UCRAINA, LE PREMESSE

NOTA: che questo preciso, informato, lucidissimo articolo firmato da Barbara Spinelli lo abbia scritto lei, non ci credo neanche morta. Secondo me l’ipotesi più probabile è che qualche giornalista in erba, in gamba ma sconosciuto, abbia scritto questo articolo mirabile, poi, perché potesse avere il meritato risalto, abbia drogato la Spinelli, glielo abbia fatto firmare e l’abbia infine inviato al giornale dall’account di lei, prima che ritornasse in sé. Comunque leggetelo, è una delle cose migliori uscite in questi giorni.

La guerra nata dalle bugie

LE RAGIONI DEL CONFLITTO La prevedibile aggressione russa e la cecità di Stati Uniti e Unione europea. Ecco perché cominciare ad ammettere i nostri errori è il primo punto per costruire la pace

Paragonando l’invasione russa dell’ucraina all’assalto dell’11 settembre a New York, Enrico Letta ha confermato ieri in Parlamento che le parole gridate con rabbia non denotano per forza giudizio equilibrato sulle motivazioni e la genealogia dei conflitti nel mondo.
Perfino l’11 settembre aveva una sua genealogia, sia pure confusa, ma lo stesso non si può certo dire dell’aggressione russa e dell’assedio di Kiev. Qui le motivazioni dell’aggressore, anche se smisurate, sono non solo ben ricostruibili ma da tempo potevano esser previste e anche sventate. Le ha comunque previste Pechino, che ieri sembra aver caldeggiato una trattativa Putin-zelensky, ben sapendo che l’esito sarà la neutralità ucraina chiesta per decenni da Mosca. Il disastro poteva forse essere evitato, se Stati Uniti e Unione europea non avessero dato costantemente prova di cecità, sordità, e di una immensa incapacità di autocritica e di memoria.
È dall’11 febbraio 2007 che oltre i confini sempre più agguerriti dell’est Europa l’incendio era annunciato. Quel giorno Putin intervenne alla conferenza sulla sicurezza di Monaco e invitò gli occidentali a costruire un ordine mondiale più equo, sostituendo quello vigente ai tempi dell’urss, del Patto di Varsavia e della Guerra fredda. L’allargamento a Est della Nato era divenuto il punto dolente per il Cremlino e lo era tanto più dopo la guerra in Jugoslavia: “Penso sia chiaro – così Putin – che l’espansione della Nato non ha alcuna relazione con la modernizzazione dell’alleanza o con la garanzia di sicurezza in Europa. Al contrario, rappresenta una seria provocazione che riduce il livello della reciproca fiducia. E noi abbiamo diritto di chiedere: contro chi è intesa quest’espansione? E cos’è successo alle assicurazioni dei nostri partner occidentali fatte dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia? Dove sono oggi quelle dichiarazioni? Nessuno nemmeno le ricorda. Ma io voglio permettermi di ricordare a questo pubblico quello che fu detto. Gradirei citare il discorso del Segretario generale Nato, signor Wörner, a Bruxelles il 17 maggio 1990. Allora lui diceva: ‘Il fatto che noi siamo pronti a non schierare un esercito della Nato fuori dal territorio tedesco offre all’urss una stabile garanzia di sicurezza’. Dove sono queste garanzie?”.
Per capire meglio la sciagura ucraina, proviamo dunque a elencare alcuni punti difficilmente oppugnabili.
Primo: né Washington né la Nato né l’europa sono minimamente intenzionate a rispondere alla guerra di Mosca con una guerra simmetrica.
Biden lo ha detto sin da dicembre, poche settimane dopo lo schieramento di truppe russe ai confini ucraini. Ora minaccia solo sanzioni, che già sono state impiegate e sono state un falso deterrente (“Quasi mai le sanzioni sono sufficienti”, secondo Prodi). D’altronde su di esse ci sono dissensi nella Nato.
