LO SCHIACCIANOCI

Come accennato ieri, sono andata a vedere Lo Schiaccianoci. L’annunciatrice l’ha presentato come “una delle opere classiche, legata al la ricorrenza del Natale”: nessun accenno all’autore, meno che mai a collegamenti ancora più compromettenti, ma hanno comunque avuto almeno il coraggio di andare contro il generale boicottaggio di tutto ciò che è russo. Qualche anno fa l’avevo visto nello stesso teatro col balletto di San Pietroburgo, stavolta con una meno prestigiosa ma comunque pregevole compagnia di ballo italiana e lo spettacolo è stato senz’altro godibile.

L’Adagio, o Grand pas de deux stavolta ve lo presento in due diverse esecuzioni della stessa pattinatrice, Angelina Leonova, la prima del 31 maggio di quest’anno, all’età di quattro anni e mezzo

la seconda cinque mesi più tardi

E poi ve la faccio sentire solo suonata, questa robaccia fin de siecle, con la direzione del superboicottato Valery Gergiev, licenziato dalla Filarmonica di Monaco di cui era direttore, estromesso dalla Scala di Milano eccetera per non avere rispettato l’ultimatum che gli era stato intimato, di firmare una presa di distanza dalla guerra (NON, come qualcuno ha affermato, per essersi espresso a favore della guerra, ma semplicemente per essersi rifiutato di sottostare a un infame, ricattatorio, ultimatum), ultimatum deciso in nome della “linea della fermezza per quanto riguarda la solidarietà e la condivisione dei valori di Pace europei”.

I nazisti, nel frattempo, continuano a bombardare il Donbass.

barbara

LE COSE DI CUI NON CI SI CAPACITA

Qualcuno ha scritto questo articolo.

Nel 1936 la Germania – nel pieno del suo espansionismo politico ed economico – organizzò i giochi olimpici.
Il leader dell’epoca (innominabile oggi in democrazia pena la censura) aveva le sue idee – molto chiare – sia su paesi amici e nemici sia, soprattutto, su pigmentazioni ed analoghi segni caratterizzanti le varie etnie. Ma, nonostante le sue idee chiarissime, non gli passò neppure per la mente di boicottare paesi o pigmentazioni non gradite. Tant’è che le Olimpiadi di Berlino sono ricordate – con un po’ di ovvia retorica dei vincitori – come le Olimpiadi del trionfo dell’afroamericano Jesse Owens, il quale fra l’altro strinse nell’occasione una fortissima e duratura amicizia pubblica con Luz Long, il biondo atleta emblema della Germania di allora, senza alcun ostacolo da parte del regime. Se pensiamo che oggi la “democrazia occidentale” è riuscita ad escludere – per l’unica colpa di essere nati in un determinato paese – perfino le squadre dei ragazzini disabili russi, oltreché tutte le nazionali, i campioni, i musicisti, i direttori d’orchestra, i cantanti e gli artisti, perfino quelli come Dostoevskij morti da un secolo e mezzo, forse qualche domanda sull’essenza della democrazia dovremmo farcela…

Sembrerebbe perfetto, vero? Pienamente condivisibile da qualunque persona di buonsenso, vero? Ma evidentemente il buon senso non è un bene comune, e non tutti vi hanno accesso. Ed ecco dunque quest’altro articolo che lo commenta, e che io a mia volta commenterò tra le righe.

Semplicemente incredibile il post che riporto sotto! Val la pena di leggerlo, cercando di non incazzarsi troppo.- [Ecco, anche voi che vi accingete a proseguire la lettura, cercate di non farvi venire troppi rigurgiti acidi]

Hitler nel 1936, si dice, “permise” a neri americani ed ebrei di gareggiare alle Olimpiadi di Berlino, addirittura, aggiungo io, il tiranno nazista acconsentì che nella squadra nazionale tedesca ci fossero alcuni ebrei. [FALSO! Partecipò una sola “ebrea” tedesca, Helene Mayer, in realtà ebrea solo per parte di padre e quindi, per inciso, per la legge ebraica non era ebrea per niente. Fu richiamata dagli Stati Uniti dove si era rifugiata per sfuggire alle leggi razziali, unicamente perché si sapeva che senza di lei la squadra tedesca non avrebbe mai potuto vincere. Quanto agli ebrei di altre nazionalità (pochi) che parteciparono alle olimpiadi, nei documenti non era certo riportata l’indicazione “di razza ebraica”, quindi questa affermazione è un’emerita cazzata] Oggi invece il cattivissimo occidente discrimina ad ogni livello i russi. Li esclude da manifestazioni sportive e culturali di ogni tipo. Conclusione: l’attuale occidente di oggi è peggio della Germania nazista. Siamo dei “liberal nazisti”. Più o meno le conclusioni del filosofo di corte Alexandr Dugin. Perfetto.
Brevi considerazioni.
In primo luogo nel 1936 l’allentamento delle discriminazioni fu una condizione posta ad Hitler per poter ospitare le Olimpiadi a Berlino. [FALSO! Nessuna condizione è mai stata posta da chicchessia. Il fermare le persecuzioni per due settimane è stata un’iniziativa di Hitler per poter fare bella figura di fronte al mondo. La prova? L’assegnazione delle olimpiadi a Berlino era stata fatta nel 1931, due anni prima che Hitler fosse nominato cancelliere] Il tiranno nazista considerava molto importante dal punto di vista propagandistico questo evento ed accettò di mettere fra parentesi per un paio di settimane le persecuzioni contro chi considerava “inferiore”.
In secondo luogo nel 1936 NON era in corso nessuna guerra che vedesse impegnata la Germania, meno che mai era in corso una guerra fra Germania ed USA. Quelle di Berlino furono le ultime Olimpiadi di ante guerra. Passarono 12 anni, dal 1936 al 1948, prima di vedere nuovi giochi olimpici. Non credo che se nel 1942 si fosse disputata una grande manifestazione sportiva, ad esempio negli USA gli atleti tedeschi sarebbero stati invitati.

Evidentemente sfugge, all’esimio signore, che la Russia non ha dichiarato guerra all’Italia, alla Francia, alla Germania come la Germania l’aveva dichiarata all’America, non ha bombardato le nostre case, le nostre fabbriche, i nostri ponti, le nostre ferrovie, le nostre navi, e non ha deportato nei campi di sterminio una parte dei nostri connazionali. Quindi posso dire che questo signore sta facendo discorsi del cazzo? A noi da bambini è stato detto che dovevamo amare Gesù e odiare il diavolo e noi abbiamo amato Gesù e odiato il diavolo senza porci domande, perché un cervello di due anni non ha la capacità di porsi questo genere di domande. A questa gente è stato detto che deve amare il guitto nazista e odiare Putin, e loro amano il guitto nazista e odiano Putin senza porsi domande, perché un cervello di due anni non ha la capacità di porsi questo genere di domande.
Poi c’è quest’altro articolo interessante.

Forse non tutti sanno [bello l’incipit, vero?] che per tre anni dalla sua indipendenza nel 1991, l’Ucraina fu la terza potenza nucleare del mondo, detenendo all’incirca 4000 ordigni nucleari. Le testate nucleari tattiche, circa 2400, vennero consegnate alla Federazione Russa tra il gennaio e il maggio del 1992 [ovvio: le testate appartenevano all’Unione Sovietica, non all’Ucraina!]. Le testate nucleari strategiche, circa 1600, rimasero all’Ucraina fino al 1994. In quell’anno durante il summit di Budapest, le grandi potenze nucleari del tempo: Stati Uniti, Gran Bretagna e Federazione Russa, decisero di garantire per la sicurezza dell’Ucraina che in cambio avrebbe consegnato interamente il proprio arsenale nucleare alla Federazione Russa, erede unica dell’Unione Sovietica. Questa decisione venne formalizzata con il Memorandum di Budapest con il quale Stati Uniti, Gran Bretagna e Federazione Russa si impegnarono nel preciso rispetto dei seguenti punti (segue testo del Memorandum)

“- to respect the independence and sovereignty and the existing borders of Ukraine
– to refrain from the threat or use of force against the territorial integrity or political independence of Ukraine
– to refrain from economic coercion designed to subordinate to their own interest the exercise by Ukraine of the rights inherent in its sovereignty
– to provide assistance “if Ukraine should become a victim of an act of aggression or an object of a threat of aggression in which nuclear weapons are used”
– not to use nuclear weapons against any non-nuclear-weapon state party to the Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons, except in the case of an attack on themselves, their territories or dependent territories, their armed forces, or their allies, by such a state in association or alliance with a nuclear weapons state.”

