SCENE DA UN MANICOMIO 2

Cominciamo col battesimo ai tempi del coronavirus

e proseguiamo con le lungimiranti politiche di Nostra Santa Madre Europa

con il benefico ddl e prossimamente legge Zan

Nota: “NEGLI esseri umani”. Cioè tutti.

e, sempre più o meno in tema, di Laurel Hubbard

Simone Pillon 

Cari amici buongiorno.
Oggi raccontiamo la storia di Laurel Hubbard.
Questo signore di mezza età si chiamava Gavin e da ragazzino aveva la passione per il sollevamento pesi. Si era classificato primo in un concorso junior nel 1998, ma poi non aveva più vinto un bel niente.
Nel 2012 la svolta: dopo aver deciso di diventare donna, ha cominciato a gareggiare nelle competizioni femminili.
A quel punto è diventato campione di tutto: Australian open, Pacific games, Oceania e Commonwealth championship, etc etc.
Ora ci tengono a far sapere che rappresenterà la Nuova Zelanda nelle gare femminili delle prossime olimpiadi di Tokyo.
Ovviamente si tace delle proteste per slealtà (transfobiche?) sollevate dalle atlete australiane, della Samoa e della stessa Nuova Zelanda che si sono viste battute e sconfitte dai muscoli maschili di Gavin-Laurel.
Una cosa del genere accadrà presto anche in Italia, a meno che non riusciamo a bloccare la follia del #ddlzan
Altro che diritti LGBT+. Questa è una vergogna.
Rispetto per tutti, ma maschi gareggino coi maschi, e le femmine con le femmine, indipendentemente dalla loro “autopercezione”.

Non possono mancare il vergognoso privilegio bianco

e i vergognosi trucchi dei conservatori per impedire alla gente di votare

E ora due coppie celebri a confronto

Gerardo Verolino

Nella foto in alto, Andrej Sacharov, fisico nucleare, accademico delle scienze e premio Nobel per la pace nel 1975, con la moglie Elena Bonner, medico, intellettuale, scrittrice, insignita della medaglia Robert Schuman dal Parlamento europeo. Per la loro lotta in difesa dei diritti umani e per le loro critiche alla dittatura comunista verranno perseguitati dal regime sovietico.

Sotto, Federico Leonardo detto Fedez, cantante, autore di testi impareggiabili come “Dai cazzo Federico” da cui il verso: “e con tutto questo affetto mi sento così commosso però fammi andare al cesso che mi sto cagando addosso”; insieme alla moglie Chiara Ferragni, influencer, fashion blogger (boh?). La gente ritiene che oggi questi due siano i nuovi difensori dei diritti umani e oppositori del regime.

Aiuto! Cosa è andato storto in questi ultimi decenni?

E un assaggio di sinistra politica interna

E concludo questa manicomiale carrellata col manicomio vero

Tso a Fano, rivolta per lo studente: “Ha 18 anni, è assurdo”

Ondata di proteste dopo il ricovero in psichiatria imposto al ragazzo che non voleva indossare la mascherina in classe. Un docente: “Io lo seguo da un anno ed è sempre stato corretto con i compagni, che gli vogliono anche bene”

Fano, 7 maggio 2021 – “Si porti subito questo ragazzo in seno alla sua famiglia e si assista lui e i suoi cari con quella prossimità necessaria e di civiltà”, ha scritto ieri Vito Inserra dell’associazione Libera.mente. Perché l’incredibile vicenda dello studente che si è incatenato al banco della scuola per protestare con l’imposizione delle mascherina e poi ricoverato in psichiatria a Pesaro, ha suscitato reazioni anche a livello nazionale.

