…)

E subito dopo

Ci sono sviluppi. Guarda qua: fra gli “appunti” c’è la scheda dei (pochi) giornalisti ammessi, con la foto per non sbagliarsi e con evidenziati quelli da ammettere alla domanda, con il numero d’ordine con cui chiamarli.
Allucinante. E nessuno dei presenti ha nulla da obiettare.
https://nypost.com/2021/03/25/biden-used-cheat-sheet-during-his-first-press-conference/

E perfino così riesce a incasinarsi, come potete vedere nel video che trovate al link. Qui alcune interessanti riflessioni, a cui aggiungo alcune considerazioni di

Lorenzo Capellini Mion

The White House

Ad ogni conferenza stampa il Presidente Trump si trovava di fronte dei pitbull ringhianti e dei lupi ululanti. Il Presidente Biden si è trovato degli agnellini scelti accuratamente che ponevano domande pre concordate.
Dopo due mesi e mezzo senza concedersi alla stampa per un confronto teoricamente senza filtri è apparso stanco, senza verve, con poche idee e spesso confuse. Fatti zero, a parte lamentarsi e addossare colpe all’amministrazione precedente, persino per il disastro da lui creato al confine sud. The blame game a cui gioca da 48 anni.
Ha ammesso di non poter sapere se i bambini migranti separati dai genitori alla frontiera siano davvero i loro figli.
E ha ammesso che in larga parte siano maschi prossimi alla maggiore età, cioè quella militare.
Dovranno tornare alle politiche di Trump se non vogliono la guerra civile, prima del previsto.
Timidissimo sulla Cina vago su tutto il resto, dando l’impressione che senza appunti sarebbe stato perso. E in effetti non è riuscito a completare più di qualche concetto.
Alla domanda sul controllo delle armi, e quindi sul secondo emendamento, ha risposto dettagliatamente riguardo al piano per le infrastrutture. Senza che nessuno lo incalzasse, come si confà con i dittatori, mi ha ricordato l’ultimo Breznev.
I nemici degli Stati Uniti e del mondo libero si saranno goduti lo spettacolo, compresi quelli che vivono alla Casa Bianca. E sono tanti.
In una parola è stato avvilente.

E infatti i terroristi hanno immediatamente ripreso a colpire, la Corea del Nord ha ripreso a lanciare missili, la Cina sbertuccia l’America di santa ragione, l’Iran si è reimpossessato del manico del coltello e, giusto per chiarire chi stabilisce le regole del gioco, ha bombardato due navi israeliane nel giro di tre settimane, ma niente sembra scalfire l’amore cieco di Biden per i macellai iraniani, al cui altare appare pronto a sacrificare gli accordi di Abramo, ossia la pace del Medio Oriente, che se decade trasformerà l’intero Medio Oriente in una macelleria, in aggiunta alle numerose macellerie create da Obama con le cosiddette primavere arabe, le cui vittime si contano – per ora – in centinaia di migliaia (quando si dice “mani grondanti di sangue”), da far scomparire, per numero di vittime ottenute, i successi di Arafat, per non parlare di pidocchietti quali Totò Riina e Tano Badalamenti.
E poi i bambini nelle gabbie, già, che nessuno può visitare. Ma si sa che poche cose sono veramente impossibili se uno è davvero determinato ad arrivarci. E infatti

Qui

Quanto al ritornello che gli stragisti in America siano “per la grande maggioranza bianchi” queste sono le foto segnaletiche di tutti i responsabili di attentati o sparatorie in cui sono rimaste uccise almeno 4 persone per singolo episodio dal 2019 a oggi.

E infine la nave incagliata, che apprendo ora essere di Taiwan ma con carico cinese. Nel momento stesso in cui ho appreso la notizia mi sono chiesta: ma sarà stato davvero un incidente? A quanto pare non sono stata l’unica a pormi la domanda, e qualcuno si è preso la briga di tracciare il percorso della nave prima di andarsi a incagliare: lo potete vedere qui. Tuttavia, anche se le navi bloccate sono centinaia e non si prevede quando la situazione potrà essere sbloccata e nel frattempo il prezzo del greggio sale vertiginosamente, io non sarei poi così pessimista

barbara

COME AMPIAMENTE PREVISTO,

dopo quattro anni di sostanziale pace in Medio Oriente, ecco che in meno di tre settimane…