Traduzione

“- a rispettare l’indipendenza e la sovranità ei confini esistenti dell’Ucraina
– ad astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’Ucraina
– ad astenersi da coercizioni economiche volte a subordinare al proprio interesse l’esercizio da parte dell’Ucraina dei diritti inerenti alla sua sovranità
– a fornirle assistenza se l’Ucraina dovesse diventare vittima di un atto di aggressione o di un oggetto di una minaccia di aggressione in cui vengono utilizzate armi nucleari
– a non usare armi nucleari contro qualsiasi Stato che non sia dotato di armi nucleari e sia parte del Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari, salvo il caso di attacco contro se stesse, i loro territori o territori dipendenti, le loro forze armate, o i loro alleati, da tale stato in associazione o alleanza con uno stato dotato di armi nucleari.”

La Federazione Russa ha palesemente violato non solo lo Statuto delle Nazioni Unite ma anche gli accordi diretti assunti con la prima parte del Memorandum attuando l’annessione della Crimea nel 2014, svolgendo attività di sedizione nel Donbass e invadendo l’Ucraina oggi.

Cioè secondo questa emerita testa di cazzo fra il 1994 e il 2014 non è successo niente. Sarebbe come dire che siccome io nel 2015 ho firmato un contratto con il quale mi impegno a pagare ogni mese tot euro di affitto al proprietario dell’appartamento in cui vivo, se viene un terremoto e butta giù la casa, io devo lo stesso continuare a pagare l’affitto perché c’è un contratto in cui mi sono impegnata a farlo. O, meglio ancora, un bel giorno il  padrone di casa si mette qui davanti con un cannone e butta giù la casa, e io dovrei continuare a pagargli l’affitto. A noi da bambini è stato detto che dovevamo amare Gesù e odiare il diavolo e noi abbiamo amato Gesù e odiato il diavolo senza porci domande, perché un cervello di due anni non ha la capacità di porsi questo genere di domande. A questa gente è stato detto che deve amare il guitto nazista e odiare Putin, e loro amano il guitto nazista e odiano Putin senza porsi domande, perché un cervello di due anni non ha la capacità di porsi questo genere di domande.
E poi c’è ancora quest’altro fenomeno.

In Italia non possiamo scegliere nessuna delle cinque cariche più importanti dello Stato
Non possiamo scegliere i parlamentari, ma solo i partiti. I parlamentari vengono scelti dalle segreterie dei partiti.
Parte della magistratura è marcia
La giustizia è talmente lenta da non essere giustizia.
C’è molta corruzione
Quanto livello di libertà di stampa, occupiamo un posto molto basso tra i Paesi democratici.
Pensate che per questo la Russia, la Cina o la Francia farebbero bene a invaderci, a distruggere Genova e Vercelli, a fucilare civili italiani dopo averli torturati?
Chi cita i gravissimi difetti dell’Ucraina, e per questo rifiuta di definire criminale Putin, è convinto di sì

Forse sfugge all’emerito proprietario dell’emerito cervello che ha defecato questa genialata che:
a) In Italia non ci sono milioni di russofoni da noi bombardati e massacrati per otto anni.
b) In Italia non ci sono stati russofoni chiusi in un edificio e bruciati vivi come facevano i nazisti con gli ebrei nelle sinagoghe e come fanno oggi i nazislamici coi cristiani nelle chiese.
c) Anche se i nazistofili fingono di non saperlo, le città russofone sono state bombardate dagli ucraini.
d) Anche se i nazistofili fingono di non saperlo, assassini e stupri e torture documentati sono stati commessi dagli ucraini: quelli attribuiti ai russi devono ancora essere provati. Questa cosa, in psicanalisi, si chiama proiezione. Ne sono maestri per esempio i palestinesi (maestri non a caso dei nazisti ucraini) che attribuiscono agli israeliani tutte le proprie più infami attitudini. E tanto i nazistofili di casa nostra si sono immedesimati col loro beniamino, da attribuire anch’essi alla controparte ogni sorta di crimini commessi dai loro beneamati.
e) A tutto questo va aggiunto che nei dieci giorni prima del 24/2/22 i colpi di artiglieria sul Donbass erano passati da 50/g a 2000/g – fonte OSCE, non disinformatsija putiniana.
A noi da bambini è stato detto che dovevamo amare Gesù e odiare il diavolo e noi abbiamo amato Gesù e odiato il diavolo senza porci domande, perché un cervello di due anni non ha la capacità di porsi questo genere di domande. A questa gente è stato detto che deve amare il guitto nazista e odiare Putin, e loro amano il guitto nazista e odiano Putin senza porsi domande, perché un cervello di due anni non ha la capacità di porsi questo genere di domande.

Vediamo ora qualche testimonianza dei poveri invasi dal kattivissimo Putin.

Diario di Ariel Shimona Edith

Intervista registrata a Volnovaha, sottotitoli in italiano.
Al di là delle comparsate in tutti i parlamenti e i televisori del mondo occidentale, Zelensky non solo non si è più occupato degli ucraini, ma li ha abbandonati completamente a se stessi.
Cibo, acqua, soccorsi medici, linee di comunicazione. Niente.
Nemmeno il pane. Nemmeno l’acqua.
I proiettili invece sì che li ha messi in mano alle milizie. Quelli, ha destinato alla popolazione, grazie ai paesi occidentali che gliele continuano a fornire.
Inoltre, se le testimonianze coincidono ovunque, non significa anche che le strategie sono state decise ai vertici?
E il presidente non è stato informato su come avrebbe agito il suo esercito?
Ovunque i generi di prima necessità li hanno distribuiti i russi, nel giro di poche ore.
Ne hanno distribuiti già tonnellate, ed è tutto documentato da video e da ciò che dicono i sopravvissuti.

E ancora due parole sulle persone bruciate vive

Più che un invasore e un invaso, mi sembra che ci siano un cosiddetto invasore e un invasato, incensato da una massa di invasati.

Concludo con la bambina dal cappotto rosso, interpretata da Yulia Lipnitskaya (cognome ebraico, credo, e non a caso quando ha avuto un problema è stata curata per tre mesi in una clinica in Israele), all’epoca non ancora sedicenne.

barbara

INFORMAZIONE, DISINFORMAZIONE, MANIPOLAZIONE DELLINFORMAZIONE, CENSURA SULL’INFORMAZIONE

E incapacità di capire. Impossibilità di capire. E ciononostante, presunzione di capire. E parto da quest’ultima.

One of my hosts, an older gentleman who had been a professor of literature, told me, as so many Russians had, “You can give up writing philosophical articles about Russia. You will never know it.” Ah, yes, this again. My outsiderness. “My sunny disposition doesn’t prohibit me from writing about your country,” I said, a bit too earnestly, in very stilted Russian that I had spent years slaving away at. Speaking slowly to make sure I didn’t miss anything, he replied: “It’s not your sunny disposition. It’s your frame of reference. Your frame of reference is America. But Russia does not want to be America. Russia exists in a parallel universe.” (Qui)

Parlando lentamente per essere sicuro che non mi sfuggisse nulla, ha risposto: “Non è il tuo carattere solare. È il tuo quadro di riferimento. Il tuo quadro di riferimento è l’America. Ma la Russia non vuole essere l’America. La Russia esiste in un universo parallelo”.

Una delle cose che si leggono più spesso in questi giorni è “i piani di Putin”, “i progetti di Putin”, “la resistenza che Putin non si aspettava”, “le cose non stanno andando come Putin immaginava”: gente che non ha la più pallida idea di che cosa passi per la testa al figlio con cui convivono da vent’anni, si mette a fare l’analisi grammaticale, logica, sintattica dei pensieri di Putin, dei progetti di Putin, dei sentimenti di Putin senza la più microscopica conoscenza di che cosa sia l’anima russa, oltre che dello specifico soggetto “Putin”. E dopo avere passato decenni a decidere le mosse nei confronti dei musulmani basandosi sulla propria cultura e interpretandoli con la propria cultura e avere, perciò, collezionato decenni di fallimenti e di micidiali batoste e di decine di migliaia di morti. Decisamente l’attitudine a imparare dall’esperienza non fa parte del nostro DNA.

