AH, QUEI BEGLI INVERNI DI UNA VOLTA!

Quelli di prima del riscaldamento globale! Quelli di prima dei cambiamenti climatici! Quelli di prima di questa spaventosa emergenza climatica che nel giro di dodici anni, no undici, no ormai sono nove scarsi, ci porteranno alla distruzione del Pianeta e alla fine della vita sulla Terra. Quei begli inverni di una volta, di quando eravamo bambini, in cui la neve cadeva e cadeva e cadeva… Ve li ricordate? Ah, che tristezza non averli più!

Penserjoch, Val Sarentina (BZ), 29 marzo 2023

barbara

LA GRAN PUTTANATA DELL’EMERGENZA CLIMATICA, PARTE QUINTA

L’articolo è un po’ lungo, ma è importante, e non mi va di postarlo a rate.

Clima, le clamorose bufale sugli orsi polari in via di estinzione

Alcune bufale si ripetono ciclicamente. L’integralismo ideologico induce gli ambientalisti e animalisti a credere a fake news

Il Secolo XIX, 31 agosto 2008: “Nove orsi bianchi sono da giorni in balìa delle onde nel mare di Chukchi in Alaska, a quasi cento chilometri dalle coste, dopo che i ghiacci si sono letteralmente sciolti sotto di loro. Sembra che alcuni non ce l’abbiano fatta. E ora è corsa contro il tempo per tentare di salvare quelli che ancora hanno la forza di nuotare. L’allarme era stato lanciato intorno al 20 agosto dal WWF che sta seguendo la situazione e oggi la storia è apparsa anche sul quotidiano britannico Daily Mail dove campeggia una eloquente fotografia, scattata da un elicottero in ricognizione, di un orso bianco che nuota in solitudine in mezzo al mare”.
“Alcuni di questi nove esemplari non si vedono più – ha detto Massimiliano Rocco, responsabile del Programma Traffic/Specie del WWF Italia –, probabilmente non ce l’hanno fatta. Gli altri sono allo stremo e al limite della sopravvivenza. Non possono tornare indietro e riconquistare naturalmente il pack, è impossibile. Bisogna intervenire”. “Perciò – ha riferito Rocco – abbiamo chiesto alle autorità canadesi e statunitensi di intervenire con i loro mezzi per poter anestetizzare gli animali e portarli in salvo”.
“Trovare così tanti orsi polari al largo è il chiaro segno che il ghiaccio su cui vivono e cacciano continua a sciogliersi. Altri orsi potrebbero trovarsi nelle medesime condizioni – aveva detto nei giorni scorsi Geoff York, un biologo del WWF esperto di orsi bianchi –. Se i cambiamenti climatici continueranno a colpire l’Artico, gli orsi polari e i loro cuccioli saranno costretti a nuotare per lunghe distanze per cercare cibo e riparo”.

Immagine straziante

Immagine straziante, quella degli orsi polari e dei loro cuccioli in balia dell’oceano, diffusa dal WWF il 20 agosto 2008, quando l’emisfero nord del pianeta era alle prese con un’estate caldissima e non si faceva fatica a credere che, a causa del caldo, stesse accadendo qualcosa di drammatico. Un’immagine che viene subito ripresa e rilanciata con dovizia di particolari da tutti i mezzi d’informazione, con l’effetto, consapevole o no, di scavare profondamente nella coscienza collettiva e di sensibilizzare i governanti sulla necessità di intervenire immediatamente sui cambiamenti climatici.
Peccato che la notizia sia totalmente inventata.
Le prime denunce in tal senso appaiono sui mezzi d’informazione una settimana dopo il primo annuncio. Ad insospettire i professionisti dell’informazione è il fatto che, dopo il primo drammatico annuncio, non facciano seguito altre puntate (attesissime) della saga degli orsi polari. Perché il WWF ha rinunciato a battere il ferro finché era caldo? Allora il WWF corre ai ripari e promette aggiornamenti “appena possibile”. A stretto giro il professor Richard Steiner, membro del programma di consulenza marina (?) dell’Università dell’Alaska, afferma che gli orsi sono “in serio pericolo perché hanno bisogno di ghiaccio marino, che sta diminuendo”. Secondo Steiner, quanto sta accadendo dovrebbe “convincere chi ancora non crede al riscaldamento globale e all’impatto che sta avendo nell’Artico”.
Ma gli orsi polari, anziché morire affogati, hanno continuato a nuotare, come hanno sempre fatto, fino a tornare sulla terraferma. Nelle zone abitate dagli orsi polari il ghiaccio si scioglie ad ogni stagione estiva, quando per tutti gli animali artici inizia la stagione della riproduzione. E gli orsi, come sempre, trovano conveniente avventurarsi alla ricerca di nuovi territori di caccia, raggiungendo le numerose isole e aree costiere che d’estate sono (ahimè) sgombre dai ghiacci ma in compenso sono sovrappopolate di foche e di cuccioli di foca: è quello il vero obiettivo degli orsi; altro che il ghiaccio polare che si scioglie sotto le loro zampe.
Dopo le prime smentite, la saga degli orsi polari alla deriva si esaurisce in pochi giorni, rimpiazzata dalla catastrofe bancaria (quella sì vera) della Lehman Brothers e dei mutui subprime. Ma non c’è da dubitare che, dal momento dell’annuncio a quello dell’ingloriosa rivelazione della bufala, nelle casse del WWF siano affluiti milioni di dollari sotto forma di versamenti volontari di chi nel frattempo, in tutto il mondo, decideva di devolvere il proprio contributo, doveroso e disinteressato, alla causa della salvezza dei poveri orsi.

Bufale ricorrenti

Anche se sono regolarmente smascherate, le campagne di sensibilizzazione sulla sorte dei poveri orsi polari alla deriva per lo scioglimento dei ghiacci si ripresentano ricorsivamente. Ed è così che, dopo l’avventura natatoria dei nove orsi naufraghi, il problema si è riproposto in termini ancora più drammatici negli anni successivi.
Il 4 marzo 2010 giornali, riviste e blog pubblicano le foto di un piccolo frammento di iceberg avvistato – si dice – a 12 miglia dalle coste della Norvegia sul quale sono appollaiati mamma orsa e il suo cucciolo.

Lo scioglimento lento e inesorabile della banchisa polare ha causato il distacco del pezzo di ghiaccio sul quale sono intrappolati i due orsi (ma perché “intrappolati”, se entrambi sanno nuotare perfettamente?). Si tenta perfino di accreditare l’ipotesi che mamma orsa stia facendo da skipper, cercando in tutti i modi di mantenere stabile il piccolo iceberg per proteggere il suo cucciolo, quasi il cucciolo stesso fosse solubile in acqua. Sul blog i commenti si succedono frenetici e accorati, dando alla vicenda un’aura da telenovela sudamericana: “Possibile che nessuno degli animalisti non abbia almeno cercato di aiutarli? Negli occhi di mamma orsa c’è solo richiesta di aiuto… e tanta paura per il piccolo… che evidentemente non ce la può fare a nuoto e la mamma non lo vuole lasciare…”; “Sono trascorse ore e forse giorni. Mi auguro che li abbiano già salvati. Lascio la mia e-mail per avere la risposta…”. Poi tutto finisce in una bolla di sapone: si tratta dell’ennesima bufala orchestrata dai soliti ambientalisti e animalisti in cerca di fondi.
L’8 ottobre 2016 Lifegate ci informa che i rarissimi orsi polari che giungono sulle coste dell’Islanda, anziché essere abbattuti (!) come si fa di solito, saranno salvati dai droni. In che modo non si riesce a capirlo, visto che i droni possono sollevare al massimo una ventina di chili e un orso pesa alcune tonnellate [c’è una svista: il peso di un maschio adulto va da 350 a 700 chili (in qualche caso può arrivare a pesare quasi una tonnellata), ma la sostanza non cambia]. C’è inoltre da considerare che il fenomeno non è così diffuso da meritare particolare attenzione: secondo uno studio condotto dall’Istituto islandese di storia naturale, durante tutta l’epoca storica (per capirci, da Erik il Rosso ad oggi) gli orsi approdati in Islanda non sono più di qualche centinaio. L’ultimo sbarco di un orso polare (regolarmente abbattuto, in quanto considerato pericoloso per gli umani) è avvenuto nel luglio 2016 a Hvalsnes.
Ma in tutta l’area artica gli avvistamenti di orsi naufraghi alla deriva continuano a succedersi con regolarità. Il 29 aprile 2019 l’agenzia russa Ria Novosti dirama una notizia, certamente degna di fede, secondo la quale un orso polare alla deriva su un iceberg al largo della penisola russa della Chukotka è stato riportato a casa nel Mare di Bering con un elicottero MI-8.

Baricco unplugged

Nell’ottobre del 2019 Alessandro Baricco pubblica il libro “The Game”, nel quale analizza la rivoluzione digitale alla luce della sua opera precedente, “I Barbari”, nella quale ha regalato all’umanità perle di saggezza secondo le quali i no-global sarebbero la nostra assicurazione contro il fascismo e il videogame Space Invaders [mamma mia quanto ci ho giocato! Ogni tanto ci torno ancora] sarebbe uno dei miti fondativi di quella che lui chiama “insurrezione digitale” e che fa ascendere nientemeno che all’opera di Alan Turing, dimostrando così di conoscere quest’ultima solo attraverso Wikipedia. Ma nel 2019 citare Alan Turing “fa fino”, anche quando si confonde la “macchina di Turing” (astratta) con uno smartphone. Paradigma dell’“insurrezione digitale”, secondo Baricco, è proprio l’i-Phone. Non si tratta affatto, come pensano in molti, di uno dei più classici strumenti di conformismo e omologazione. Secondo Baricco, “in quel tool uscivano allo scoperto e trovavano forma i tratti genetici che l’insurrezione digitale aveva sempre avuto […]. In quel telefono […] moriva il concetto novecentesco di profondità, veniva sancita la superficialità come casa dell’essere, e si intuiva l’avvento della post-esperienza. Quando Steve Jobs scese dal palco, qualcosa era arrivato a compimento”. Bella immagine: ricorda un po’ le seghe mentali di Bonito Oliva sulla trans-avanguardia [e io concordo con quel tale immeritatamente dimenticato: E le masturbazioni celebrali Le lascio a chi è maturo al punto giusto, Le mie canzoni voglio raccontarle A chi sa masturbarsi per il gusto] Nello stesso anno 2019 l’editore di Baricco trova conveniente stimolare uno spin-off di tanta profondità di pensiero con la pubblicazione del volume “The Game Unplugged”, realizzato commissionando testi eterogenei sulle tematiche del web ad un parterre autorale giovane quanto variegato. Uno di questi contributi è una riflessione a voce alta sulle difficoltà di coinvolgere il pubblico sui temi del riscaldamento globale, difficoltà che, a quanto pare, finisce col giustificare alcuni giochetti disinvolti. Ma solo per il bene dell’umanità. Nel testo si fa riferimento esplicito ad un video pubblicato su Instagram il 5 dicembre 2017 dal fotografo naturalista Paul Nicklen nel quale si vede un orso bianco che si trascina, magro ed emaciato, sull’isola di Baffin, nell’Artico canadese, in un paesaggio desolato privo di neve e ghiaccio. È solo un vecchio orso giunto alla fine della sua esistenza per cause naturali (anche gli orsi polari muoiono…). Ma Nicklen preferisce scrivere che “la popolazione dei 25 mila orsi polari rischia l’estinzione entro la fine del secolo” a causa della riduzione dei ghiacci artici. Si tratta della campagna di lancio del progetto Tide dell’organizzazione ambientalista sì-profit Sea Legacy.
Due giorni dopo, il filmato di Nickelen è ripreso integralmente da National Geographic che lo correda di un tappeto musicale di impronta decisamente noir e di una didascalia rivelatrice: “Ecco che aspetto ha il cambiamento climatico”. Le parole “cambiamento climatico” sono evidenziate in giallo e diventano così il cuore di una notizia (fasulla) che attribuisce l’agonia del vecchio orso ai cambiamenti climatici. In breve tempo il video diventa il contenuto più condiviso di sempre su National Geographic con 2,5 miliardi di visualizzazioni.

Danni permanenti

Finalmente, il 12 dicembre un servizio diramato dalla BBC, realizzato con il supporto di alcuni studiosi, chiarisce come stanno effettivamente le cose: l’orso ripreso nel filmato è evidentemente affetto da malanni che con i cambiamenti climatici non c’entrano niente e si muove in un territorio nel quale i ghiacci perenni non ci sono mai stati.
Qualche giorno dopo, recependo anche le inattese rimostranze di Nicklen e di Sea Legacy, la redazione di National Geographic è costretta ad ammettere di avere forzato il significato del filmato. Ma il succo delle prolisse giustificazioni è che la colpa dell’accaduto (manco a dirlo) è dei “negazionisti”, che “costringono” chi ha veramente a cuore le sorti del pianeta ad operazioni disinvolte di questo genere per sensibilizzare gli animi!
I danni causati da mistificazioni come queste si creano in un attimo e, purtroppo, sono permanenti. I tempi di reazione ai messaggi terroristici sul clima e sulle sorti del Pianeta veicolati attraverso Instagram, Facebook, Twitter e Youtube polarizzano l’attenzione per pochi secondi ma lasciano convinzioni (errate) che durano per sempre.
Lo smontaggio di una fake news, che si tratti di orsi o di altro, richiede preparazione, ricerca e riflessione, ma non ha mai lo stesso appeal emotivo di una fake news che si gioca interamente sull’impatto emotivo. La verità è dunque destinata a soccombere nel breve termine e a non essere più recuperabile neppure nel medio e lungo termine.
Un esempio eclatante è dato dal ricordato contributo a “The Game Unplugged” che, anziché evidenziare i guasti causati da certa ideologia pseudo-ambientalista, si conclude con una elaborata apologia sul perché i catastrofisti del clima siano costretti, per il bene dell’umanità, a ricorrere a mezzucci come le falsificazioni per affermare la “verità vera”, senza alcun riguardo per la verità scientifica.
L’autore del contributo citato conclude così le sue brillanti riflessioni: “Viviamo nell’inerzia di una società costruita attorno ai combustibili fossili, e gli istinti e le abitudini che in questo sistema ci sono serviti per prosperare ci stanno portando alla distruzione […] Davanti ai dati non ci dovrebbe essere spazio per le interpretazioni […] Non eravamo destinati all’apocalisse, e se siamo finiti in piena crisi climatica ci sono delle responsabilità precise, politiche ed economiche”.
Si giunge così a rovesciare completamente ogni logica, a dimostrazione del fatto che contro il fanatismo e il ciarpame ideologico non ci sono ragioni scientifiche che tengano. Del resto – come continuano a spiegarci coloro che hanno capito tutto – tutto è relativo, anche la verità.
Se oggi si effettua una ricerca in Internet, le notizie relative ai nove orsi naufraghi e al loro confratello emaciato dell’isola di Baffin si ritrovano ancora lì tali e quali, senza essere corredate di alcun riferimento stabile alle smentite che nel frattempo le hanno ridicolizzate.