L’aggiornamento Tso studente mascherina Fano, a Muraglia spuntano i no mask

Tra le telefonate anche quella del senatore della Lega Armando Siri: “Voglio i dettagli di questa vicenda – dice – che ha dell’incredibile. Andrò a fondo”. Poi aggiunge: “Mi sto informando per avere dettagli. Ma se fosse vero sarebbe di una gravità inaudita che ad un adolescente venga fatto un Tso a scuola perché inscena una protesta. Ma viva Dio! Li vogliamo tutti imbanbolati, rimbecilliti davanti ad un computer e senza spirito critico? Nessuna evoluzione si realizza senza attrito tra generazioni. Le interperanze giovanili sono il sintomo di una società viva e noi che facciamo? Invece di confrontarci la sediamo, le soffochiamo con la forza? E’ dovere della politica e delle istituzioni approfondire questa vicenda nei minimi dettagli non accontentandosi certo che venga derubricata con la frase frettolosa ‘tanto questo è matto’. Perché è inaccettabile. Su questa vicenda occorre fare chiarezza senza esitazioni e approssimazioni”.
La cosa che ha colpito tutti è stata la scelta del trattamento sanitario obbligatorio. Dibattito anche in città con tutti i giovani che frequentano l’istituto, che si dicono solidali con il ragazzo, ma la discussione si è aperta anche tra i docenti; più quelli che ritengono il provvedimento eccessivo di quelli che invece sostengono la tesi “che il ragazzo andava fermato prima”.
“Mi dicono che mi terranno qui per una settimana“, rispondeva ieri il giovane al cellulare. Calmo, tranquillo. “Devo dire la verità, io lo seguo da un anno – dice uno degli insegnanti – e si è sempre comportato bene con i compagni di classe che fra l’altro gli vogliono bene. Mai un atteggiamento aggressivo anche se parlava sempre in terza persona. Anzi un giovane che dà soddisfazioni perché ha sempre approfondito quello che si era spiegato in classe. Alcuni docenti ne hanno chiesto l’allontanamento, ma io non sono mai stato d’accordo e sostengo la linea della preside”.
Ma la cosa che ha colpito è “quel parlava in terza persona”. Che fa riferimento al manipolatore che da mesi è dietro a questo giovane “perché è forse lui il vero caso psichiatrico”, commenta un medico. L’uomo che la preside, quando lo ha visto davanti all’istituto, ha detto: “Volevo scendere e dargli un pugno in faccia”. Un problema questo che si è posto anche il sindaco Massimo Seri che conosce bene la vicenda: “Il problema vero qui è capire chi è questo presunto ’costituzionalista’ che ha manipolato questo ragazzo”.
Massimo Seri è quello che ha firmato il ricovero “ma è un atto dovuto, perché il ricovero forzato – continua lo psichiatra – deve essere proposto da un medico e controfirmato ad un altro collega. La firma del sindaco è solo un atto formale”. Il ricovero deve essere avallato anche da un giudice del tribunale.
Vito Inserra di Libera.mente insorge: “Due ore non sono bastate per convincerlo? Bene si prosegua con tutto il tempo e la pazienza necessarie”. Ed aggiunge: “Non ci sono risorse umane e disponibilità di servizi? Non è una giustificazione per passare alle vie di fatto come è accaduto per questo giovane che non voleva fare la guerra ai marziani o proclamarsi Napoleone, visto il periodo. Voleva solo, in modo evidente e scomodo, dire che la nostra Carta va attesa anche nelle libertà personali… Non prendiamo l’abitudine di risposte brevi per questioni che necessitano di ponderazione e di calma. E’ difficile e impegnativo ciò? Sì, lo è e tale comportamento fa la differenza tra una medicina di territorio civile e una medicina vista solo come correzione e non come salute e guarigione”.
Il partito Potere al Popolo scrive: “Pur considerando la necessità di indossare i dispositivi di protezione, riteniamo inaccettabile e protestiamo contro questo trattamento fascista, con la scusa dell’emergenza Covid. Bastava accompagnare il ragazzo a casa. Non può accadere che si venga internati perchè si sta protestando contro una disposizione di legge. Chiediamo la liberazione del ragazzo”.
m.g. (qui)

Per inciso, l’intervento sul ragazzo è stato questo

molto simile a quest’altro di un anno esatto fa.
Passo a un paio di cose carine, partendo da questa

Noi che amiamo Israele

Benaya Peretz,

gravemente ferito nell’attacco terroristico nello svincolo di Tapuach, si è svegliato dall’intervento chirurgico e ha chiesto di ascoltare la canzone che tanto ama. Il suo cantante preferito, Benaya Barby, si è presentato per cantargli di persona. Un gesto bellissimo.
Guarda l’emozionante incontro e il sorriso di Benaya

Forza campione, auguri di pronta guarigione!

e poi, sempre in Israele

E una nei commenti ha chiesto: “E cosa se ne fanno i malati dei capelli?”