Sulla censura ce la sbrighiamo presto: è tutta da una parte. Tutte le fonti russe sono state silenziate, per il nostro bene naturalmente (come lo stato di emergenza, come la segregazione, come la mascherina all’aperto, come il coprifuoco, come il divieto di andare in canoa o prendere il sole su una spiaggia deserta, come il green pass per lavorare), per proteggere le nostre fragili menti dalle bugie che vengono da quella parte, nessuna voce, nessuna notizia ci può più arrivare da quella parte (mentre tutto ciò che arriva dalla controparte è verità di vangelo, non importa quanto i fatti la smentiscano). Così come è stato ferocemente censurato tutto ciò che ha preceduto – e determinato – gli avvenimenti di queste ultime settimane, ossia gli eventi di piazza Maidan e il sistematico massacro dei russofoni del Donbass. Ma la verità è testarda, e zittire tutti non è possibile. Chi ha visto, chi sa, chi non si lascia intimidire c’è, e prima o poi arriva a farci sentire la propria voce. Abbiamo già sentito Gian Micalessin, che ha scovato alcuni dei cecchini stranieri che sparavano dall’hotel Ucraina per creare il caos e favorire il colpo di stato, vediamo ora il giornalista britannico Mark Franchetti in questo servizio del 28 giugno 2014

Ed escono anche, finalmente, le notizie complete, sugli eventi e sugli impegni del 1991.

Lo scoop di Der Spiegel sull’impegno Nato di non espandersi a Est si basa su un verbale desecretato, che dà ragione a Putin

I lettori di ItaliaOggi sono stati i primi, in Italia, ad essere informati circa le vere origini delle tensioni politiche e militari tra la Russia di Vladimir Putin e la Nato sulla questione Ucraina. Con editoriali e articoli scritti in base ai fatti e non con la propaganda, il direttore Pierluigi Magnaschi e firme autorevoli come Roberto Giardina e Pino Nicotri hanno ricordato, unici in Italia, che dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) i leader dei maggiori paesi della Nato avevano promesso a Mosca che l’Alleanza atlantica non sarebbe avanzata verso Est «neppure di un centimetro». Una promessa smentita dai fatti, visto che da allora ben 14 paesi sono passati dall’ex impero sovietico all’alleanza militare atlantica. Da qui le contromosse di Putin: la guerra in Georgia, l’occupazione della Crimea, l’appoggio ai separatisti del Donbass, lo schieramento di oltre centomila soldati al confine con l’Ucraina, infine la dura linea diplomatica con cui ha ribattuto alle minacce di sanzioni da parte di Usa ed Ue: «Mosca è stata imbrogliata e palesemente ingannata».
Per tutta risposta, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha ripetuto quella che per anni è stata la linea difensiva di Washington sull’allargamento a Est della Nato: «Nessuno, mai, in nessuna data e in nessun luogo, ha fatto tali promesse all’Unione sovietica». Una dichiarazione smentita dal settimanale tedesco Der Spiegel con uno scoop clamoroso, destinato a lasciare il segno. L’inchiesta, intitolata «Vladimir Putin ha ragione?» e ripresa integralmente negli Usa da Zerohedge, si basa su un’ampia ricostruzione storica dei negoziati tra Nato e Mosca che hanno accompagnato la fine della guerra fredda.
Tra i documenti citati, spicca per importanza quello scovato nei British National Archives di Londra dal politologo americano Joshua Shifrinson, che ha collaborato all’inchiesta del settimanale tedesco e se ne dichiara «onorato» in un tweet. Si tratta di un verbale desecretato nel 2017, in cui si dà conto in modo dettagliato dei colloqui avvenuti tra il 1990 e il 1991 tra i direttori politici dei ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania sull’unificazione delle due Germanie, dopo il crollo di quella dell’Est. Il colloquio decisivo, riporta Der Spiegel, si è svolto il 6 marzo 1991 ed era centrato sui temi della sicurezza nell’Europa centrale e orientale, oltre che sui rapporti con la Russia, guidata allora da Michail Gorbaciov. Di fronte alla richiesta di alcuni paesi dell’Est Europa di entrare nella Nato, Polonia in testa, i rappresentanti dei quattro paesi occidentali (Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania Ovest), impegnati con Russia e Germania Est nei colloqui del gruppo «4+2», concordarono nel definire «inaccettabili» tali richieste. Il diplomatico tedesco occidentale Juergen Hrobog, stando alla minuta della riunione, disse: «Abbiamo chiarito durante il negoziato 2+4 che non intendiamo fare avanzare l’Alleanza atlantica oltre l’Oder. Pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre nazioni dell’Europa centrale e orientale di aderirvi». Tale posizione, precisò, era stata concordata con il cancelliere tedesco Helmuth Khol e con il ministro degli Esteri, Hans-Dietrich Genscher.
Nella stessa riunione, rivela Der Spiegel, il rappresentante degli Stati Uniti, Raymond Seitz, dichiarò: «Abbiamo promesso ufficialmente all’Unione sovietica nei colloqui 2+4, così come in altri contatti bilaterali tra Washington e Mosca, che non intendiamo sfruttare sul piano strategico il ritiro delle truppe sovietiche dall’Europa centro-orientale e che la Nato non dovrà espandersi al di là dei confini della nuova Germania né formalmente né informalmente».
È innegabile che questo documento scritto conferma alcuni ricordi di Gorbaciov circa le promesse da lui ricevute, ma soltanto orali, sulla non espansione a Est della Nato. In un’intervista al Daily Telegraph (7 maggio 2008), Gorbaciov, ultimo leader dell’Unione sovietica, disse che Helmuth Khol gli aveva assicurato che la Nato «non si muoverà di un centimetro più ad est». Identica promessa, aggiunse in un’altra occasione, gli era stata fatta dall’ex segretario di Stato Usa, James Baker, il quale però smentì, negando di averlo mai fatto. Eppure, ricorda Der Spiegel, anche Baker fu smentito a sua volta da diversi diplomatici, compreso l’ex ambasciatore Usa a Mosca, Jack Matlock, il quale precisò che erano state date «garanzie categoriche» all’Unione sovietica sulla non espansione a est della Nato. L’inchiesta del settimanale aggiunge che promesse dello stesso tenore erano state fatte a Mosca anche dai rappresentanti britannico e francese.
La storia degli ultimi 30 anni racconta però altro: Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, ricorda Der Spiegel, sono entrate nella Nato nel 1999, poco prima della guerra contro la Jugoslavia. Lituania, Lettonia ed Estonia, confinanti con la Russia, lo hanno fatto nel 2004. Ora anche l’Ucraina vorrebbe fare altrettanto. Il che ha scatenato la reazione di Putin: «La Nato rinunci pubblicamente all’espansione nelle ex repubbliche sovietiche di Georgia e Ucraina, richiamando le forze statunitensi ai confini del blocco del 1997». La prima apertura è giunta dal cancelliere tedesco, Olaf Scholz: «L’ingresso dell’Ucraina nella Nato non è in agenda». Parole che confermano la prudenza della Germania verso Putin e l’importanza strategica del Nord Stream 2 per la sua economia. Se alla fine sarà pace o guerra, dipenderà dal vertice Biden-Putin, agevolato da Macron. Un vertice dove Biden, nonostante la martellante propaganda anti-Putin delle ultime settimane, entra indebolito da uno scoop che riscrive la storia. Un’inchiesta così ricca di documenti finora inediti da far pensare all’aiuto di una manina politica, in sintonia con la Spd di Scholz, partito da sempre filorusso.
Tino Oldani, 22, febbraio 2022, qui.

Altre due voci che i signori dell’informazione a senso unico non sono riusciti a zittire sono quelle di Pino Cabras e Marcello Foa.