Un mare di cazzate

Il mare delle cazzate che circolano in rete sugli orsi polari non sembra avere limiti. Ecco di seguito alcune perle veicolate da LifeGate, public company di consulenza sul modello “People-Planet-Profit” creata nel 2000 dalla famiglia Roveda, dopo avere accumulato una fortuna vendendo prodotti biologici:

– “Dobbiamo dire addio all’orso polare? Simbolo dello scioglimento dei ghiacci, oggi il loro numero è drasticamente in diminuzione a causa delle temperature bollenti che si registrano nell’Artico” (19 marzo 2014).
– “Gli orsi polari hanno iniziato a cacciare i delfini per colpa dell’uomo. Il riscaldamento globale sta portando alcuni orsi polari a cibarsi di delfini. Il fenomeno inedito è stato osservato da alcuni ricercatori norvegesi” (12 giugno 2015).
– “L’agonia degli orsi polari racchiusa in una foto. Una fotografia scattata alle Svalbard mostra con cruda chiarezza il fenomeno dello scioglimento dei ghiacci artici che sta minacciando la sopravvivenza degli orsi (e di tutti noi)” (11 settembre 2015).
– “La purezza genetica dell’orso polare e del grizzly è minacciata dal riscaldamento globale che ne sta sovrapponendo gli areali favorendone l’ibridazione” (26 maggio 2016).
– “Un nuovo pericolo per gli orsi polari, i cuccioli sono minacciati da agenti inquinanti. Secondo uno studio italiano i contaminanti organici persistenti alterano il latte delle femmine avvelenando i piccoli orsi polari” (7 gennaio 2017).

Apprendiamo così che – si badi bene, per colpa dell’uomo – gli orsi polari sono in via di estinzione (non è vero), mangiano i delfini (mangiano qualunque animale capiti loro a tiro) e scopano con i grizzly (un solo esemplare ibrido è stato finora documentato in natura nel 2006).
Quindi sono solo cazzate: ma chi si incarica di farlo notare al numerosissimo popolo che continua a frequentare acriticamente il web e a nutrire le proprie convinzioni preconcette con queste “verità” rivelate?
L’allarme sull’estinzione degli orsi polari fu lanciato dai proto-ambientalisti negli anni Sessanta. Sotto accusa erano allora le colonie umane dell’Artico che cacciavano gli orsi per cibarsi della loro carne. Poi si scoprì che la popolazione degli orsi polari era in netta crescita. Ma oggi possiamo dirlo solo sottovoce, altrimenti rischiamo di offendere ambientalisti e animalisti e di essere classificati tra i “negazionisti” del cambiamento climatico. E così, nel sito del WWF l’orso polare è tuttora classificato come “specie in via di estinzione”: erroneamente, dato che, secondo i dati scientifici, la popolazione degli orsi polari è triplicata nel mezzo secolo che separa il 1960 dal 2010, che la specie non ha predatori (ormai neppure l’uomo) e che può contare su riserve di cibo vivo costituito da specie tutt’altro che in via di estinzione.
Ma incurante della verità scientifica, il WWF ha meritoriamente deciso di offrire a tutti la possibilità di adottare un orso polare. Lo si può fare pagando una somma compresa tra i 30 e i 125 euro all’anno: meno di quanto costi adottare a distanza un cucciolo di uomo del Terzo Mondo.

La pelle dell’orso

L’ennesimo allarme sulla sorte degli orsi polari fu lanciato nel 2015 in seguito alla comparsa di una campagna pubblicitaria della Arsu Systems Corporate, azienda che attraverso il proprio sito web, promuoveva l’uso della pelle di orso polare come coibente naturale per isolare dal freddo le abitazioni. Hans Jansson, sedicente amministratore delegato dell’azienda, dichiarava nel sito (tuttora accessibile online) che la sfida per un futuro sostenibile passava per una nuova idea di architettura, e in quell’ambito l’uso delle pelli degli orsi polari – naturali e biodegradabili al 100% – apriva possibilità notevoli, sulla scia di quanto da sempre avevano scoperto e praticato le popolazioni Inuit. Il sito offriva quindi la possibilità di chiedere un preventivo gratuito per isolare termicamente la propria abitazione con pelli di orso polare ricorrendo a tre diverse linee di prodotto: il Furpro30, pellicce di cuccioli di orso di età inferiore a tre anni, adatte per l’isolamento delle intercapedini interne e dei controsoffitti; il B-tech28, pellicce di orsi di età compresa fra i tre e i dieci anni, idonee per l’isolamento di intercapedini e soffitti non praticabili; il Bearrier22, pellicce di orsi di età maggiore di dieci anni, ideali per facciate ventilate, cappotti termici e coperture.
Immediatamente si scatenò sul web la campagna #weareall bears (siamotuttiorsi) che chiedeva a gran voce l’oscuramento immediato del sito della Arsu Systems. Salvo poi accorgersi che si trattava di una campagna di comunicazione provocatoria lanciata dalla multinazionale dell’isolamento termico per l’edilizia Ursa (dal cui anagramma la denominazione Arsu dell’azienda incriminata) in collaborazione con Italian Climate Network e Tribe Communication. Il vero obiettivo della campagna era promuovere l’Ursa Award: best project for a better tomorrow, un bando per un progetto architettonico innovativo ecosostenibile, volto al risparmio energetico e di ridotto impatto ambientale.
Il linguaggio olistico scelto per la campagna, che voleva essere ironicamente provocatorio, aveva trovato terreno fertile nei ristrettissimi spazi lasciati all’immaginazione dal fanatismo ambientalista e animalista, finendo con lo scatenare l’ira della parte più indottrinata del web, ormai divenuta, purtroppo, maggioranza schiacciante.
Lo scherzo della Arsu Systems prosegue. Nella pagina Facebook della Arsu si legge oggi quanto segue: “Siamo davvero delusi dal fatto che la nostra missione non ti sia chiara. Ci dedichiamo a salvare il pianeta e il futuro dei nostri figli. Il modo migliore per farlo è assicurare che i nostri edifici siano isolati termicamente e utilizzare materiali biodegradabili e fonti rinnovabili. Gli insulti non cambieranno la nostra determinazione e soprattutto non faranno nulla per aiutare il nostro pianeta. Voglio cogliere l’occasione per ringraziare i nostri clienti in tutto il mondo che credono in noi e che ci stanno supportando con i loro ordini”.
Ma parallelamente – e incredibilmente – prosegue anche la campagna contro la Arsu Systems di #weareallbears, che continua ad esortare gli aderenti a fermare un inesistente massacro di orsi polari.

Predatori e prede

A margine delle notizie fasulle sui rischi di estinzione degli orsi polari, c’è da rilevare che anche il rapporto predatorio tra uomo e orso negli ultimi anni si è invertito. Se è vero che alcune popolazioni artiche sono tuttora autorizzate a cacciare gli orsi per cibarsene, negli ultimi decenni lo hanno fatto sempre meno, preferendo le foche, il pesce e altri cibi, mentre per contro si registra un numero crescente di esseri umani attaccati e uccisi dagli orsi polari.
Molti attacchi si verificano alle isole Svalbard, dove i turisti si recano spesso proprio per vedere gli orsi polari, nonostante il territorio sia letteralmente tappezzato di cartelli di avvertimento che invitano a non avventurarsi oltre senza un’arma da fuoco efficiente e carica. Nell’agosto 2011 un gruppo di studenti britannici di età compresa tra 16 e 23 anni nel corso di un viaggio organizzato dalla British Schools Exploring Society è stato attaccato da un orso polare alla periferia della cittadina di Longyearbyen. Il bilancio è stato di un ragazzo morto e altri quattro gravemente feriti. All’8 agosto dell’anno scorso risale la notizia dell’aggressione mortale subita da una turista francese.
Gli attacchi degli orsi polari sono all’ordine del giorno in Groenlandia, Islanda, Alaska, Canada e Russia. Il 1° settembre 2016 si diffuse in rete la notizia che un gruppo di cinque climatologi russi del servizio Sevgidromet era assediato nella base artica russa di Troynoy, isola dell’arcipelago di Izvesty Tsik, nel mare artico di Kara, da un branco comprendente una dozzina di orsi polari. Il 31 agosto il branco si era avvicinato alla base e aveva sbranato un cane da slitta. In breve tempo i ricercatori avevano esaurito la scorta di razzi di segnalazione, utilizzati per allontanare gli orsi. Erano stati quindi costretti ad interrompere le attività all’aperto, in attesa dell’arrivo della nave appoggio, che tuttavia sarebbe giunta solo dopo un mese. L’SOS dei ricercatori russi fu comunque raccolto dalla nave russa Akademik Tryoshnikov, che riuscì a raggiungerli e a rompere l’assedio degli orsi, rifornendo gli scienziati di cibo e bengala.
La portavoce di Sevgidromet, Yelena Novikova, non perse l’occasione per attribuire il comportamento anomalo (?) degli orsi al cambiamento climatico: “Il ghiaccio recede velocemente – spiegò la Novikova – e gli orsi non hanno il tempo di nuotare fino alle altre isole. Ma a Troynoy non c’è cibo e perciò sono andati alla stazione meteo”. La domanda sorge spontanea: ma di cosa campavano gli orsi di Troynoy prima dello scioglimento stagionale dei ghiacci, visto che sull’isola gli orsi polari ci sono sempre stati?
La notizia più recente risale allo scorso 17 gennaio, quando un orso polare, dopo avere dato la caccia ad altre persone, ha attaccato e ucciso una madre ventiquattrenne e il suo bambino di un anno a Wales, nella penisola di Seward, Alaska. Anche in questo caso, l’emittente KTUU, nel dare la notizia dell’aggressione, ne ha attribuito la responsabilità al cambiamento climatico, che costringerebbe (perché mai?) gli orsi ad avvicinarsi alle aree antropizzate.
Di fronte al fervore degli ambientalisti e degli animalisti, l’ONU ha addirittura anticipato i tempi e nel 2005 ha istituito la “Giornata internazionale dell’orso polare”, che cade ogni anno il 27 febbraio. Si accompagna idealmente alla “Giornata internazionale del gatto nero” (che cade il 17 novembre); il quale purtroppo, come l’orso polare, non sarà mai consapevole di tanta considerazione. E non manca neppure la “Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente nella guerra e nei conflitti armati” (che cade il 6 novembre). Qual è il significato di quest’ultima ricorrenza? Non mi viene in mente altro: “Ammazzatevi pure, gente, ma non inquinate!”.
Ugo Spezia, 28 gennaio 2022, qui.

E chissà se l’uranio impoverito che Londra vuole dare ai nazisti inquinerà o no.

barbara

GRETA, PRESTO, CHAMA I POMPIERI

che la nostra casa brucia!

-40°C! La vita si ferma in U.S.A e Canada! Il Natale più freddo da decenni con un’enorme tormenta

E meno male che hanno un sacco di pannelli solari e pale eoliche per scaldarsi

NOTA: quest’ultima è roba dell’anno scorso: adesso tentano di raccontarci che questo “evento estremo” di quest’anno è un’assoluta rarità, segno ineluttabile dei famigerati cambiamenti climatici (succeduti al riscaldamento globale a sua volta succeduta alla glaciazione) che determinano l’emergenza climatica, ma questa è una balla, l’ennesima balla.

barbara

AIUTO L’EMERGENZA CLIMATICA!

che se non ci gretinizziamo all’istante ci ucciderà tutti entro dieci anni! Lo sanno tutti! Lo dicono tutti! È davanti agli occhi di tutti! Fratello ricordati che devi morire e guai a te se non te lo segni ora e sempre nei secoli dei secoli di dieci anni in dieci anni amen.

Non c’è nessuna emergenza climatica

1.200 scienziati e professionisti di tutto il mondo, guidati dal premio Nobel norvegese per la fisica professor Ivar Giaever, dichiarano: “Non c’è nessuna emergenza climatica”

Leggi il testo della dichiarazione pubblicata su Climate Intelligence

Preambolo

La scienza del clima dovrebbe essere meno politica, mentre le politiche climatiche dovrebbero essere più scientifiche. In particolare, gli scienziati dovrebbero sottolineare che i risultati dei loro modelli non sono il risultato di una magia: i modelli informatici sono fatti dall’uomo. Ciò che viene fuori dipende completamente da ciò che i teorici ed i programmatori hanno inserito: ipotesi, assunzioni, relazioni, parametrizzazioni, vincoli di stabilità, ecc.
Purtroppo, nella scienza del clima mainstream la maggior parte di questi input non viene dichiarata.
Credere al risultato di un modello climatico significa credere a ciò che i creatori del modello hanno inserito. È proprio questo il problema dell’attuale discussione sul clima, in cui i modelli climatici sono centrali. La scienza del clima è degenerata in una discussione basata su convinzioni, non su una sana scienza autocritica. Dovremmo liberarci dall’ingenua fiducia nei modelli climatici immaturi. In futuro, la ricerca sul clima dovrà dare molta più importanza alla scienza empirica.

Non c’è emergenza climatica

Una rete globale di oltre 1100 scienziati e professionisti ha preparato questo messaggio urgente. La scienza del clima dovrebbe essere meno politica, mentre le politiche del clima dovrebbero essere più scientifiche. Gli scienziati dovrebbero affrontare apertamente le incertezze e le esagerazioni delle loro previsioni sul riscaldamento globale, mentre i politici dovrebbero spassionatamente valutare i costi reali così come i benefici, ipotizzati dalle loro misure politiche.

Fattori naturali ed antropogenici causano il riscaldamento globale.

L’archivio geologico rivela che il clima della Terra ha subito variazioni per tutto il tempo della sua esistenza, con fasi naturali fredde e calde. L’ultimo ciclo freddo, noto come la La Piccola era Glaciale è terminato di recente nel 1850. Pertanto, non sorprende che ora stiamo vivendo un periodo di riscaldamento.

Il riscaldamento è molto più lento del previsto.

Il pianeta si è riscaldato meno della metà del tasso previsto dall’IPCC, sulla base della forzatura antropogenica introdotta nei modelli e dello squilibrio radiativo. Tutto questo ci dice che siamo lontani dal comprendere I meccanismi del cambiamento climatico.

La politica climatica si basa su modelli inadeguati

I modelli climatici presentano molte carenze e non sono ragionevolmente lontani dall’essere usati come strumenti politici globali. Amplificano l’effetto dei gas serra come la CO2. Inoltre, ignorano il fatto che arricchire l’atmosfera con CO2 è benefico.

