NEL CUORE NERO DI UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO

Come si vede nella barra in alto, è scritto “فلوق في كيرفور “غزة, che col traduttore automatico dà vlog al Kerfour [non escluderei che possa essere la trascrizione di Carrefour] “Gaza”, e se ascoltate la ragazza, alla fine della prima frase dice “assa” (con la s dolce di rosa), che vuol dire Gaza. Cioè, non è propaganda sionista, è proprio una vlogger di Gaza che sta mostrando un supermercato di Gaza, là dove è in atto la più terrificante crisi umanitaria che mai occhio umano abbia visto.

barbara

AVETE MAI VISTO UNA PRIGIONE A CIELO APERTO?

Un campo di concentramento? Un campo di sterminio? Un luogo in cui gli abitanti si trascinano laceri e macilenti perché i sionisti stanno perpetrando uno sterminio, un genocidio, un olocausto, una shoah, una soluzione finale del popolo palestinese? No? Niente paura: vi ci faccio fare un giro io.

Poi già che ci siete potreste anche andarvi a riguardare questo vecchio video a cui ho intensamente lavorato con l’aiuto di due amici, e magari dare un’occhiata a quest’altro documento: GAZA AFFAMEE.

barbara

CHANUKKAH 1943

Chanukkah 1943
Campo di transito di Westerbork, Olanda. Circa 100.000 ebrei furono deportati da Westerbork ai campi di concentramento e di sterminio. In attesa di essere sterminati, tuttavia, non mancavano di restare fedeli alle tradizioni; parecchi, addirittura, riuscivano persino a digiunare a Kippur. Di sicuro nessuno di loro rimpiangeva di non avere avuto un nonno che avesse fortunatamente rotto con la tradizione.
(Una scena molto simile a quella dell’immagine appare nel film Jona che visse nella balena, relativa proprio al campo di Westerbork in cui Jona Oberski visse per qualche tempo con i genitori prima di essere deportato a Bergen Belsen)

barbara

OGGI VI PORTO A FARE UN GIRO

in una terribile prigione a cielo aperto (sì, quella)

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No, queste immagini di due dei cinque parchi divertimenti di Gaza non provengono dalla propaganda sionista: sono prese da testate palestinesi, come potete vedere dalle scritte in sovraimpressione e come potete verificare nel sito di Paltoday.
Stiamo, come detto, parlando di quella terrificante prigione a cielo aperto, cosa dico, campo di concentramento, cosa dico, campo di sterminio, a causa della quale giustamente mezzo mondo boicotta Israele e nella quale si muore di fame, come tutti sanno e come è stato documentato in questo video al quale ho l’onore di avere intensamente collaborato. Poi, già che ci siete, date anche un’occhiata qui.

barbara

LA BARACCA DEI TRISTI PIACERI

Le violenze sessuali subite dalle donne durante il nazismo sono state oggetto di scarsa considerazione da parte della ricerca storica, forse anche ostacolata dal silenzio delle vittime. A cominciare dagli stupri compiuti su centinaia di migliaia di donne da parte dell’Armata rossa durante la sua avanzata attraverso la Prussia orientale, poi continuati sulla popolazione civile berlinese, agli abusi commessi dalle SS su internate nei vari campi di concentramento, alla prostituzione forzata alla quale lo Stato aveva spinto donne che dopo la fine della guerra, schiacciate dalla vergogna, preferirono tacere temendo di essere giudicate e discriminate.
Il fatto che nella Germania nazista, per motivi di igiene razziale, la prostituzione fosse giudicata un grave reato punibile con la reclusione, non impedì a Himmler di ordinare la costruzione di dieci bordelli nei grandi campi di concentramento, dove prigioniere prelevate soprattutto dal lager femminile di Ravensbrück furono costrette alla prostituzione coatta.
Dopo il 1945, l’esistenza di questi bordelli fu messa a tacere, in linea con quanto già raccomandato nel 1943 ai vari comandanti dei lager: in caso di sopralluoghi, soprattutto da parte di delegazioni della Croce Rossa, non mostrare le camere a gas, gli strumenti di tortura, i crematori, i bunker di rigore – e i bordelli.
Solo recentemente la Germania si è svegliata da questo oblio, affrontando ciò che per decenni era rimasto un tabù.

Scrive (quasi sempre) romanzi, Helga Schneider, ma quando parla di campi di sterminio sa bene di che cosa parla, lei, abbandonata all’età di quattro anni, con un fratellino di uno e mezzo, dalla madre ansiosa di compiere il suo dovere di patriota come volontaria nei campi di sterminio. E così, dopo lo stupendo romanzo – in realtà autobiografia leggermente romanzata – “Il rogo di Berlino” (mentre “Porta di Brandeburgo” e “Lasciami andare madre” sono rigorosamente autobiografici), ci regala, sotto forma di romanzo, un’altra drammatica pagina della storia dei Lager (credo che prima di lei ne avesse parlato solo Ka-Tzetnik 135633 nel suo sconvolgente “La casa delle bambole”, oltre a un accenno, se ricordo bene, nel film “Vincitori e vinti” del 1961, capolavoro di Stanley Kremer, in cui una dei testimoni si apre coraggiosamente la camicia per mostrare, tatuata sul petto, la scritta “Feldhure”, puttana da campo). Storia, come scrive nell’appendice qui riprodotta, fatta affondare per decenni nell’oblio. Dal quale è nostro dovere farla riemergere.

Helga Schneider, La baracca dei tristi piaceri, TEA

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