I corifei del potere non vogliono voci dissonanti: il caso Damilano

 Siparietto a Di Martedì, la trasmissione di Giovanni Floris, ieri sera.
L’argomento unico è la crisi ucraina. Tra gli ospiti, il giornalista Marcello Foa, che nella sua brillante carriera è stato anche inviato a Mosca negli anni del crollo dell’Urss e successivi. 
Non appena viene interpellato, il giornalista Marco Damilano esordisce con una grossa inesattezza. Dice infatti che il Parlamento ha approvato «all’unanimità» le misure di guerra del governo. No, stellina! Capisco che nell’universo piallato del tuo giornalismo non si concepisce l’opposizione, ma questa nondimeno esiste.
Alternativa ha infatti votato contro la risoluzione della maggioranza e ha votato una sua diversa risoluzione. Però Damilano si sente su un “alto terreno” morale e deontologico, non si fa distrarre da un dettaglio come la verità. Con il tono di un vice-Torquemada parte ad azzannare Foa, a freddo. Gli rimprovera di aver rilasciato dichiarazioni a organi di stampa russi come RT e Sputnik.
Gioca con le parole, dicendo che “faceva il commentatore”. Come a dire: pagato dai russi e dunque non credibile, nel quadro della nuova russofobia imperante. Foa replica ricordando che quelle erano dichiarazioni rilasciate a testate giornalistiche, non collaborazioni, ma Damilano – l’avete capito – non è tipo che si faccia deconcentrare dai fatti, una volta che concentra la bava nella delazione.
E cosa rimprovera a Foa, per aggiunta? Foa aveva dichiarato che le rivolte di piazza che avevano accompagnato il cambio di regime erano “pianificate e guidate dall’Occidente”. Per Damilano è come bestemmiare in chiesa. E si scandalizza fino a piegare le labbra in una smorfia che solo quelli che si sentono superiori. Abituato com’era a fare da grancassa al PD, non si è mai accorto di John McCain e Victoria Nuland nella piazza di Kiev, né delle intercettazioni autentiche (eh sì, divulgate da RT) in cui la Nuland diceva che “abbiamo speso 7 miliardi di dollari per dare all’Ucraina il futuro che si merita!”. Cioè diceva che la nuova situazione era pianificata e guidata dall’Occidente, con buona pace del verginello delatore.
A questo punto mi autodenuncio. Nel maggio 2014, quando nella città ucraina di Odessa un gruppo di squadracce naziste protette dal governo di Kiev scatenò un pogrom che fece strage di russofoni nella Casa dei Sindacati, io non riuscii a trovare un rigo su questo evento tragico su “L’Espresso”, il giornale di Damilano. Niente. Come non ne trovai su quasi tutti i giornali italiani, che se ne parlarono deformarono pesantemente i fatti. Dovetti ricorrere proprio a RT, che diede una copertura completa. Ebbi modo anche di raccontare i fatti in un servizio di Pandora TV che rivendico al cento per cento. 
Ecco, in poche righe, è bene che sia smascherato un episodio fra i tanti che ammorberanno questa stagione: i corifei del potere non vogliono voci dissonanti e usano trucchi estremamente scorretti per ingannare il pubblico. Demoliamoli criticamente per uscire dalla logica della guerra. Perché la guerra non inizia con le bombe, ma con le bugie e la caccia alle streghe di presunti nemici.
Pino Cabras, 2 marzo 2022, qui.

E in un servizio del 3 maggio 2014 Pino Cabras dà conto della sistematica manipolazione operata dai giornali italiani per disinformare in merito alla strage di Odessa del giorno precedente.

Di video di documentazione ne ho ancora, ma non voglio farvi fare indigestione, quindi con questi per oggi mi fermo qui, e ritorno invece all’assunto di partenza: non capiscono niente, e meno capiscono, e più si mettono in cattedra a giudicare chi sta dall’altra parte (commenti miei in corsivo all’interno dell’articolo)

Il nipote di Gramsci che sostiene Putin: ‘Voi non capite, il Paese è con lui’

Con quel cognome, potrebbe dire quello che vuole. O quasi. Ma non ora, non qui.
Eccerto, lo decide il signor Imarisio che cosa uno può o non può dire, in casa propria oltretutto.

«Mi ritengo un moderato sostenitore di Vladimir Putin». Parlare con Antonio Gramsci, nipote e omonimo del fondatore del Partito comunista italiano, non è una operazione da strano ma vero. Significa anche fare un viaggio nella testa dell’elettore medio russo. Per provarci, a capire davvero.
E per provare a capire, che cosa meglio di un tono di supponenza e un atteggiamento di superiorità morale?

Nato e cresciuto a Mosca, dove nel 1921 il nonno, appena arrivato ammalato di tisi, aveva conosciuto in sanatorio e poi sposato Julia Schucht, da un quarto di secolo è un docente di musica e di biologia che insegna alla scuola in lingua italiana della nostra ambasciata. Ogni giorno in cattedra a insegnare agli adolescenti russi. «Nessuna delle persone con le quali parlo è d’accordo con i media occidentali, che secondo me non ci stanno capendo molto, quando dicono che il presidente ha iniziato questa guerra senza alcuna ragione. Il diavolo è sempre nei dettagli di questi otto anni di tensione continua con l’Ucraina, di un conflitto a bassa intensità nel Donbass che è andato avanti senza che il governo di Kiev facesse nulla per fermarlo». Gramsci junior, 56 anni, l’età media del sostenitore di Putin secondo le analisi dell’ultima elezione per il Cremlino,
Leggi: quelli che votano per Putin sono i vecchi rincoglioniti (come quelli della Brexit, se non ricordo male)

rigetta l’idea di essere anche lui sedotto dalla propaganda martellante dei media statali. «Ma no, passo gran parte del mio tempo sugli spartiti musicali, e per natura sono scettico sulle informazioni dei media. Mi baso sulle testimonianze dirette». Appunto. A domanda diretta, Gramsci risponde. «Nella Russia di oggi non esistono valide alternative a Putin. Questo la gente lo sente, lo capisce. Certo, a ogni elezione esiste un’altra possibilità di scelta, ma nessuna garantisce la stabilità di questo Paese come lui. Per questo l’ho votato e, quando sarà, penso che lo farò ancora». Sul concetto di stabilità, e di come essa viene indotta, ci sarebbe da parlare a lungo.
Giusto: chi meglio di un italiano può sapere di che tipo di stabilità abbia bisogno un popolo di quasi 150 milioni di persone che sta a qualche migliaio di chilometri di distanza, e che cosa quest’ultimo debba intendere per stabilità.

Gramsci si chiama fuori dalla discussione sui metodi autoritari del Cremlino. «II nostro popolo non ha mai conosciuto una vera libertà. Io c’ero ai tempi dell’Urss, ci sono nato. Meglio ora. Esistono ancora povertà e deficit, di soldi nella Russia del ceto medio non ne girano poi molti. Ma la sensazione che solo Putin possa garantire gli interessi del suo Paese, e che quindi quel che decide va bene, le posso assicurare che è molto diffusa». Ha imparato l’italiano da adulto, e nella nostra lingua ha scritto un bel libro sulla storia del filone russo della sua famiglia. Ride quando gli viene chiesto se il nonno avrebbe votato Putin.
Evidentemente il signor Gramsci è una persona molto educata, perché la risposta corretta a quella domanda sarebbe stata: “Che domanda cretina”.

«Ma che discorsi. Parlare di comunismo ormai è come parlare di antiquariato, così come il concetto del proletariato oppresso è superato da tanto tempo. Io poi mi considero un anarchico. E come tale, considero la guerra un disastro, sempre. Anche questa». Alla fine, sostiene il professor Gramsci che esista un nostro errore di prospettiva nella lettura del suo Paese. La lotta di classe è defunta da tempo. L’unica contrapposizione possibile è la solita, che esiste ovunque. «Credo che il mondo guardi alla Russia attraverso la lente delle sue due grandi città. E allora si fanno grandi teorie sulla nostra occidentalizzazione. Ma esiste una grande differenza tra il livello di vita delle metropoli russe e le loro periferie. Chi vive altrove, considera i cittadini come piccolo borghesi che non producono nulla. E in parte ha ragione. Mosca può sembrare una capitale abitata da persone che si divertono e fanno affari, dedite alla finanza e al terziario. Come a Londra o a Milano. Basta spostarsi di cento chilometri appena, ed è tutta un’altra storia. La Russia profonda è tutt’altro che omologata all’Occidente. E quindi, non ne ha tutto questo desiderio. L’isolamento fa più paura agli “occidentali”, i giovani russi abituati a viaggiare.
Marco Imarisio, qui.

Aggiungo ancora una riflessione

Claudia Premi

Zelensky, quegli uomini che hai costretto a restare e a combattere, sono i papà dei bambini che vediamo ammassati sul confine polacco in attesa di partire per una nuova vita. Papà, che con buona probabilità, non rivedranno più. Da donna, NON condivido queste scelte belligeranti che coinvolgono esseri umani e famiglie che sono altro da te, Zelensky!

e una considerazione trovata in rete

Traspare sui giornali italiani lo stupore e lo sgomento per l’inserimento immotivato dell’Italia nella lista dei paesi ostili stilata dal governo russo.
In fondo cosa abbiamo fatto? Ve lo ricordo :
Abbiamo SANZIONATO la Russia. Abbiamo DISCONNESSO il sistema bancario russo dallo Swift. Abbiamo DERUBATO dei loro beni cittadini russi per il solo fatto di essere russi. Abbiamo DERUBATO la banca centrale russa delle sue riserve in valuta depositate nelle banche occidentali. Abbiamo IMBASTITO una campagna di violenza verbale attraverso i mass media che hanno portato a episodi di violenza che hanno visto come vittime cittadini russi. Abbiamo anche CENSURATO Dostoevskij perché russo.
Il nostro ministro degli esteri HA CHIAMATO il Presidente russo con l’appellativo di cane. Infine abbiamo INVIATO armi all’Ucraina affinché siano usate per uccidere soldati russi.
SI… DAVVERO UN ATTO IMMOTIVATO L’INSERIMENTO DELL’ITALIA NELLA LISTA DEI PAESI OSTILI.
CIALTRONI !!!