La CO2 è il cibo delle piante, la base di tutta la vita sulla Terra

La CO2 non è un inquinante ed è essenziale per tutta la vita sulla Terra. La fotosintesi è infatti una benedizione. Più CO2 è un beneficio per la natura, perché rende verde la Terra: una ulteriore quantità di CO2 nell’aria ha favorito la crescita della biomassa globale delle piante. È anche di beneficio per l’agricoltura, con l’aumento delle rese delle colture in tutto il mondo.

Il riscaldamento globale non ha aumentato i disastri naturali

Non ci sono prove statistiche che il riscaldamento globale stia intensificando uragani, alluvioni, siccità e simili eventi naturali, od aumentando la loro frequenza. Viceversa, è ampiamente dimostrato che le misure di mitigazione della CO2 sono tanto dannose quanto costose.

Le politiche climatiche devono rispettare le realtà scientifiche ed economiche.

Pertanto, non vi è alcun motivo per creare panico ed allarme. Ci opponiamo fermamente alla dannosa e irrealistica politica delle “Zero emissioni nette di CO2” proposta per il 2050. Se emergeranno approcci migliori, e sicuramente ci saranno, avremo tutto il tempo per riflettere ed adattarci. L’obiettivo della politica globale dovrebbe essere “prosperità per tutti” fornendo energia affidabile e conveniente in ogni momento per tutto il Pianeta. In una Società prospera uomini e donne vengono ben istruiti, i tassi di natalità rimangono bassi mentre le persone si preoccupano per il loro ambiente.

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Climate Intelligence (CLINTEL) è una fondazione indipendente che opera nei settori del cambiamento climatico e delle politiche climatiche. CLINTEL è stata fondata nel 2019 dal professore emerito di geofisica Guus Berkhout e dal giornalista scientifico Marcel Crok. L’obiettivo principale di CLINTEL è diffondere la conoscenza e di stimolare la comprensione delle cause e degli effetti del cambiamento climatico, nonché degli effetti della politica climatica.

A tal fine:

1. La Fondazione cerca di comunicare in modo obiettivo e trasparente al grande pubblico quali sono i fatti disponibili sul cambiamento climatico e sulle politiche climatiche ed anche dove i fatti si trasformano in ipotesi e previsioni.

2. La Fondazione conduce e stimola il dibattito pubblico su questo tema e realizza reportage investigativi in questo campo.

3. La Fondazione vuole fungere da luogo di incontro internazionale per scienziati con opinioni diverse sul cambiamento climatico e sulle politiche climatiche.

4. La Fondazione svolgerà e finanzierà la propria ricerca scientifica sul cambiamento climatico e sulle politiche climatiche.

CLINTEL vuole assumere il ruolo di “cane da guardia climatico” indipendente, sia nel campo della scienza del clima che in quello delle politiche climatiche.

Firmatari italiani della dichiarazione

1. Alberto Prestininzi, Professore di Rischi Geologici, Honorary Cherman NHAZCA Università of Rome Sapienza, già Scientific Editor in Chief della Rivista Internazionale IJEGE e Direttore del Centro di Ricerca, Previsione, Prevenzione e Controllo dei Rischi Geologici (CERI); WCD Ambassador
2. Pietro Agostini, Ingegnere, Associazione Scienziati e Tecnologi per la Ricerca Italiana
3. Piero Baldecchi, Lettore
4. Achille Balduzzi, Geologo, Agip-Eni
5. Antonio Ballarin, Fisico, “Chief Artificial Intelligence Officer” di una pubblica amministrazione
6. Cesare Barbieri, Professore Emerito di Astronomia, Università di Padova
7. Donato Barone, Ingegnere
8. Sergio Bartalucci, Fisico, Presidente Associazione Scienziati e Tecnologi per la Ricerca Italiana
9. Giuseppe Basini, Astrofisico, Deputato, già dirigente di Ricerca dell’INFN
10. Franco Battaglia, Professore di Chimica Fisica, Università di Modena, Movimento Galileo 2001
11. Marco Benini, Ingegnere Idraulico, Libero Professionista
12. Eliseo Bertolasi, Dottore di Ricerca in Antropologia Culturale
13. Giorgio Bertucelli, Ingegnere, già Dirigente Industriale, ALDAI
14. Alessandro Bettini, Professore Emerito (Fisica) Università di Padova
15. Antonio Bianchini, Professore di Astronomia, Università di Padova
16. Luciano Biasini, Professore Emerito, già Docente di Calcoli Numerici e Grafici, Direttore dell’Istituto Matematico e Preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università di Ferrara
17. Paolo Blasi, Professore Emerito (Fisica) e già Rettore dell’Università di Firenze, già Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane
18. Enrico Bongiovanni, Dottore Commercialista
19. Paolo Bonifazi, Ex Direttore dell’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario (IFSI) dell’Istituto Nazionale Astrofisica (INAF)
20. Roberto Bonucchi, Insegnante in Pensione
21. Giampiero Borrielli, Ingegnere
22. Francesca Bozzano, Professore di Geologia Applicata, Università di Roma La Sapienza, Direttore del Centro di Ricerca Previsione, Prevenzione e Controllo Rischi Geologici (CERI)
23. Antonio Brambati, Professore di Sedimentologia, Università di Trieste, Responsabile Progetto Paleoclima-mare del PNRA, già Presidente Commissione Nazionale di Oceanografia
24. Gianfranco Brignoli, Geologo
25. Marcello Buccolini, Professore di Geomorfologia, Università di Chieti-Pescara
26. Paolo Budetta, Professore di Geologia Applicata, Università di Napoli
27. Antonio Maria Calabrò, Ingegnere, Ricercatore, Consulente
28. Monia Calista, Ricercatore di Geologia Applicata, Università di Chieti-Pescara
29. Cristiano Carabella, Geologo, Borsista presso l’Università di Chieti
30. Giovanni Carboni, Professore di Fisica, Università di Roma Tor Vergata, Movimento Galileo 2001
31. Peppe Caridi
32. Franco Casali, Professore di Fisica, Università di Bologna e Accademia delle Scienze di Bologna
33. Giuliano Ceradelli, Ingegnere e Climatologo, ALDAI
34. Augusta Vittoria Cerutti, Membro del Comitato Glaciologico Italiano
35. Franco Di Cesare, Dirigente, Agip-Eni
36. Alessandro Chiaudani PhD, Agronomo, Università di Chieti-Pescara
37. Luigi Chilin, Dirigente in Pensione
38. Claudio Ciani, Relazioni Internazionali, Scienza Politica, Università di Roma La Sapienza
39. Edoardo Cicali, Membro del C.I.R.N (Comitato Italiano Rilancio del Nucleare) e dell’associazione “Atomi per la pace”, ex Dipendente di un Centro Medico Radiologico ed Attualmente Impiegato nel Settore dell’Informatica
40. Pino Cippitelli, Geologo Agip-Eni
41. Carlo Colomba
42. Enrico Colombo, Chimico, Dirigente Industriale
43. Vito Comencini, Onorevole, Membro della Camera dei Deputati Italiana dal 2018
44. Enrico Conti, Physicist, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN)
45. Ferruccio Cornicello, Fotografo e Lettore di Studi sul Clima
46. Domenico Corradini, Professore di Geologia Storica, Università di Modena
47. Carlo Del Corso, Ingegnere Chimico
48. Uberto Crescenti, Professore Emerito di Geologia Applicata, Università di Chieti-Pescara, già Magnifico Rettore e Presidente della Società Geologica Italiana
49. Fulvio Crisciani, Professore di Fluidodinamica Geofisica, Università di Trieste e Istituto Scienze Marine, Cnr, Trieste
50. Salvatore Custodero
51. Francesco Dellacasa, Ingegnere, Amministratore di Società nel settore Energetico
52. Alessandro Demontis, Perito Chimico Industriale, Tecnico per la Gestione delle Acque e delle Risorse Ambientali, Pomezia
53. Serena Doria, Ricercatore di Probabilità e Statistica Matematica, Università di Chieti-Pescara
54. Roberto d’Arielli, Geologo, Borsista presso l’Università di Chieti
55. Carlo Esposito, Professore di Rischi Geologici, Università di Roma La Sapienza
56. Gianluca Esposito, Geologo
57. Prof. Stefano Falcinelli PhD, Professor of Chemistry and Materials Technology, Department of Civil and Environmental Engineering, University of Perugia
58. Antonio Mario Federico, Professore di Geotecnica, Politecnico di Bari
59. Aureliano Ferri, Vicepresidente Associazione Piceno Tecnologie
60. Maurizio Fiorelli, Sommelier Professionale, studioso dell’evoluzione nella Coltivazione delle Vigne
61. Mario Floris, Professore di Telerilevamento, Università di Padova
62. Gianni Fochi, Chimico, Ricercatore in Pensione della Scuola Normale Superiore, Giornalista Scientifico
63. Sergio Fontanot, Ingegnere
64. Luigi Fressoia, Architetto Urbanista, Perugia
65. Mario Gaeta, Professore di Vulcanologia, Università di Roma La Sapienza
66. Sabino Gallo, Ingegnere Nucleare e Scrittore Scientifico
67. Giuseppe Gambolati, Fellow della American Geophysical Union, Professore di Metodi Numerici, Università di Padova
68. Alessio Del Gatto, Liceo Scientifico, Collaboratore Attivita Solare.it
69. Rinaldo Genevois, Professore di Geologia Applicata, Università di Padova
70. Umberto Gentili, Fisico dell’ENEA, Climatologo per il Progetto Antartide, ora in pensione
71. Enrico Ghinato, Perito Fisico
72. Mario Giaccio, Professore di Tecnologia ed Economia delle Fonti di Energia, Università di Chieti-Pescara, già Preside della Facoltà di Economia
73. Daniela Giannessi, Primo Ricercatore, IPCF-CNR, Pisa
74. Roberto Grassi, Ingegnere, Amministratore G&G, Roma
75. Roberto Graziano, Ricercatore di Geologia Stratigrafica e Paleoclimatologia/Paleoceanografia, Università di Napoli, già Geologo presso il Servizio Geologico d’Italia
76. Alberto Guidorzi, Agronomo
77. Roberto Habel, Professore di Fisica Medica, Università di Cagliari
78. Thomas Kukovec, Tropical Agronomist and Subtropical Field Biologist in the private sector, specialised in semi-arid agriculture, ecophysiology and phytogeography of Sahelian and Saharan plants. Scientific adviser and consultant in research-projects and learned societies
79. Alberto Lagi, Ingegnere, Presidente di Società Ripristino Impianti Complessi Danneggiati
80. Luciano Lepori, Ricercatore IPCF-CNR, Pisa
81. Carlo Lombardi, Professore di Impianti Nucleari, Politecnico di Milano
82. Walter Luini, Geometra
83. Roberto Madrigali, Meteorologo
84. Angelo Maggiora PhD, INFN Senior Researcher, more than 40 years experience in research at CERN, Saclay, Dubna and Frascati
85. Ettore Malpezzi, Ingegnere
86. Vania Mancinelli, Geologo, Borsista presso l’Università di Chieti
87. Ludovica Manusardi, Fisico Nucleare e Giornalista Scientifico, UGIS
88. Luigi Marino, Geologo, Centro Ricerca Previsione, Prevenzione e Controllo Rischi Geologici (CERI), Università di Roma La Sapienza
89. Alessandro Martelli, Ingegnere, già Dirigente ENEA
90. Salvatore Martino, Professore di Geologia Applicata all’Ingegneria al Territorio ed ai Rischi, Università di Roma “Sapienza”
91. Maria Massullo, Tecnologa, ENEA-Casaccia, Roma
92. Enrico Matteoli, Primo Ricercatore, IPCF-CNR, Pisa
93. Paolo Mazzanti, Professore di Interferometria Satellitare, Università di Roma La Sapienza
94. Adriano Mazzarella, Professore di Meteorologia e Climatologia, Università di Napoli
95. Marcello Mazzoleni, Docente e imprenditore nel settore della formazione, fondatore del sito web MeteoSincero
96. Carlo Merli, Professore di Tecnologie Ambientali, Università di Roma La Sapienza
97. Enrico Miccadei, Professore di Geografia Fisica e Geomorfologia, Università di Chieti-Pescara
98. Gabriella Mincione, Professore di Scienze e Tecniche di Medicina di Laboratorio, Università di Chieti-Pescara
99. Umberto Minopoli, Presidente dell’Associazione Italiana Nucleare
100. Alberto Mirandola, Professore di Energetica Applicata e Presidente Dottorato di Ricerca in Energetica, Università di Padova
101. Aurelio Misiti, Professore di Ingegneria sanitaria-Ambientale, Università di Roma La Sapienza, già Preside della Facoltà di Ingegneria, già Presidente del Consiglio Superiore ai Lavori Pubblici
102. Maurizio Montuoro, Medico
103. Renzo Mosetti, Professore di Oceanografia, Università di Trieste, già Direttore del Dipartimento di Oceanografia, Istituto OGS, Trieste
104. Daniela Novembre, Ricercatore in Georisorse Minerarie e Applicazioni Mineralogichepetrografiche, Università di Chieti-Pescara
105. Francesco Oriolo, Professore di Impianti Nucleari, Università di Pisa
106. Paolo Emmanuele Orrù, Professore di Geografia Fisica e Geomorfologia, Università di Cagliari
107. Sergio Ortolani, Professore di Astronomia e Astrofisica, Università di Padova
108. Giorgio Paglia, Geologo, Borsista presso l’Università di Chieti
109. Massimo Pallotta, Primo Tecnologo, Istituto Nazionale Fisica Nucleare
110. Antonio Panebianco, Ingegnere
111. Giuliano Panza, Professore di Sismologia, Università di Trieste, Accademico dei Lincei e dell’Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei XL, vincitore nel 2018 del Premio Internazionale dell’American Geophysical Union
112. Antonio Pasculli, Ricercatore di Geologia Applicata, Università di Chieti-Pescara
113. Ernesto Pedrocchi, Professore Emerito di Energetica, Politecnico di Milano
114. Davide Peluzzi, Ambasciatore del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga nel Mondo nel 2017
115. Corrado Penna, Docente di Matematica
116. Enzo Pennetta, Professore di Scienze Naturali e Divulgatore Scientifico
117. Gianni Pettinari, Impiegato Amministrativo, Fondatore del gruppo Facebook: “Falsi allarmismi sul riscaldamento globale”
118. Alessandro Pezzoli, Ricercatore Universitario e Professore aggregato in Weather Risk Management, Politecnico di Torino e Università di Torino
119. Tommaso Piacentini, Professore di Geografia Fisica e Geomorfologia, Università di Chieti-Pescara
120. Stefano De Pieri, Ingegnere Energetico e Nucleare
121. Paolo M.J. Pilli, Pensionato
122. Mirco Poletto, Geologo libero professionista, registered at ‘Ordine dei geologi del Veneto’
123. Andrea Pomozzi, Presidente Associazione Piceno Tecnologie
124. Guido Possa, Ingegnere Nucleare, già Viceministro del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca con delega alla Ricerca
125. Giorgio Prinzi, Ingegnere, Direttore Responsabile della Rivista “21mo Secolo Scienza e tecnologia”
126. Franco Prodi, Professore di Fisica dell’Atmosfera, Università di Ferrara
127. Franco Puglia, Ingegnere, Presidente CCC, Milano
128. Francesca Quercia, Geologo, Dirigente di Ricerca, Ispra
129. Nunzia Radatti, Chimico, Sogin
130. Arnaldo Radovix, Geologo, Risk Manager in Derivati Finanziari
131. Mario Luigi Rainone, Professore di Geologia Applicata, Università di Chieti-Pescara
132. Mario Rampichini, Chimico, Dirigente Industriale in Pensione, Consulente
133. Arturo Raspini, Geologo, Ricercatore, Istituto di Geoscienze e Georisorse (IGG), Consiglio Nazionale delle Ricerche, Firenze
134. Renato Angelo Ricci, Professore Emerito di Fisica, Università di Padova, già Presidente della Società Italiana di Fisica e della Società Europea di Fisica, Movimento Galileo 2001
135. Marco Ricci, Fisico, Primo Ricercatore, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
136. Renzo Riva, Comitato Italiano Rilancio Nucleare (C.I.R.N.), Buja
137. PierMarco Romagnoli, Ingegnere, Milano
138. Vincenzo Romanello, Ingegnere Nucleare, Ricercatore presso il Centro di Ricerca Nucleare di Rez, Repubblica Ceca
139. Piergiorgio Rosso, Ingegnere Chimico
140. Stefano Rosso, Insegnante di Geografia, Storia e Italiano, Scuola Secondaria, Modena
141. Alberto Rota, Ingegnere, Ricercatore presso CISE ed ENEL, Esperto di Energie Rinnovabili
142. Ettore Ruberti, Ricercatore ENEA, Docente di Biologia Generale e Molecolare
143. Giancarlo Ruocco, Professore di Struttura della Materia, Università di Roma La Sapienza
144. Sergio Rusi, Professore di Idrogeologia, Università di Chieti-Pescara
145. Massimo Salleolini, Professore di Idrogeologia Applicata e Idrogeologia Ambientale, Università di Siena
146. Nicola Scafetta, Professore di Fisica dell’Atmosfera e Oceanografia, Università di Napoli
147. Emanuele Scalcione, Responsabile Servizio Agrometeorologico Regionale ALSIA, Basilicata
148. Nicola Sciarra, Professore di Geologia Applicata, Università di Chieti-Pescara
149. Francesco Sensi, Generale di Divisione Aerea (R)
150. Massimo Sepielli, Direttore di Ricerca, ENEA, Roma
151. Leonello Serva, Geologo, Accademia Europa delle Scienze e delle Arti, Classe V, Scienze Tecnologiche e Ambientali, già Direttore Servizio Geologico d’Italia
152. Roberto Simonetti, Geologo, R&D c/o Azienda S.I.I.
153. Elio Sindoni, Professore Emerito dell’Università di Milano Bicocca
154. Enzo Siviero, Professore di Ponti, Università di Venezia, Rettore dell’Università e-Campus
155. Rinaldo Sorgenti, Deputy Chairman of ASSOCARBONI
156. Ugo Spezia, Ingegnere, Responsabile Sicurezza Industriale, Sogin, Movimento Galileo 2001
157. Luigi Stedile, Geologo, Centro di Ricerca Previsione, Prevenzione e Controllo Rischi Geologici (CERI), Università di Roma La Sapienza
158. Emilio Stefani, Professore di Patologia Vegetale, Università di Modena
159. Flavio Tabanelli, Fisico
160. Maria Grazia Tenti, Geologo
161. Umberto Tirelli, Visiting Senior Scientist, Istituto Tumori d’Aviano, Movimento Galileo 2001
162. Giorgio Trenta, Fisico e Medico, Presidente Emerito dell’Associazione Italiana di Radioprotezione Medica, Movimento Galileo 2001
163. Roberto Vacca, Ingegnere e Scrittore Scientifico
164. Gianluca Valensise, Dirigente di Ricerca, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Roma
165. Corrado Venturini, Professore di Geologia Strutturale, Università di Bologna
166. Benedetto De Vivo, Professore di Geochimica in Pensione dall’Università di Napoli, ora Professore Straordinario presso Università Telematica Pegaso, Napoli
167. Andrea Zaccone, Geologo, Dirigente Protezione Civile Regione Lombardia
168. Luigi Zanotto, Docente in Pensione
169. Franco Zavatti, Ricercatore di Astronomia, Università di Bologna
170. Antonino Zichichi, Professore Emerito di Fisica, Università di Bologna, Fondatore e Presidente del Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana di Erice (qui)