Alcuni Paesi dipendenti dal gas russo (fra il 40 e il 45%), come Germania e Italia, celano a malapena dubbi e paure. Non c’è accordo sul blocco delle transazioni finanziarie tramite Swift. Chi auspica sanzioni “più dure” non sa bene quel che dice. Chi ripete un po’ disperatamente che l’invasione è “inaccettabile” di fatto l’ha già accettata.
Secondo punto: l’occidente aveva i mezzi per capire in tempo che le promesse fatte dopo la riunificazione tedesca – nessun allargamento Nato a Est – erano vitali per Mosca. Nel ’91 Bush sr. era addirittura contrario all’indipendenza ucraina. L’impegno occidentale non fu scritto, ma i documenti desecretati nel 2017 (sito del National Security Archive) confermano che i leader occidentali– da Bush padre a Kohl, da Mitterrand alla Thatcher a Manfred Wörner Segretario generale Nato – furono espliciti con Gorbaciov, nel 1990: l’alleanza non si sarebbe estesa a Est “nemmeno di un pollice” (assicurò il Segretario di Stato Baker). Nel ’93 Clinton promise a Eltsin una “Partnership per la Pace” al posto dell’espansione Nato: altra parola data e non mantenuta.
Terzo punto: la promessa finì in un cassetto, e senza batter ciglio Clinton e Obama avviarono gli allargamenti. In pochi anni, tra il 2004 e il 2020, la Nato passò da 16 a 30 Paesi membri, schierando armamenti offensivi in Polonia, Romania e nei Paesi Baltici ai confini con la Russia (a quel tempo la Russia era in ginocchio economicamente e militarmente, ma possedeva pur sempre l’atomica). Nel vertice Nato del 2008 a Bucarest, gli Alleati dichiararono che Georgia e Ucraina sarebbero in futuro entrate nella Nato. Non stupiamoci troppo se Putin, mescolando aggressività, risentimento e calcolo dei rischi, parla di “impero della menzogna”. Se ricorda che le amministrazioni Usa non hanno mai accettato missili di Paesi potenzialmente avversi nel proprio vicinato (Cuba).
Quarto punto: sia gli Usa che gli europei sono stati del tutto incapaci di costruire un ordine internazionale diverso dal precedente, specie da quando alle superpotenze s’è aggiunta la Cina e si è acutizzata la questione Taiwan. Preconizzavano politiche multilaterali, ma disdegnavano l’essenziale, cioè un nuovo ordine multipolare. Il dopo Guerra fredda fu vissuto come una vittoria Usa e non come una comune vittoria dell’ovest e dell’est. La Storia era finita, il mondo era diventato capitalista, l’ordine era unipolare e gli Usa l’egemone unico. La hybris occidentale, la sua smoderatezza, è qui.
Il quinto punto concerne l’obbligo di rispetto dei confini internazionali, fondamentale nel secondo dopoguerra. Ma Putin non è stato il primo a violarlo.
L’intervento Nato in favore degli albanesi del Kosovo lo violò per primo nel ’99 (chi scrive approvò con poca lungimiranza l’intervento).
Il ritiro dall’afghanistan ha messo fine alla hybris e la nemesi era presagibile. Eravamo noi a dover neutralizzare l’ucraina, e ancora potremmo farlo. Noi a dover mettere in guardia contro la presenza di neonazisti nella rivoluzione arancione del 2014 (l’ucraina è l’unico Paese europeo a includere una formazione neonazista nel proprio esercito regolare). Noi a dover vietare alla Lettonia – Paese membro dell’ue – il maltrattamento delle minoranze russe.
Non abbiamo difeso e non difendiamo i diritti, come pretendiamo? Nel 2014, facilitando un putsch anti-russo e pro-usa a Kiev, abbiamo fantasticato una rivoluzione solo per metà democratica. Riarmando il fronte Est dell’ue foraggiamo le industrie degli armamenti ed evitiamo alla Nato la morte celebrale che alcuni hanno giustamente diagnosticato. Ammettere i nostri errori sarebbe un contributo non irrilevante alla pace che diciamo di volere.
BARBARA SPINELLI, Il Fatto Quotidiano, 26 Feb 2022 (con un sentito ringraziamento all’amico Erasmo che l’ha ripreso)