Se qualcuno ritiene che sia stato giusto farlo, non mi permetto di discutere, però quando si prende una decisione bisogna anche essere pronti a subirne le conseguenze: se scelgo di prendere una curva a 150 all’ora, non devo poi mettermi a frignare se uno stronzo di albero decide di mettersi in mezzo e venirmi addosso. Quanto al cane di Di Maio, nel caso a qualcuno fosse sfuggito potete rivederlo qui, e soprattutto ammirarne l’espressione intelligente e furbetta.

(qui un commento serio all’incredibile episodio)
E concludo, come sempre, con due sboicottamenti

barbara

UCRAINA, ANCORA QUALCHE DOCUMENTO

E qualche testimonianza

I prodromi

Sara Rivka de Angelis

(commento di introduzione al video che segue, in risposta a un altro commento) la Georgia… Cioè quella nazione che fiancheggiando gli USA ha permesso l’attuazione del colpo di stato della CIA del 2014 in Ucraina? Molto interessante l’intervista ai cecchini georgiani, tutti ex militari scelti o poliziotti che hanno raccontato come si sono svolti i fatti di piazza Maidan. Sono stati scelti dall’allora presidente georgiano Saakashvili in persona per sparare sia sui poliziotti (presidenza filorussa) sia sui dimostranti (filooccidentali ignari e infiltrati organizzati dalla CIA) creando il panico che permettesse di arrivare alla cacciata del legittimo presidente eletto dal popolo Viktor Janukovyč senza passare dalle elezioni che temevano di non vincere. Sembra che il presidente georgiano non si facesse tanto scrupolo ad ammazzare gente e creare guerre.

Una testimonianza sullo stesso tema

Testimonianza di don Vladimir Kolupaev sacerdote Russo cattolico che da anni esercita il suo ministero sacerdotale nella parrocchia di Seriate (Bergamo)

CRONACHE DAL DONBASS

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Cari amici lettori,

per riuscire a vedere un panorama bisogna sempre allontanarsi un poco nello spazio e, per comprendere una crisi politico – militare in atto, è necessario allontanarsi un po’ nel tempo.
Torniamo al 2014. L’Ucraina era un paese assolutamente tranquillo e negli U.S.A Obama era presidente e Biden suo vice. La famiglia Biden aveva consistenti affari in quel lontano paese, uscito dalla Russia alla caduta dell’Unione Sovietica, alla quale aveva fornito un paio degli ultimi presidenti. L’Ucraina, fino a quel momento, era in eccellenti rapporti con la Russia di Putin.
A un certo punto scoppia la rivoluzione arancione. Non c’è dubbio che quel disordine, come tutte le rivoluzioni che hanno sconvolto la pace mondiale negli anni in cui Obama era presidente, Biden vice e la Clinton ministro, sia stato appoggiato e finanziato dagli americani, forse per mettere le mani sul Mar Nero, forse anche perché la finanza americana, ivi compresi i figli di Biden, potessero più proficuamente svolgere i propri lucrosi affari. Il presidente ucraino in carica è costretto a fuggire dal paese. La forte minoranza di lingua russa comincia a insorgere contro il nuovo governo, i cui comportamenti spesso giustificano quest’ostilità: si pensi alla strage di Odessa del 2 maggio 2014, in cui sono uccisi quarantotto dimostranti, molti dei quali arsi vivi.
La Russia reagisce a quella che possiamo tranquillamente definire un’invasione americana, occupa la Crimea, mentre gli insorti s’impadroniscono di parte del Donbass, estremità orientale dell’Ucraina. Entrambi i territori sono non soltanto russofoni, ma anche filorussi, come dimostrerà il referendum con cui gli abitanti della Crimea votano plebiscitariamente l’ingresso nello stato russo.
Gli accordi di Minsk, di cui, ovviamente, non conosciamo quella parte delle clausole che, come sempre accade, rimane segreta, riducono le ostilità fra Russia e Ucraina, ma la guerra civile nell’estremità orientale del paese continua senza sosta, causa i falliti continui tentativi ucraini di rientrar in possesso dei due territori autoproclamatisi repubbliche autonome.
Alla Casa Bianca va Trump e in Ucraina, a parte le continue scaramucce fra governativi e insorti, non succede più nulla. La crisi ucraina esce dai notiziari.
Ritorna Biden, quello che ha il figlio con affari in Ucraina, e si ricomincia a parlare di Ucraina nella Nato. La Nato, alleanza difensiva diventata offensiva dopo la fine della guerra fredda, è, in sostanza, il nemico della Russia. Si parla (è la Germania a farlo), di ammissione non sull’agenda. Intanto, però, armi dei paesi Nato arrivano in Ucraina. Le grandi manovre russe sono una prova di forza, cui si contrappone l’arrivo di truppe Nato nei paesi di confine.
L’Ucraina non rinunzia agli attacchi a Est e, infine, Putin riconosce le due piccole repubbliche e vi manda le forze armate. Siamo arrivati a ieri.
L’America vuole sanzioni, che danneggerebbero l’Europa ancor più della Russia e manderebbero l’Italia alla fame. Ma Draghi, filoamericano fino al midollo, non può tirarsi indietro e ci condanna al disastro.
Questi l’antefatto e la situazione. Ora io mi domando: perché le minoranze basca, irlandese e sudtirolese sono buone e meritano tutela, mentre quella dei russofoni ucraini è cattiva e deve morire? Perché teniamo tanto al Grillo ucraino (il presidente di quel paese faceva il comico come il fondatore dei cinque stelle) e tanto poco al gas, alla luce e al pane di casa nostra? Perché i pensionati italiani debbono morire (di fame) per Kiev e gli affari dei Biden?
Se vogliamo ragionare sul serio, fornite delle risposte accettabili, prego.

Per chi nega, o ignora il fatto che il colpo di stato fosse etero diretto, qualche stralcio di giornale dell’epoca

(non volendo rischiare di postare di rimando cose tarocche, ho fatto una piccola ricerca e ho trovato conferma che sono autentiche)

E concordo con l’amico Fulvio Del Deo che la scelta, da parte di Soros, di un comico ebreo è stata un autentico colpo da maestro: appoggio garantito da tutti gli ebrei del mondo e da Israele anziché fuga in massa degli ebrei da uno degli stati più antisemiti del pianeta. E, come si vede, ha perfettamente funzionato. Anche noi qui in Italia abbiamo un comico ebreo antisemita che sfrutta cinicamente l’ebraismo per i propri sordidi fini. E nel frattempo il comico ucraino frigna perché non ha visto Bennet avvolto nella bandiera ucraina. L’ho già detto che questa gentaglia ha preso in tutto e per tutto i metodi pallestinari, e continuano a dimostrarlo.

Il massacro

Sara Rivka de Angelis

(commento di introduzione al video che segue) quanta solidarietà agli ucraini in fuga… In fuga ma vivi e interi. Gli ucraini del sud est invece? Dopo 8 anni di genocidio e 14.000 morti neanche un servizio in tv. Quella stessa tv che ordina cosa pensare, cosa fare, chi odiare oggi. Questo è il documentario di un giornalista tedesco che in Donbass è stato 9 mesi nel 2014. Non lo si può accusare quindi di essere d’accordo con l’invasione di Putin né di essere russo. All’epoca in cui hanno finito le riprese erano arrivati solo a 6.000 morti. Ma già si sapeva perfettamente che l’Ucraina era sovrana quanto lo possono essere i Paesi africani con la moneta e le risorse controllate dalla Francia. L’Ucraina aveva già le risorse naturali nelle mani delle compagnie occidentali, un colpo di stato organizzato dalla CIA con cui venne cacciato il presidente eletto, un governo fantoccio che aveva già mandato il proprio esercito ad ammazzare i propri cittadini prendendo di mira case, scuole e sbudellandoli per strada giocando al tiro al piattello ed usando l’uranio impoverito per sterminare la propria gente. La maggior parte degli italiani non lo sa ancora oggi. Così è morto anche il nostro giornalista Andrea Rocchelli, preso di mira dai buoni dell’esercito ucraino e ammazzato a colpi di mortaio affinché non raccontasse cosa facevano laggiù i carri armati e i soldati ucraini, come il governo avesse smesso di pagare le pensioni e gli stipendi per affamate quella gente, il gas e la corrente nel freddo dell’inverno continentale per convincerli ad abbandonare le proprie case, come i soldati buoni ucraini bloccavano la rete dei telefoni cellulari e la corrente prima di sparare sui civili, insieme all”interprete Andrey Mirnov che, tra l’altro, ironia della sorte era un oppositore di Putin. Ma gli ha detto male perché un giornalista francese si è salvato e ci ha raccontato questa storia e sono stati trovati i corpi. E i media che vergognosamente chiamavano le vittime disarmate e inermi “terroristi” e titolavano che le vittime della stage di Odessa ad opera dei fascisti erano separatisti che si erano uccisi da soli. Come se uno potesse malmenarsi da solo fino a lasciarsi esanime a terra e poi incendiare dall’esterno l’edificio dandosi alle fiamme.