Contro i deliri della religione fondamentalista e terroristica dei cambiamenti climatici – già riscaldamento globale, già (o forse sarebbe meglio dire già già) glaciazione globale – speciali, che sono diversi da quelli normali, e che sono di origine antropica, religione che in un batter di ciglia scivola nell’antropofobia più spinta, si sono già pubblicati in questo blog un’infinità di documenti. Naturalmente non mi illudo di poter instillare negli adepti di tale religione un granellino di dubbio: fra le fedi religiose – specialmente le fedi nelle religioni laiche – e il dubbio c’è un’eterna inimicizia di proporzioni tali da far sparire quella decretata fra il serpente e la Donna. Tutto questo è unicamente a beneficio degli scettici, degli eretici, delle menti pensanti. Aggiungo un esempio degli squallidi trucchetti dei media asserviti per impressionare con le temperature abnormi dell’emergenza climatica

e una acuta osservazione dell’amico Erasmo:

Constato che la scienza ufficiale è schierata sull’origine antropica, mentre un gruppo di scienziati anziani no. Ciò si può spiegare in due modi: 1. Gli anziani sono rincoglioniti; 2. Gli anziani sono in pensione, e quindi non rischiano rappresaglie che mettano a rischio la loro carriera. Contro la prima ipotesi gioca il fatto che non tutti i pensionati hanno l’Alzheimer; contro la seconda … no, non riesco a trovare niente contro la seconda.

Ecco, io i superesperti del clima aspiranti professionisti li vedo più o meno così (ascoltate bene quello che dice prima di cantare)

barbara

IL DELIRIO PIANETOCENTRICO

Pronto a sacrificare l’intera umanità sull’altare di un ammasso di minerali.

“L’oscurantismo degli omini verdi minaccia l’Occidente”

Intervista al filosofo Yves Roucaute, autore di un gran libro sull’estremismo ambientalista. “Quando il ministero per la Promozione delle Virtù Ecologiche e la Repressione del Vizio?”                              

“L’Europa dovrebbe creare una giornata commemorativa per le vittime del cambiamento climatico”, ha chiesto il capo del Green Deal dell’UE Frans Timmermans. Il clima “ultima religione occidentale” come spiega nel suo nuovo libro il filosofo tedesco Peter Sloterdijk. Si intitola L’oscurantismo verde il nuovo libro del filosofo francese Yves Roucaurte. Ne ha parlato Le Figaro e Roucaurte è qui a colloquio con me. Mostra che l’imperatore verde è nudo e spero che un editore italiano lo porti all’attenzione della nostra opinione pubblica da anni maltrattata dal pensiero unico. C’è bisogno di voci libere…

Nel libro sviscera in 63 brevi capitoli le fantasie dell’ecologia ideologica e dimostra cos’è la religione oscurantista verde e come ci siamo arrivati.

All’oscurantismo verde, al suo processo inquisitorio contro l’umanità e al suo culto animistico del pianeta, mi oppongo con le scienze, la storia del pianeta e la verità della condizione umana. Era necessario difendere un’ecologia che mette al centro l’umanità. Tutto ha avuto inizio con la sconfitta del pensiero. Di fronte all’ondata ideologica che ha portato al culto oscurantista del pianeta, il campo della libertà e dell’Illuminismo ha perso la battaglia delle idee. Ha consentito a un’armata di demagoghi di sfruttare il vuoto spirituale dopo la caduta del muro di Berlino per stabilire il suo dominio sulle menti più fragili. Ha imposto il mito di una Madre Terra benevola di cui sarebbero i sacerdoti e che sarebbe necessario salvare da un’umanità ridotta a essere un sottosistema del pianeta, colpevole di distruggerlo per aver accettato un ‘modello occidentale’ di sviluppo basato sul liberalismo, l’antropocentrismo e l’individualismo. Abbiamo così potuto veder convergere le coorti dei nemici delle democrazie liberali, dai Verdi della cosiddetta ecologia ‘profonda’ agli ex marxisti riciclati in ecologia, circondati da pochi cosiddetti studiosi ideologizzati, come già sapevano i marxisti fare ieri, vendere l’odio degli Antichi e l’odio per le società basate sulla libertà. Hanno inventato un pianeta che brucia e di inondazioni o cicloni, malattie e così via, mali di cui l’umanità sarebbe responsabile, al punto da attribuirle la schiavitù di ieri e il presunto aumento della miseria sociale oggi. Alla fine, intorno agli altari sacrificali dove stanno le pire degli amici dei Lumi, abbiamo la sconfitta del pensiero, la debacle politica e la depressione morale. Una depressione che colpisce i giovani, che credono nell’apocalisse in arrivo e che denunciano le generazioni precedenti. Questa nuova religiosità non solo crea una situazione di odio generale tra gli esseri umani che vivrebbero secondo virtù ecologica e gli altri, e che è essenzialmente totalitaria. Poiché l’umanità si è trasformata in un sottosistema del pianeta, non c’è una parte della nostra vita che non possa essere controllata dallo stato ecologico salvifico e dai comitati di salvezza verde che affermano di parlare in nome del pianeta con cui avrebbero una connessione wifi, come l’illuminata Greta Thunberg. Invece di mettere al centro delle nostre città la libertà e l’amore per l’umanità, questa religiosità ci ordina di metterci il pianeta

In Europa vengono denunciati i comportamenti ecologicamente scorretti…

Dagli idrocarburi all’albero di Natale, dal foie gras all’auto, l’inquisizione colpisce ovunque con leggi, decreti, regolamenti repressivi. Una mediocre burocrazia fa andare di pari passo la governance con l’ignoranza al punto da proclamare che a causa della diabolica molecola di Co2 prodotta dall’uomo, che sarebbe la principale causa dei gas serra, la causa del riscaldamento globale, dovremmo vietare le auto termiche, senza ogni considerazione della verità scientifica, dei bisogni sociali e del potere delle nazioni. Così si stanno gradualmente costruendo gli altari dove dilagano i ministeri per la Promozione delle Virtù Ecologiche e la Repressione del Vizio Verde, mentre la transizione ecologica si sostituisce alla transizione socialista di un tempo. E che le ghigliottine e le punizioni dei media siano innalzate per coloro che osano sorridere a questo fumoso ‘Salva il pianeta’.

Ma chi si oppone a questo ambientalismo e alla sua religione animista viene accusato di essere un “negazionista climatico”.

Ecologia deriva dal greco ‘oïkos’ che significa ‘casa’ e non pianeta. E la casa è sempre stata costruita artificialmente depredando la natura, le sue foglie, i suoi alberi, i suoi metalli, per proteggersi dalle malefatte della natura, pioggia, neve, sole, vento, attacchi di animali, per umanizzare l’ambiente. Quindi, sì, sono per la vera ecologia, per l’umanizzazione dell’ambiente a servizio dell’umanità. Contro il culto animistico del pianeta, voglio ricordare che il pianeta non è un essere, né un ecosistema, ma un ammasso molecolare formatosi 4,55 miliardi di anni fa, parte dell’ecosistema solare. E devi avere un orgoglio tale per immaginarti come Hulk, il gigante verde dei fumetti, capace di influenzare le variazioni climatiche e i processi naturali. Perché il nostro ambiente è il sole e la luna, i movimenti dell’asse di rotazione terrestre e l’angolo della sua orbita, meteoriti e supernove lontane come dimostrato dal mostruoso riscaldamento di 359 milioni di anni fache distrusse il 70 per cento della vita, è il nucleo e il mantello terrestre, con le sue conseguenze, eruzioni vulcaniche, terremoti, tsunami, cicloni e così via, queste coccole che sono il nostro pane quotidiano sulla terra. E le conseguenze di questo ambiente sono irrevocabili. Al posto della fantasmagoria di un’armonia perduta con la natura a causa dell’umanità, era urgente ricordare che il 99,99 per cento dei vivi sul pianeta era stato distrutto anche prima dell’arrivo dei primi ominidi, 7 milioni di anni. Sì, era urgente ricordare che la prima causa delle fosse comuni sono le variazioni climatiche del pianeta, che continua a navigare tra riscaldamento e glaciazione. E, senza offesa per gli inquisitori, allora è sempre stato più caldo di oggi, escluse le glaciazioni per 4,5 miliardi di anni. Talvolta così considerevolmente che la grande massa dei vivi fu sterminata, come 359 milioni di anni fa, 259 milioni di anni fa, 252 milioni di anni fa, durante questo episodio chiamato ‘la Grande Morte’ che vide lo sterminio, in questo unico episodio, del 96 per cento dei vivi. Sì, era sistematicamente più caldo, anche i nostri antenati hanno sperimentato queste distruttive violenze naturali tra il caldo e il freddo. Così, per 2,8 milioni di anni, i nostri antenati hanno subito 17 glaciazioni. Gli ippopotami fecero il bagno nel Tamigi 130.000 anni fa. E per 12.000 anni e i primi insediamenti, è continuato. La civiltà di Akkad, la VI dinastia egizia, quella dell’Indo, di Liangzhu, furono distrutte dalla terribile siccità di 4.200 anni fa e allora non c’era ancora l’estrazione di idrocarburi. Forse troppo lontano dalla data di nascita degli ignoranti omini verdi? Ma i Vichinghi costruirono due colonie in Groenlandia nel 950 mentre noi coltivavamo la vite nel nord Europa e poi dovettero fuggire al ritorno di una piccola era glaciale nel Rinascimento, è ancora troppo lontano? E migliaia di eruzioni vulcaniche come quella che seppellì Pompei, quella di Krakatoa, nel 1883, pari a 13.000 bombe di Hiroshima e cicloni che hanno ucciso centinaia di migliaia di esseri umani, come nel Bangladesh pre-industrializzato nel 1970. Sì, cicloni non sempre più importanti, né più numerosi oggi di ieri nonostante ciò ne parlano i mercanti di fantasie. Contro i Bouvard e Pécuchet dell’Europa verde, era urgente ricordare che la CO2 non è una molecola malvagia, che è prodotta molto poco dall’umanità, che non è l’effetto principale del gas serra, perché è più del 60 per cento di acqua vapore, che il suo tasso non è grave per la salute e, infine, che per 541 milioni di anni è stato di 817 volte superiore a quella attuale, escluse le glaciazioni, e talvolta anche durante le glaciazioni. In ogni caso, è giunto il momento di dire che l’ignoranza non è un argomento e che l’umanità deve essere rimessa al centro delle Città respingendo le forze oscure nel nulla del pensiero da cui provenivano.