La spinta di Biden alla guerra in Medio Oriente

Lunedì, l’Iran ha testato un nuovo razzo . Il razzo Zuljanah è un razzo a tre stadi di 25 metri (82 piedi) con un motore a combustibile solido per i primi due stadi e un razzo a combustibile liquido per il terzo stadio. Può trasportare un carico utile di 225 kg (496 libbre).
La spinta dello Zuljanah è di 75 kilotoni, che è molto più di quanto richiesto per lanciare il satellite in orbita. La grande spinta rende lo Zuljanah più paragonabile a un missile balistico intercontinentale che a un veicolo di lancio spaziale. L’ICBM terrestre statunitense LGM-30G Minuteman-III, ad esempio, ha una spinta di 90 kilotoni. Lo Zuljanah può raggiungere un’altezza di 500 chilometri per l’orbita terrestre bassa o, se lanciato come un missile, la sua portata è di 5.000 chilometri (3.100 miglia), abbastanza lontano per raggiungere la Gran Bretagna dall’Iran.
Esperti missilistici israeliani stimano che l’Iran abbia pagato 250 milioni di dollari per sviluppare il progetto Zuljanah. Il solo lancio del razzo di lunedì è costato probabilmente decine di milioni di dollari.
L’Iran è oggi in profonda difficoltà economica. Tra la recessione globale del COVID-19, la corruzione e la cattiva gestione endemiche dell’Iran e le sanzioni economiche statunitensi, il 35% degli iraniani oggi vive in condizioni di estrema povertà. Il rial iraniano ha perso l’80% del suo valore negli ultimi quattro anni. I dati ufficiali collocano il tasso di disoccupazione al 25%, ma si ritiene che il numero sia molto più alto. L’anno scorso l’inflazione è stata complessivamente del 44%. I prezzi del cibo sono aumentati del 59%.
Se visto nel contesto dell’impoverimento dell’Iran, l’investimento del governo in un programma di missili balistici intercontinentali è ancora più rivelatore. Con il 35% della popolazione che vive in condizioni di estrema povertà e il prezzo del cibo in forte aumento, il regime ha scelto i missili balistici intercontinentali anziché nutrire la sua gente.
La maggior parte della copertura mediatica del lancio di Zuljanah non ha registrato l’importanza del progetto sia per quanto riguarda le capacità dell’Iran sia per ciò che rivela sulle intenzioni del regime. Invece, la copertura si è concentrata sulla tempistica del test. Gli iraniani hanno condotto il test mentre violano clamorosamente i limiti delle loro attività nucleari che hanno accettato quando hanno sottoscritto l’accordo nucleare del 2015.
Gli iraniani stanno ora arricchendo l’uranio al 20% di purezza, ben oltre il 3,67% consentito dal cosiddetto Piano d’azione globale comune (JCPOA). Stanno usando centrifughe avanzate proibite per l’arricchimento a cascata nel loro impianto nucleare di Natanz. Stanno iniziando le cascate di uranio con centrifughe di sesta generazione nel loro reattore nucleare sotterraneo di Fordo in totale sfida al JCPOA. Stanno accumulando scorte di uranio giallo ben oltre le quantità consentite dall’accordo. Stanno producendo uranio metallico in violazione dell’accordo. E stanno facendo lanci di prova con razzi che possono essere facilmente convertiti in missili balistici intercontinentali nucleari.
Il reportage sul nucleare aggressivo iraniano lo ha presentato nel contesto della nuova amministrazione Biden a Washington. Si sostiene che l’Iran stia adottando questi passi aggressivi per fare pressione sull’amministrazione Biden affinché mantenga la sua parola di far tornare gli Stati Uniti al JCPOA e abrogare le sanzioni economiche contro l’Iran. Nel 2018, l’allora presidente Donald Trump ha abbandonato il JCPOA e ha reintrodotto le sanzioni economiche che erano state abrogate nel 2015 con l’attuazione dell’accordo. L’idea dell’Iran è che per paura dei suoi rapidi progressi nucleari, il team di Biden si precipiterà a compiacere l’Iran.
In particolare, il test di Zuljanah ha messo in luce la follia strategica al centro dell’accordo, che è stato concepito, portato avanti e concluso dall’allora presidente Barack Obama e dai suoi consiglieri.
Il principale presupposto strategico che ha guidato Obama ei suoi consiglieri era che l’Iran fosse una potenza stabile e responsabile e dovesse essere visto come parte della soluzione – o “la soluzione” – piuttosto che del problema in Medio Oriente. La sponsorizzazione del terrorismo da parte dell’Iran, le sue guerre per procura e il suo programma nucleare, secondo Obama, erano spiacevoli conseguenze di un equilibrio di potere regionale che metteva troppo potere nelle mani degli alleati degli Stati Uniti – in primo luogo Israele e Arabia Saudita – e troppo poco nelle mani dell’Iran. Per stabilizzare il Medio Oriente, sosteneva Obama, occorreva potenziare l’Iran e indebolire gli alleati degli Stati Uniti. Come disse l’allora vicepresidente Joe Biden nel 2013, “Il nostro problema più grande erano i nostri alleati”.
Un nuovo equilibrio di potere, sosteneva Obama, rispetterebbe le “azioni” dell’Iran in Siria, Iraq, Libano e Yemen. Quanto al programma nucleare, che era illegale ai sensi del Trattato di non proliferazione nucleare, firmato dall’Iran, era del tutto comprensibile: dato che Pakistan, India e presumibilmente Israele hanno arsenali nucleari, hanno detto i consiglieri di Obama, il desiderio dell’Iran di costruirsene uno era ragionevole.
Con questa prospettiva che informa i suoi negoziatori, la legittimazione da parte del JCPOA del programma nucleare iraniano ha un senso. Lo scopo dell’accordo non era impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare, bensì “bilanciare” Israele delegittimando qualsiasi azione israeliana per impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare.
Mentre Israele e gli altri alleati dell’America sarebbero stati gravemente danneggiati da questo nuovo equilibrio di potere, Obama ei suoi partner europei hanno valutato che sarebbero stati più sicuri. Erano convinti che una volta al sicuro nella sua posizione di egemone regionale, l’Iran li avrebbe lasciati in pace. [Indubbiamente: lasciamogli rimilitarizzare la Ruhr e lui ci lascerà in pace, lasciamogli prendere l’Austria e lui ci lascerà in pace, lasciamogli prendere mezza Cecoslovacchia e lui ci lascerà in pace, lasciamogli prendere l’altra mezza Cecoslovacchia e lui ci lascerà in pace… E mi raccomando: che non ci venga in mente di voler morire per Danzica]
