SIAMO A CAVALLO, L’ITALIA È SALVA!

Ci ha pensato la boldrinessa, che tra un match e l’altro con le sue collaboratrici cattive cattive che dicono tante brutte cose di lei, si preoccupa indefessamente del bene dell’Italia, e guardate quante idee geniali ha partorito la sua mente vulcanica!

Boldrini: “Bibbia e proverbi contro le donne”/ Libro choc “serve Ddl Zan, più aborti”

Laura Boldrini e il libro per “salvare le donne in Italia dal potere dei maschi”: la lista shock da più Ddl Zan, meno obiezione coscienza, stop proverbi e passi della Bibbia

L’Italia, in particolar modo il mondo femminile, si può salvare con meno obiezione di coscienza (dunque con più aborti) con il Ddl Zan approvato, con la parità di genere nella toponomastica e perfino su WhatsApp, per non parlare delle “devastanti” storture presenti nei proverbi della tradizione e perfino nella Bibbia.

È un concentrato di “desideri” e “proposte” l’ultimo libro di Laura Boldrini ‘recensito’ oggi da “La Verità” che non risparmia nulla alla deputata Pd. Il titolo del libro dice già molto, se non tutto “Questo non è normale. Come porre fine al potere maschile sulle donne”, ma è poi nei contenuti anticipati da Francesco Borgonovo nel suo articolo di decostruzione del “Boldrin-pensiero” che si scoprono questioni assai molto controverse. Ad esempio i proverbi come «Donna pelosa, donna virtuosa»; «donna baffuta, sempre piaciuta»; «donne e buoi dei Paesi tuoi», e simili, non possono più essere accertati secondo l’attivista politica in difesa del mondo femminile, perché «sono il succo di pregiudizi millenari e di discriminazioni stratificate ai danni del genere femminile, specchio di superstizioni e di un pensiero che non guarda alle donne con occhio benevolo, frutto di una cultura patriarcale e maschilista dalla quale non abbiamo ancora preso le distanze». Ma è la stessa Bibbia, a proposito di tradizione, a non essere particolarmente sopportata dall’ex Presidente della Camera: colpevole di aver proposto il “modello Eva”, andrebbe “riesumata” l’antica tradizione ebraica sulla figura di Lilith, la quale «esigeva di essere trattata alla pari, non voleva giacere con Adamo a comando, si rifiutava di servirlo e obbedirgli»*

IL LIBRO DI LAURA BOLDRINI E LA “LISTA” SHOCK

La lista di cambiamenti, precetti e regole che dovrebbero cambiare in Italia (e non solo) per raggiungere la fantomatica “parità dei generi” è molto lunga e Laura Boldrini spazia ogni campo della cultura e della politica per “dimostrarli”. «Non è normale avere un’ottima legge sull’interruzione volontaria di gravidanza e non poterne usufruire a causa dell’obiezione di coscienza», lamenta la deputata Dem nel suo libro pro-femminismo. Dall’aborto ai temi LGBT, il passo è breve: «va approvato il Ddl Zan al più presto», scordandosi però in questo passaggio la buona fetta di mondo femminista** che su quella proposta di legge ancorata al Senato ha avuto e ha ancora molto a cui contestare (specie sul concetto di autodeterminazione inserito nel disegno di legge che consentirebbe a chiunque di dichiararsi donna al 100%). Se la prende poi con l’Inno di Mameli, i completamenti di WhatsApp nel dizionario automatico e tanto altro ancora: un punto però su tutti ci ha colpito, quando cioè Boldrini provando a spiegare la necessità di fiabe e storie per bambini diverse dalla “tradizione maschilista e patriarcale” arriva a citare Chesterton. «Come diceva Chesterton, le fiabe non servono per dire ai bambini che esistono i draghi, ma per far capire loro che i draghi possono essere sconfitti»; ecco, si dimentica forse anche di dire – come giustamente nota “La Verità” – che il buon GKC spiegava anche tramite i suoi capolavori come la fiaba in quanto tale non è “sessista” ma aiuta le bambine a scoprire sé stesse (citando Marie-Louise Von Franz) attraverso la conoscenza del maschile, ovvero il principe azzurro. In un Paese libero, vivaddio, le opinioni sono libere e pure le castronerie (di cui ognuno è foriero, non dimentichiamolo): certo però che guardare la realtà solo con le lenti ‘speciali’ dell’ideologia, alla lunga, rischia di nuocere gravemente alla realtà stessa.
Niccolò Magnani, qui.

* Quando, dopo il peccato, Dio comunica le punizioni che dovranno subire, dice ad Adamo: “Mangerai pane col sudore del tuo volto” e a Eva: “Partorirai i figli con doglia e avrai desiderio di tuo marito”. Nella Bibbia è dunque già enunciato il desiderio sessuale della donna, e automaticamente riconosciuto come legittimo, contrariamente a quanto sostenuto dalla cultura maschilista e patriarcale, e in anticipo di quasi tremila anni sulle più rivoluzionarie femministe. Inoltre, che cosa produce l’uomo con fatica e con dolore? Cose che si consumano. Che cosa produce la donna con fatica e con dolore? La vita! La signora boldrinessa parla della Bibbia senza averne letta una sola pagina.