Direi che quei famosi 92 minuti di applausi ci stanno tutti.
E poi ci siamo noi.

Navi, soldati, F35 in assetto ‘combat ready’: così l’Italia si prepara alla guerra

La crisi in ucraina mobilita anche le nostre truppe. Tutti i numeri del nostro coinvolgimento

 “L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, l’articolo 11 della Costituzione, quella “più bella del mondo” come amano definirla spesso gli intellettuali di sinistra, è chiaro: il Tricolore sventola solo sulle missioni di pace, mai nei conflitti. Eppure in questa complessa crisi bellica tra Russia e Ucraina, il nostro Paese è più che coinvolto. In modalità ‘unofficial’, si direbbe. D’altra parte durante i venti anni di Guerra fredda tra Stati Uniti e Urss nessuno di noi poteva mai immaginare che la più grande base Nato per le operazioni in caso di conflitto nucleare si trovasse, operativa e in funzione, proprio sotto il nostro sedere, a 20 metri di profondità nel cuore di una collina della provincia di Caserta in Campania: nome in codice ‘Proto’. Abbandonata in fretta nel 1996, la base è ancora lì a ricordarci che la guerra si combatte anche, e soprattutto, senza farne propaganda. Oggi la situazione non è poi così cambiata. Chi immagina che la crisi ucraina sia distante da noi e ci veda al riparo da eventuali azioni sensibili dovrebbe tenere a mente un po’ di numeri.
Mille. È il numero dei soldati di fanteria dell’Esercito italiano, 250 alpini e 750 bersaglieri che sono già schierati lungo il confine in Lettonia. Un contingente che conta la presenza di cinque carri armati Ariete, autoblindo Centauro e carri leggeri Lince.
Quattro. Sono gli aerei F35 in assetto ‘combat ready’, cioè pronti al combattimento, di stanza in Romania che da settimane sorvolano i cieli lungo il confine. All’aeroporto di Costanza sono stati trasferiti d’urgenza 140 avieri italiani.
Quattordici. È il numero di ‘scramble’, cioè di interventi di emergenza per rischio attacchi effettuati dai caccia della nostra Aeronautica.
Tre. Sono invece le unità della Marina Militare in navigazione, ufficialmente per esercitazioni nel Mediterraneo davanti alle coste di Cipro, in appoggio alla Sesta flotta navale Usa.
Ci sono poi le numerose basi Nato presenti sul territorio italiano e in massima operatività e allerta, da Sigonella – aeroporto di partenza dei droni che da 15 giorni sorvolano il Donbass – a Pisa dove un gruppo di 250 soldati italiani sotto le insegne Nato (in gergo un ‘battle group’) è già pronto a salire su C-130 Hercules e su C-27 Spartan della 46a aerobrigata destinazione: Polonia e Romania.
Un ultimo numero, quello forse che desta maggiore interesse, è il 4. Esiste una scala di valutazione del pericolo di guerre e conflitti con uso di armi nucleari. Un parametro internazionale che abbreviato si scrive sugli atti come ‘Defcon’, Defense condition. Una scala che parte da 5, situazione di pace, e arriva a 1 che rappresenta il coinvolgimento in un conflitto internazionale. Da gennaio l’Italia è in ‘Defcon4’, un livello d’allerta che prevede la mobilitazione di servizi segreti e aumento delle misure di sicurezza, certificato proprio in quei giorni in cui gli italiani assistevano al balletto delle schede bianche per l’elezione del Presidente della Repubblica. L’Europa è in ‘Defcon3’.
di Giancarlo Maria Palombi, qui.

E quindi è definitivamente dimostrato e documentato che Putin, con la sua ossessione dell’accerchiamento, è un pazzo paranoico che nei suoi deliri vede cose assolutamente inesistenti.
E dunque noi abbiamo, anche se ufficiosamente e non ufficialmente, dichiarato guerra alla Russia: a quanto pare la batosta del ’41-’43 coi suoi 77.000 morti e dispersi e 40.000 feriti e congelati, non è stata sufficientemente istruttiva (forse abbiamo bisogno un’altra volta di qualche migliaio di morti da buttare sul tavolo della pace?).
Concludo questo post con un appello: a Putin, ma soprattutto a Zelensky e soprattuttissimo a Biden

Per favore, provate a rinsavire. Forse non tutto è ancora perduto. Forse potete ancora farcela. Ma tenete presente che ormai siamo qui

barbara

COME PROTEGGERSI DAL VIRUS, ISTRUZIONI PER L’USO

La prima lezione ci viene da Napoli: se vedete qualche criminale senza mascherina, non limitatevi a redarguirlo severamente: pestarlo dovete, di santa ragione, e fare una bella rissa tutti ben attorcigliati

La seconda ci viene dalla Giordania: vi siete ammalati, vi hanno fatto il test, siete risultati positivi e adesso dovete andare all’ospedale: mi raccomando, fatelo nel modo giusto.

La terza ci viene da Codacons: se volete fare qualcosa di utile dovete dare soldi a loro, più ne date e meglio è.

Nel frattempo da Bergamo un tale signor Giorgio Gori, quello molto più preoccupato di combattere i pregiudizi che il virus, ci spiega che per salvare l’Italia bisogna fare venire almeno 200.000 extracomunitari.

E infine bisogna fare i tamponi a tutti quelli che ne hanno bisogno… ah no, che stupida, quelli li stanno già facendo, vero signor Borrelli? Vero dottor Villani? Vero signor Miozzo?

Non è il momento di dire bugie

Durante la conferenza stampa di mercoledì, il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli ha detto:

I tamponi – così come prevede l’OMS, poi mi correggerà se sbaglio il professor Villani – sono effettuati solo quando ci sono sintomi. Sintomi evidenti, difficoltà respiratorie. Quindi sotto questo profilo possono esserci anche delle persone lievemente sintomatiche che non fanno i tamponi. Questo è quello che penso, giusto professore?

Il professore Alberto Villani, presidente della Società italiana di pediatria, ha quindi risposto:

Confermo. A coloro che hanno realmente bisogno del tampone, il tampone viene eseguito. Quindi se non viene eseguito evidentemente non c’è l’indicazione a farlo.

Questa cosa non è vera. Ma proprio clamorosamente. Decine di migliaia di persone in Italia – e probabilmente di più – lo sanno bene perché è capitato a loro, o a una persona a loro vicina. Ed è doloroso ascoltare una bugia di queste proporzioni da persone di questa responsabilità in un contesto così delicato.

