Il capolavoro che racconterà per sempre che cosa sono stati i partigiani e la Resistenza in Italia.
Che se fossi toscana tanto per cominciare direi capolavoro una bella sega. Poi magari con calma chiederei anche cosa vuol dire che racconterà per sempre che cosa sono stati i partigiani e la Resistenza in Italia: forse vuol dire che questo libro è eterno e così questa cosa la sapremo per sempre mentre gli altri libri non lo sono e magari un giorno potremmo non sapere più che Caina attende chi a vita li spense? Boh. Finora comunque sono arrivata, molto faticosamente – e non solo per i problemi fisici – a metà, e sinceramente non so se lo finirò perché è davvero un mattone pazzesco, che si dipana tra azioni improvvisate e velleitarie oltre che dilettantesche e descrizioni di lunghi luunghi luuunghi momenti di noia, con pagine talmente noiose che se ti distrai un attimo poi non ti ricordi più dov’eri arrivato e ti ritrovi a rileggere tre volte di fila la stessa cosa, e te ne rendi conto solo quando incontri una parola strana che aveva attirato la tua attenzione, come il verbo “verticare”. Dice che è in gran parte autobiografico: e allora? Questo è sufficiente a garantire un’obiettività tale su tutta la guerra partigiana, su tutta la resistenza da diventare IL libro che racconta quella parte della nostra Storia?
E poi la lingua: passino le parole inventate, spesso simpatiche e comunque di solito comprensibili, ma l’inglese? Non c’è praticamente una frase che non abbia almeno qualche parola inglese, così, per puro sfizio, o per mostrare quanto è bravo, chissà. O addirittura frasi interamente in inglese. O frasi in italiano ma costruite all’inglese: “l’esercito che egli desiderava entrare in”. Frasi in cui ti rompi la testa per capire cosa significhino fino a quando non ti arriva l’illuminazione e ti rendi conto che “un conosciuto” non è un articolo indeterminativo + participio passato in funzione aggettivale sostantivata, no: è il participio passato con la negazione inglese: unknown. E poi frasi talmente sconclusionate che le rileggi tre volte per cercare di capire cosa diavolo vogliano dire e alla fine rinunci e ti arrendi all’evidenza che non vogliono proprio dire niente. In ogni caso trovo semplicemente indecente scrivere un romanzo italiano che se non sai l’inglese non capisci un piffero.
Concludendo: capolavoro una bella sega (meglio, molto meglio, infinitamente meglio Il sentiero dei nidi di ragno).
Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny, Einaudi
barbara