** E anche di quello omosessuale.

Nel suo libro la signora boldrinessa si batte anche, come scrive Francesco Borgonovo, a favore della toponomastica «paritaria» come se parificare il numero delle vie dedicate a donne e uomini potesse realmente migliorare la condizione femminile. E niente, quando una è cretina ce la mette proprio tutta a essere cretina a tutto tondo, dalla testa ai piedi, dai capelli alle budella, senza lasciarne fuori una sola cellula, una sola molecola, un solo atomo. E guardate quanto è bella con questo splendido velo verde-islam!

barbara

CON DOLORE PARTORIRAI

Piccola riflessione su un tema biblico.

Naturalmente nessuno, anche fra i credenti, considera la Bibbia un saggio storico o un manuale scientifico da prendere tutto alla lettera, tranne alcune sparute frange (cioè, nell’ebraismo si tratta effettivamente di sparute frange, ma nel cristianesimo, oltre ai testimoni di Geova ci sono tutte le Chiese protestanti al gran completo. Dove per “alla lettera” si intende, per esempio, tutto l’esistente creato in sei giorni 5779 anni fa). Ritengo tuttavia che possa presentare interessanti spunti di riflessione per tutti, credenti e non credenti. E vorrei dunque parlare dell’episodio del frutto proibito (che NON è una mela). Succede dunque che il serpente li induce a mangiarlo assicurando che poi avranno la conoscenza e diventeranno simili a Dio, e loro gli danno ascolto. Il quale Dio immediatamente si presenta a chiedere conto del loro atto. E che cosa succede a questo punto? Succede che Eva si prende le sue responsabilità e riconosce la sua colpa: “Il serpente mi ha sedotto, io ho mangiato”. E quel coglione di Adamo? “Ah mì no so gnente, ze sta ea dona – quea che Tì te me ghè meso tacà: ricòrdate, te si sta Tì! – ga fato tuto ea, mì no ghe ne gò colpa”. Tenendo oltretutto presente che il divieto è stato imposto ad Adamo quando Eva ancora non era stata creata, per cui lui molto più di lei è responsabile della sua osservanza. Ed ecco, in un testo scritto circa 3500 anni fa, il prototipo di quello che per millenni sarà il comportamento tipico di tutte le società: è colpa della donna, di qualunque cosa si tratti. Una coppia si dà alla fornicazione? Colpa della donna. Una coppia è sterile? Colpa della donna. In famiglia le cose vanno male? Colpa della donna. Una donna viene violentata? Colpa della donna. Con tutte le innumerevoli varianti che la fantasia umana ha saputo inventare. Il primo a inventare il giochetto, che per millenni avrebbe funzionato, è il primo uomo, che tenta di intortare addirittura il Padreterno. Ci riuscirà?

E dopo la colpa, il castigo. Per Adamo: con dolore trarrai il cibo dalla terra. Per Eva: con dolore partorirai. Dolore per entrambi, dunque, ma che cosa produce, questo dolore? Quello di Adamo produce cose che si consumano, quello di Eva produce LA VITA! La vita che a sua volta darà un’altra vita che darà un’altra vita che da… No, il Padreterno non si è lasciato imbambolare dai giochetti-scaricabarile di Adamo; tutti gli uomini per millenni sì, ma non il Primo Destinatario.

E infine un piccolo corollario, che credo sfugga ai più: “Proverai desiderio per tuo marito”. Per quanti millenni è invalsa la radicata convinzione che “gli uomini hanno i loro istinti” ma per la donna è diverso? Si sono dovute aspettare le femministe della mia generazione prima che si trovasse il coraggio di proclamare esplicitamente quello che, altrettanto esplicitamente, sta scritto in un libro composto tremilacinquecento anni fa.

E per restare in tema di creazione, guardate che cosa si può riuscire a creare con una semplice, piccola, banale armonica

(dedicato a tutti quelli che “fra tutte le specie esistenti sulla terra, quella umana è la più inutile, la più nociva, la più cretina, quella che per prima meriterebbe di estinguersi e speriamo che ciò avvenga il più presto possibile”. E ci ritornerò, prima o poi)

barbara

ANCORA UNA VOLTA

la Bibbia aveva ragione.

La Bibbia ha raccontato quel che è veramente accaduto. Clamorosa sentenza arriva da Israele, dove gli archeologi dell’Israel Antiquities Authority hanno effettuato una scoperta rivoluzionaria. Gli scavi nella Città di David, il primo storico insediamento, hanno portato alla luce una serie di reperti e artefatti datati 600 avanti Cristo, ritrovati bruciati. Come spiega HuffingtonPost.it, si tratta di semi di vite, legno, ceramiche, ossa bruciacchiate, tutto ricoperto di cenere. La datazione è stata resa possibile dai sigilli visibili sopra gli oggetti, “caratteristici del periodo di costruzione del Primo Tempio”, come ha spiegato il capo-archeologo Joe Uziel.
In pratica, la Città di David avrebbe subito un devastante incendio proprio nello stesso periodo indicato dall’Antico Testamento. Nel libro di Geremia (52, 12-13) si cita proprio un incendio, con queste parole: “Nel quinto mese, il dieci del mese, essendo l’anno decimonono del Regno di Nabucodònosor re di Babilonia, Nabuzaradàn, capo delle guardie, che prestava servizio alla presenza del re di Babilonia, entrò a Gerusalemme. Egli incendiò il tempio del Signore e la reggia e tutte le case di Gerusalemme, diede alle fiamme anche tutte le case dei nobili”.
(Libero, 18 febbraio 2018)

È un dato di fatto: ogni tanto arriva una nuova scoperta che conferma la realtà storica della narrazione biblica, come per l’incredibile impresa del tunnel di Ezechia, di cui avevo raccontato qui.

barbara

HEBRON, PATRIMONIO PALESTINESE

storico, artistico, religioso eccetera eccetera, da mettere sotto la protezione dell’UNESCO in quanto sito in pericolo. Messo in pericolo da Israele, beninteso.