Perché l’opposizione a questa ideologia è fondamentale?

L’umanità non è un essere vivente tra gli altri, ma una specie eccezionale e meravigliosa, composta da esseri liberi e creativi. L’unica che trasforma il suo ambiente umanizzandolo e adattandosi alle sfide planetarie. L’unica che guarisce e trasforma il proprio corpo. L’unica che trasforma le sue relazioni costruendo civiltà. Che qualcuno mi mostri una pianta o un animale che dimostrerebbe in ogni momento la sua triplice creatività, nei confronti dell’ambiente, di sé e dei suoi amici? L’umanità non è una specie tra le altre, ma un creatore che crea i suoi territori non solo terrestri ma celesti. Certo, capita di sbagliare, inquinare, il che avvantaggia i demagoghi. Ma è proprio perché se l’umanità cerca il meglio, come diceva Aristotele, trova sempre e solo il meglio possibile. E quando sbaglia, cerca di sfruttare i suoi errori per andare sempre oltre. L’auto termica, che ha liberato molta energia, inquina un po’, ecco quindi l’auto elettrica. La batteria al piombo non soddisfa più, ecco la batteria agli ioni di litio, e se non funziona più, ecco la batteria allo stato solido. La libertà segue le orme del vero progresso quando è messa al servizio dell’umanità. L’Illuminismo unisce la saggezza biblica e quella di Confucio che diceva che è bello vivere nella terra dell’umanità.

In che modo questo oscurantismo logora l’Occidente dall’interno?

Una nazione che non crede più nel proprio futuro è una nazione morta. Un segno della sua decadenza. Si noti, inoltre, che questa ondata oscurantista verde esiste solo in Occidente e che mina il potere delle nazioni europee. Già ieri, quando i sovietici minacciavano l’Occidente, i pacifisti erano l’Occidente, i missili erano l’Oriente, come notò in un momento di lucidità il compianto François Mitterrand. Oggi oscurantismo e demagogia sono a Occidente, ragione e pragmatismo a Oriente.
Giulio Meotti

Atto primo: bisogna smettere di pensare che l’uomo bianco sia superiore alle altre razze (sì lo so, le razze non esistono, ma quando serve si fanno esistere): ok, va bene.
Atto secondo: bisogna smettere di pensare che la specie umana sia superiore alle altre specie – che poi sarebbe a dire che ogni specie vivente fa parte della catena alimentare di qualche altra specie vivente tranne la specie umana che può benissimo, se capita l’occasione, far parte della catena alimentare della tigre ma deve rinunciare ad avere nella propria catena alimentare il pollo il manzo e financo il branzino, e col piffero che va bene, oltre al delirio di pensare che io non sarei e non dovrei sentirmi superiore alla mosca stercoraria.
Atto terzo: bisogna che i regni animale e vegetale la smettano di pensare di essere superiori al regno minerale, il pianeta inanimato conta molto di più, e per esso vale la pena di sacrificarsi e morire (sicuramente lo pensano quelli che programmano di annientare centinaia di ettari di verde per piazzarvi i famigerati pannelli solari).
Arriverà un atto quarto in cui qualcuno spiegherà al pianeta Terra che deve smetterla di ritenersi superiore agli altri corpi celesti e che farebbe bene a sacrificarsi in nome di… boh, prima o poi qualcuno sicuramente lo inventerà un buon motivo per cui anche lei si debba sacrificare. Ma andate affanculo tutti quanti, va’.
Nel frattempo, mentre i protagonisti del secondo atto si accomodano tra i loro fratelli rospi cornacchie e scarafaggi, io mi accomodo tra i fratelli miei.

barbara

SE PER ESEMPIO

Se per esempio sostituissimo davvero tutte le auto vere con le auto elettriche. Prima una riflessione di puro buon senso.

Fabrizio Santorsola

L’auto elettrica – la più grande truffa che il mondo abbia mai visto?
Qualcuno ci ha pensato?
“Se tutte le auto fossero elettriche… e dovessero restare bloccate in un ingorgo di tre ore nel freddo di una nevicata, le batterie si scaricherebbero tutte, completamente.
Perché nell’auto elettrica praticamente non c’è riscaldamento.
Ed essere bloccato in strada tutta la notte, senza batteria, senza riscaldamento, senza tergicristalli, senza radio, senza GPS per la batteria tutta scarica, non deve essere bello.
Puoi provare a chiamare il 911 e proteggere le donne e i bambini, ma non potranno venire ad aiutarti perché tutte le strade sono bloccate e probabilmente tutte le auto della polizia saranno elettriche.
E quando le strade sono bloccate da migliaia di auto scariche, nessuno potrà muoversi. Le batterie come potranno essere ricaricate in loco?
Lo stesso problema durante le vacanze estive con blocchi chilometrici.
Non ci sarebbe in coda la possibilità di tenere accesa l’aria condizionata in un’auto elettrica. Le tue batterie si scaricherebbero in un attimo.
Naturalmente nessun politico o giornalista ne parla, ma è questo che accadrà.
Testo da me liberamente tradotto, ripreso da Marian Alaksin (Repubblica Ceca)

Poi un articolo con un po’ di calcoli.

Giancarlo Lehner

A proposito della moda del green, qui e subito, una delle più strampalate mistificazioni della storia, cito i seguenti inoppugnabili dati dall’articolo di Dario Rivolta, uno studioso che ragiona e non vende fumo:
«Un parco eolico da 100 megawatt richiede trentamila tonnellate di minerali ferrosi, cinquantamila tonnellate di cemento e almeno novecento tonnellate di plastica e resina.
In un impianto solare della stessa potenza, il ferro e l’acciaio necessari sono tre volte tanto e solo il cemento sarà impiegato in quantità minore che nell’eolico.
Nel progetto lanciato dall’Ue la produzione di energia elettrica derivante da questi impianti dovrebbe passare dai 1500 gigawatt di oggi ad 8000 GW entro il 2030. Il calcolo dei materiali necessari che bisognerà estrarre dalla terra è presto fatto. E lo si dovrà fare con i vecchi metodi industriali.
Inoltre, molti dei componenti che dovranno essere utilizzati appartengono al gruppo di quei minerali che vanno sotto il nome di “terre rare”.
Alcune di loro portano nomi sconosciuti come i lantanidi, lo scambio, l’ittrio, l’eurobio, il lutezio ecc.
Di altri minerali abbiamo forse già sentito parlare:
niobio
tantalio
tungsteno
litio
tellurio
selenio
indio
gallio
Oltre a queste, per creare l’elettricità e stoccarla nelle batterie occorrono anche grandi quantità di cobalto, manganese, nickel, stagno, grafite, rame ecc.
Nella maggior parte dei casi, nonostante l’aggettivo (rare) attribuito ad alcune di queste materie, non si tratta di presenze scarse sul nostro pianeta ma sono minerali dispersi all’interno di rocce che devono essere estratte e lavorate.
Per ottenere un chilo di vanadio bisogna lavorare otto tonnellate di rocce; per un chilo di gallio ne occorrono cinquanta, mentre per ottenere il lutezio in eguale quantità bisogna raffinarne ben duecento tonnellate.
Tutte queste lavorazioni si fanno con l’impiego di grandi quantità di acqua e solventi.
La lavorazione necessaria è così deleteria per l’ambiente circostante che si spiega perché la maggior parte dei Paesi del mondo ha rinunciato ad estrarli, lasciando che sia la Cina ad occuparsi della produzione (e relativa fornitura) di almeno due terzi della domanda mondiale.
Un altro esempio: in una macchina a propulsione elettrica circa duecento chili di quanto pesa in totale sono indispensabili per il funzionamento della batteria e per la sua protezione.
Si tratta di un quantitativo corrispondente a sei volte quello presente nelle auto tradizionali.
Bisogna aggiungere che per la trasmissione dell’elettricità derivante dagli impianti solari, eolici e dall’idrogeno, le reti di distribuzione oggi esistenti saranno riutilizzabili solo in parte.
Serviranno enormi quantità extra di rame per gli elettrodotti e migliaia di tonnellate di acciaio per le nuove tubature necessarie al trasporto dell’idrogeno.
I prezzi schizzeranno alle stelle, causando una nuova e lunga inflazione anche su tutti i prodotti a valle.
Al nuovo ingente sfruttamento delle risorse naturali per procedere verso la “transizione verde” vanno aggiunte le conseguenze socio-economiche all’interno delle nostre società. L’Europa (così come- forse- gli Stati Uniti) si è data l’obiettivo di passare ai nuovi sistemi entro il 2030 e completare il processo entro il 2050, mentre la Cina ha dichiarato che raggiungerà il picco delle proprie emissioni di CO2 solo nel 2030 e raggiungerà l’obiettivo finale non prima del 2060. Per l’India il passaggio richiederà ancora più tempo.
È allora evidente che, negli anni che faranno la differenza, si creerà un divario crescente nei costi di produzione industriali tra i due mondi e certo non a vantaggio delle imprese europee. Con conseguenti crisi che colpiranno molti lavoratori e molte aziende.
Sotto l’aspetto politico va anche aggiunto che, pur riuscendo a liberarci dall’oligopolio dei produttori di gas e petrolio, ci metteremmo, noi europei, totalmente nelle mani dei nostri nuovi fornitori di minerali rari e materie prime.
Va aggiunto che gli utenti dovranno sostituire le loro caldaie per il riscaldamento, tuttora a gas o gasolio, con pompe di calore azionate dall’ energia elettrica da fonti rinnovabili.
Gli automobilisti dovranno rottamare i loro veicoli a benzina, a gasolio o ibridi per sostituirli con autovetture solo elettriche che però, con la tecnologia attuale, non consentiranno loro di andare da Milano a Roma senza fermarsi qualche ora per ricaricare le batterie».
L’imperialismo del regime comunista cinese evidentemente ha pagato e strapagato politici, scienziati (quelli non mercenari non vengono ascoltati) e addetti all’informazione, per montare la mitologia del green.

E tutto questo bordello sarebbe per fermare i “cambiamenti climatici” per via del fatto che ci sarebbe in atto una “emergenza climatica”. Siccome so che purtroppo c’è ancora in giro gente che crede a questa ridicola favola, ricordo che le cose che strilla istericamente la piccola analfabeta ritardata psicopatica mitomane allo scopo preciso di terrorizzare le masse (“voglio che siate terrorizzati” – e riuscendoci perfettamente), ossia che abbiamo ancora dieci anni prima che sia troppo tardi, come già è stato ripetutamente documentato in questo blog, venivano strillate anche dieci anni fa, e venti anni fa, e trenta anni fa, e quaranta anni fa, e cinquanta anni fa. E se i signori della dittatura del terrore climatico avessero ragione, ciò significherebbe che da quarant’anni il pianeta non esiste più  e noi siamo zombie vaganti nello spazio. Fermo restando che, se anche un’emergenza climatica ci fosse – ma non c’è – il solo pensare di poter intervenire sul clima sarebbe puro delirio di onnipotenza. E qualcuno farà bene a cominciare a ridimensionarsi.

barbara

E QUANDO CREDI CHE ABBIANO TOCCATO IL FONDO

loro sono già al settantaquattresimo piano interrato. Quella credevo essere il fondo è la gender archaeology: la conoscevate? L’ho trovata ieri girando per FB:

Galatea Vaglio

1p0o sh0r1g8  · 

La gender archaeology continua ad interessare il pubblico: qui la mia intervista su Radio Immagina. 
La gender archaeology è un arbitro che controlla che i reperti non siano interpretati attraverso pregiudizi di genere: non vuole imporre una visione in cui le donne avevano necessariamente il potere, solo evitare che sulla base di pregiudizi la loro presenza venga negata o sottostimata. 
( E grazie, come semore, alle #lezionidistoria su Valigia Blu e ad @Arianna Ciccone

Stendiamo un velo pietoso sull’italiano (che se dovessi correggere non saprei da che parte cominciare), da parte di una che ha scritto un libro per insegnare come si parla e scrive correttamente in italiano, ma apprezziamo moltissimo che “non vuole imporre una visione in cui le donne avevano necessariamente il potere” – e si noti l’indicativo, che sembrerebbe suggerire che le donne avrebbero effettivamente avuto il potere, il che induce a chiederci come mai poi lo abbiano perso fino a ridursi, non di rado, a mera proprietà dell’uomo. Poi non mi è molto chiaro il ruolo di quel “necessariamente”, soprattutto in quella posizione, ma sarà sicuramente un limite mio. Quello che invece mi è proprio del tutto oscuro è a chi mai potrebbe venire in mente di negare la presenza delle donne, se non altro per il piccolo dettaglio che le persone hanno continuato a nascere. Cioè, è vero che i teorici del gender, di cui la Signorina è una strenua sostenitrice, negano categoricamente che solo le donne possano partorire, però di prove finora non mi sembra che ne abbiano portate molte. Bon, come dice il buon Andrea Marcenaro. Questo è il fondo, dicevo. Che ho inviato a un gruppetto di amici. Uno dei quali mi ha risposto:

Perché voi non sapete che c’è il gender climate change. Basta cercare con google. E poi c’è questa perla:

Il Pene come Causa del Climate Change

Pubblicato da Massimo Lupicino il 23 Maggio 2017

Tenetevi forte perché l’argomento è decisamente…hot.

Due accademici americani: Peter Boghossian, insegnante di filosofia all’Università di Portland e James Lindsay, dottore in matematica con studi in fisica, hanno pensato bene di dimostrare quanto fosse ridicolo, assurdo e politicamente motivato il processo di peer-review di paper che trattano argomenti cari al versante liberal. Per farlo, hanno deciso di inventarsi di sana pianta un paper con il seguente titolo: “Il Pene Concettuale come Costrutto Sociale”. Un paper-bufala, volutamente privo di alcun senso, basato su due cavalli di battaglia molto cari al versante liberal più militante: ovvero la critica di qualsiasi espressione di mascolinità in ogni sua forma e, ovviamente, il Climate Change. Il tutto condito da termini ed espressioni roboanti quanto del tutto prive di significato.
Il loro esperimento ha avuto successo: il paper-bufala in questione è stato infatti referato e pubblicato dalla rivista Cogent Social Sciences, che orgogliosamente si definisce “rivista multidisciplinare che offre peer-review di alta qualità nel campo delle scienze sociali”.