L’accordo rifletteva questa visione. Una clausola non vincolante del JCPOA chiedeva all’Iran di limitare la portata dei suoi missili balistici a 2.000 chilometri (1.240 miglia), che teneva gli Stati Uniti e la maggior parte dell’Europa fuori portata.
Molti commentatori considerano l’amministrazione Biden nient’altro che il terzo mandato di Obama. E dal punto di vista delle sue politiche iraniane, questo è certamente il caso. La politica iraniana del presidente Joe Biden è stata concepita e viene attuata dalle stesse persone che hanno negoziato il JCPOA sotto Obama.
A parte lo stesso Obama, il funzionario più responsabile del JCPOA è stato Rob Malley, che ha guidato i negoziati con l’Iran. In un articolo dell’ottobre 2019 su Affari esteri, Malley ha illustrato come dovrebbe essere la politica iraniana della prossima amministrazione democratica [Nell’ottobre 2019, mesi prima della comparsa del covid che ha indebolito la posizione di Trump, era talmente sicuro che la prossima amministrazione sarebbe stata democratica da prepararci addirittura dei programmi? Senti senti…]. Ha affermato che la strategia di massima pressione di Trump stava portando la regione sull’orlo della guerra perché si basava sul potenziamento degli alleati degli Stati Uniti – in primo luogo Israele e Arabia Saudita – per combattere l’aggressione regionale dell’Iran e il suo programma nucleare. In altre parole, si basava sul ripristino e sul rafforzamento dell’equilibrio di potere regionale che Obama si era prefissato di minare a vantaggio dell’Iran e a scapito degli alleati regionali dell’America.
Malley ha scritto che l’unico modo per prevenire la guerra era tornare al JCPOA e alla politica di Obama di rafforzare l’Iran a spese degli alleati degli Stati Uniti – in particolare Israele e Arabia Saudita.
Il test di Zuljanah lunedì ha dimostrato che l’Iran non condivide il punto di vista di Malley sulla sua posizione. Non ha speso $ 250 milioni per un razzo/missile che può colpire l’Europa perché ha paura di Israele e dell’Arabia Saudita. Ha sviluppato la Zuljanah perché vuole la capacità di attaccare l’Europa. E vuole attaccare l’Europa perché non è un regime stabile, bensì rivoluzionario, che cerca il dominio globale, non la stabilità regionale.
Per quanto riguarda i tempi, lo Zuljanah è stato testato nel febbraio 2021 anziché nell’ottobre 2020 perché l’Iran è stato scoraggiato da Trump e dalla sua strategia di massima pressione ed è autorizzato da Biden e dalla sua strategia di massimo appeasement. La prospettiva di una guerra è diminuita sotto Trump. Ora aumenta con ogni dichiarazione fatta dal Segretario di Stato americano Anthony Blinken e dal consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan. Negli ultimi giorni, entrambi gli alti funzionari hanno avvertito che l’Iran si sta avvicinando pericolosamente a capacità nucleari militari indipendenti. Ed entrambi hanno chiarito che per affrontare il problema, l’amministrazione intende tornare al JCPOA.
Questa politica è irrazionale anche se valutata all’interno del circolo cognitivo chiuso del team Biden/Obama. Intendono fare una concessione irrevocabile all’Iran: miliardi di dollari di entrate che confluiranno nelle sue casse una volta rimosse le sanzioni. E in cambio chiedono all’Iran di fare un gesto revocabile. L’Iran ha ripristinato il suo arricchimento nucleare a Fordo e innalzato il suo livello di arricchimento al 20% a Natanz in un batter d’occhio. Se spegne gli interruttori per ottenere lo sgravio delle sanzioni, può riaccenderli subito dopo che il denaro avrà iniziato a fluire.
Ciò avverrà quasi sicuramente al più tardi a giugno. Il 18 giugno l’Iran terrà le elezioni presidenziali. Il presidente Hassan Rouhani e il ministro degli Esteri Javad Zarif lasceranno entrambi l’incarico. Tutti gli attuali candidati possibili provengono dal Corpo delle Guardie Rivoluzionarie e si può garantire che abbandoneranno il JCPOA. Quindi, nella migliore delle ipotesi, la durata in vita del JCPOA è di quattro mesi.
Biden, Blinken, Sullivan, Malley e i loro colleghi devono tutti essere consapevoli che questo è ciò che succederà. Il fatto che stiano andando avanti con la loro strategia fallita indica comunque che sono ideologicamente impegnati nel loro piano e si atterranno ad esso anche se porterà la regione alla guerra.
Questo ci porta in Israele. Durante gli anni di Trump, Israele e Stati Uniti sono stati pienamente coordinati nelle loro azioni sia congiunte che separate per minare il programma nucleare iraniano e le sue operazioni in Siria e Iraq. Come ha spiegato di recente un alto funzionario del Consiglio di sicurezza nazionale di Trump: “Lavorando insieme, le agenzie di intelligence di entrambi i paesi sono state in grado di realizzare più di quanto avrebbero potuto da sole”.
Ovviamente quei giorni adesso sono finiti. E mentre la squadra di Biden fa sentire pienamente la sua presenza, le opzioni di Israele per impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare stanno diminuendo.
Quando il capo di stato maggiore dell’IDF, il tenente generale Aviv Kochavi, ha annunciato il mese scorso di aver ordinato ai relativi comandanti dell’IDF di preparare piani operativi per colpire le installazioni nucleari iraniane, la maggior parte dei commentatori ha ritenuto che il destinatario fosse il regime iraniano. Altri hanno ipotizzato un avvertimento all’amministrazione Biden. I primi ritengono che abbia cercato di far retrocedere l’Iran dal baratro nucleare. Gli altri sostengono che stava chiedendo all’amministrazione Biden di prendere sul serio le posizioni di Israele prima di procedere con l’abrogazione delle sanzioni.
Ma di fronte al fanatismo strategico della squadra di Biden e alla corsa dell’Iran al traguardo nucleare, è almeno altrettanto probabile che il destinatario di Kochavi non fossero né gli iraniani né gli americani. Potrebbe invece aver avvertito gli israeliani di essere preparati per ciò che sta arrivando. E potrebbe anche aver detto ai partner regionali di Israele che il momento per un’azione comune è adesso.
Caroline Glick, 02/05/2021, qui (traduttore automatico con correzioni e aggiustamenti miei)