Hebron nella Bibbia

Esempi:
– Allora Abramo levò le sue tende e venne ad abitare alle querce di Mamre, che sono a Hebron; e là costruì un altare all’Eterno. (Genesi 13:18)
– E Sara morì a Kirjath-Arba, (che è Hebron), nel paese di Canaan; e Abrahamo entrò a far lutto per Sara e a piangerla. (Genesi 23:2)
– Poi Giacobbe venne da Isacco suo padre a Mamre, a Kirjath-Arba, (cioè Hebron), dove Abrahamo e Isacco avevano soggiornato. (Genesi 35:27)
– Allora Giosuè lo benedisse e diede Hebron in eredità a Caleb, figlio di Jefunneh. Per questo Hebron è rimasta proprietà di Caleb, figlio di Jefunneh, il Kenizeo, fino al giorno d’oggi, perché aveva pienamente seguito l’Eterno, il Dio d’Israele. (Giosuè 14:13-14)
– Davide condusse anche gli uomini che erano con lui, ognuno con la propria famiglia, e si stabilirono nelle città di Hebron. (2 Samuele 2:3)
– Il tempo che Davide regnò a Hebron sulla casa di Giuda fu di sette anni e sei mesi. (2 Samuele 2:11)
– In Hebron a Davide nacquero dei figli… Questi nacquero a Davide in Hebron. (2 Samuele 3:2,5)
– Allora tutte le tribù d’Israele vennero da Davide a Hebron e gli dissero: Ecco, noi siamo tue ossa e tua carne. Già in passato, quando Saul regnava su di noi, eri tu che guidavi e riconducevi Israele. L’Eterno ti ha detto: Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai principe sopra Israele. Così tutti gli anziani d’Israele vennero dal re a Hebron e il re Davide fece alleanza con loro a Hebron davanti all’Eterno, ed essi unsero Davide re sopra Israele. Davide aveva trent’anni quando cominciò a regnare e regnò quarant’anni. Hebron regnò su Giuda sette anni e sei mesi; e a Gerusalemme regnò trentatré anni su tutto Israele e Giuda. (2 Samuele 5:1-5)
– Allora tutto Israele si radunò presso Davide a Hebron e gli disse: Ecco noi siamo tue ossa e tua carne; … Così tutti gli anziani d’Israele vennero dal re a Hebron, e Davide fece alleanza con loro a Hebron davanti all’Eterno; quindi essi unsero Davide re sopra Israele, secondo la parola dell’Eterno pronunciata per mezzo di Samuele. (1 Cronache 11:1,3).

*

Hebron nel Corano

Esempi:

 

 

Marcello Cicchese su http://www.ilvangelo-israele.it/

L’amico David Pacifici mi fa notare che in questa interessante carrellata di citazioni bibliche della città di Hebron manca quella che è forse la più importante di tutte: l’acquisto in contanti, da parte di Abramo, della Grotta di Machpelà per seppellirvi la moglie Sarah, come si può leggere qui.

Poi, già che ci siamo guardiamoci anche questo video

e leggiamo il solito, imprescindibile, Ugo Volli.
E prossimamente su questi schermi:
baccalà
barbara

POPOLO DI UN DIO GELOSO?

Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Probabilmente molti di voi avranno già sentito di questa cosa scandalosa, denunciata già in molti siti, ma preferisco parlarne anche qui.