Una volta per tutte: le raccomandazioni del ministero, diffuse con una circolare del 27 febbraio e poi con una del 9 marzo, dicono che devono essere sottoposte a tampone le persone con infezione respiratoria acuta, cioè «insorgenza improvvisa di almeno uno tra i seguenti segni e sintomi: febbre, tosse e difficoltà respiratoria». È chiaramente specificato che il tampone è raccomandato in presenza di questi sintomi indipendentemente dal ricovero ospedaliero («che richieda il ricovero o meno», dice la circolare). Le raccomandazioni dell’OMS, poi, sono «fate i test, fate i test, fate i test». Siamo stati sgridati per questo: ampliare il numero di test è considerato cruciale per contenere l’epidemia e prendere le migliori decisioni sul percorso di uscita da questa crisi.

Eppure in Italia ci sono sicuramente moltissime persone che pur ricadendo nelle categorie indicate dal ministero e dall’OMS – pur trovandosi in situazioni in cui esisteva eccome «l’indicazione a farlo», per usare le parole del professor Villani – non sono state sottoposte al tampone.

Lo dimostrano le testimonianze drammatiche che tutti i mezzi di informazione, tra cui il Post, raccolgono da giorni da decine di medici di basemedici ospedalieriinfermieri e anestesisti in Lombardia; lo dimostrano le migliaia di persone morte in casa o nelle case di riposo con sintomi gravi compatibili con la COVID-19 e mai sottoposte al tampone, nonostante le ripetute richieste rivolte alle autorità sanitarie; lo dimostrano le esperienze di tantissime persone – disponibili ovunque, dai giornali ai social network fino probabilmente al vostro condominio, se vivete in Lombardia – che pur manifestando sintomi importanti e a volte anche convivendo con una persona risultata positiva al coronavirus, non sono mai riuscite a farsi testare. Qui non si parla della questione del tampone alle persone asintomatiche o lievemente sintomatiche: si parla di persone con sintomi acuti – migliaia di queste sono addirittura morte – che non sono mai state testate.

Non è la prima volta che gli italiani sono costretti ad ascoltare questa bugia. La regione Lombardia continua a sostenere di aver «rigorosamente seguito i protocolli che sono stati dettati dall’Istituto Superiore di Sanità», quando in realtà è più facile ottenere una radiografia ai polmoni – che permette ai medici di riconoscere i sintomi della COVID-19 e arrangiarsi di conseguenza – che un tampone. Addirittura in molti casi non si riescono a fare nemmeno i tamponi di controllo, quelli necessari per accertare la guarigione dei pazienti, che intanto aspettano per giorni di tornare alle loro vite. Il molto annunciato aumento del numero di tamponi effettuati in Lombardia ancora non si è visto. Non è solo una questione di correttezza, sia chiaro: le carenze della Lombardia sui test compromettono il contenimento dell’epidemia, e le modalità e i percorsi con cui potremo uscire da questa situazione e tornare alle nostre vite.

Anche il direttore della Protezione Civile, Agostino Miozzo, durante la conferenza stampa di mercoledì della settimana scorsa ha detto che «si fanno i tamponi che il Sistema Sanitario Nazionale ritiene necessario fare sulla base delle indicazioni che ci sono suggerite dalle organizzazioni internazionali». Non è vero.

In Lombardia non si fanno i tamponi che il sistema sanitario ritiene necessario fare, ma quelli che il sistema sanitario riesce a fare, a prescindere dai protocolli: e quindi molti meno di quelli che sarebbe necessario fare se si volessero seguire le indicazioni nazionali e internazionali. In altre regioni si sono visti approcci diversi e grandi miglioramenti su questo fronte: in Lombardia no. Poco dopo Miozzo ha aggiunto, parlando dei tamponi, che «c’è una policy di ricerca dei pazienti soprattutto sintomatici o dei loro contatti stretti». Non è vero neanche questo. Al contrario, la stampa in questi giorni ha ottenuto decine di testimonianze di familiari e conviventi di persone affette da COVID-19 che pur manifestando i sintomi della malattia non sono mai state testate, e a cui le autorità sanitarie hanno dato la sola istruzione di restare a casa come tutti.

Sempre durante la conferenza stampa di ieri, Borrelli ha detto anche un’altra cosa purtroppo non vera:

A me non è arrivata alcuna segnalazione di persone che non sono riuscite a entrare in terapia intensiva. Almeno per quello che è dato constatare a me, e non credo che sia arrivata all’opinione pubblica questo tipo di informazione. […] Con il lavoro dei medici, dei rianimatori, si soccorre – credo, a mio giudizio – tutti coloro i quali ne hanno bisogno.