Pubblicato originariamente in Israel Hayom.

Quindi, se vedete qualcuno avvicinarsi alla vostra casa con una tanica di benzina e un accendino, la cosa migliore che possiate fare per salvarvi è regalargli un carro di paglia. Parola di Obiden e Harrinton. In ogni caso prepariamoci tutti, perché quando inizia una guerra, nessuno può sentirsi al sicuro, soprattutto se chi la scatena usa tutti i propri capitali per finanziare il terrorismo internazionale.

barbara

NEL CASO QUALCUNO FOSSE ANCORA INDECISO

fra Biden e Trump

Vi ricordate di come Trump è stato messo in croce per un’unica frase pronunciata vent’anni prima? Vi ricordate la macchina del fango messa in moto contro di lui? Le marce di protesta? La vera e propria guerra scatenata contro di lui? E organizzata e promossa da queste caste e pudibonde signore:
donne-vs-trump
madonna-vs-trump
miley cyrus 2
miley cyrus 1
miley cyrus 3
Avverrà qualcosa del genere per il bravo democratico Joe Biden, difeso perfino dal padre delle ragazzine molestate? Perché se qualcuno avesse dubbi se si tratti di carezze affettuose o palpate oscene e moleste, credo che le facce e le reazioni del corpo delle donne, delle ragazze, delle bambine vittime delle sue attenzioni siano più che sufficienti a fornire la risposta. Ma nessuno farà niente, vedrete. Ed è esattamente lo stesso spettacolo che sta andando in scena ora con la gente in ginocchio di fronte a un criminale che, fra le sue varie imprese, poteva vantare anche quella di avere puntato la pistola contro la pancia di una donna incinta nella cui casa aveva fatto irruzione. Leggete un po’ qua.

“Quando le persone usano il piede di porco e iniziano a buttare giù porte per saccheggiare, non stanno protestando, non stanno facendo una dichiarazione: stanno rubando. Quando bruciano un edificio, commettono un incendio doloso. E stanno distruggendo e minando le imprese e le opportunità nelle loro stesse comunità. Quindi è del tutto appropriato che il sindaco e il governatore, con cui ho parlato ieri, lavorino per fermare questo tipo di violenza e di distruzione senza senso. Questa non è una protesta. Questa non è una affermazione. Sono teppisti che approfittano di una situazione per i propri scopi e devono essere trattati come criminali”.

Barack Obama, 28 aprile 2015, all’indomani delle violenze esplose a Baltimora e altrove dopo la morte in seguito all’arresto da parte della polizia dell’afroamericano Freddie Gray, nel suo ruolo di presidente degli Stati Uniti.

Il governatore del Maryland, in base a queste parole in totale accordo con Obama, chiese e ottenne l’intervento nelle strade della Guardia Nazionale. Ovvero, di un corpo militare.

“Parlo ai milioni di americani che sono scesi in strada e hanno fatto sentire la loro voce, un’ondata di proteste che nascono da una legittima frustrazione. C’è un cambio di mentalità in atto, una maggiore consapevolezza che possiamo fare meglio. E questa non è conseguenza dei discorsi dei politici, ma il risultato diretto della capacità di così tanti giovani di mobilitarsi. La spinta dei giovani fa ben sperare per il futuro. Voglio che sappiate che voi contate, che le vostre vite contano, che i vostri sogni contano”.

Obama Barack, 3 giugno 2020, all’indomani delle violenze esplose a Minneapolis e altrove per l’uccisione da parte della polizia dell’afroamericano George Floyd.

Giovanni Sallusti, 6 giugno 2020, qui l’articolo completo.

Poco importa che del comportamento del poliziotto debba rispondere il capo della polizia, che è nero. Poco importa che sopra il capo della polizia ci sia il sindaco, democratico, e che tutta la trafila di comando del Minnesota sia democratica, poco importa che tutto dipenda dal governo dello stato e non da quello centrale: superior stabat lupus, ma l’acqua l’ha sporcata Trump.