Cari amici,

 ci avevamo creduto. O meglio, alcuni di noi ci avevano creduto, si erano illusi. Dopo infiniti convegni, confronti, visite papali ed episcopali, conferenze pubblicazioni dichiarazioni. Avevamo creduto che l’antisemitismo tradizionale della Chiesa (quello che per essere educati bisogna chiamare “antigiudaismo”) fosse stato gradualmente abbandonato di fronte alla lezione della Shoah. Certo, il Vaticano era stato l’ultimo a riconoscere Israele e l’atteggiamento antisraeliano è ancora diffuso nel mondo cattolico dall’associazionismo di base su su fino alla segreteria di stato. Anche se, sono felice di riconoscerlo, le eccezioni ci sono, e non poche.
Ma ci eravamo illusi che questa fosse per l’appunto una posizione politica (sia pure miope e vile) intesa a mostrare al più forte, e al più violento, quello che può fare danni gravi, cioè i musulmani. E’ un calcolo che avrebbe senso, visto che gli islamici sono circa cento volte più numerosi degli ebrei (1,6 miliardi contro 16 milioni circa), salvo il piccolo problema che essi puntano da sempre alla distruzione del cristianesimo dopo quella dell’ebraismo: con le buone (le conversioni) o di nuovo come un tempo con le cattive (con le stragi). Ma il punto della diffidenza cattolica per Israele non è politico, non solo. E’ molto più radicale. Non è solo antisionismo, ma anche spesso antisemitismo. O meglio era tutte e due le cose, a conferma che esse non si possono distinguere, l’una sfocia sempre in definitiva nell’altra.
I più accorti fra noi se n’erano accorti da tempo, da quando per esempio nel 2009 (quasi contemporaneamente alle seconda visita papale alla sinagoga di Roma, con sfoggio di “fratelli maggiori”, ma accurato silenzio su Israele) era uscito il documento ecumenico “Kairos Palestine”, firmato da esponenti di tutte le correnti cristiane, inclusi i cattolici, in cui si legava una posizione politica radicalmente filo-palestinese a una “teologia della sostituzione” per cui in sostanza si sosteneva che a causa delle loro malefatte gli ebrei avevano perso il titolo alla loro “elezione” (termine che corrisponde male alla lettera del testo biblico che parla di “am segulah”, popolo che appartiene a Dio, fa parte del suo tesoro).
Gli ebrei ormai tornati in maggioranza nella loro terra ancestrale, anche per questo gesto storico secondo le chiese cristiane rappresentate non avevano ruolo nella vicenda della salvezza, era solo un ostacolo, un momento di oppressione da eliminare. Poi da Roma erano arrivate delle precisazioni che no, non si intendeva contestare l’”elezione” biblica; ma in realtà il documento antisraeliano era l’ultima perla di una collana che risaliva alle idee dei primi secoli del Cristianesimo, per cui Israele non era più quello di una volta, avendo rifiutato di riconoscere Gesù, e la Chiesa era diventata lei il “verus Israel”.
Storie vecchie, dunque, parzialmente cancellate ma costantemente riemergenti. Qualcuno di nuovo si era illuso che il dialogo avrebbe superato questi “malintesi”.
Che però continuano.

E l’altro giorno, grazie a uno scoop di Giulio Meotti sul “Foglio”, per quel che ne so né smentito né ripreso da alcun altro giornale nazionale (http://www.ilfoglio.it/chiesa/2017/03/10/news/a-venezia-un-convegno-di-biblisti-italiani-contro-l-ebraismo-ambiguo-124566/)  è venuta fuori un’altra espressione contemporanea di questo “odio antico” di cui la Chiesa ha fatto oggetto gli ebrei, almeno a partire dalle prediche genocide di San Giovanni Crisostomo nel IV secolo.
Chi ha espresso questa posizione antiebraica di principio non sono i fanatici terzomondisti di “Pax Christi”, e nemmeno i cristiani politicizzati e nazionalisti del mondo arabo. E, lo ripeto, è cosa di questi giorni, non siamo nel XVI secolo, quando il Papa Pio V rispose al Duca di Ferrara Alfonso II d’Este che gli chiedeva una benedizione per il terribile terremoto del 1570 subito dalla sua città che in sostanza il terremoto era colpa sua, dato che ospitava parecchi ebrei, come racconta il numero di “Le scienze” in edicola in questi giorni (http://www.lescienze.it/archivio/articoli/2017/03/01/news/il_terremoto_che_ha_deviato_il_po-3442212/ ). Si tratta molto più tranquillamente dell’associazione cattolica dedicata a promuovere lo studio delle Scritture, riconosciuta dalla Conferenza dei vescovi italiani e ripetutamente onorata dell’attenzione papale (l’ultima volta pochi mesi fa https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/09/15/0644/01453.html) : l’Associazione Biblica Italiana (http://www.associazionebiblica.it/ ).
Questa associazione, forse un po’ stanca di occuparsi del libro dell’Esodo, del profeta Ezechiele o delle “parabole della misericordia”, ha scelto per il suo prossimo convegno che si terrà a Venezia in settembre, questo tema: “Israele popolo di un Dio geloso: coerenze e ambiguità di una religione elitaria”. Carino, non vi pare?
“Dio Geloso è un vecchio errore di traduzione, perché l’aggettivo originale in Dt 5:9 è “qanà” che significa innanzitutto zelante e nel testo (il terzo comandamento) se ne intende sottolineare la misericordia: si dice che le colpe dei padri ricadono sui loro discendenti per tre o quattro generazioni, ma i meriti per mille. Ma questa cattiva traduzione è una delle basi dell’antigiudaismo cristiano: il Dio dell’”Antico testamento” sarebbe cattivo, crudele, privo di pietà e di amore; diventerebbe buono solo nel “Nuovo” come “padre” di Gesù; anche se allo stesso tempo si sostiene che sia lo stesso.
Ci fu nei primi secoli della Chiesa una posizione che proponeva di eliminare del tutto l’Antico Testamento” il Dio cattivo e gli ebrei malvagi che lo adoravano; essa si definisce marcionismo da nome del suo fondatore, il vescovo Marcione (https://it.wikipedia.org/wiki/Marcione ); fu dichiarata eresia, ma spesso riemerge. Per chi avesse dubbi sul significato del titolo del convegno, mi permetto di citare ancora dal programma reso pubblico da Meotti e ripeto, a quel che ne so non smentito: Il convegno intende parlare delle “radici di una religione che nella sua strutturazione può dare adito a manifestazioni ritenute degeneranti”. […] L’ebraismo avrebbe come conseguenze spesso il “fondamentalismo” e “l’ assolutismo”: “Il pensarsi come popolo appartenente in modo elitario a una divinità unica ha determinato un senso di superiorità della propria religione”.
Dunque è questo quello che, fra uno studio del libro di Esdra e uno delle lettere di Paolo, pensano dell’ebraismo i bravi biblisti cattolici: “ambiguo”, “degenerante” “fondamentalista”, “assolutista”, “elitario” affetto da “senso di superiorità”. Neanche parlassero dell’Isis, che invece non merita la loro attenzione.