Una testimonianza in loco

Elio Cabib

Un italiano, Paolo Bari che vive in Ucrania :

“Quando questa mattina ho aperto la connessione Internet e ho visto come prima cosa il titolo di Repubblica “E’ iniziata l’invasione russa. Città bombardate. Centinaia di vittime”, devo dire che ho avuto un attimo di profondo smarrimento e ho pensato che Putin doveva essere impazzito. Poi, con il passare dei minuti, e con le notizie in arrivo da altre fonti indipendenti, dalla tv russa e dai tg moldavi, la situazione si è fatta più chiara. E’ apparso evidente che venivano colpiti esclusivamente obiettivi militari e che venivano aperti dagli stessi russi corridoi umanitari per consentire alla popolazione civile di evacuare in sicurezza. Molti degli stessi militari ucraini abbandonavano le posizioni e disertavano. Emblematico il servizio in diretta del tg di LA7 la cui corrispondente dal Donbass indossava elmetto e giubbotto antiproiettile e descriveva una situazione drammatica per la popolazione, mentre dietro di lei le persone passeggiavano tranquillamente per la strada. A Kharkiv, uno dei principali centri russofoni del Donbass che già nel 2014 tentò di proclamarsi indipendente come Donetsk e Lugansk prima di essere soffocata dalla repressione dell’esercito ucraino, la bandiera russa veniva innalzata sul palazzo comunale nel tripudio della popolazione.
Ho così maturato la convinzione che Putin non aveva altra scelta e che a questa reazione egli era stato letteralmente costretto dall’ottusa classe dirigente ucraina e dall’ arroganza espansionista verso est degli USA e della NATO.
Se c’è qualcuno che ha fermato l’orologio della storia alla guerra fredda è solo l’ Occidente.
Chi non lo capisce dovrebbe per prima cosa studiare la geografia e vedere dov’ è l’ America rispetto alla Russia. Con che diritto gli americani pretendono di avere loro basi a ridosso del confine russo ? Forse che i russi pretendono di avere loro basi a ridosso del confine USA ?
Poi magari studiare anche un po’ di storia non farebbe male. Nel 1963 gli USA erano pronti a scatenare la terza guerra mondiale se L’ URSS avesse messo sue basi a Cuba. E perché mai oggi Putin dovrebbe accettare la stessa cosa a parti invertite ?
Putin ha chiesto in maniera netta quattro cose, specificando che quelle erano la “linea rossa” che non avrebbe mai permesso a USA e NATO di oltrepassare per non mettere in serio pericolo la sicurezza del suo Paese.
Proviamo a ripeterle per chi non capisce alla prima.

1. no alla NATO in Ucraina. Risposta della NATO: se Putin non vuole la NATO, gli daremo più NATO.
2. l’Ucraina rinunci ad aderire alla NATO. Risposta di Zelinsky: noi aderiremo alla NATO
3. l’Ucraina riconosca che la Crimea è russa. Risposta di Zelinsky: riprenderemo la Crimea militarmente.
4. l’Ucraina rispetti l’ indipendenza delle repubbliche del Donbass. Risposta di Zelinsky: riprenderemo Donetsk e Lugansk e continuiamo i bombardamenti.

Nel frattempo ogni giorno tonnellate e tonnellate di armi sofisticate arrivavano in Ucraina con aerei e navi da Germania, Gran Bretagna, USA, Canada ecc ecc ……
Che doveva fare Putin? Fare due chiacchiere in stile di Maio ?
I media nazionali italiani oggi dipingono l’Ucraina come vittima dell’imperialismo russo, ma dimenticano di ricordare agli italiani di corta memoria che l’attuale leadership ucraina è al potere grazie a un colpo di stato violento che ha provocato decine di vittime a Kiev a inizio 2014. Colpo di stato sostenuto grazie alle milizie paramilitari neonaziste del battaglione Azov e di Pravi Sector. Quelli che sfilano con le svastiche naziste per intenderci.
Violenze che, con uno stomachevole doppiopesismo, qui in occidente sono sempre state giustificate, perché chi usa violenza per fare entrare il proprio Paese in UE è un patriota, chi invece la usa per fare uscire il proprio paese dalla UE è un pericoloso terrorista.

A proposito del battaglione Azov, che fa strettamente parte dell’esercito ucraino: si tratta di un corpo militare nazista a tutti gli effetti. Alcune immagini per chi lo nega o lo ignora.

E come se non bastasse, il parlamento celebra ufficialmente un criminale nazista, esattamente come fanno i palestinesi con i terroristi

Un’altra testimonianza in loco

Lo sfogo del reporter italiano: “Nel Donbass l’Ucraina bombarda da 8 anni, dove eravate?”

Redazione — 1 Marzo 2022

“Questo è il centro di Donetsk che in questo momento viene bombardato [qui nell’articolo potete vedere (e sentire!) il video] e non dalla Russia, non da Putin ma dall’esercito ucraino“. E’ lo sfogo del reporter italiano Vittorio Rangeloni che dal 2015 vive nel Donbass. “In questi giorni sono tante le persone che scendono nelle piazza d’Italia e non solo nel mondo e invocano la pace, condannano la Russia, manifestano contro la guerra. Tutto questo è fantastico, è giusto, la guerra è qualcosa di sbagliato, di ingiusto ma è altrettanto sbagliata l’ipocrisia di chi se ne fotte del fatto che…”.
Originario di Lecco, Rangeloni attacca: “Non è una cosa che accade in questi giorni ma sono 8 anni che tutti i giorni sparano contro queste città e a voi non ve n’è fregato assolutamente niente, solo oggi siete pacifisti e ipocriti e questa cosa è ancora peggiore. Scusate lo sfogo…“. Raggiunto anche dall’Adnkronos, il reporter parla di “bagno di sangue” a Mariupol, nel sud dell’Ucraina, accerchiata oggi dalle truppe russe e dalle milizie popolari di Donetsk, nel Donbass. ”Ci saranno enormi perdite, scorrerà molto sangue da entrambi le parti” e a pagare ”saranno anche i civili”, perché ”le milizie popolari hanno creato due corridoi umanitari dando alla popolazione la possibilità di uscire da Mariupol e andare a Donetsk o nella Federazione russa, ma i soldati ucraini glielo stanno impedendo facendo da scudo con i loro corpi”.
Poi aggiunge: “Domani o dopodomani andrò a Mariupol, o almeno lì vicino, per capire quello che succede”. Per ora dice di ricevere ”messaggi dalla popolazione di Mariupol che dicono di stare attenti, che sono stati minati i ponti, le strade e che i militari ucraini hanno creato posizioni nel centro della città, nei parchi gioco e negli asili”. Secondo Rangeloni “da domani inizieranno le operazioni di bonifica della città”, ovvero ”si cercherà in modo molto difficile di avanzare o di far deporre le armi all’esercito ucraino, o di colpirlo dove si trova”. Ma sarà ”una battaglia molto difficile”. Anche perché a Mariupol ha la sua base il reggimento Azov, reparto militare ultranazionalista ucraino, e la 36esima brigata della Marina militare ucraina. ”Si sono trincerati in città e la città ora è assediata. Purtroppo ci sono tutte le premesse per una battaglia pesante”, afferma.

Ma niente paura: ci ha pensato Biden a cantargliele chiare, a quel losco figuro di Putin!

Biden: “E ora Putin ha deciso di invadere la Russia. Non è successo niente del genere dalla seconda guerra mondiale”
E qualcuno ha commentato:

Let’s go Brandon! qualcuno lo porti a guardare i cantieri

E concludo anche la puntata odierna con lo sboicottamento di un altro russo infame, dalla musica talmente potente da sconfiggere perfino l’Alzheimer.

barbara

ALLA FACCIA DEGLI ALGORITMI

impersonali, asettici e imparziali, che governerebbero facebook.