E concludo con una illuminante sintesi di

Angelo Michele Imbriani

In due anni: sono corsi a Lampedusa e hanno messo le magliette rosse; le hanno tolte; sono diventati gretini con le borraccette di alluminio; hanno gettato le borraccette di alluminio; si sono ammassati in piazza come sardine; dalla piazza sono andati al bar e hanno abbracciato cinesi durante gli aperitivi; sono usciti dal bar e hanno messo al bando lo spritz; hanno smesso di assembrarsi e hanno praticato il “distanziamento sociale”. Hanno cantato Bella ciao dal balcone. Infine, si sono messi in ginocchio. Penso per vedere dove gli fosse caduto il cervello. Non l’hanno trovato.

In una cosa, caro Angelo Michele Imbriani, ti sbagli: il cervello non può essergli caduto. Confermano, comunque, di appartenere a pieno titolo al XXI secolo
offended
barbara

MINNEAPOLIS E DINTORNI

I fatti: un negro viene assassinato a sangue freddo da un poliziotto bianco. In conseguenza di questo episodio si scatena la protesta contro la sistematica violenza dei bianchi contro i negri.

Veramente? Ma proprio veramente veramente? Proviamo a guardare un paio di grafici:
uccisi-razze
Uhm… non sembrerebbe proprio che i neri siano le vittime principali. Guardiamo allora la questione da un’altra prospettiva:
violenza interrazziale

Anche qui la leggenda della violenza bianca contro i poveri indifesi negretti fa un po’ acqua, vero? Ma, restando allo specifico fatto di cronaca che ha dato il via a un vero e proprio attacco allo stato, come si comporta la polizia dal punto di vista razziale?
uccisi polizia

Leggiamo poi qui che

“lo studio dimostra altresì come sia il tasso di criminalità violenta da parte di un gruppo razziale a determinare la maggiore probabilità che gli agenti di polizia ricorrano ad uno strike e, tra il 1980 e il 2008, i dati del Dipartimento di Giustizia riportano che il 51 per cento degli omicidi (tipico esempio di criminalità violenta a cui si fa riferimento) totali commessi negli Stati Uniti sia stato eseguito da afroamericani.”

Prendiamo per esempio questa storia.
Justine-Mohamed
Nella tarda serata del 15 luglio 2017 Justine Ruszczyk Damond (usava anche il cognome del compagno, Don, con lei nella foto), veterinaria australiana, sente grida di donna provenire dal vicolo dietro casa sua, nel quartiere, considerato a basso crimine, Fulton, a Minneapolis, temendo che sia in atto un’aggressione o un tentativo di stupro telefona alla polizia, arriva un’automobile di servizio guidata dell’agente Matthew Harrity, al suo fianco il capo pattuglia, Mohamed Noor, cittadino statunitense di origine somala, durante la perlustrazione dichiarano di non notare attività criminali, mentre sono ancora in automobile nel vicolo Justine Damond si avvicina, in ciabatte e pigiama, presumibilmente per chiedere informazioni sulla situazione (e magari essere tranquillizzata), Mohamed Noor “sente se stesso e il collega in pericolo”, estrae la pistola e le spara all’addome, uccidendola. (Nel giugno 2019 viene condannato a 12 anni e sei mesi per omicidio di terzo e secondo grado). Non ricordo di manifestazioni violente e saccheggi da parte della popolazione per protestare contro l’uccisione di quella donna (bianca) da parte di un poliziotto (nero), ma veglie di preghiera e raduni per ricordarla.
(proteste della comunità somala, per la condanna a loro dire troppo severa), qui.

Se poi qualcuno si immagina che siano rivolte spontanee – che ci vuole comunque tanta ma tanta fantasia per crederlo – guardiamo questo appello:
fuck the city
Quello che gli appartiene, certo, perché sappiamo che black lives matter, only black lives and no other life.

Ma non è solo il prendere: qui c’è proprio il piacere orgasmico della devastazione
devastazione
e del colpire, massacrare, assassinare. Vi risparmio il video della donna selvaggiamente aggredita, bestialmente sprangata di fronte al suo negozio, e vi propongo invece questo breve articolo che mostra gli abissi di perversione e di infamia di queste belve mai sazie di sangue umano.

Lorenzo Capellini Mion
capo dip. Richmond
Il capo del dipartimento di polizia di Richmond, Virginia, non ha retto all’emozione raccontando di come i rivoltosi abbiano dato fuoco ad una casa plurifamiliare bloccando poi l’accesso ai vigili del fuoco che accorrevano per mettere in salvo un bambino bloccato all’interno.
È solo un esempio, non cercano giustizia, vogliono la guerra civile.
Media partigiani complici. (qui)

Poi chi sa il francese può leggere anche questo (chi non lo sa può sempre metterlo in un traduttore)

E di chi è la colpa di tutto questo? Ma come, non lo avete ancora capito?

Da Ema Bolo:

Ricapitolando: il Minnesota è uno stato che vota democratico, Minneapolis ha una amministrazione democratica, l’agente indagato s’era già reso protagonista di dubbi episodi di violenza, tra cui l’uccisione di una ventunenne con 2 colpi di pistola all’addome che l’avrebbe aggredito, ma mai rimosso dall’incarico, né dal capo della polizia (afroamericano) né dal sindaco, ma le colpe sono di Trump e dei repubblicani.

E cavalcare la tigre dell’antitrumpismo sembra essere uno sport particolarmente gratificante.