L’Abstract:

Cominciamo subito con l’Abstract, semplicemente esilarante nonostante l’obbiettiva difficoltà che si incontra nel tradurre un testo volutamente sconclusionato:

Il pene anatomico potrebbe anche esistere, ma come le donne transgender hanno un pene anatomico prima dell’operazione, allo stesso tempo si può sostenere che il pene a fronte del concetto di mascolinità è un costrutto incoerente. Noi sosteniamo che il pene concettuale si comprende meglio non come organo anatomico, ma come costrutto sociale isomorfico ad una tossica mascolinità prestazionale. Attraverso una dettagliata critica discorsiva post-strutturalista e basandoci sul’esempio del climate change, questo paper sfiderà la visione prevalente e dannosa che il pene venga concepito come organo sessuale maschile, e gli assegnerà, piuttosto, il ruolo più consono di elemento di prestazione maschile”.

Con un Abstract del genere, si può intuire facilmente che l’articolo è ricco di perle. Come questa, per esempio:

Così come la mascolinità è intimamente legata alla prestazione, allo stesso modo lo è il pene concettuale (…). Il pene non dovrebbe essere considerato come onesta espressione dell’intento dell’attore, quanto piuttosto dovrebbe essere presentato in un’ottica di performance di mascolinità o super-mascolinità. Quindi l’isomorfismo tra il pene concettuale e quello che la letteratura femminista definisce “super-mascolinità tossica” è definito attraverso un vettore di “machismo braggadocio” culturale maschile, con il pene concettuale che gioca il ruolo di soggetto, oggetto, e verbo dell’azione

Il giudizio dei reviewers

Cogent Social Sciences ha accettato l’articolo con giudizi incredibilmente incoraggianti, e assegnando voti altissimi in quasi tutte le categorie. Uno dei reviewer ha commentato: “L’articolo cattura l’argomento della super-mascolinità attraverso un processo muti-dimensionale e non lineare”. L’altro reviewer l’ha giudicato “Outstanding” in ogni categoria. Tuttavia prima della pubblicazione Cogent Social Sciences ha richiesto alcune modifiche per rendere il paper “migliore”. Modifiche che gli autori hanno apportato in un paio d’ore senza particolari patemi, aggiungendo qualche altra scempiaggine come il manspreading (la tendenza che certi uomini hanno a sedersi con le gambe allargate), e “la gara a chi ce l’ha più lungo”.

E il Climate Change?

Gli autori hanno sostenuto nel paper che il climate change è concettualmente causato dai peni: “Il pene è la fonte universale prestazionale di ogni stupro, ed è il driver concettuale che sottende alla gran parte del climate change”.

Approfondendo l’ovvio concetto nel seguente modo:

Gli approcci distruttivi, insostenibili ed egemonici maschili nel mettere sotto pressione la politica e l’azione ambientalista sono il risultato prevedibile di uno stupro della natura causato da una mentalità dominata dal maschio. Questa mentalità si comprende meglio riconoscendo il ruolo che il pene concettuale riveste nei confronti della psicologia maschile. Applicato al nostro ambiente naturale, specialmente agli ambienti vergini che possono essere spogliati facilmente delle loro risorse naturali e abbandonati in rovina quando i nostri approcci patriarcali al guadagno economico li hanno privati del loro valore intrinseco, l’estrapolazione della cultura dello stupro inerente al pene concettuale appare nella sua chiarezza”.

Il pensiero degli autori

Gli autori dell’articolo-bufala dedicano ampio spazio ai motivi che li hanno spinti a scrivere il paper in questione, e criticano senza pietà i fondamentalismi legati all’ideologia liberal prevalente. Fondamentalismi che sottendono anche alle pubblicazioni scientifiche e, in particolare, a quel processo in sé delicatissimo di peer-review che dovrebbe aiutare a distinguere la cattiva ricerca da quella buona.
Gli autori intendevano provare o meno l’ipotesi che l’architettura morale costruita dai settori accademici più liberal fosse la discriminante prevalente nella decisione se pubblicare o meno un articolo su una rivista. In particolare, la tesi degli autori era che gli studi sul gender fossero inficiati dalla convinzione quasi-religiosa nel mondo accademico che la mascolinità fosse causa di ogni male. A giudicare dal risultato, si può ben dire che la loro ipotesi sia stata pienamente confermata.

Il “dietro le quinte”

Tra le curiosità più degne di nota va segnalato che gli autori, al fine di sostenere la teoria della causa peniena del climate-change, hanno anche allegato un riferimento totalmente sconclusionato ad un articolo inesistente creato da un generatore algoritmico di paper a sfondo culturale chiamato “Postmodern Generator”.
Inoltre hanno volutamente riempito l’articolo di termini gergali, contraddizioni implicite (come la tesi secondo cui gli uomini super-mascolini sono sia al di fuori che all’interno di certi discorsi nello stesso momento), riferimenti osceni a termini gergali riferiti al membro maschile, frasi insultanti per gli uomini (come la tesi secondo cui chi sceglie di non avere figli non è in realtà capace di “costringere una compagna”).
Dopo aver scritto il paper gli autori l’hanno riletto attentamente per assicurarsi che “non significasse assolutamente niente” e avendo avuto entrambi la sensazione che non si capisse di cosa il paper parlasse, hanno concluso che il risultato era stato pienamente raggiunto.
Infine gli autori concludono che il fatto che un articolo del genere sia stato pubblicato su una rivista di scienze sociali solleva questioni serie sulla validità di argomenti come gli studi sul gender, e sullo stato delle pubblicazioni accademiche in generale “Il Pene Concettuale come Costrutto Sociale non avrebbe dovuto essere pubblicato perché concepito per non avere nessun significato: è pura insensatezza accademica senza alcun valore”.

Pensieri alternativi

  • Per quanto ricco di spunti obbiettivamente esilaranti, l’esperimento di Boghossian e Lindsey pone delle questioni serie, gravi e ineludibili sullo stato della scienza, delle pubblicazioni accademiche, del processo di peer-review e in generale sull’influenza e la pervasività che in ambito accademico hanno certe posizioni fideistiche, para-religiose (ma rigorosamente laiche e laiciste) legate alla politica e al pensiero liberal prevalente.
  • Il climate change fa parte a pieno titolo dell’armamentario di cui i pasdaran dell’ortodossia liberal si servono per giustificare, spiegare, sostanziare qualsiasi cosa. Dalle guerre alle migrazioni, passando per la finanza e la sociologia, il climate change c’entra sempre. O non c’entra nulla. Questione di punti di vista.
  • Molto spesso capita di leggere su paper di argomento climatico delle postille messe lì in modo apparentemente posticcio, a mo’ di pietosa foglia di fico che suonano come: “questa ricerca sembra mettere in discussione la narrativa sul global warming antropogenico, ma in realtà non è così”. In quanti casi sono gli stessi reviewers di riviste completamente esposte e schierate sul versante del climate change catastrofista, a richiedere espressamente l’aggiunta di queste postille?
  • E in quanti casi, paper scientificamente validi saranno stati bocciati per il solo fatto di contraddire la narrativa e la “linea editoriale” della rivista in questione? [moltissimi, lo sappiamo per certo] E come si traduce tutto questo nella libertà di fare ricerca, da scienziato vero, e libero, e non da lavoratore a cottimo pagato per dimostrare quello che gli sponsor della ricerca si aspettano? E quello che gli editori della rivista vogliono leggere?

Sono tutte domande che restano inevase, ma l’esperimento in questione conferma che si tratta di domande legittime che attengono alla qualità del sistema di referaggio scientifico e, soprattutto, all’uso politico che si fa della ricerca scientifica.

…E riflessione finale

Mi si perdonerà l’espressione poco accademica, ma credo proprio che qualcuno si sentirà un po’ più libero, da oggi, nel dire che “il Climate Change è proprio una teoria del c*zzo”. Del resto, c’è anche un paper accademico a sostenere questa tesi. Un paper referenziato da una rivista che “offre peer review di alta qualità”. E se le referenze sono la stampella su cui i soloni del mainstream appoggiano teorie sempre più zoppicanti alla luce dell’evidenza sperimentale, non si vede perché lo scettico sboccato (ed esasperato) debba essere ingiustamente privato dello stesso privilegio. (qui)

Di teorie deliranti ho portato ampie documentazioni in questo blog, e delle altrettanto deliranti argomentazioni prodotte dai loro sostenitori, a partire appunto dalla fantomatica emergenza climatica e da quell’autentico delirio di onnipotenza che porta a credere che l’uomo possa controllare e guidare il clima. Ho già ricordato quella signora che alla mia obiezione che duemila anni fa Annibale ha attraversato le Alpi con gli elefanti, cosa oggi neppure concepibile per via di neve e ghiaccio, ha risposto: “Evidentemente non è passato per le Alpi”, trasformando anche la storia in un optional. Adesso vi aggiungo un’altra novità: da un bel po’ di anni il ghiaccio dei poli sta aumentando, o yes (e se vi avanzano ancora due minuti leggete anche i commenti: sono interessanti). Comunque, cari amici uomini, occhio al  pisello, che se non state attenti, oltre a gravidanze indesiderate guardate quanti altri disastri ci combina (no, è inutile che ve lo facciate tagliare: vi resta sempre quello concettuale).

barbara

ANCORA DUE PAROLE SUL COSIDDETTO RISCALDAMENTO GLOBALE

e cosiddetto (presunto. Supposto. Dichiarato) antropogenico. Inizio da due riflessioni, parzialmente  a margine, piene di buon senso di Giovanni Bernardini.

Giovanni Bernardini

NON SENSO

Viviamo in un’epoca nichilista. Uno dei suoi aspetti è il nichilismo linguistico. Il nichilismo linguistico si esplicita nell’uso di termini ed enunciati privi di senso. Ne è pieno il misticismo ecologico. Vediamone alcuni.
“Vogliamo un pianeta pulito”. Termini come “pulito” o “sporco” hanno senso solo se riferiti agli umani, non ne hanno nessuno se riferiti al “pianeta”. Forse che il petrolio è “sporco” mentre la neve è “pulita”? Una eruzione vulcanica è “sporca” o “pulita”?
Una volta camminando in montagna mi sono imbattuto nella carcassa di un camoscio. Era in parte divorata dagli uccelli e coperta di formiche. Era qualcosa di “sporco” o di “pulito”?>
“Il pianeta è malato”. Idem come sopra. La luna è “malata” perché non ha atmosfera? Era “malata” la terra quando sulla stessa non esistevano forme di vita? Si “ammalerà” il sistema solare quando il sole collasserà?
“Salviamo il pianeta”. Si confonde la “salvezza” del pianeta col tentativo di salvaguardare certe caratteristiche dello stesso che noi umani riteniamo utili alla nostra sopravvivenza. Parlare di “salvezza del pianeta” e come parlare di salvezza dei milioni di stelle destinate ad essere risucchiate in un buco nero. Un puro non senso.
Si potrebbe continuare. Il dibattito politico è ormai intossicato dalla ideologia nichilista che trasforma il linguaggio in un bla bla privo di senso. Gli slogan e gli anatemi stanno sostituendo il dibattito razionale. Davvero triste…

Questo pezzo è del 21 settembre, e già presagiva i bla bla bla del potente discorso di Santa Greta dei Dolori Climatici.

Giovanni Bernardini

IL SIGNOR MALTHUS

Gli esseri umani si procurano oggi ciò che è necessario alla loro esistenza usando tecniche, strumenti, modi di lavorare e produrre che hanno un impatto ambientale enormemente superiore rispetto a quelli usati in passato. Questa è una delle idiozie più largamente diffuse e propagandate dai mistici dello pseudo ambientalismo. La sostengono un po’ tutti, da papa Bergoglio a Greta Thunberg. In passato esisteva una dolce armonia fra uomo e natura, questa è stata brutalmente rotta dalla rivoluzione industriale. Da allora è iniziata la marcia dell’umanità verso la distruzione.
Ma stanno così le cose? Vediamo.
I nostri antichissimi progenitori erano cacciatori e raccoglitori. Si procuravano il cibo cacciando i più disparati animali e mangiando frutti erbe e bacche che trovavano sul loro cammino.
Proviamo a fare un esperimento mentale. Tralasciamo ogni considerazione su tutti i beni diversi dal cibo di cui oggi disponiamo. Limitiamoci alla pappa e facciamoci la seguente domanda: cosa succederebbe se noi OGGI ci procurassimo il cibo usando solo caccia e raccolta? La risposta è incredibilmente semplice: nel giro di pochissimo tempo distruggeremmo ogni traccia di vita animale e vegetale sul pianeta e morremmo a centinaia di milioni. Lo stile di vita dei cacciatori- raccoglitori era quanto di più distruttivo per l’ambiente si possa immaginare. Come mai allora qualche millennio fa l’ambiente non era a rischio? La risposta di nuovo è semplicissima: l’ambiente non era a rischio perché il modo usato dagli umani per procurarsi da vivere impediva lo sviluppo demografico. Gli uomini erano pochissimi, la mortalità altissima, la vita breve e difficile. Per questo caccia e raccolta, per quanto distruttive, avevano effetti molto limitati.
Le grandi rivoluzioni nei modi di produzione, a partire dalla invenzione dell’agricoltura e dell’allevamento nel neolitico, hanno introdotto modi di produrre più efficaci ed efficienti e a minor impatto ambientale. Questo e solo questo ha permesso il miglioramento delle condizioni di via degli esseri umani, l’allungamento della speranza di vita e lo sviluppo demografico.
I veri ambientalisti oggi dovrebbero chiedere che vengano introdotti modi di produrre energia e beni sempre più efficaci ed efficienti che, proprio per questo, hanno un minore impatto ambientale. Il nucleare è uno di questi. Produce enormi quantità di energia a costi limitati e ad impatto ambientale zero. L’eolico fa l’esatto contrario: produce poca energia a costi elevatissimi e ad altissimo impatto ambientale.
Non proseguo in un discorso che potrebbe diventare lunghissimo. Aggiungo solo una cosa: do per scontato che nessuno si proponga di ridurre di qualche miliardo di persone il genere umano. Molti mistici dello pseudo ambientalismo lo fanno: i più coerenti fra loro auspicano l’estinzione volontaria del genere umano (spero siano sinceri quando usano il termine “volontaria”). Altri, meno coerenti, a cominciare da Greta Thunberg, non arrivano a tanto ma questo è il senso delle loro farneticazioni: dobbiamo diventare tutti più poveri e ridurre drasticamente il nostro numero. Punto e basta. Resta aperto un problemino: CHI deve abbandonare questo mondo brutto e consumistico?
Ovviamente non scoprono nulla di nuovo. Il vecchio signor Malthus li ha anticipati di oltre due secoli. E dire che la sinistra del suo tempo lo considerava un terribile reazionario!