Sono stati purtroppo proprio i medici e i rianimatori i primi a raccontare dolorosamente che in Lombardia per settimane non ci sono stati posti per tutti in terapia intensiva, e forse solo negli ultimi giorni le cose stanno cominciando a migliorare. Di nuovo, in Lombardia ci sono addirittura migliaia di persone – migliaia di persone – che sono morte in casa: che avrebbero avuto bisogno eccome di soccorsi, eppure non è stato possibile soccorrere. Residenze per anziani che si sono svuotate in pochi giorni e in cui le ambulanze non sono mai arrivate. Pazienti che non è stato possibile curare finché le loro condizioni non si sono deteriorate in modo irreparabile. Non uno o due: tanti. Il comprensibile desiderio di rassicurare la popolazione non può trasformarsi in una licenza a dire cose che non sono vere, peraltro da pulpiti così importanti e ufficiali.

Verrà il momento di discutere di cosa sia andato storto in Lombardia, che è stata travolta dall’epidemia con una forza maggiore che in qualsiasi altro posto d’Italia e forse del mondo. Così come verrà il momento di capire come mai a oltre un mese dall’inizio dell’epidemia non siamo ancora in grado di avere dei dati che permettano di misurare con una qualche affidabilità il numero di persone contagiate e il numero di persone morte. Può darsi che non si potesse fare più di così. Possiamo accettare che, pur avendo tutti le migliori intenzioni, in una situazione così straordinaria questo sia il massimo che fosse possibile fare. Ma allora sarebbe rispettoso e onesto dire questo, e non una bugia.

E mi auguro che quando questo cataclisma sarà finito, chi deve pagare paghi fino in fondo, senza sconti e senza pietosi buonismi.

barbara

LETTERA A DAVIDE FRATTINI

Chi ha avuto in mano, sabato scorso, il supplemento del Corriere della Sera “Io donna”, avrà sicuramente visto l’indecente servizio di Davide Frattini «Gaza, la cavalcata delle amazzoni». Indecente e inaspettato, perché finora Frattini si era sempre mostrato sostanzialmente corretto. Naturalmente siamo assolutamente sicuri che la lettera inviatagli sarà prontamente pubblicata, ma per ogni evenienza la pubblico anche qui.

Buongiorno,
la lettura sul supplemento Io Donna dell’articolo recante la sua firma mi ha stupito non poco perché, conoscendola, mi aspettavo di trovarla più attento a non indurre il lettore a non corretti pensieri.
Già nel titolo, parlando di Gaza, si parla di terra contesa. Contesa? Tra chi? Forse tra Hamas e Fatah, ma non certo tra israeliani ed arabi, visto che Sharon ha obbligato tutti gli ebrei, pur tanti, ad abbandonare tutti i loro averi e ad abbandonare la Striscia.
Siamo poi al patetico quando si parla della giovane che viene al maneggio per dimenticare i blocchi sul confine verso Israele. Beh, a me sembra che i blocchi siano simili non solo verso Israele, ma anche verso l’Egitto, e bisognava forse spiegarlo bene al lettore meno informato, e illustrare anche il perché di tali blocchi, mentre i confini di Israele verso Egitto e Giordania che hanno riconosciuto il diritto di esistere di Israele sono aperti alla libera circolazione.
Ma chi è poi questa giovane amazzone che può permettersi di frequentare un luogo esclusivo, con bei prati verdi, pagando 1500 dollari per una sella? Semplicemente la figlia di un normale imprenditore edile? Crede forse che sotto i regimi totalitari ci si possa arricchire senza stretti legami col dittatore? Crede forse che, senza questi rapporti, a Gaza ci si possa acquistare un IPad? E che belle parole quando dice che non ci sono soldi per ricompense in denaro; semplici parole ad effetto se ci sono soldi per acquistare dei computer da dare come ricompense ai vincitori delle gare di equitazione! Per non parlare dei milioni di dollari spesi per armi ed esplosivi – per un solo missile teleguidato, come quello che due anni e mezzo fa ha centrato uno scuolabus, vengono spesi fino a 280.000 dollari! – e per i campi militari utilizzati per addestrare all’uso delle armi e istruire all’odio i bambini fin dalla più tenera età. Sarei inoltre curioso di conoscere la fonte di quel dato, 85% di abitanti di Gaza che sopravvivono con 2 dollari al giorno, così sfacciatamente contrastante con le immagini – che tutti abbiamo visto, sicuramente anche lei – di piscine e parchi giochi traboccanti di gente, mercati e centri commerciali di lusso pieni di ogni bendidio e di pasciuti acquirenti, strade piene di auto, che in occasione di qualche mattanza di ebrei si danno a festosi caroselli, più o meno come da noi per la vittoria ai mondiali.
Vorrei poi ricordare che non è giusto, parlando del conflitto del 2012, mettere sullo stesso piano i bombardamenti israeliani ed i missili lanciati da Hamas; so benissimo che non ho bisogno di spiegare a lei la ragione di questo.
Infine penso che, parlando dell’elettricità che va e viene, sarebbe forse stato il caso di ricordare che Gaza riceve l’elettricità dal nemico israeliano il quale, ogni tanto, è costretto ad interrompere le forniture a causa dei missili che, cadendo sulla centrale che produce elettricità anche per la Striscia, deve sospendere giocoforza la produzione.
Sono certo che, con le sue conoscenze della situazione del Medio Oriente, potrà concordare con le mie osservazioni, e la saluto distintamente