Covid e presidenziali Usa, social sempre meno neutrali: Facebook scatenata nel censurare gli spot di Trump

I grandi social network, sempre più al centro dell’informazione e del dibattito pubblico, sono sempre meno neutrali e sempre più inclini alla censura (peraltro a sproposito), con inaccettabili ingerenze che casualmente si sono intensificate in periodo di Covid e di campagna elettorale americana. Da un lato, i vari FacebookYouTube (Google) e Twitter intervengono censurando dibattiti, opinioni e dichiarazioni, oltre che di utenti “scomodi”, persino di cariche istituzionali, ovviamente solo di una certa parte, per esempio i tweet di Trump sulla necessità di porre fine alle rivolte nelle città americane, ma non quelli della Guida Suprema iraniana Khamenei su Israele (“un tumore canceroso maligno che deve essere rimosso e debellato: è possibile e accadrà”). Dall’altro, non fanno nulla per contrastare i veri e gravissimi problemi della Rete (come la diffamazione incontrollata e i profili falsi utilizzati in maniera malevola) e per ragioni di profitto si prostrano volentieri agli appetiti dei peggiori regimi mondiali per quanto riguarda il rispetto del diritto all’informazione e della libertà di espressione.
Dopo aver fatto piazza pulita di ogni visione difforme da quella “giusta” sulla gestione della pandemia e di ogni idea diversa da quelle traballanti dell’Organizzazione mondiale della sanità (che, oltre a non averne azzeccata una, ha già cambiato innumerevoli volte le proprie infallibili posizioni, quindi a rigor di logica sarebbe la prima a dover essere censurata e silenziata), ora Big Tech, apertamente schierata, si sta “occupando” delle presidenziali americane.
Facebook ha iniziato a censurare gli annunci pubblicitari politici che vengono “bocciati” al fact checking. Ma non è tutto, perché, al di là dei fortissimi dubbi sulla legittimità della pratica e sull’imparzialità dei verificatori, in almeno due recenti casi gli annunci sono stati giudicati “perlopiù falsi” da PolitiFact e bloccati dal social network nonostante le affermazioni contenute fossero state riconosciute come vere. È accaduto a uno spot pro-Trump che cita direttamente Biden che dichiara “Se mi eleggerete, le vostre tasse saranno aumentate, non ridotte” e avverte che il suo piano aumenterà le tasse “per tutti i gruppi di reddito”. A parte il vulnus sotteso al silenziare il dibattito politico, lo spot che fa capo ad America First era davvero “perlopiù falso”? No, perché leggendo il report dello stesso fact checking si deduce che secondo alcuni esperti il piano di Biden si tradurrà effettivamente in tasse più elevate per tutti i gruppi di reddito. Dunque, quale sarebbe il problema dell’annuncio? Una fantomatica mancanza di “contesto” (peraltro facilissimo da fornire, ammesso e non concesso che sia ragionevole pretenderlo in una pubblicità di 30 secondi) e il rischio che possa dare una “impressione sbagliata” su ciò che Biden intendesse, visto che il piano colpirebbe maggiormente i redditi alti rispetto a quelli bassi. Insomma, dall’arrampicata sugli specchi (o meglio, sugli schermi) emerge che lo spot dice cose vere, ma è meglio che non si sappiano, altrimenti gli americani (il 70 per cento dei quali usa Facebook e il 40 per cento dei quali lo usa per informarsi) potrebbero confondersi e finire per votare il candidato sbagliato. 
America First – che al Daily Wire ha assicurato che continuerà a lottare contro i fact checker di parte e per difendere uno dei più fondamentali diritti costituzionalmente protetti durante un periodo cruciale come quello di un’elezione presidenziale – non è l’unica organizzazione conservatrice censurata dalla piattaforma. In un altro episodio recente, sempre con il giochino del “contesto mancante e potrebbe fuorviare le persone”, Facebook ha censurato un annuncio dell’American Principles Project che affermava che l’apertura agli atleti transgender prevista dall’Equality Act appoggiato dai Democratici “distruggerà gli sport femminili”.
In casi come questo la massima propinata dai ben (de)pensanti è sempre qualcosa come: “Sono compagnie private, possono fare quello che vogliono. Se non ti vanno bene le loro regole, puoi sempre andare altrove”. Chissà cosa direbbero gli stessi ben (de)pensanti se ipoteticamente una compagnia privata di trasporti, essendo libera di fare ciò che vuole in quanto compagnia privata, decidesse di escludere dal servizio, per esempio, i neri. E i social network, che pur essendo privati hanno un ruolo pubblico preminente, trasportano ormai le idee e a ben vedere le vite di molte più persone di quante non vengano prese in carico da tutte le compagnie di trasporti del globo messe assieme. Il piccolo dettaglio è che le stanno trasportando sempre più con metodi che poco hanno da invidiare a quelli orrendi dell’apartheid

Matteo Cassol, 21 Set 2020, qui.

E pensare che qualcuno crede ancora che il grande fratello sia un’opera di fantasia.

barbara

QUANDO IL NON CAMPIONE È IL CAMPIONE PIÙ GRANDE

La storia del judoka iraniano in fuga dal regime degli ayatollah

Il trillo del telefono come punto di non ritorno. Quando Saeid Mollaei ha sentito la suoneria, ha dato uno sguardo al tatami e capito tutto. Quello che era previsto e quello che nessuno si aspettava. Il judoka ha lasciato l’Iran, è un disertore, si dice così, anche se Mollaei è un uomo libero e triste che ha dovuto fare scelte complicate in un pomeriggio impossibile. La sua patria gli ha chiesto di perdere, di evitare la finale dei Mondiali di judo appena finiti in Giappone, perché l’avversario, praticamente certo, sarebbe stato un israeliano. Fino a qui è purtroppo abitudine, ma in questo preciso anno, in teoria, non doveva esserlo. Il 9 maggio la federazione internazionale ha ricevuto una lettera in cui lo sport iraniano si impegnava a rispettare qualsiasi avversario, a non discriminare o condizionare nessun atleta. Un documento preteso dopo decenni di sospetti e una carta a cui Mollaei aveva creduto. Si aspettava di giocarsi il titolo contro Sagi Muki, ma la sua federazione ha dato altre istruzioni: «Esci subito, dopo i preliminari, è la legge. Niente contatti con Israele, non puoi riconoscere il tuo avversario combattendo con lui». Se Mollaei fosse uscito di scena prima ancora di intuire gli incroci del tabellone nessuno avrebbe potuto costruire processi. Invece lui ha combattuto fino ai quarti, sperava di andare così vicino alla finale da obbligare i suoi a fare marcia indietro. Il disegno ormai sarebbe stato chiaro, il sospetto evidente, inutile rischiare sanzioni. Di nuovo Mollaei ha creduto nella logica. Poi è suonato il telefono ed ogni gesto fatto nei minuti successivi portava già alla decisione presa adesso: non tornare, denunciare, raccontare ogni dettaglio di quelle ore di panico, essere così preciso, lucido e coraggioso da costruire un caso. Cambiare la storia. Un judoka allena fisico e onore, sa quando cedere, conosce la via del riscatto. Al telefono c’era l’Iran, qualche funzionario contrariato passato dai consigli alle minacce. Ha risposto l’allenatore e passato le truci consegne: «Sono andati dalla tua famiglia, stanno lì: perdi».
Saeid Mollaei 1
Neanche il tempo di esplicitare lo scenario e degli uomini dell’ambasciata iraniana, senza accrediti, sono arrivati fino all’area atleti del palazzetto. Hanno messo il campione all’angolo, parlato fitto fitto. Poi Mollaei ha consegnato il passaporto al tecnico. A metà tra l’ostaggio e il ribelle, si è giocato i quarti con la testa altrove. Non voleva nemmeno essere sconfitto, semplicemente non c’era più: «Solo il 10 per cento di me era presente». Eliminato. Solo che all’uscita non è rientrato negli spogliatoi, è andato dritto da Marius Vizer, presidente della federazione internazionale judo, a quel punto già allertato. Ha dato informazioni e chiesto protezione. Ha spezzato il circolo e ora chiederà asilo alla Germania, ha una fidanzata tedesca:
Saeid Mollaei 2
«Non cerco elemosina, ho una casa. Voglio solo combattere». Lo sta facendo, il suo primo atto da ex iraniano è stato un messaggio Instagram: «Complimenti campione», postato sulla pagina di Muki, l’israeliano che ha vinto l’oro al Mondiale. Mollaei potrà andare ai Giochi del 2020 solo nella squadra rifugiati, senza bandiera. Il judo ha aperto una procedura disciplinare contro l’Iran che nega le minacce. Ma tutti hanno sentito il telefono squillare a ripetizione, hanno visto gli uomini dell’ambasciata e ascoltato le parole di chi ha costruito, un minuto dopo l’altro, un precedente. Forse al prossimo incrocio il risultato non sarà così scontato.