Dispiace, ma bisogna dirlo, sono espressioni che non sarebbero dispiaciute alla propaganda nazista e che peraltro sono state coltivate a lungo dalla stampa cattolica e in particolare dalla rivista dei gesuiti “Civiltà Cattolica” dalla fondazione nel 1850 per oltre un secolo, ben dopo la fine della Seconda guerra mondiale, come ha documentato David Kerzner (http://www.davidkertzer.com/it/libri/i-papi-contro-gli-ebrei ).
Vorrei anche aggiungere che sono parole non dissimili da quelle che nel libro di Ester Haman, il visir che vorrebbe eliminare il popolo ebraico dalla faccia della terra rivolge al re: “C’è un popolo separato e disperso fra i popoli di tutte le provincie del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo, e che non osserva le leggi del re; non è quindi interesse del re tollerarlo. Se il re è d’accordo, si faccia un decreto per distruggerlo” (Ester 3: 8).
E’ un discorso fatto più o meno 2500 anni fa, che è registrato nelle Scritture ebraiche come il prototipo dell’antisemitismo. Proprio oggi cade la festa di Purim in cui gli ebrei festeggiano il fallimento di questo progetto. O meglio: di quella singola concreta espressione della voglia di far pagare a questo “popolo separato” la propria “separatezza, cioè, diciamocelo, il carattere “ambiguo”, “degenerante” “fondamentalista”, “assolutista”, “elitario” affetto da “senso di superiorità”.
Non mi sogno naturalmente di dire che i bravi biblisti siano paragonabili a Haman o alle sue riedizioni moderne, da Torquemada al capo ucraino Chmel’nyc’kij fino a Hitler. Non dubito che siano pacifici, antirazzisti e antinazisti e che nutrano orrore per i genocidi. Manca loro evidentemente il carattere demoniaco, l’orribile grandezza del male assoluto. Ma se davvero hanno scritto le parole che “Il foglio” ha attribuito loro, bisogna ammettere che di fatto stanno riproponendo alcuni dei pensieri che hanno alimentato e giustificato le grandi persecuzioni.

La festa di Purim insegna agli ebrei a ricordarsene, a vigilare, a cercare di cavarsela impegnandosi nel dialogo quand’è possibile (Ester parla e fa molto di più col re), ma senza ingenuità, essendo anche pronti a fuggire dalle persecuzioni e a difendersi quando si può.
Questa difesa dall’antisemitismo oggi, grazie al Cielo, esiste, si chiama Israele ed è proprio per questo suo ruolo di autodifesa degli ebrei che gli antisemiti la odiano ferocemente. A tutti i miei amici e innanzitutto allo Stato di Israele, auguro “Purim sameach” un felice Purim.

Ugo Volli

PS: Dopo aver scritto questa cartolina ho trovato su Facebook una versione del programma del convegno diversa (questa: https://www.polarisoffice.com/d/2RQfBvF8 ), che chi l’ha pubblicata sostiene aggiornata dopo la pubblicazione dell’articolo sul Foglio e le proteste dei vertici dell’ebraismo italiano: “Dio geloso” è finito fra virgolette, le più oltraggiose espressioni citate da Meotti non si trovano più. Dimostrazione forse che protestare serve. O che l’Associazione Biblica non intendeva porre i temi che ho discusso, non consapevolmente. Ma il cuore del problema, l’antigiudaismo teologico, resta lo stesso.   (uv) http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

E sarà anche banale dire che il lupo perde il pelo ma non il vizio, ma resta sempre una grande verità.

barbara

 

BIBLICO

Episodio autentico, raccontatomi l’altro ieri.

Il padre di un giovane musicista, dopo molte insistenze, riesce a convincere un noto musicista ad assistere a un concerto del ragazzo. Alla fine del concerto va dal musicista e dice:
– Allora, Maestro, che cosa ne pensa?
– Quel ragazzo suona in maniera biblica!
– Cioè?
– La sua mano sinistra non sa quello che fa la mano destra.

Queste mani qui, invece, sembrano saperlo decisamente bene.

