CON LA PAROLA DIO CREÒ IL MONDO

E con le parole ora lo stanno distruggendo.

Torturano le parole per creare l’uomo nuovo

E’ in corso una rivoluzione orwelliana per sostituire l’Archeolingua con la Neolingua (Italia compresa). Padre e madre, Mr e Mrs, ladies and gentlemen… Del passato della lingua bisogna fare tabula rasa

Chi in Inghilterra non ha sentito l’espressione ladies and gentlemen? Da oggi, sui treni inglesi, non sarà più possibile, racconta il Telegraph. Per essere più “inclusivi” hanno detto addio alla celebre formula. Nella “cattolicissima” Irlanda bagni neutri saranno installati questa settimana nelle scuole. L’Università di Manchester ha appena imposto al personale di non utilizzare più i termini “madre” e “padre” ma i neutri “partner” o “tutore” [e con quello che una volta si chiamava asilo e adesso si chiama scuola materna e guai a sbagliare perché “quelli” si incazzano come iene e ti correggono stizziti, come la mettiamo? Tornerà a chiamarsi asilo? O diventerà scuola tutoriale?]. Il Brighton and Sussex University Hospitals NHS Trust è il primo in Inghilterra usa “allattamento al torace” anziché “allattamento al seno” e “genitore che partorisce” al posto di “madre”. Il personale è stato istruito a sostituire anche “latte materno” con “latte umano”. Se IKEA in Australia ha appena introdotto il linguaggio neutro nei suoi magazzini, la città di Salem, in America, quella della caccia alle streghe, ha appena introdotto il linguaggio gender free.

E’ tipico di ogni rivoluzione dominare la lingua per avere un’uniformità di espressione che serva da veicolo all’ideologia dominante. George Orwell in 1984 immortalò la sostituzione dell’Archeolingua con la Neolingua. Quando il governo socialista spagnolo di José Luis Rodríguez Zapatero varò la sua “rivoluzione famigliare”, decise di vietare i tradizionali riferimenti di genere nei documenti relativi alla famiglia. Sui certificati di matrimonio “marito” e “moglie” furono sostituite da “sposo A” e “sposo B”. Nei certificati di nascita, “padre” e “madre” vennero rimpiazzati da due neologismi: “Progenitore A” e “Progenitore B” (anche in Italia da poco è norma “genitore 1” e “genitore 2” nelle carte di identità under 14) [E con quale criterio vengono stabilite le priorità, ossia quale chiamare 1 e quale 2? E se poi quello relegato al secondo posto, o a progenitore di serie B, si offende, o si risente, o si deprime e poi magari si suicida, come la mettiamo? Avranno numero o lettera a giorni alterni scambiandosi i ruoli ogni giorno?]

Nel nuovo libretto di famiglia e nel codice di procedura civile in Francia un tempo campeggiavano in grassetto i termini “sposo o padre” e “sposa o madre”.  Nei nuovi libretti le parole “il padre, la madre” sono state sostituite da “uno dei genitori”. Il sindaco ecologista di Lione ha introdotto la scrittura inclusiva in tutti i documenti ufficiali della città… La scuola elementare Yves Codou, nel comune francese di La Mole, celebra la “festa dei genitori” invece di quella della mamma, per non scontentare le coppie omosessuali. [E quelli che non hanno i genitori? Cosa sono queste vergognose – e, queste sì, autentiche – discriminazioni?]

La Cardiff Metropolitan University, una delle maggiori del Regno Unito, ha stilato una lista di 34 parole che docenti e studenti sono “invitati” a non usare più, sostituendole con altre non “sessiste”. Via “chairman”, a favore del neutro “chair”; “fireman”, pompiere, è sostituito da “firefighter”; casalinga, “housewife”, lascia il posto a “consumer”; umanità, “mankind”, viene rimpiazzata da “humanity” [huMANity? Orrore!!]; anche “homosexual” viene meno a favore di “same sex”; assistente, “right hand man”, diventa invece “chief assistant”. 