Emanuel Segre Amar, Barbara Mella
(Qui le immagini)

E poi, per restare in tema, vai a leggere qui.

barbara

RICOMINCIA LA SCUOLA, MA NON È UGUALE PER TUTTI

Quando il primo giorno di scuola non è uguale per tutti

Lunedì scorso, nove settembre, la campanella è suonata per tutti gli alunni delle scuole pubbliche e private del Medio Oriente. Mentre in tutto il mondo gli studenti iniziano il nuovo anno scolastico conoscendo nuovi amici, imparando ad ampliare i propri orizzonti, i bambini di Gaza sono sottoposti al regime autoritario ed oppressivo di Hamas, che li priva di una vera educazione, insegnando loro come uccidere.
Continuano le pubblicazioni a cura dei servizi segreti israeliani sul modus operandi di Hamas, organizzazione terroristica che come obiettivo ha la cancellazione dello Stato di Israele. Oltre che con le armi, tra Israele ed i paesi che hanno giurato la sua eliminazione dalla cartina geografica, si combatte da anni una guerra a furia di pubblicazioni ed approfondimenti, mirati a screditare l’operato del governo in questione. Che Hamas sia un’organizzazione terroristica, non ci sono dubbi, considerando che è ritenuta tale anche dall’Unione Europea. Lo studio delle forze armate israeliane in collaborazione con il Mossad, mette in luce le nuove leggi scolastiche di Hamas.

– Rappresentano un affronto alla vita umana.
Il primo giorno di scuola a Gaza, è totalmente diverso da quello che siamo abituati a vedere nel resto del mondo. Gli studenti di età superiore ai nove anni, si ritroveranno ad essere divisi in base al sesso e non potranno interagire con studenti ed insegnanti del genere opposto. Per i docenti è illegale fare lezione agli studenti del sesso opposto. La nuova legge minaccia soprattutto l’esistenza delle scuole private cristiane, che non riusciranno a mantenere scuole separate per ragazzi e ragazze. È solo un altro passo per sopprimere le opinioni dei non musulmani nella Striscia di Gaza.
A Gaza, tutte le scuole sono gestite da Hamas, così come molte chiese e tutte le organizzazioni internazionali. La nuova legge impone nelle scuole una rigida segregazione di genere e codici di abbigliamento ben definiti.
bambine-hamas

– Sei portato per la musica o per gli esplosivi?
Anche Hamas ha le sue scuole “specializzate”, come la ‘Al-Ahmad Jabari’, dove si insegna il terrorismo e la lotta contro Israele. La scuola è finanziata dal Ministero dell’Istruzione di Gaza ed è aperta ai bambini di tutte le età.

– Peter Pan o un manuale per uccidere?
I libri di testo poi. Hamas forma gli studenti su libri che descrivono gli ebrei come ladri e criminali. Nel corso di storia per esempio, agli studenti viene insegnato che tutti gli ebrei provengono dall’Europa, ignorando quelli espulsi dal Nord Africa e da tutto il Medio Oriente. Ovviamente nessuna traccia della Shoah. Alcune scuole insegnano l’ebraico, ma non come un modo per promuovere la pace e la comprensione. Matard Mahmoud, direttore generale del Ministero della Pubblica Istruzione di Gaza, dice che ‘l’ebraico è insegnato esclusivamente perché è la lingua del nemico’.

– Attività extrascolastiche
Nelle scuole superiori infine, le pause pranzo ed i corsi serali sono vere e proprie lezioni militari, in cui i bambini si allenano con i fucili d’assalto Kalashnikov, imparano ad usare bombe a mano ed a far esplodere ordigni. Fa tutto parte del programma ‘Al-futuwwa’ per i ragazzi tra i 15 ed i 17 anni.

(Tele Radio Sciacca, via “Notizie su Israele”, 11 settembre 2013)

Com’era quella vecchia barzelletta che diceva “la pace si fa coi nemici” e “si tratta con chi c’è” e “bisogna accordarsi con loro”?
Post scriptum: qui si parla delle scuole di Hamas, ma, almeno dal punto di vista dei programmi scolastici e dei libri di testo non è che in epoca pre-golpe le cose andassero meglio (non ricordo la data in cui è stato redatto questo documento, ma è sicuramente di oltre dieci anni fa):
libri palestinesi

Nel frattempo i dirigenti palestinesi sono a Parigi a discutere delle sorti di Israele. E sapete dove? In un albergo di lusso, i poveri palestinesi. Per la precisione all’Hotel Meurice.
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E perché è necessario precisare in quale albergo? vi chiederete. Ve lo spiego subito: perché quell’albergo era stato requisito dalla Gestapo che ne avevano fatto il loro quartier generale durante l’occupazione
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e qui, settant’anni fa come oggi, discutevano delle sorti degli ebrei. Ben poco è cambiato, da settant’anni a questa parte, come potete ascoltare dalla viva voce del mufti di Gerusalemme (qui).