ANARCHIA ORGANIZZATA

“Un uomo di colore viene arrestato e ucciso in un atto di violenza atroce mentre è ammanettato e indifeso. Tre colleghi, nelle immediate vicinanze del poliziotto assassino, osservano il crimine, ascoltano l’uomo di colore che implora e non fanno nulla per fermarlo. Per i successivi giorni orde inferocite mettono a ferro e fuoco le città americane, saccheggiando negozi, bruciando edifici, macchine della polizia e bandiere americane e persino uccidendo persone sul loro cammino. La giustificazione offerta per la loro violenza e i loro atti criminali è che stanno protestando contro un sistema razzista – o nelle pittoresche parole del senatore Bernie Sanders, “Un sistema grottesco di razzismo radicato e disparità economica che ora più che mai ha bisogno di essere abbattuto”. Questi attacchi all’America sono ciò di cui ci stanno realmente parlando le rivolte. Il “sistema grottesco di razzismo radicato” di Sanders è una fantasticheria di sinistra che alimenta la rabbia dei rivoltosi e la loro violenza, la quale è diretta non solo contro gli americani bianchi ma anche contro gli americani di colore ai cui quartieri, centri commerciali e attività commerciali i compagni di Sanders sono lieti di appiccare il fuoco”.

Così comincia il lungo editoriale di David Horowitz su Frontpage Magazine.

L’omicidio di George Floyd da parte di un poliziotto brutale, una mela marcia del corpo di polizia, è diventato il pretesto per azioni coordinate di violenza urbana ben manovrate in cui si sono inseriti gruppi di estrema sinistra come “Black Life Matters” e “Antifa”.
Il loro scopo, dietro sigle roboanti e strumentali, è quello di generare il caos e di mantenerlo in vita il più a lungo. Si tratta di delinquenti comuni, di teppisti travestiti da “social warriors” e che hanno in personaggi come Bernie Sanders, ammiratore di Castro e Chavez, ottimi fiancheggiatori.
La risposta del governo non può che essere ferma.
Il Procuratore Generale William Barr ha dichiarato:
“Sfortunatamente, con le rivolte che si stanno verificando in molte delle nostre città in tutto il paese, le voci delle proteste pacifiche vengono dirottate da violenti elementi radicali. In molti luoghi sembra che la violenza sia pianificata, organizzata e guidata da gruppi estremisti di estrema sinistra e gruppi anarchici che usano tattiche simili all’Antifa”.
Stiamo assistendo a una concertata manovra il cui scopo ultimo è quello di colpire la presidenza Trump, nonostante il fatto che Minneapolis, la città dove è avvenuto l’episodio sia un feudo democratico, nonostante il fatto che Derek Chauvin, il poliziotto che ha ucciso George Floyd, fosse stato mantenuto al proprio posto malgrado si sapesse che era un poliziotto molto problematico, dal capo della polizia di Minneapolis, che è di colore.
La strategia progressista in atto da quando Trump fu eletto, è stata quella della demonizzazione costante della sua persona, della manipolazione e deformazione della realtà atta a fare credere che il responsabile di tutto ciò che di negativo accade negli Stati Uniti sia lui.
La società che i Sanders hanno in mente, la società che i Soros hanno in mente (e Soros è tra i finanziatori di Antifa e Black Life Matters), più “equa”, “libera”, “umana”, è la fantasia degli utopisti senza scrupoli per i quali, il venire in essere di un mondo irrealizzabile, che in realtà altro non è se non il loro modello di mondo giusto (e sappiamo che regimi modello abbia saputo indicare Sanders), si deve, all’occorrenza anche servire di estremisti e delinquenti.
Niram Ferretti, qui.

Il POPOLO

Per Joe Biden candidato sfidante di Donald Trump alle presidenziali del 2020, la decisione di Donald Trump di ricorrere all’Insurrection Act, la legge del 1807 che attribuisce al presidente degli Stati Uniti in casi di emergenza di mobilitare l’esercito federale e la Guardia Nazionale, significa usare “l’esercito americano contro il popolo”.
Per Biden dunque “il popolo” sarebbero le orde di teppisti e saccheggiatori, di delinquenti che in queste ultime ore hanno vandalizzato e saccheggiato. Ultimi episodi a New York dove sono stati presi di mira i grandi magazzini Macey’s e negozi sulla Quinta Avenue, come è accaduto precedentemente a Los Angeles a Rodeo Drive.
E’ bene saperlo. Joe Biden aspirante presidente abbraccia la marmaglia definendola “il popolo”, mentre il presidente in carica, come è nelle sue prerogative, ha il dovere di attivarsi per mantenere l’ordine e la legalità.
“Sono il vostro presidente, di legge e ordine alleato di tutti i manifestanti pacifici. Negli ultimi giorni la nostra nazione è stata tenuta nella morsa di anarchici professionisti, boss violenti, persone incendiarie, saccheggiatori, criminali, rivoltosi, antifa e altri” ha dichiarato Trump.
Fermare il caos è necessario. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con “il popolo” e il diritto a manifestare pacificamente. Qualcuno dovrebbe spiegarlo al candidato Biden.
Niram Ferretti, qui.

Per qualcuno, a quanto pare, cogliere certe differenze è cosa troppo complicata
protest-crime
Ma gli inutili – e spesso pericolosi – idioti, non sono una prerogativa d’oltre oceano.