Princeton, l’università ha bandito il termine “man” nei suoi vari utilizzi a favore di espressioni più “inclusive”. Via così anche “he” e “she”, a favore di “you” e “your”. A New York, la City University ha deciso che si doveva fare a meno di “Mr” e “Mrs”: perché le donne dovrebbero dire se sono sposate? [sull’eliminare la distinzione fra Miss e Mrs, fra signorina e signora, sarei pienamente d’accordo: la distinzione fra sposati e no non si fa per gli uomini, non vedo perché si debba fare per le donne, e francamente trovo anche ridicolo che qualcuno, a settant’anni, continui a chiamarmi signorina come mezzo secolo fa] Intanto la Elon University eliminava la parola matricola, “freshman”, per usare “first year”. La città di Berkeley ha sostituito termini come “businessman”, “mailman”, “manpower” e “salesman”, per evitare anche solo di evocare il maschile “man”. L’Università del Vermont è stata la prima in America a creare un nuovo pronome, “they”, terzo genere “neutrale”, né femminile né maschile, ma plurale senza genere: “They”, loro. 

“Una volta che la lingua è condannata come fascista, tutto diventa possibile: non merita più rispetto né venerazione” scrive su Le Figaro a fine aprile il filosofo Robert Redeker. “La scrittura inclusiva è in realtà il contrario di ciò che afferma di se stessa: è esclusiva, perché esclude la lingua dalla sua storia. Espelle la lingua dal suo passato, dalla sua tradizione, dalla sua dimora, dalla sua logica. E’ il mito ultrarivoluzionario della tabula rasa: del passato della lingua bisogna fare tabula rasa, al fine di lasciarsi abitare dalle fantasie dei suoi avversari”. 

Torturano le parole per costruire un uomo nuovo…. Ci riusciranno?

Giulio Meotti

Io direi che ci stanno riuscendo alla grande. E fra un po’ arriveremo anche a

(anche se ci siamo andati molto vicini già più di tre anni fa)  Poi però non stupitevi se

Aggiungo ancora un paio di suggerimenti se dovete fare degli auguri di compleanno

E infine vi spedisco a leggere qui.