Poi, se vi restano ancora due minuti, andate a leggere questo. E magari anche questo.

barbara

FATTO MARGINALE

Nei disordini siriani un tale viene rapito. Per la precisione un cristiano. Viene chiesto un riscatto. Il suo parroco greco ortodosso, padre Fadi Jalil Haddad prende il riscatto, un accompagnatore e va a cercare di liberare il parrocchiano. Ma viene rapito pure lui e l’accompagnatore. Viene chiesto un riscatto che, fatti  i calcoli, risulta essere superiore a 550.000 euro. nessuno, né la famiglia, né la chiesa sono in grado di pagare questa cifra.
Così i cadaveri dei tre rapiti vengono ritrovati uccisi in modo barbaro. Il sacerdote è stato scalpato e gli sono stati strappati gli occhi. Lo riconosce il rettore di un’altra parrocchia che non vuole neppure essere nominato, tanta è la paura.
Il Patriarca Ignazio IV Hazim celebra il funerale. Durante il funerale viene fatta esplodere una bomba. Due civili sono uccisi ed anche parecchi militari.
Il sacerdote era nato nel 1969. Aveva studiato teologia a Damasco e in Libano. Si era poi sposato ed era stato ordinato sacerdote nel 1995.
I comunicati ufficiali affermano che il sacerdote non aveva preso posizione per nessuna delle parti in conflitto. E aveva cercato di aiutare tutti.
È evidente che il timore dei cristiani in Siria per la propria incolumità, dopo questi fatti, sta aumentando.
Liberamente tratto da orthodoxie.com e da orthodoxologie.blogspot.com, sito che pubblica anche un lungo comunicato del patriarcato greco ortodosso.
I greco ortodossi in Siria sono circa 500.000.
Scusate il disturbo.
Xenia Gandini (qui)

Come ha giustamente titolato l’autrice della lettera, deve proprio trattarsi di un fatto marginale, addirittura insignificante, visto che nessuno dei nostri mass media, a quanto pare, ha ritenuto che potesse meritare almeno un trafiletto. Così come assolutamente irrilevanti sono le informazioni sull’assalto al consolato di Bengasi, e solo perché siamo paranoici ci siamo messi in testa che abbiano invece una qualche importanza.