Beppe Sala ieri chiedeva indignato la denuncia dei gilet arancioni che hanno fatto folklore ma nessuna violenza e oggi giustifica gli Antifa che stanno mettendo a ferro e fuoco l’America facendo danni a cittadini di ogni colore e credo?
beppe sala
Marco Lancini

Quando l’ignoranza e la mediocrità si incontrano, ne risulta solitamente una dichiarazione politica di Beppe Sala.
Le sue parole infatti non solo sono pericolose perché sdoganano l’esercizio della violenza come metodo per far sentire la propria voce, a danno di tutti coloro i quali stanno vedendo distrutto il lavoro di una vita dai riottosi, ma evidenziano una chiara mancanza di conoscenza dell’assetto istituzionale americano.
Affermare infatti che vi sia una centralità del Presidente nella gestione dell’ordine pubblico significa mancanza di conoscenza oppure malafede (e conoscendo il background di Sala propenderei per la prima) [io invece propenderei per una combinazione di entrambe: conciliare quell’individuo e la buonafede è come mettere l’acqua e l’olio nella stessa ciotola].
L’imposizione del coprifuoco al pari della richiesta di intervento della Guardia Nazionale è una scelta a discrezione dei governatori dei singoli stati federati.
E praticamente tutti gli stati interessati dalle rivolte sono a guida Democratica (Minnesota, Pennsylvania, California, New York).
Ps: quelli come Sala sono tendenzialmente gli stessi che nel 2014 quando Ferguson era una pentola a pressione scagionavano Obama da qualsiasi responsabilità. (qui)

Poi ci sono gli imbecilli ancora più imbecilli, ma talmente imbecilli da essere veramente convinti che nutrendo il coccodrillo si possa ottenere il privilegio di essere  mangiati per ultimi. È il caso di Bill Gates, che si è schierato anima e corpo dalla parte dei vandali devastatori assassini. E questa è stata la riconoscente risposta dei suddetti signori

In tedesco si chiama Schadenfreude: ebbene sì, sto godendo come un riccio.

Comunque non preoccupatevi: All you need is love, cantavano quelli là; e questo, esattamente, è ciò che ci stanno offrendo: pace, bene e amore universale
love
barbara

I LIBRI NON SI BRUCIANO

Mai. Per nessun motivo. Non potrei mai bruciare neppure il Mein Kampf, addirittura neppure il Corano. E tuttavia non posso non provare un’immensa ammirazione per questa ragazza e per tutti quelli come lei, che bruciano lo strumento della loro oppressione,
corani bruciati
sapendo che stanno rischiando, e spesso rimettendoci, la vita, perché “quelli” sparano ad altezza d’uomo;
cecchino
sapendo, anche, che da quelle parti una bella pallottola subito è un privilegio che non a tutti è concesso. Alle mie parole aggiungo queste altre, con diverse annotazioni importanti che vale la pena di leggere (e con alcune osservazioni mie inserite nei passi in cui non concordo).

La repressione iraniana che nessuno racconta

di Michael Sfaradi

“Abbasso Rouhani”, “Abbasso Khamenei”, “Abbasso il dittatore”, “Non avremo pace finché non riavremo i nostri diritti e la nostra libertà”. Questo è quello che gli iraniani gridano nelle piazze di oltre 95 città in 21 province di tutta la nazione. E chi come noi, e penso di parlare a nome di tutti coloro che pubblicano su questo sito, crede nella libertà in ogni sua forma, non può esimersi dal raccontare tutto ciò che riesce a filtrare la pesante censura degli Ayatollah. Chi davvero crede nei principi fondamentali della democrazia deve in queste ore sentirsi al fianco dei giovani che nelle piazze iraniane rischiano la vita nella speranza di ottenere ciò che da noi, erroneamente, viene dato per scontato.

Quello che fa rabbia in tutto questo è che i media occidentali continuano inesorabilmente a ignorare o a minimizzare quello che sta succedendo in Iran, continuano a raccontare che la rivolta è dovuta solamente all’aumento del prezzo della benzina ignorando volutamente, e a questo punto è lecito anche pensare che a qualcuno faccia comodo, tutto il malessere di una nazione intera. Perché l’Iran di oggi è una grande bomba a orologeria che può saltare da un momento all’altro, e gli iraniani dettero prova di saper fare le rivoluzioni quando costrinsero lo Scià Mohammad Reza Pahlavi a scappare da Teheran con la coda in mezzo alle gambe [va detto però che la ferocia di Reza Pahlavi non era neppure lontanamente paragonabile a quella degli ayatollah: per questo con lui ci sono riusciti]. Allora seppero fare la rivoluzione ma furono incapaci a gestirla, solo per questo si ritrovarono nel giro di pochi anni, e con molto sangue versato, sotto un tallone d’acciaio della peggiore dittatura possibile, quella religiosa [sicuro che il motivo risieda “solo” per incapacità propria e non, invece, per le armi in possesso ai religiosi e la spietata determinazione a usarle senza risparmio?].

“Preti vendicativi, Napoleon cascò, sapete voi perché? Perché non vi scannò. Già due volte cadeste senza cavarne frutto, v’avverto, un terzo fulmine v’annienterà del tutto”. Questo scriveva Pasquino, la statua parlante, durante il tragico periodo della Roma papalina: altri tempi ma sempre di dittatura religiosa si trattava [però, sinceramente, non so se il paragone ci stia proprio tutto…]. Basta togliere la parola preti e mettere Ayatollah e quel verso antico diventa magicamente contemporaneo. Negli ultimi anni ci sono state altre rivolte della gente esausta, rivolte soffocate nel sangue dai Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione, gli invasati poliziotti del regime, la speranza è che un terzo fulmine si abbatta su Teheran, ma non sulla meravigliosa città, ma sulle teste di coloro che, come nei tempi bui della storia, tengono schiava la gente per bene in nome di un Dio che non ha dato mai a nessuno il mandato per uccidere o reprimere.