barbara

PER CONCLUDERE IL DISCORSO SULLE RELIGIONI

La Bibbia messa ai margini e la crisi del cristianesimo

di Giuseppe Laras, Presidente del Tribunale Rabbinico del Centro Nord Italia

Siamo in guerra e prendiamo coscienza che siamo solo agli inizi. È la prima volta dai giorni di Adolf Hitler che le sinagoghe in Francia sono state chiuse di sabato. Tuttavia, è unicamente il tragico e spaventoso attentato al giornale Charlie Hebdo che ha scosso gli europei: i molti e continui attentati ai singoli ebrei e alle comunità ebraiche in tutta Europa in questi anni hanno turbato qualcuno, ma per quasi tutti si è trattato “solo” di ebrei. Parimenti non ci sono stati sgomento e allarme per il fatto che da anni ormai, giustamente, gli ebrei francesi abbandonino la “laica” Francia. Così accade in molti altri Paesi europei e il motivo è il medesimo, ovvero il dilagare del terrorismo di matrice islamista, con il suo carico di odio antisemita.
Molti intellettuali e politici sostengono che il problema non è l’Islàm, ma il terrorismo. È come dire che il cristianesimo non è l’antisemitismo o l’antigiudaismo. Certo! Tuttavia è innegabile che l’antisemitismo e l’antigiudaismo sono stati problemi profondi propri del cristianesimo (e non solo). La violenza e il fanatismo, la sottomissione religiosa e il terrore non esauriscono l’Islàm, ma sono un problema religioso che in qualche modo riguarda l’Islàm. L’autocritica dell’Islàm (assieme alla critica laica esterna) su questo punto sembra difettare.
Le religioni (anche se sono convinto -e con me Rosenzweig, Buber, Heschel, Bonhoeffer, Barth, Ratzinger e Martini- che ebraismo e cristianesimo siano anzitutto fedi e non soltanto religioni) possono essere causa di guerre, di violenze e nei loro insegnamenti albergare forze distruttive. Non è vero che è solo l’economia a causare guerre e barbarie: le religioni, al pari dell’ateismo e di un certo illuminismo, sono esperte in materia. Nel caso del cristianesimo si è spesso trattato di problemi interpretativi, con l’Islàm il problema dimora parzialmente nel testo sacro stesso (e inviterei al riguardo a studiare i libri di Bernard Lewis, Norman Stillman, Georges Bensoussan, Bat Ye’or).
Cristiani ed ebrei, secondo il Corano, sono presenti nei Paesi islamici in quanto dhimmi, popolazioni sottomesse, tollerate purché subalterne e paganti apposite tasse.
Cosa dobbiamo, sia a livello politico e giuridico sia a livello interreligioso, chiedere oggi ai più autorevoli teologi islamici nei Paesi europei e arabi, anche a fronte della massiccia presenza demografica di musulmani?
La prima domanda è la seguente: è possibile per l’Islàm, in ossequio al Corano e per necessità religiosa intima propria dei musulmani osservanti, e non solo perché richiesto dai governi occidentali o da ebrei e cristiani, accettare teologicamente, apprezzandolo, il concetto di cittadinanza politica, anziché quello di cittadinanza religiosa, confliggente quest’ultimo con i valori occidentali e pericoloso per le comunità cristiane ed ebraiche, che, in qualità di minoranze sarebbero esposte a intolleranze e arbitrio? Se sì, come diffondere questa interpretazione e come radicarla oggi in seno alle comunità islamiche? A questa domanda deve seguire necessariamente la “reciprocità” nei Paesi islamici della piena libertà di espressione, di stampa e di culto.
Questa domanda fondamentale, per ignoranza, ignavia e inettitudine, non è mai stata seriamente posta dai politici europei, che hanno responsabilità enormi, anche del sangue sinora versato.
C’è una seconda questione, che si intreccia alla prima e che chi è veramente interessato al dialogo non può eludere. Per l’Islàm, gli ebrei hanno alterato la Rivelazione divina e i cristiani hanno pratiche cultuali, oltre a condividere con i primi una Rivelazione alterata, dal sapore idolatrico. È possibile per l’Islàm, in ossequio al Corano e per necessità religiosa interiore dei musulmani osservanti, e non solo perché sollecitato da ebrei e cristiani, apprezzare positivamente, in una prospettiva teologica, ebrei e cristiani in relazione alle problematiche sollevate da questo assunto coranico? Questa seconda domanda fondamentale, per un’erronea comprensione del dialogo e del rispetto, nonché per un dilagante buonismo pressapochista, non viene mai posta, nemmeno dalle stesse autorità religiose cristiane ed ebraiche.
Premesso che ci sono centinaia di migliaia di singoli musulmani, persone degne e buone, realmente religiose, che a queste domande hanno già risposto personalmente con il rispetto per il prossimo e per la sua fede, con un certo pluralismo e con l’integrazione ricercata e praticata, tuttavia manca una reale, inequivocabile, onesta, autorevole e vincolante riflessione teologica islamica al riguardo.
È chiaro che se le risposte saranno per lo più negative, non sufficientemente autentiche o caratterizzate da silenzi e imbarazzi ci si troverà tutti di fronte a un immenso problema. E come tale dovrà essere assunto.
C’è una tentazione che può profilarsi, a diversi livelli, sia nel cristianesimo sia nella politica europea: quella di lasciar soli gli ebrei e lo Stato di Israele per facilitare una pace politica, culturale e religiosa con l’Islàm politico. Un accordo, per così dire, tra maggioranze, specie nell’ottica delle future proiezioni demografiche religiose europee e mediterranee. È una strategia fallimentare che i cristiani arabi provarono con il panarabismo e l’antisionismo. Gli esiti sono ben noti: dopo che quasi tutti i Paesi islamici si sono sbarazzati dei “loro” ebrei, si sono concentrati con violenze e massacri sulle ben nutrite minoranze cristiane. È una storia che si ripropone e che va dal genocidio armeno (cento anni fa), ai cristiani copti di Egitto, ai cristiani etiopi e nigeriani, sino a Mosul. E molti Paesi europei, un’intera “classe” di intellettuali e molti cristiani di Occidente hanno le mani grondanti del sangue dei cristiani di Oriente, dato che sono stati disposti a sacrificarli sugli altari del pacifismo, dell’opportunità politica, di un malinteso concetto di tolleranza, della cultura benpensante e radical chic, della “buona” coscienza. A fronte di silenzi, spesso pluridecennali, non ci sono politici innocenti o autorità religiose cristiane che su questo possano dormire serenamente.
La tentazione di abbandonare gli ebrei e Israele è già esistente nei ricorrenti episodi di boicottaggio europeo, sia a livello economico sia a livello culturale e universitario, dello Stato di Israele. Esiste nel silenzio imbarazzato o infastidito sui morti ebrei in Europa oggi. Con buona pace della Giornata della Memoria.