barbara

QUELLE BUGIE CON LE GAMBE TANTO LUNGHE

Falsi

Uno degli aspetti interessanti sul piano intellettuale, ma anche sintomatici su quello morale, dell’attuale ondata antisionista/antisemita è quello dei falsi. Ci sono falsi generici, come quello di chi, come Günter Grass e i suoi emuli, al di là di ogni attribuzione di responsabilità, attribuisce a Israele l’intenzione di un attacco “atomico” all’Iran, quando al contrario si tratta evidentemente di un attacco “antiatomico”, non programmato con armi nucleari, anzi dell’ultima occasione per evitare che un conflitto mediorientale possa arrivare fino al livello dell’apocalisse nucleare. Ci sono i falsi ideologici, come quello di Boris Pahor che qualche giorno fa in un’intervista sul Secolo XIX, ha rivelato di non avere mai conosciuto Primo Levi, nonostante i suoi tentativi in questo senso, ma affermato apoditticamente che la sua morte fu colpa “del comportamento politico della sua patria”, cioè dello Stato di Israele. E come lo sa? Come si permette di speculare su una tragedia personale così terribile a fini politici? Poi vi sono i falsi documentali, la costruzione di citazioni inesistenti. Una riguarda ancora Primo Levi, ed è appena stata smascherata definitivamente da un articolo di Domenico Soave e Irene Scarpa sul domenicale del Sole 24 ore dell’8 aprile, come ha ricordato già qui Francesco Lucrezi. A Levi viene attribuita diffusamente su Internet e in vari documenti e discorsi antisraeliani la seguente frase: “Ognuno è l’ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele”. Gli autori mostrano che solo la prima frase, senza relazioni col conflitto mediorientale, è stata scritta da Primo Levi, mentre la seconda è un commento estensivo a quella frase, contenuto in una recensione a “Se questo è un uomo” dell’82 di un critico del “Manifesto”, Filippo Gentiloni, e tenuta giustamente da lui fuori dalle virgolette, ma attribuita poi a Levi da un articolo del 2002 di Joan Accocella sul “New Yorker” e da allora dilagata sul web. Non sappiamo se quella di Accocella fu una svista o una deformazione intenzionale (il suo scritto cade nel pieno della campagna internazionale contro Israele durante la cosiddetta “seconda Intifada”). Ma sicuramente è un falso infinitamente riprodotto in rete. Certamente volontaria è invece una falsa citazione da Ben Gurion, che ha origini nei lavori dello pseudostorico e propagandista antisraeliano Ilan Pappé e che è stata smascherata da un gruppo contro l’antisemitismo e ribadita di recente da “Camera”, un’osservatorio della comunicazione antisraeliana. In sostanza, Ben Gurion, in una lettera aveva scritto “Noi non vogliamo e non dobbiamo espellere gli arabi per prendere il loro posto” e dalla citazione è sparita tutta la prima parte della frase con la negazione, lasciando solo “dobbiamo espellere gli arabi per prendere il loro posto”, cioè l’esatto opposto di quel che pensava il fondatore di Israele. Il tutto serve a demonizzare la figura di Ben Gurion e a corroborare la propaganda del “peccato originale” della nascita di Israele come “furto della terra”. Come documenta “Camera” anche nel rigoroso sistema accademico anglosassone è assai difficile obbligare i propalatori di un falso così marchiano a rettificare le loro menzogne. Ci sono i falsi sistematici e organizzati, che negano l’evidenza e se possibile ne distruggono le tracce, come quella negazione del carattere ebraico di Gerusalemme, dell’esistenza del Tempio ecc., che fu lanciata da Arafat ai colloqui di Camp David, scandalizzando anche un tiepido cristiano evangelico come Bill Clinton per la negazione della narrazione biblica e di tutte le prove storiche che ciò comportava. Nonostante la sua evidente assurdità, questa menzogna in seguito è stata ripetuta moltissime volte dai media e dai dirigenti dell’Autorità Palestinese ed è diventata uno dei pezzi forti della propaganda anti-israeliana nel mondo islamico e ha ormai conquistato il consenso della maggioranza degli arabi. I responsabili del Wafq, il fondo islamico che amministra il monte del Tempio, hanno fatto il possibile con scavi distruttivi per far sparire quanto più hanno potuto della documentazione archeologica del Tempio e l’Unesco ha fatto la sua parte per attribuire le antiche tombe dei patriarchi al “patrimonio culturale palestinese”, facendo diventare la Tomba di Rachele a Betlemme, documentata nella Bibbia e testimoniata da centinaia di resoconti, immagini ecc., una moschea dedicata a non so quale clerico islamico. La bugia diventa cancellazione attiva e genocidio culturale. Tutto ciò non può non ricordare gli altri falsi che hanno costellato la propaganda antisemita nei secoli, dai Protocolli dei Savi di Sion (che sono regolarmente tradotti e ristampati nel mondo islamico, inclusi i territori amministrati dall’Autorità Palestinese e sono stati recentemente “rivalutati” da Gianni Vattimo in funzione antisraeliana) alle infinite varianti dell’”accusa del sangue”, dal caso di San Simonino a Trento ad Aleppo nel 1840 fino all’episodio ungherese di un secolo fa recentemente rilanciato da un deputato dell’estrema destra locale e all’accusa dell’uccisione dei palestinesi per rubarne gli organi, come si è inventato con grande clamore un paio d’anni fa un giornale svedese: tutti episodi seguiti da persecuzioni, pogrom, efferate vendette giudiziarie, odio diffuso. Non bisogna sottovalutare il peso di questa trama di menzogne, che è eccezionale anche rispetto alla consueta infondatezza della propaganda politica: nessuno, credo, oserebbe attribuire la colpa della morte di Tabucchi al governo italiano, per cui pure egli provava forte avversione, o al governo a lui altrettanto poco simpatico del Portogallo, altra patria adottiva. Nessuno, anche quando era dominio del papato, ha osato negare che a Roma ci sia stato il foro e che la città sia stata sempre legata all’Italia, anche se al momento era solo il centro politico di una Chiesa che si vuole “universale”. Ai vari popoli perseguitati, gli armeni e i curdi e i ceceni ecc. nessuno ha mai attribuito la volontà di dominare il mondo o l’uso di mangiare i bambini e di rubare gli organi interni ai feriti. Tutto ciò è avvenuto e continua ad avvenire con l’antisionismo/antisemitismo. Da questa densità di falsità e menzogne si possono trarre due conclusioni. La prima è che la maggior parte delle persone che se ne occupano ha con Israele un rapporto immaginario, che ha pochissimo a che vedere con la realtà. Come gli antisemiti hanno sempre odiato il loro fantasma di ebreo (e colpito poi gli ebrei veri) così gli antisionisti odiano un fantasma di Israele, quasi senza rapporto con la realtà, anche se poi provano a danneggiare il paese vero. La seconda è che tutte queste menzogne hanno autori, responsabili, propalatori, complici volonterosi. E che dunque l’antisionismo/antisemitismo non è un fenomeno naturale, che possa essere subito senza attribuire responsabilità. I falsi possono essere casuali, la loro diffusione senza controllo e la fabbricazione di menzogne certamente no. La domanda giusta non è dunque “perché si diffonde l’antisionismo/antisemitismo”, ma “chi lo fa e a quali fini e con quali complicità”.

Ugo Volli

E dopo questo splendido articolo del grande Ugo Volli, un po’ di documentazione.

barbara