Io un’idea l’avrei: una legge che imponga l’eutanasia immediata di chiunque affermi che la specie umana rappresenta un disastro, che la specie umana è la peggiore fra le specie viventi, che la specie umana è un errore biologico, che meriteremmo l’estinzione, che bisogna ridurre la popolazione e altre analoghe affermazioni: se pensate che la specie umana debba essere eliminata, siate coerenti e autoeliminatevi, prima lo fare e meglio è per tutti, a partire da voi.
E passiamo ora a qualcosa di più prettamente scientifico con questo articolo di due anni e mezzo fa.

Riflessioni sul pubblico dibattito sulla teoria dell’AGW

Il successo e il clamore della recente testimonianza della giovane Greta ha riportato alla ribalta temi di attualità come clima e ambiente. Cosa c’è di fondato dietro la preoccupazione per la salute del pianeta, e quanto sono utili i richiami a politiche di intervento?

Luciano De Stefani – Componente del Consiglio Direttivo e della Giunta Esecutiva ALDAI-Federmanager

Le recenti manifestazioni dei giovani sulla necessità di proteggere l’ambiente hanno spinto due nostri colleghi ad intervenire sull’AGW, l’acronimo che indica il RISCALDAMENTO GLOBALE (GW) dovuto all’uomo (A = ANTHROPOGENIC). Essi sono membri di alcuni Gruppi di Lavoro della Commissione Studi ALDAI ed hanno scritto le loro idee sul riscaldamento globale del pianeta terra. 
Qui di seguito vi è il primo articolo di Giuliano Ceradelli, da 50 anni ingegnere del Politecnico di Milano e con una lunga esperienza tecnica e manageriale nel settore energetico in Italia ed all’estero. 
Egli è uno “scettico” della teoria AGW e ne spiega le ragioni. Il prossimo articolo seguirà a breve. Ambedue, come di consueto, verranno pubblicati prima sulla Rivista Dirigenti Industria Digitale.

Giuliano Ceradelli

Socio ALDAI-Federmanager

Prima di rispondere alla domanda proposta nel sottotitolo, è utile fare una premessa su cosa si intende per inquinamento. Spesso, troppo spesso si fa confusione tra clima e (inquinamento dell’) ambiente.
Un noto quotidiano italiano il 3 maggio del 2017 titolava: “Mauna Loa – Emissioni CO2, record di anidride carbonica: sfondata quota 410 ppm (0.04% in volume), l’aria nel mondo non è mai stata così inquinata”.
Mentre la CO2 e gli altri gas serra (Protocollo di Kyoto) –  non sono inquinanti o tossici, va sottolineato che Mauna Loa-Kilauea è un vulcano tra i più grandi e attivi del pianeta e quindi ci viene spontaneo domandarci con quale criterio si sia scelto di localizzare proprio lì la stazione di rilevamento delle concentrazioni di CO2 in atmosfera, quando è chiaro che un vulcano è naturalmente prono ad emettere CO2 oltre ad altre sostanze inquinanti. Se quindi la CO2 e gli altri gas serra antropici del Protocollo di Kyoto non sono inquinanti, clima e inquinamento non possono e non devono essere confusi, a meno che si voglia creare ad arte sconcerto e confusione nelle menti di chi legge o ascolta.
Vale la pena notare che nei paesi occidentali negli ultimi decenni sono stati compiuti notevoli progressi nel raggiungimento degli obiettivi di qualità dell’aria e si sono ridotti i livelli di tutti gli inquinanti atmosferici primari grazie alle innovazioni tecnologiche in vari settori, come quello dei trasporti, della produzione di energia, del riscaldamento e dell’industria, ma moltissimo evidentemente resta ancora da fare. Pertanto l’impegno dei più giovani e l’entusiasmo con cui si possono intestare grandi battaglie ideologiche, fatto encomiabile per quanto attiene in particolare all’inquinamento, dovrebbe essere incanalato dagli adulti nella giusta direzione e non dovrebbe essere confuso con la loro accoglienza acritica ed ipocrita da parte dei governi e delle organizzazioni internazionali. A loro spetta infatti educare i giovani a distinguere tra clima e inquinamento e a riconoscere le reali dimensioni del problema e cosa, negli anni, ha contribuito a ridurne l’impatto.

La teoria dell’AGW

La scienza ufficiale ritiene che ciò che era precedentemente chiamato Riscaldamento Globale (GW), ora chiamato per convenienza Climate Change, sia addebitabile all’azione dell’uomo, con le sue emissioni antropiche di CO2 connesse all’uso dei combustibili fossili. Si tratta di un postulato che, purtroppo per i sostenitori di tale tesi, trova poco riscontro nelle evidenze empiriche. Le svariate linee di evidenza empirica ci dicono semplicemente che il clima del nostro pianeta stà cambiando, come ha fatto altre volte nel passato, ma non ci dicono che ciò derivi in prevalenza dalle azioni umane.
Anzitutto la CO2 è nutrimento per la flora che ci rende l’aria respirabile ed il mondo vivibile, ma non è il principale gas serra. Il principale agente nell’effetto serra – trascurato dal Protocollo di Kyoto – è invece l’acqua sotto forma di vapore che, a volte scalda (dense nubi trappola di radiazioni), ma a volte raffredda l’atmosfera e il suolo (precipitazioni). Per inciso, durante le precipitazioni (pioggia, neve, grandine) anche la CO2 presente in atmosfera precipita al suolo.
La CO2, inoltre, non è solo di origine antropica. Grandi quantità vengono scagliate in atmosfera dalle eruzioni vulcaniche. Queste ultime sono fortemente clima alteranti, ma verso il freddo!
Per inciso, sulla base di dati ufficiali (La Quere et al., 2013; IEA, 2013; IPCC 4th Assessment Report, 2007 ) le emissioni naturali annue – ossia non antropiche – di CO2 sono superiori a 770 miliardi di tonnellate, mentre le emissioni causate dall’uomo sono stimate in circa 39 miliardi di tonnellate (media su range SRES IEA: 29-49 mld ton CO2), ossia circa 20 volte meno delle emissioni naturali che occorrono spontaneamente. 
Con la teoria dell’AGW, la scienza si è nutrita di slogan a suon di previsioni catastrofiche sul cambiamento climatico diffondendo allarmismi che gli scettici ritengono ingiustificati. Spesso lo hanno fatto mescolando meteorologia e climatologia, che sono discipline scientifiche affini, ma diverse: l’una studia il tempo nel breve, l’altra il clima nel medio-lungo periodo (almeno 30 anni). Entrambe le discipline hanno una vocazione comune: fare previsioni future. Ma prevedere è alquanto complicato perché presuppone una completa conoscenza della realtà fisica che ruota intorno al nostro Pianeta, che ancora oggi è insufficiente, nonostante le rassicurazioni di molti scienziati sostenitori dell’AGW supportati dalla politica, in contrasto con altri scienziati che invitano invece alla prudenza su un tema assai complesso e poco conosciuto come è quello della scienza climatica.
Qualche anno fa scoppiò lo scandalo del Climategate, emblematica situazione che descrive bene i guasti che possono derivare dalla politicizzazione della scienza. Si era creato un pericoloso meccanismo collusivo, che continua potenziato ancora oggi, tra alcuni interessi politici e commerciali e il gruppo di studiosi foraggiati dai finanziamenti. Ciò è preoccupante se si pensa alla rilevanza delle politiche che da anni sono state adottate, in Europa e altrove, nel nome proprio di questa visione dello “stato dell’arte” sul clima (Accordo di Parigi)
Il risultato: ingenti somme di denaro pubblico vengono sprecate in misure e progetti che non hanno solide basi scientifiche e quindi non portano beneficio alcuno per l’uomo (es. gli incentivi alle così dette fonti rinnovabili, la Carbon Tax, ecc). Infatti anche se, per assurdo, si riuscissero ad azzerare le emissioni antropiche (su quelle naturali niente si può fare), bloccando così lo sviluppo mondiale ed incamminandoci in quella che viene definita la “decrescita felice”, forse si riuscirebbe, ad essere ottimisti, ad abbassare la temperatura media del pianeta di solo qualche decimo di grado!
La scienza del clima non è ancora in grado di spiegare compiutamente il fenomeno del riscaldamento globale e ogni allarmismo riflette non certezze scientifiche, ma un’agenda politica o ideologica. In realtà numerosi sono i punti su cui la comunità scientifica è divisa o, semplicemente non è stata ancora in grado di trovare una risposta. Il motivo principale risiede nel fatto che i modelli dell’IPCC (Intergovermental Panel for Climate Change) esplorano il clima assumendo come dato di fatto che l’uomo e la sua attività sia il principale (l’unico dopo il 1970) attore della modifica del clima e la CO2
In realtà invece molti sono i meccanismi climatici che non sono noti nei dettagli: processi fisici, astrofisici, cosmologici, le maree luni-solari, le macchie solari, il vulcanesimo terrestre e sottomarino, i movimenti tellurici, l’inclinazione dell’asse terrestre, ecc e le leggi o i fattori che li regolano o li influenzano. 
Forse la chiave interpretativa del GW sta nell’effetto ionizzante dei flussi di alta energia di origine cosmica e solare. Queste energie interagiscono soprattutto con l’atmosfera come del resto, quando ci sono eruzioni, le alte colonne eruttive di vulcani esplosivi. E se l’ozonosfera viene perforata, i raggi ultravioletti solari entrano in atmosfera. D’altro canto gli effetti gravitazionali delle maree luni-solari sollecitano zone di faglia instabili del Pianeta, eccitandole (specie Indonesia e Oceano Pacifico) causando potenti e diffusi eventi tellurici (vulcani, terremoti e tsunami), che si uniscono alle periodiche fasi del Nino.
Si producono pertanto complesse interazioni tra eventi clima-alteranti ed effetti di clima alterato con oscillazioni termiche annesse (variazioni climatiche) e, talvolta, manifestazioni di eccezionale energia distruttiva (eventi estremi).
Dunque le cause prime sarebbero prevalentemente cosmiche, extraterrestri ed extrasolari e la CO2 (la quota parte antropica)? O non c’entra affatto, oppure, nella migliore delle ipotesi, può considerarsi una semplice concausa con un ruolo assolutamente marginale. 
La scienza si nutre di dubbio e scetticismo e non dovrebbe accettare dogmi, verità imposte su base maggioritaria, boicottaggi che impediscano di esprimere liberamente idee diverse e di discuterle con chi la pensa diversamente. Chi accetta tutte queste cose senza esprimere dubbi è più un “credente” che un seguace della scienza.
Negli anni ’70 gli stessi “scienziati” che ci mettevano in guardia per un’imminente nuova era glaciale, da 30 anni ormai lanciano proclami catastrofisti del tipo “abbiamo solo 20 anni per salvare il pianeta” (COP24 di Katowice – Polonia) senza che sia visibile alcun effetto “sul pianeta” che non sia stato già visto nel passato, ma con tragici effetti sulla qualità della vita nei paesi occidentali, vessati da rozzi tentativi di trasferire ricchezza verso i paesi in via di sviluppo, vita che è peggiorata notevolmente, come testimoniano le recenti manifestazioni di piazza dei “gilet jaunes” in Francia.
I modelli climatici utilizzano come variabile principale la CO2: in essi è contenuta, come unica “manopola” per cambiare il clima (tipo la manopola della sintonia di una radio), la quantità (concentrazione) di CO2. È questo che giustifica la lotta senza quartiere all’anidride carbonica in tutte le raccomandazioni dell’IPCC e il fatto che la maggioranza delle persone la consideri un veleno, quando in realtà è l’elemento fondamentale per la fotosintesi, da cui deriva, anche per l’aumentata concentrazione, un beneficio per la biosfera.
Tutti conoscono cosa sia l’effetto serra, ma la correlazione tra CO2 e GW non è affatto biunivoca, né unidirezionale. Evidenze storiche del passato per es. periodo romano e periodo medievale caldi, quando la CO2 – in questo caso di origine prettamente naturale – era ad un livello, secondo i sostenitori dell’AGW, non superiore ai 280 ppm (0, 028% in volume), dimostrano che la relazione di causa-effetto non regge. Anzi altre evidenze paleo climatiche segnalano che in taluni periodi di correlazione tra CO2 e GW, è quest’ultimo che precede l’aumento di CO2, e non viceversa. E pensare che nell’ormai lontano 2001 il Working Group 1 dell’IPCC scriveva nel suo Report annuale: “In climate research and modelling, we should recognize that we are dealing with a coupled non-linear chaotic system, and therefore the long-term prediction of future climate states is not possible”. Beh, c’è stato da allora un bel cambiamento, perché seguendo il filone delle carriere professionali, delle prebende e dei finanziamenti, l’IPCC e le istituzioni scientifiche ad esso collegate, ora dichiarano, con la sicumera che li contraddistingue, che sono in grado di definire la temperatura terrestre con l’approssimazione del decimo di grado e dichiarano – quasi del tutto inascoltati, almeno stando ai fatti – che, se noi attuassimo le misure che ci raccomandano da anni, ciò consentirebbe di contenere l’aumento di temperatura del Pianeta entro i 2°C , evitando così … la sicura catastrofe e la sparizione dell’uomo dalla faccia della Terra! Con la popolazione mondiale di oltre i 7 miliardi di persone, in costante ed inarrestabile crescita in particolare nei paesi in via di sviluppo (Asia, Africa), di energia c’è sempre più bisogno e uno degli ormai annosi quesiti che riaffiora in discussioni, dibattiti e simposi in Italia e nel mondo riguarda la nostra possibilità di generare sempre maggiore energia elettrica usando i combustibili fossili. Possiamo farlo o invece dobbiamo, o avremmo dovuto già da tempo, come sostengono gli ambientalisti, gradualmente disfarcene perché “energia non pulita”? Considerando il quesito in un contesto globale, la domanda ha una sola risposta: se vogliamo preservare l’ambiente che ci circonda e renderlo sempre più vivibile dobbiamo essere liberi di usare anche i combustibili fossili, perché solo loro sono in grado di fornirci energia abbondante, sicura e a basso costo.

A conclusione della presente nota invitiamo il lettore ad esaminare il grafico di Fig.1 ( Institute for Marine and Coastal Sciences and Department of Earth and Planetary Sciences, Rutgers University, 71 Dudley Road, New Brunswick, NJ 08901, USA. Lamont-Doherty Earth Observatory of Columbia University, Palisades, NY 10964, USA. Department of Geology and Geophysics, Woods Hole Oceanographic Institution, Woods Hole, MA 02543, USA) che ci fa notare che i cambiamenti globali della temperatura superficiale di questi ultimi anni sono semplicemente un ritorno parziale al clima “normale” generale degli ultimi due millenni e che l’unico aspetto notevole dei cambiamenti climatici negli ultimi secoli è stato il raffreddamento anomalo che si è verificato durante la Piccola Era Glaciale.
Infine, il riscaldamento su scala emisferica di qualche grado nell’arco di pochi decenni – e l’innalzamento globale del livello del mare si sono verificati in modo naturale o senza cambiamenti nella concentrazione di CO2 nell’atmosfera. E, per dirla in breve, non c’è nulla di remotamente straordinario negli ultimi decenni nel riscaldamento globale.