Internet in Iran è sempre stato sotto stretta censura, da giorni però è completamente staccato e questo dato è una delle tante cartine tornasole di una situazione tesa e difficile: non erano mai arrivati a tanto. Tutto questo mentre i leader della dissidenza, rivolgendosi in particolare ai giovani che hanno diritto a vivere la loro vita nella libertà vera e non come il regime decide per loro, stanno esortando il popolo a non cedere. Hanno ribadito che fino a quando il regime corrotto, medievale [forse dovremmo smetterla di usare un periodo ricchissimo di fermenti culturali e artistici come emblema del peggiore oscurantismo e della più bieca ferocia] e non più accettabile nel mondo moderno rimarrà al potere, la povertà, i prezzi elevati, la disoccupazione, la corruzione, la repressione e tutte le discriminazioni che giornalmente vengono imposte al popolo indifeso non cesseranno. Hanno inoltre ricordato la questione mai chiusa del più crudele esempio delle violazioni dei diritti umani, consumato davanti agli occhi di un occidente impotente allora come lo è oggi, quando durante il massacro del 1988 circa 30.000 prigionieri politici furono fucilati senza alcun processo.

Persone torturate e uccise proprio da coloro che poi diventarono i leader dell’attuale regime che, con una faccia tosta da guinness dei primati, continuano a difendere a spada tratta il crimine commesso. Ad oggi nei loro confronti non è stata mai aperta nessuna inchiesta e anche il tribunale dell’Aja, sempre pronto a perseguire i facili bersagli, non ha mai preso posizione su quello che accadde allora e che accade ancora oggi, anche nel momento in cui vi scrivo, nell’ex regno del Pavone. Ma per onore del giusto non possiamo denunciare il regime iraniano senza mettere davanti alle proprie responsabilità chi in questi anni è stato complice dello stesso, come ad esempio l’amministrazione Obama a cominciare dal Presidente e dalla sua segretaria di Stato Hillary Clinton che, aprendo il tavolo di trattativa sul nucleare, tolsero di fatto le sanzioni e spalancarono le porte agli affaristi da tutto il mondo che, fregandosene della situazione, hanno rinforzato un regime che da quasi quaranta anni fa vivere un popolo intero nell’oppressione.

Impossibile dimenticare le fotografie del Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif sul balcone dell’Hotel a Ginevra che, ridendo come al varietà, faceva vedere ai giornalisti appostati i fogli dell’accordo come fosse stata carta igienica in procinto di essere usata. Non possiamo ignorare che l’Europa, sia come Unione Europea che come singoli Stati, con le due ultime lady Pesc Catherine Margaret Ashton, baronessa Ashton di Uphollandin e Federica Mogherini che, come delle brave Dhimmi sottomesse, sono sempre state più impegnate a trovare il velo da mettersi in testa in tinta con le scarpe e la borsetta che non a capire che le donne iraniane avrebbero fatto di tutto per bruciarli quei veli. Ma alle due Lady Pesc in nome e nell’interesse di qualcuno o di qualcosa che con l’Europa libera e democratica dei Padri Fondatori non ha nulla a che vedere, hanno sempre portato avanti una politica ambigua nella ricerca di tutti i modi possibili per aggirare le sanzioni americane anche prima dell’avvento alla Casa Bianca del premio Nobel per la pace, l’inventore delle primavere, pardon, degli autunni arabi che nel caso dell’Iran, che nazione araba non è, si sono trasformati in Inverni sciiti.

Anche la “grande stampa” ha le sue responsabilità ed ha sporcato sia l’etica dell’informazione che il dovere nei confronti dei lettori, ogni volta che ha evitato di affrontare l’argomento Iran o, quando lo ha fatto, lo ha minimizzato. Per non parlare poi della politica internazionale che non ha mai risposto alle richieste di aiuto che arrivano dai giovani iraniani o del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che non si è mai azzardato a riunirsi per discutere un argomento come i diritti umani in Iran neanche fosse un dogma divino da accettare per come è scritto, un dogma che non doveva mai essere discusso. Neppure quando le fotografie di centinaia di impiccati che penzolavano dalle gru facevano il giro del mondo, come se nelle commissioni anziché i più importanti politici internazionali ci fossero state le tre scimmiette che non vedono, non parlano e neanche sentono.

In conclusione, visto che al ridicolo non c’è mai fine, secondo alcune fonti l’Italia e l’Iran stanno lavorando a un incontro tra i rispettivi Ministri degli Esteri, Luigi Di Maio e Mohammad Javad Zarif. Sembrerebbe che il governo italiano, come se non avesse altri problemi interni urgenti e gravi da affrontare, invece di condannare e prendere iniziative contro la repressione in atto voglia invece diventare negoziatore tra Iran e Stati Uniti. Se questo risultasse vero rimarrebbe come una macchia sulla coscienza della nazione intera, una macchia difficile da dimenticare e impossibile da perdonare. (qui)

Può essere forse di qualche conforto ricordare che le donne iraniane sono state, come ho mostrato qui, quelle che contro l’oppressione khomeninista hanno lottato fino all’ultimo:

forse, chissà, saranno di nuovo loro a riportare la luce dopo la lunga tenebra.

barbara