Giulia Zonca, qui, via Informazione Corretta.

“Un judoka allena fisico e onore”: Saeid Mollaei, judoka vero e campione vero, li ha allenati entrambi, Mohamed Abdelaal, il secondo non sa neppure dove stia di casa. Onore dunque a un vero, grande campione e al suo straordinario coraggio (e complimenti anche a Giulia Zonca per questo bellissimo articolo).

barbara

GIANGIACOMO FELTRINELLI

Fondatore dell’omonima casa editrice. Di estrema sinistra (dopo essere stato, come da copione, fervente fascista. Va detto tuttavia che, a differenza del signor Fo, repubblichino e rastrellature di ebrei e partigiani, non ha aspettato il 26 aprile del ’45 per scoprirsi comunista). Amico di vari terroristi “rivoluzionari” sudamericani, è vicino anche al terrorismo rosso italiano. Contemporaneamente la casa editrice affianca alla pubblicazione di opere letterarie di grande spessore, quella di saggi e opuscoli che illustrano le tattiche di guerriglia praticate da diversi movimenti rivoluzionari attivi in America Latina. Verso la fine degli anni Sessanta progetta di staccare la Sardegna dallo stato italiano e farne un’oasi comunista, sul modello di Cuba; poco dopo entra in clandestinità. Nel 1970 fonda i GAP, Gruppi di Azione Partigiana, formazione paramilitare terroristica di ispirazione guevarista. Il 14 marzo 1972 muore mentre sta mettendo in atto un attentato terroristico.

A partire dal momento in cui entra in clandestinità, la casa editrice viene gestita dalla moglie, Inge Schönthal, nota tra l’altro per avere brindato alla notizia della gambizzazione di Indro Montanelli.

Non mi sembra di ricordare che la casa editrice Feltrinelli abbia mai subito ostracismi o boicottaggi.

barbara

QUANDO FARSI MALE FA BENE

Un esempio per la pace: un calciatore israeliano e uno iraniano si fanno fotografare insieme

di Nathan Greppi
calciatori-pace
Grande scalpore ha suscitato una foto pubblicata sui social in cui, a essere seduti insieme, sono calciatori di due paesi nemici: Maor Buzaglo, attaccante della Nazionale Israeliana, e Askhan Dejagah, capitano della Nazionale Iraniana.
“Nel calcio esistono regole diverse, e vi è una lingua priva di pregiudizi e di guerre,” ha scritto Buzaglo, che è anche un attaccante del Maccabi Haifa, pubblicando la foto su Facebook, Twitter e Instagram.
Secondo il Jerusalem Post, tutto è successo a Londra, dove entrambi i giocatori erano ricoverati per ferite riportate in campo. Sebbene non abbia condiviso anche lui la foto, Dejagah l’ha commentata sul profilo Instagram di Buzaglo: “Ti auguro di guarire presto, amico mio.”
Nel 2007 Dejagah si rifiutò di giocare contro Israele nei campionati Under 21 in Germania, ma in seguito spiegò che l’ha fatto per paura che il regime lo mandasse in prigione. Infatti, l’Iran proibisce a tutti i suoi atleti e allenatori di competere contro i loro omologhi israeliani.
Proprio questo mese, il capo della Federazione di Wrestling Iraniana ha dato le dimissioni per protestare contro questa politica del suo paese. A febbraio, invece, un judoka israeliano vinse una medaglia di bronzo in un campionato a Dusseldorf perché l’iraniano con il quale doveva misurarsi ha messo su peso apposta per gareggiare in un’altra sezione. Ad agosto, invece, due calciatori iraniani furono espulsi dalla nazionale dopo che, con la squadra greca Panionios, avevano gareggiato contro una squadra israeliana.
Quando, nel 2014, Dejagah venne intervistato dal The Guardian su ciò che avvenne nel 2007, ha dichiarato che è stato tanto tempo fa, e che “mi ha aiutato a crescere. Ma ora guardo solo al futuro.”
(Bet Magazine Mosaico, 26 marzo 2018)

Dato che ci sono alcuni frequentatori recenti di questo blog, che forse non sono a conoscenza dei dettagli che rendono eccezionale questa foto, spiego che agli atleti dei Paese arabi o musulmani è vietato dalla legge dei loro Paesi di gareggiare con atleti israeliani. E che regolarmente in occasione di competizioni internazionali in Europa gli stati arabi chiedono, e molto spesso ottengono, che lo stato di Israele non sia ammesso a gareggiare. Non è perché abbiano paura di essere da loro sconfitti, dato che in caso di rifiuto di battersi la sconfitta viene comunque decretata a tavolino, ma perché gareggiare contro Israele significherebbe riconoscerne l’esistenza, e questo non è ammesso. La legislazione di diversi paesi vieta anche qualunque contatto o vicinanza con cittadini israeliani, come dimostrano le scomuniche di alcune miss comparse in fotografie accanto a una miss israeliana, e come racconta Sharon Nizza in questo fresco resoconto di un incontro di giovani dal Medio Oriente (leggibile se il Cannocchiale funziona, cosa che non sempre accade) e della sua amicizia, dopo un esordio burrascoso, con il rappresentante libanese, della quale l’unica testimonianza possibile, per non far correre a lui seri rischi, è questa foto.
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barbara

IL SABBA INTORNO A ISRAELE

Sabba: nella tradizione germanica medievale, periodico convegno notturno di streghe e demoni per celebrare un rito in onore del diavolo (Garzanti)

1 Secondo antiche tradizioni popolari, convegno notturno settimanale di streghe per celebrare riti magici e orge di carattere demoniaco. 2 estens. Riunione, danza o rito sfrenato con caratteri sacrileghi, osceni (Sabatini Coletti)

1 Nei trattati sulle streghe dei sec. 15°-17°, […] nome con cui è chiamata la riunione di donne che, avendo statuito un patto con il demonio per averne particolari favori e poteri, verrebbero di notte trasportate per aria in luoghi determinati […] per compiere riti orgiastici […] e unirsi in carnali congiungimenti con i demonî. L’origine del termine (che nasce nel sec. 14° e si diffonde dalla fine del sec. 15°) è da mettere in relazione con l’antisemitismo medievale […] 2 Per estens., letter., riunione o celebrazione orgiastica, a carattere per lo più sacrilego e, fig., pandemonio, grande rumore e confusione, e sim. (Treccani)

E mai titolo fu più azzeccato, perché è esattamente questo che si scatena intorno a Israele: orde selvagge di streghe e stregoni indemoniati che in un’oscena sarabanda profanano la Storia, stuprano la verità, capovolgono i fatti (come le croci rovesciate nelle messe nere), smembrano il corpo delle notizie per bruciarne i pezzi sull’altare del moloch in un’interminabile orgia di odio. E assistiamo dunque all’incredibile silenzio del mondo di fronte alle decine di migliaia di missili lanciati su Israele, di fronte ai civili palestinesi usati come scudi umani dai loro governanti, di fronte ai continui attentati terroristici, di fronte ai tunnel costruiti per portare morte in Israele, di fronte al fatto che le centinaia di miliardi di dollari che vengono donati “ai palestinesi” sono interamente investiti in questo (quasi interamente, in realtà: una parte serve anche per costruire le faraoniche ville dei capi e per impinguare i loro sostanziosi conti all’estero), per poi risvegliarsi all’istante al primo colpo sparato da Israele per difendersi.

Come e perché si è arrivati a questo? Come si è arrivati a chiamare terrorista e assassino chi viene attaccato e tenta di difendersi, e vittima ed eroe chi non si fa scrupolo di assassinare vecchi sopravvissuti alla Shoah e neonati nelle culle? Come si è arrivati a ignorare stati che producono centinaia di migliaia di morti e a insorgere a ogni starnuto di Israele? Come si è arrivati a mettere stati genocidi a presiedere commissioni Onu per i diritti umani e a escludere Israele perfino dalle gare sportive? Questo è ciò che Niram Ferretti ci spiega in questo splendido libro, scritto con rigore e con passione, ripercorrendo l’intera storia del sionismo e di Israele, non senza gettare ampi sguardi anche indietro, per fare luce sulle cause prime che muovono gli attori di questa immane tragedia. Un libro in cui per tutti, anche per chi da quasi vent’anni segue intensamente le vicende che riguardano Israele, c’è qualcosa da imparare.
E che nessuno si azzardi a non leggerlo.

Niram Ferretti, Il sabba intorno a Israele, Lindau
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barbara