01 aprile 2019, qui.

In poche parole, ci stanno fottendo (e non finisce qui).

barbara

RISCALDAMENTO CIODUE EMERGENZA CLIMATICA E BLABLABLA

Dell’imminente glaciazione anzi no dell’imminente scioglimento di tutti i ghiacciai della terra anzi no ci stiamo raffreddando ma è per colpa del caldo lo stesso e comunque ci sono i cambiamenti climatici e comunque c’è l’emergenza climatica e da almeno una sessantina d’anni abbiamo dieci anni per invertire la rotta prima che il mondo sia distrutto, di questo abbiamo già abbondantemente parlato in questo blog. Oggi torno sul tema per dimostrare che OGGI ci sono i cambiamenti climatici, come possiamo vedere qui

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Ah no, forse mi ero sbagliata, quelli c’erano anche mille anni fa, duemila anni fa, tremila anni fa, quattromila anni fa… No vabbè, però adesso ci sono gli eventi estremi di cui una volta quando non c’era il malefico essere umano o almeno quando non c’era questo consumismo selvaggio degli ultimi anni non c’era traccia. Giusto?

Ehm, no forse mi sono sbagliata di nuovo, non ci sono neanche quelli. PERÒ C’È LA CIODUE, LA FAMIGERATA CIODUE! Provate a negarlo se avete il coraggio. La ciodue che distruggerà il pianeta e tutta la vita su di esso. Guardate, lo dice anche questo signore qui che siamo pieni di ciodue.

MUTANDE PAZZE

PUBLISHED ON 19 AGOSTO 2021BY ROBERTO

Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 17 Agosto 2021
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=55496

Un giorno gli alieni atterreranno sulla Terra. Probabile che la troveranno ricoperta in buona parte di ghiacci, come ciclicamente accade al nostro Pianeta, che ha passato più tempo a battere i denti dal freddo nelle ere glaciali, che a godersi un piacevole tepore  durante i fortunati periodi inter-glaciali come quello che stiamo vivendo (pur lamentandocene).
Per ritrovare testimonianze di una civiltà umana ormai purtroppo estinta, gli alieni ricorreranno a carotaggi nel ghiaccio, che restituirà loro vestigia del passato di una gloriosa civiltà la cui auto-distruzione sarà diventata materia di studio presso tutte le università aliene della Galassia.
Eh sì, perché gli alieni saranno davvero affascinati alla scoperta del modo originalissimo in cui una civiltà in apparenza progredita come quella umana riuscì a suicidarsi nell’incredibile convincimento che la CO2, il cibo delle loro piante e il mattone elementare della loro vita, fosse invece un pericoloso inquinante capace di alterare in modo catastrofico il clima del loro Pianeta. Da lì seguirono una serie di scelte economiche sciagurate che gettarono le economie occidentali nella depressione economica e nel caos, e prepararono le basi per un conflitto mondiale senza vincitori.
In una missione dedicata a quella che fu l’Italia, i carotaggi avverranno nelle valli alpine, che saranno ricoperte da strati di ghiaccio spessi centinaia di metri, come accadde all’apice dell’ultima glaciazione. Gli alieni scopriranno anche in Italia (come negli altri paesi europei) gli stessi segni e testimonianze di come, a fronte di un cambiamento del clima terrestre verso condizioni molto più fredde, la “comunità scientifica” negò con forza l’evidenza.
Ci si dedicò infatti inizialmente a raffinatissimi esercizi di “omogeneizzazione” dei data-set climatici per dimostrare che il passato era stato ancora più freddo, anche se nessuno se n’era accorto. Infine, si attribuì il troppo freddo al troppo caldo, in un inspiegabile esercizio oratorio che con la scienza non aveva niente a che vedere, ma che era perfettamente in linea l’approccio da “scienza molle” che si era deciso di dare alla ricerca in campo climatico.
Ma la narrativa era dettata dai media, e la scienza si era messa diligentemente al servizio di chi i media li governava (e le ricerche sul clima le finanziava), come accade in tutte le civiltà in cui la concentrazione di poteri, ricchezze e associate influenze supera un livello critico ben noto agli studiosi e ai politici alieni.
E poi quel finale tragicomico, con la popolazione intirizzita chiamata a sbrinare le pale eoliche e a rimuovere la neve dai pannelli solari, in un tentativo disperato di rendere utilizzabili le stesse fonti energetiche che già mostravano tutta la loro inefficienza in condizioni climatiche più favorevoli. Le stesse fonti energetiche su cui gli umani facevano incredibilmente affidamento per salvarsi dalla morte imminente per “troppo caldo” profetizzata dagli scienziati di allora.
Ma tra tutti i carotaggi ce ne sarà uno che lascerà gli alieni decisamente interdetti.
Si tratterà di un manifesto pubblicitario di un “body contenitivo”: un capo di biancheria che gli alieni liquideranno irrispettosamente come un paio di mutandoni elastici per terrestri con problemi di linea. Ma ad attrarre l’attenzione sarà una nota sul manifesto pubblicitario, in apparenza criptica: “Emissioni CO2 compensate”. Un vero rompicapo per gli alieni, inizialmente incapaci di comprendere l’associazione tra l’acquisto di un bene voluttuario come un paio di mutandoni smagrenti, e la questione scientifica politico-economica delle emissioni di CO2.
Trattandosi di una civiltà progredita, gli alieni riusciranno comunque a capire che il riferimento alla “compensazione” andava inteso come una forma di auto-tassazione dei produttori di mutande per flagellarsi davanti ai loro clienti del fatto di emettere CO2 nel processo produttivo della lingerie. Ridicolo e grottesco, certo, ma comunque comprensibile alla luce del fatto che i terrestri, sulle fondamenta di quella scemenza assoluta del pericolo-CO2, avessero costruito un monumento alla stupidità che non risparmiava assolutamente nulla, nemmeno la biancheria intima.
Semmai gli alieni ne faranno una questione di marketing: considerata l’ignoranza media dell’essere umano (ritenuta dagli alieni la causa prima della sua propensione ad accettare come realistiche e credibili le ridicole profezie climatiche veicolate dai media di allora), cosa avrebbe potuto capire l’acquirente di mutande da quel riferimento alle emissioni “compensate”? Intrigati dal mistero, e solleticati dall’argomento invero pruriginoso (anche gli alieni indosseranno le mutande per nascondere e al tempo stesso valorizzare le loro vergogne?) avranno fatto alcune ipotesi:

  • Il terrestre avrà colto l’essenza del messaggio pubblicitario? Ovvero che il produttore di mutande con quella curiosa espressione intendeva in effetti avvertirlo che il costo della biancheria sarebbe aumentato a causa delle tasse sulle emissioni di CO2? Gli alieni concluderanno di no: perché sarebbero state necessarie conoscenze economiche che il terrestre medio decisamente non aveva.
  • Allora forse il terrestre avrà ritenuto che le mutande servissero a contenere inopinate e imbarazzanti flatulenze? In effetti il produttore avrebbe potuto “compensarle” grazie ad un sistema di contenimento a micro-filtri adsorbenti collocato nella parte posteriore della mutanda… Col risvolto climaticamente virtuoso di ridurre le emissioni in atmosfera di gas-serra di origine intestinale.
  • Oppure il terrestre avrà pensato ad un sistema di sconti per chi era afflitto da problemi di meteorismo? Qualcosa del tipo: compra le mie mutande e ti ri-compenso se emetti molte flatulenze? Sarebbe servito un certificato medico per usufruire dello sconto? O piuttosto una dimostrazione dal vivo in negozio in appositi stanzini dotati di gas detector?
  • O al contrario, il potenziale acquirente le avrà viste come qualcosa di minaccioso? Del tipo: guarda che se emetti troppe flatulenze finirai per far aumentare i gas-serra. E quindi le mutande me le paghi di più! Una interpretazione non lontana dal punto 1) ma più alla portata del terrestre medio.
  • E infine un’ultima ipotesi: ovvero che l’acquirente di mutande avrebbe liquidato la pubblicità con una alzata di spalle, come l’ennesima clima-cazzata. E come l’ennesimo, goffo esempio di “virtue-signalling” da parte dell’azienda di turno.

Ipotesi, quest’ultima, scartata con decisione dagli alieni. Perché se ci fosse stata una coscienza vera e diffusa della ridicolaggine e della ascientificità della narrativa allora dominante sul “Climate Change”, forse gli esseri umani si sarebbero salvati. E forse, delle clima-cazzate del ventunesimo secolo avrebbero potuto ancora raccontare di persona, tra le risate generali degli umani e degli alieni stessi. (qui)

Poi guardate qui

e ditemi se possono sussistere dubbi sul fatto che sia ritardata, per non parlare di quel ghigno da psicopatica – da psicopatica pericolosa, maligna, perfida, sadica, così, insomma. E tocca perfino assistere a questo

Precisando che la ritardata bianca, anche se dimostra 11 anni, ne compirà 19 fra tre mesi, mentre la ritardata nera ne ha 23. Mala tempora currunt, fratelli, e nessuno che vada in giro ad agitare qualche campanello per svegliare il branco di idioti che si accoda a queste pericolose stronzette analfabete.
E alla fine di tutto, non resterà che questo:

barbara

ALLUVIONE IN GERMANIA, UN ARTICOLO E UN COMMENTO

Questo è l’articolo, con un po’ di dati.

Alluvioni: ecco le più devastanti della storia d’Italia

Quali sono le alluvioni più devastanti della storia d’Italia? Dal 14 al 19 ottobre 1951 nell’Aspromonte e nella Calabria Jonica, tra Nardodipace, Africo, Canolo, Careri, Plati, si verificò una delle più violente alluvioni del Meridione. Il nubifragio fu causato dalla combinazione di venti di Scirocco e di Levante, provocando 70 morti e ingenti danni a colture e infrastrutture. Il 14 novembre 1951 fu la volta dell’alluvione del Polesine. Un violento nubifragio causò lo straripamento del Po che superò di 80 cm la massima di piena. L’acqua invase borghi, campi, distruggendo raccolti, allagando numerosi comuni, con maggiori conseguenze a Rovigo dove si registrarono 180 morti. Il 4 settembre 1948 un violento nubifragio tra le province di Asti, Albese, Chivass e Piemonte Orientale causò 42 morti. Il 21 ottobre 1953 in Calabria ci furono 51 morti, 100 dispersi e 2000 senzatetto per via del nubigrafio che gonfiò d’acqua la fiumana Valanidi.
Tra il 25 e il 26 ottobre 1954 un violento nubifragio colpì la Campania e la Costiera Amalfitana. I morti furono 318 con un dissesto territoriale senza precedenti. Dal 4 al 6 novembre 1966 a Firenze straripò l’Arno, provocando 35 vittime e numerosi danni alle opere artistico-letterarie; a luglio 1987 , nel territorio della provincia di Sondrio, il fiume Adda ruppe gli argini e nel comune di Valdisotto persero la vita 53 persone. Il 5 maggio 1998 A Sarno il maltempo ed il dissesto idrogeologico provocarono 159 morti. Altrettanto nota l’alluvione di Soverato del 9 settembre 2000, a causa di un grosso nubifragio venne inondato un campeggio e furono 12 le vittime. Dal 13 al 16 ottobre l’evento interessò il Po e gran parte dei suoi afflueti in Valle d’Aosta, Liguria, Piemonte e Lombardia con 23 vittime e 40 mila sfollati. Da ricordare l’alluvione di Carrara del 23 settembre 2000, in cui per il nubifragio morirono 2 persone; l’alluvione e colata di detrito nel comune di Villar Pellice, datata 29 maggio 2008; l’alluvione di Cancia il 18 luglio 2009, quella di Messina del 1 ottobre 2009; quella di Atrani del 9 settembre 2010.
In termini di vite umane, la catastrofe peggiore rimane quella della diga del Vajont.* Era il lontano 9 ottobre 1963 quando una frana si staccò dal Monte Toc, cadendo nel bacino della diga e creando un’onda che trascinò, investendo i paesi sottostanti, tra cui Longarone. Furono 1909 i morti ufficiali che, secondo altre stime, ammontano a 2000. Sempre una diga causò 356 morti nel 1 dicembre 1923 in Val di Scalve (Bergamo); il pilone centrale della diga del Gleno cedette e le acque del lago artificiale si riversarono nella vallata sottostante. Ma la storia racconta di altre alluvioni: l’alluvione dei Campi Bisenzio che il 22 novembre 1926 procurò una vittima; l’alluvione di Palermo (11 vittime) del 21 febbraio 1931, quando un’ondata eccezionale di precipitazioni per 5 giorni continui e un forte vento di tramontana causarono lo straripamento dei principali fiumi che attraversano la città: il disastro di Molare (111 vittime) del 13 agosto 1935 quando a causa di una violenta precipitazione il lago di Ortiglieto straripò, inondando divrsi paesi e campagne in provincia di Alessandria.
Caterina Lenti, Settembre 2017, qui.

* No, il Vajont no per favore, non mettetemelo fra le catastrofi naturali!

E questa è la riflessione di Giovanni Bernardini.

L’articolo che posto non fa altro che elencare alcune delle più devastanti alluvioni avvenute in Italia. Riporta fatti di 30, 60, 80 anni fa. Eventi tragici che hanno causato o centinaia, in alcuni casi oltre un migliaio di morti ed enormi danni.
Nessuno le allora le attribuì ai “mutamenti climatici”.
Oggi invece la tragica alluvione che ha colpito la Germania viene immediatamente addebitata al clima assassino. Prima ancora di dare notizia delle vittime e dei danni i media puntano l’indice accusatore sul clima. La strage del clima titola “La repubblica”. Se Trump fosse ancora presidente sarebbe lui il responsabile di tutto…
Però… però se 70 od 80 anni fa le alluvioni provocavano centinaia di morti e da allora le cose sono costantemente peggiorate a causa della “umana follia” oggi le alluvioni di vittime dovrebbero provocarne a migliaia, o a decine di migliaia, ce lo dice la logica.
Ma la logica non è il forte dei giornalai di regime.
Gli stessi che questo inverno, di fronte ad un freddo fuori del comune, assicuravano il popolo bue che era il riscaldamento globale a provocarlo.
E che domani indicheranno nel riscaldamento globale antropico la causa di eventuali siccità.
Ad essere davvero globale ai nostri giorni è la propaganda becera.

Poi magari volendo ci sarebbe anche questo

Poi magari, se restano ancora due minuti, può valere la pena di leggere anche questo.

barbara