E infine questa: di qua Israele, di là Egitto

E concludo con una nota di spirito

barbara

SANGUE SULL’ALTARE

Il sangue è quello di Elisa Claps; l’altare è, metonimicamente, quello della chiesa della Santissima Trinità a Potenza. L’autore è Tobia Jones, un giornalista inglese, innamorato dell’Italia in generale e della Basilicata – quella terra in cui Cristo, fermatosi a Eboli, non è mai arrivato – in particolare.
È un libro bellissimo, intenso e partecipe, quello scritto da quest’uomo come professionista ma anche da amante e studioso delle cose d’Italia e di Basilicata, della storia e della società e di tutte le magagne che affliggono la nostra terra. E poi anche da quell’amico sincero che in breve è diventato per la famiglia Claps, della quale ha seguito per quasi un ventennio le drammatiche vicissitudini. Ed è, il libro, cronaca degli eventi che punteggiano la storia di Elisa Claps, e indagine approfondita della psicologia dei personaggi, e storia della nostra penisola e molto, molto altro ancora. È un libro che si dovrebbe leggere, ma non so, davvero non so se sia un libro per tutti. Perché io, a leggerlo, sono stata male, male proprio fisicamente voglio dire, ad un certo punto ho lasciato ogni altra attività per finirlo il più in fretta possibile e liberarmene, spogliarmene, perché non ce la facevo più. Perché tu ti immedesimi – non puoi non farlo – con lo strazio e la rabbia impotente di questa famiglia che sa con assoluta certezza che la ragazza è stata assassinata, e sa chi l’ha uccisa, ma si trova bloccata da un’incredibile rete di complicità, dal parroco che impedisce di perquisire la chiesa al pubblico ministero che nega sistematicamente tutte le autorizzazioni necessarie ad accertare la verità al padre dell’assassino che manovra tutte le sue potenti pedine per creare un solidissimo muro fra la verità e chi tenta di raggiungerla a tutti coloro che hanno davanti agli occhi tutte le prove possibili e fingono di non vederle, in un vertiginoso intreccio di mafia e massoneria e poteri locali di ogni genere. E l’aggiunta degli sciacalli, le piste fuorvianti, le richieste di riscatto, le telefonate mute, gli inquirenti che ti dicono che sarà scappata di casa, ti ridono in faccia, ti minacciano… E non avere neppure un corpo da seppellire, una tomba su cui piangere, non sapere dove si trovino i resti. C’è da perdere la ragione, e ti chiedi come abbiano fatto, loro, a non perderla, che quasi quasi stai rischiando di perderla tu. È una cosa che ti resta sullo stomaco, questo libro, perché è una storia che non riesci mica a digerire. Eppure bisognerebbe trovare il coraggio di affrontarlo. Bisognerebbe, sì.

Poi, volendo, si potrebbe chiedere ai negazionisti del femminicidio: quante serial killer donne siete in grado di elencare, votate selettivamente all’assassinio di soli uomini? Quanti uomini siete in grado di elencare adescati da donne per essere poi assassinati, tagliuzzati con coltelli, forbici, coltelli per sfilettare, mutilati, magari organizzando il tutto in modo tale che a trovare la vittima tagliuzzata e mutilata siano i suoi stessi bambini, come ha fatto Danilo Restivo con Heather Barnett, un’altra delle sue vittime?


Tobias Jones, Sangue sull’altare, Il Saggiatore

Sanguesull'altare
barbara

ANCHE CON I CAPELLI

Ai malati di cancro, come ben sappiamo, spesso la chirurgia non è sufficiente, ed è necessario intervenire anche con la chemioterapia, che ha pesanti, a volte pesantissimi, effetti collaterali. Uno di questi è, spesso, la perdita dei capelli. Visto da fuori potrebbe sembrare un problema minore, se non del tutto insignificante, a fronte della sfida che queste persone si trovano ad affrontare, e dalla quale ancora non sanno se ce la faranno a uscire vincitrici, ma provate a immaginarlo: vivevate la vostra vita tranquilla e improvvisamente ha fatto irruzione la malattia, ha cambiato la vostra vita, i vostri progetti, le vostre attività, vi ha costretti a cure fastidiose e dolorose, non sapete se per voi ci sarà un futuro, e adesso vi trovate privati anche del vostro aspetto, della vostra immagine, in un certo senso perfino della vostra identità: davvero, non è una cosa da poco.
Noi non possiamo fare molto per queste persone: non possiamo garantire loro un futuro, non possiamo guarire la loro malattia, non possiamo alleviare la loro sofferenza. Ma una cosa si può fare, e in Israele si sta facendo: donare i propri capelli per queste persone, per permettere loro di guardarsi allo specchio e riconoscersi, per farli sentire a posto almeno nell’aspetto (qui). Un modo per aiutare, quando si vuole, si trova sempre.
cheveux
barbara