barbara

E UN ALTRO BUON COMPLEANNO

glielo faccio dire da Ugo Volli

Israele compie settant’anni. E’ lo spazio di una vita, lo capisco bene, perché è anche (quasi) la mia età. O se volete, sono tre generazioni, un nonno immigrato qui negli anni quaranta o cinquanta in fuga dalle ceneri dell’Europa, un figlio che ha fatto tutta la sua vita in Israele, attraversando l’epoca socialista dei kibbutzim e del sindacato onnipotente e poi la liberalizzazione, l’egemonia laburista e la sua crisi, l’illusione ubriacante e irrazionali dei progetti di pace e i sobri calcoli che sono seguiti, fino alla start-up nation e al benessere diffuso di oggi, frutto soprattutto di trent’anni di egemonia del centrodestra. E un nipote, che magari parla ancora in casa la lingua del nonno o piuttosto quelle dei nonni, perché le famiglie spesso incrociano immigrazioni assai diverse; ma è completamente israeliano, ha fatto il servizio militare e l’università, non capisce proprio quel continente in decadenza e masochista dove noi ci ostiniamo a soggiornare.
Israele compie settant’anni, ha quasi nove milioni di abitanti, quasi l’ottanta per cento di ebrei e il venti per cento di arabi delle diverse religioni; ha un reddito pro capite che sta superando quello di paesi come l’Italia e la Francia, alcune delle migliori università del mondo, una ricerca e sviluppo che ne fa uno dei paesi più dinamici del panorama mondiali, una rete di relazioni economiche e di difesa molto vasta che non risente più che tanto del teatrino dell’Onu, è difeso da uno degli eserciti più forti e motivati del mondo.
Ma soprattutto è gestito da un governo competente e attivo che si sforza di districare i tanti conflitti e vincoli che vengono dalla storia del paese: cerca cioè di mantenere la lealtà dei suoi cittadini arabi, che vedono chiaramente il loro interesse in questo stato, ma talvolta si fanno tentare dalla retorica palestinista; di recuperare a ruoli più produttivi la minoranza religiosa più conservatrice, la quale solo in parte è davvero antisionista, e che certamente ha il pregio di mantenere e sviluppare la tradizione religiosa e quindi culturale dell’ebraismo, ma che per lo più è intrappolato in costumi sociali e perfino in abbigliamenti iperconservativi, che sono solo i gusci caduchi della sua fede; e cerca di sciogliere la presa paralizzante che esercita classe burocratica, intellettuale e mediatica con una mentalità anch’essa conservatrice e misogina, anche se essa non si riferisce all’Europa Orientale dell’Ottocento ma allo stesso Israele dei decenni successivi all’uscita di scena di Ben Gurion, quando il socialismo avviluppava ancora la società, la Corte Suprema si arrogava poteri di controllo sul Parlamento, approfittando della mancanza di una costituzione e soprattutto la retorica della pace non aveva ancora affrontato la prova dei fatti. Ma nonostante la resistenza di intellettuali e giornalisti e giudici e politici di sinistra, oggi Israele è il paese che gioca meglio le sue carte nel mondo, che è riuscito a rendere insignificanti i tentativi palestinisti di distruzione e sa muoversi con sofisticata abilità, coraggio e prudenza nel difficilissimo ambiente mediorientale. Tutti questi risultati, per quanto riguarda gli ultimi quindici anni hanno un nome e un cognome, Bibi Netanyahu, che invano opposizione, interventi stranieri, stampa e inquirenti prevenuti cercano di abbattere.
C’è dunque ragione di festeggiare e noi siamo qui per questo, il Giorno dell’Indipendenza è una grande festa popolare con musica e balli in piazza, fuochi d’artificio, cerimonie e divertimento. Ma non bisogna dimenticare che tutto questo ha avuto un costo enorme. Per questo si è deciso di anteporre alla festa il lutto per i ventitremila militari morti per la libertà di Israele (solo nell’ultimo anno sono stati 71), i moltissimi feriti e per le vittime del terrorismo: se oggi si fa festa ieri si piangeva, letteralmente, con visite ai cimiteri, cerimonie militari, la memoria di chi non c’è più ed è ricordato dalla grande famiglia di Israele. Ma la storia che ci ha portato qui è molto più vasta: solo la settimana scorsa c’è stata la sentitissima giornata del ricordo per le vittime della Shoah e l’eroismo di chi vi si è ribellato, nei ghetti, nei campi, nella Brigata Ebraica, nella Resistenza Europea. E allargando ancora il campo, la storia ha voluto che questa festa cadesse (nel sistema di datazione ebraico) sempre fa la Pasqua ebraica (che ricorda il primo tentativo di genocidio e la prima fuga verso uno Stato ebraico costruito su queste terre trentacinque secoli fa, e il momento in cui si ricorda la morte in massa degli allievi di uno dei maestri più importanti del Talmud, Rabbi Akivà: morti per un’epidemia, forse, per motivi morali o soprannaturali, a quanto dicono alcune interpretazioni tradizionali; ma più probabilmente caduti in quella rivolta contro i romani che si svolse nel 132 della nostra epoca e riuscì per tre anni anche a liberare Gerusalemme, ma poi si concluse nella sconfitta più totale di fronte alla macchina da guerra romana e fu davvero l’ultimo eroico tentativo di libertà per il popolo ebraico, schiavizzato e disperso, spesso massacrato, per i successivi diciotto secoli. Il capo della rivolta era un abile guerrigliero ricordato col nome di Bar Kochba, figlio della stella, ma il leader spirituale era Rabbi Akivà, e probabilmente i suoi discepoli furono sterminati con buona parte del popolo in quel disperato tentativo di resistenza.
Ecco, non si può mai parlare di ebraismo e di Israele senza tornare al grande respiro storico, a una memoria teologico-politica. E dunque anche la festa dell’Indipendenza non ha solo carattere militare o (di più) popolare, ma è anche un contatto con l’identità, la radice profonda di un popolo che sente profondamente di avere un’eredità e un destino storico da trasmettere ed osservare, dunque la responsabilità collettiva di mantenere accesa la fiammella trasmessa nei secoli. Chi non capisce questo è fuori dal popolo ebraico. Venire qui, partecipare alla festa, vuol dire testimoniare di questa continuità e della sua forza creativa. Tanti auguri, Israele! (Informazione Corretta)

E ora godiamoci un po’ del meraviglioso sole di Israele.

barbara

KOL ECHAD – UNA SOLA VOCE

In 15 posti diversi: un piccolo regalo per i 70 (+3000) anni di Israele.

Qui invece sono 12.000, tutti insieme, compreso il presidente della repubblica, a cantare per i 70 anni della recuperata indipendenza di Israele.

E ricordiamo: qualunque cosa accada, la sentinella d’Israele veglia sempre ed è sempre all’erta, per la sicurezza e la pace di tutti noi.
guardiani di Israele
Mazl tov, Israel! Yom huledet sameach!

barbara

RIBUON COMPLEANNO AMICA!

E stavolta per festeggiarti ti porto in Israele, contenta?

PS: grazie a Marco che se n’è ricordato.
PPS: grazie ad Amica che ha capito il commento di Marco (io proprio non l’avevo capito per niente)
PPPS: grazie a Erasmo che sicuramente, visto che è la sua specialità, provvederà a mozzare le dita agli spettatori.

barbara