La Giornata della Memoria è stata purtroppo addomesticata con liturgie pubbliche e anestetizzata dalle cerimonie in Parlamento e al Quirinale. Le più alte cariche dello Stato dovrebbero annualmente andare a celebrarla a Fossoli, a Bolzano, a San Sabba o nel ghetto di Roma vittima del rastrellamento nazifascista, per far capire che è una realtà possibile, come tale ripetibile, e che si è verificata in Italia, con il plauso, la collaborazione, l’assenso e i silenzi di moltissimi –troppi- italiani. Organizzata come è attualmente, sembra riguardare un qualcosa lontano nel tempo, accaduto soltanto in Germania o in Polonia. Essa così risulta azzoppata, fraintesa e priva di potenzialità dinamiche per comprendere il presente e incidervi positivamente.
E l’ignavia e il diniego europeo sulle questioni presenti e sull’incapacità di affrontare politicamente e culturalmente le insidie legate alle derive dell’Islàm politico, consegnando così a razzisti e xenofobi le risoluzioni del problema, gettano ombre lunghe che rievocano i fantasmi del nazismo e, per gli ebrei, della persecuzione. L’incapacità di comprendere lo Stato di Israele in definitiva si risolve nel fatto che a una certa politica e a una certa cultura europea miope gli ebrei piacciono solo in quanto morti da piangere e ricordare e non come soggetti vivi con cui dialogare e confrontarsi, ovvero oggi, in primo luogo, Israele. Piangere i morti fa sentire nobili e democratici; dialogare con gli ebrei è segno di liberalità e cosmopolitismo; per lo Stato di Israele, se va bene, la linea guida è “…sì, ma!..”, nonostante sia proprio questo il luogo di rifugio per chi fugge da un’Europa evidentemente non più sicura.
La situazione culturale e politica occidentale, per cui non si riesce a comprendere ciò che accade e a chiamarlo per nome, è intrisa di ignoranza, superficialità, inettitudine e pressapochismo. La nostra contemporaneità ricorda tristemente il periodo sinistro tra le due guerre mondiali: una sorta di collasso sistemico. La crisi che viviamo –e in cui per lungo tempo continueremo a vivere- non è economica e demografica soltanto: è una crisi culturale e valoriale, legata alla crisi del cristianesimo e, in un certo senso, della conoscenza della Bibbia, il cardine dell’intera nostra cultura dal punto di vista urbanistico, artistico, musicale, letterario, filosofico, giuridico, politico e religioso. E proprio per questo la Bibbia non è presente nelle scuole. E questa la chiamano laicità!
È stato necessario un attore comico, indubbiamente molto bravo, per far di nuovo parlare, interessando, di Bibbia e del Decalogo: Benigni! Che débacle che sia stato necessario lui dopo duemila anni di cristianesimo e duemila e duecento anni di ebraismo in Italia! Evidentemente qualcosa non va; tuttavia pare che vescovi, pastori e rabbini dormano ancora sonni tranquilli.
L’erosione della conoscenza della Bibbia, non in quanto “tributo antiquario” ma piuttosto in quanto “forza creatrice e rigenerante”, è uno dei fatti più inquietanti e drammatici per il nostro futuro sia religioso, sia culturale nelle sue varie declinazioni, sia in termini economici e politici.
Erroneamente si ritiene che i diritti umani universali, quelli che con tanta fatica, sofferenza e milioni di morti siamo in parte riusciti a conquistare, derivino esclusivamente dal diritto greco e romano, da queste culture e dalle loro successive evoluzioni.
I diritti, per come li comprendiamo noi, devono essere valevoli sempre e per tutti, ed è proprio questo che li rende, in una certa misura, universali. Ebbene, in Grecia era “uguale”, e quindi investito di diritti, solo chi era maschio, libero, greco, adulto e non necessitato a lavorare per vivere, cosa altrimenti disdicevole.
È la Bibbia ebraica, la Torah, a rivoluzionare tutto ciò. È la Bibbia ebraica a introdurre nella civiltà umana la libertà quale DNA costitutivo dell’uomo e del creato, speculare alla libertà del Creatore (libertà e non sottomissione!). È la Bibbia ebraica a sostenere che il lavoro umano rende l’essere umano simile a Dio nel creare. È la Bibbia ebraica, a porre, con la straordinaria rivoluzione introdotta dallo Shabbat, un limite al lavoro, altrimenti deleterio, rendendo l’uomo simile a Dio anche nel riposare. È con lo Shabbat che vengono inventati i “diritti umani universali”, includendo uomini, donne, stranieri, schiavi e perfino animali. È con lo Shabbat e con i precetti biblici di aiuto ai poveri e di costruttiva solidarietà con i derelitti della società che trova fondamento la nostra idea di “welfare” e non da altre culture. È la Bibbia, sia ebraica sia cristiana, a ipotizzare in qualche modo una possibile divisione tra politica e religione.
Non pochi intellettuali, compresi non pochi pensatori credenti ebrei e cristiani, hanno creduto, erroneamente, che questi valori e che queste conquiste –oggi estremamente fragili e sotto attacco- fossero auto-evidenti e non derivanti da una storia ben precisa.
Aveva ragione C. M. Martini a dire che la Bibbia è il libro del futuro dell’Europa e dell’Occidente, ma non è stato ascoltato. Aveva ragione Benedetto XVI nella ben nota conferenza di Ratisbona, ma fu vittima del discredito mediatico e culturale. E la Bibbia è stata scritta da ebrei, per ebrei, in ebraico, e l’ebraismo ancora oggi sopravvive proprio grazie alla Bibbia. E, parimenti, credo, il cristianesimo.
Il riportare la Bibbia a fondamento della cultura e dell’etica è un impegno religioso possibile, dalla fecondità straordinaria, condivisibile tra ebrei e cristiani: un impegno di cui si avverte l’urgenza impellente e drammatica in questi anni di crisi, di confusione assordante, di efferata violenza e di grande mediocrità. Tale contributo religioso, culturale e morale, congiunto di ebrei e cristiani, oggi risulta quasi inedito ed estremamente necessario.
Tuttavia, oggi, come ebbe a dire giustamente il filosofo ebreo E. Fackenheim, senza il reale riferimento positivo e non ambiguo a Israele, non sarà né autentico né produttivo il dialogo tra ebrei e cristiani.
Infine, visti i tempi calamitosi in cui ci troviamo e troveremo ancora di più domani a vivere, invito tutte le persone coscienti e responsabili, sia ebree sia cristiane sia musulmane, come pure di altre religioni, a raccogliersi in preghiera invocando dall’alto l’impulso in ciascuno di noi ad agire ai fini del rispetto del prossimo e della pace, concetto e realtà quest’ultima troppo spesso ideologicamente abusata, estremamente difficile, ma, proprio per questo, da perseguirsi con perseveranza, lucidità e caparbia determinazione.

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barbara

IL TUNNEL DI EZECHIA

Il rimanente delle gesta di Ezechia, tutte le sue prodezze, e come egli fece la piscina e l’acquedotto con cui introdusse l’acqua in città, sono cose scritte nelle Cronache dei re di Giuda. (2 RE, 20, 20)

Dopo tutte queste cose rette fatte da Jechizkijàhu, Sancheriv re d’Assiria marciò contro Giuda, si accampò presso le città fortificate e decise di entrarvi con la forza. Jechizkijàhu, visto che Sancheriv stava arrivando per fare guerra a Gerusalemme, si consigliò con i suoi ministri e con i suoi prodi e decisero di chiudere le sorgenti di acqua che si trovavano fuori della città. Allora una moltitudine di persone si riunì e chiuse tutte le sorgenti ed il fiume che scorreva nel paese, perché pensarono: «Perché mai i re di Assiria quando giungeranno qui debbono trovare tante acque?» (2 Cronache, 32, 1-4)

E le brecce della città di David avete veduto numerose; avete raccolto le acque della sorgente inferiore. (Isaia, 22, 9)

Ezechia fortificò la sua città e condusse l’acqua nel suo interno; scavò con un ferro un canale nella roccia e costruì cisterne per l’acqua. (Siracide, 48, 17)

Così la narrazione biblica. Realtà? Leggenda? Favola? Realtà, in effetti, inequivocabile realtà: in fretta e furia, in previsione dell’imminente assedio degli assiri, viene fatto scavare nella roccia un tunnel che porti l’acqua nella città, in modo che questa non possa essere presa per sete lasciando, per giunta, tutta quell’acqua a disposizione dei nemici. Poiché il tempo stringe, per fare più in fretta il tunnel viene scavato iniziando da entrambe le estremità e, incredibilmente (stiamo parlando di 27 secoli fa), gli operai si incontrano. Leggenda? No, realtà anche questa, inequivocabilmente documentata da questa iscrizione
iscrizione
trovata, del tutto casualmente, da un ragazzo che stava nuotando, nel 1880, che dice:
“La perforazione è stata compiuta e così andarono le cose: mentre gli scavatori brandivano i picconi, l’uno contro l’altro, e mentre rimanevano ancora tre cubiti (circa un metro e mezzo) da perforare, si udì la voce di uno che chiamava il suo compagno, perché c’era un foro nella roccia dal lato destro a quello sinistro. E nel giorno della perforazione gli scavatori batterono l’uno verso l’altro, piccone contro piccone. E l’acqua scorse dalla sorgente fino al serbatoio per 1.200 cubiti (553 metri); e l’altezza della roccia sopra alla testa degli scavatori era di cento cubiti (46 metri)”.

Questa iscrizione di Gerusalemme è una copia: l’originale si trova in Turchia poiché all’epoca del rinvenimento la Terra d’Israele era territorio occupato dall’Impero Ottomano (e magari, per completezza di informazione, andate a leggere anche questo).
Nel tunnel scorre tuttora l’acqua, come potete vedere in quest’altro video

Noi siamo scesi fino alla biforcazione tra il tunnel di Ezechia e quello di Salomone, che è asciutto, e dopo avere constatato la presenza dell’acqua abbiamo percorso quest’ultimo. Lungo il percorso, siccome vi voglio un sacco di bene e lo sapete, ho scattato per voi qualche foto.
Ezechia 1
Ezechia 2
Ezechia 3
Ezechia 4
barbara