ITALIA OGGI

Questo è il ragazzo di Fano, quello talmente pazzo squilibrato esagitato fuori di testa che hanno dovuto strapparlo fuori dalla scuola, montagli sopra in tre e sedarlo – cioè drogarlo – e infine ricoverarlo in quello che non si chiama più manicomio ma la sostanza non cambia moltissimo.

Poi da Fano passiamo a Terzigno.

Fulvio Del Deo

Terzigno, una bella serata primaverile. Ragazzi si attardano per strada e uno dei tanti alessandri-gassman del posto chiama il 118. All’arrivo della pattuglia, tutti riescono a darsela a gambe, tranne il più lento. Uno dei carabinieri lo aggredisce, neanche fosse il peggiore dei delinquenti. Il povero ragazzino si scusa perfino.
Il militare non perderà il posto: è sotto procedimento disciplinare e al massimo rischia il trasferimento. In realtà, lo mettono al sicuro da eventuali vendette, perché dietro a un ragazzino indifeso può esserci spesso un padre o un amico grande e grosso che non ci pensa due volte.

E non mi si venga a raccontare che l’intervento è un atto dovuto, che obbediscono agli ordini e altre analoghe puttanate, perché qua i calci comincio a tirarli io.
E poi ci sono i progressisti figlidizan.

Simone Pillon

Volete un esempio di prevaricazione dei maschi sulle femmine, di maschilismo tossico, di patriarcato allo stato puro? Eccolo, fresco di vernice. La sede di Arcilesbica nazionale è stata imbrattata da maschi che si sentono femmine e che si firmano “rabbia trans”.
Al grido di “arcistronze” questi paladini del ddl Zan hanno dato una bella dimostrazione di quello che tocca a chiunque esprima il proprio dissenso nei riguardi del pensiero Gender.
I soliti democratici…

Cari maschietti che vi esibite con enormi cartelli che gridano “Ci sono ragazze con il cazzo, fatevene una ragione”, per quanti pizzi indossiate, per quanto fondotinta vi schiaffiate addosso, per quanti smalti fedezeschi vi spennelliate, a comandare è sempre il testosterone prodotto da quelle due microscopiche cosine che si chiamano XY. Fatevene una ragione.
E poi c’è il virus. Ci avevano promesso che il coprifuoco – gioite gioite – sarebbe stato spostato alle 23, o addirittura, anzi addiritturissima, alle 24 – gioiamo gioiamo che il cielo è azzurro e il sole splende

– ma grazie alla provvidenziale micidialissima variante sudafricana adesso non se ne fa più niente. Impossibile, perché i famigerati assembramenti sono perniciosissimi

anche se qualche pericoloso soggetto non è d’accordo

E poi c’è il famoso vaccino italiano

e poi ci sono gli intelligentissimi sinistri

e poi ci sono i televirologi

(della signora Viola si era già parlato qui. Per la verità se ne era parlato anche qui ma, come potrete vedere, sono stati oscurati tutti i video che documentavano le puttanate sparate dai nostri esperti. Lei comunque spiegava che è ovvio che il coprifuoco non serve a diminuire i rischi di contagio, ma è necessario mantenerlo per dare un segno. Di che cosa? Del fatto che dobbiamo cambiare radicalmente il nostro stile di vita. Quanto a Galli che annuncia il ritiro, ricorda tanto quello che spiega che smettere di fumare è talmente facile che lui è capace di farlo anche tenta volte al giorno)
E infine ci sono le garbate critiche a Salvini che ha preso posizione a favore di Israele martoriato da razzi e incendi e guerriglia urbana e pogrom

Formidabile soprattutto “figlio di puttana con la mamma troia”: e vorrei proprio vederlo un figlio di puttana con la mamma casta.

E niente ragazzi: siamo nella merda.

barbara

HO VISTO COSE CHE VOI UMANI

La caccia ai runner solitari, con elicotteri droni e pattuglie a terra. Al tizio che prende il sole sulla spiaggia deserta. Al vogatore. Al sub immerso a 300 metri dalla costa che quando riemerge si ritrova davanti i carabinieri che lo aspettano per multarlo. Credevate che con questo si fosse toccato il fondo? Beh, vi sbagliavate. E di grosso.

Covid, i carabinieri piombano a scuola

Ormai stiamo raschiando il fondo del barile pandemico. Ieri, a Casto, nel Bresciano, è successo l’incredibile. Sapete tutti che in quella provincia è emergenza variante inglese. Sono state adottate rigide misure di contenimento – e non vogliamo certo affermare che bisogni infischiarsene dell’epidemia, piuttosto che intervenire tempestivamente per limitare i danni. Ma certe manifestazioni, più che un mezzo di profilassi, sono l’anticamera della dissoluzione psicosociale.
Ebbene: in una scuola media del paesino, che doveva essere chiusa perché l’area è in zona arancione rafforzata, si sono addirittura precipitati i carabinieri. Sapete qual era il gravissimo illecito in atto? Nell’edificio c’era una quindicina di studenti, inclusi alcuni disabili. Evidentemente, ragazzi che le loro famiglie, fatte da genitori che non stanno a girarsi i pollici tutto il giorno, ma sono costretti a lavorare, non saprebbero come accudire. E allora, che si fa? L’unica cosa possibile per chi non ha il triplo stipendio da devolvere a baby sitter e assistenti domestiche, come l’alta borghesia delle metropoli: li si manda a scuola. Che nel caso dei giovani affetti da disabilità, non è solo un luogo di apprendimento, ma letteralmente di cura e assistenza.
E invece l’Italia, ormai, è la patria della didattica a distanza. È l’unico Paese d’Europa in cui, da un anno, i nostri figli trascorrono più tempo a casa che in classe. Così è stato anche oggi: i carabinieri hanno prelevato dieci di loro e li hanno rispediti dai genitori. Segnalati addirittura al tribunale dei minori, per omessa sorveglianza. Cos’altro ci aspetta? Le teste di cuoio in università?
Nicola Porro, 3 marzo 2021, qui.

Sì, abbiamo capito bene: mandare i figli a scuola è reato. Mandarli a scuola perché a casa, causa lavoro dei genitori, non c’è nessuno che se ne possa occupare, è reato con l’aggravante dell’abbandono di minore. E qui mancano non solo le parole per commentare, ma anche le parolacce per imprecare. Quanto ai carabinieri, direi che le possibilità sono due: o stavano obbedendo a un ordine, e allora sono cretini (credo che a Norimberga sia stato stabilito una volta per tutte che obbedire a un ordine non è mai una giustificazione, se l’ordine è criminale), o stavano usando quel milligrammo di potere che la divisa conferisce loro per sentirsi potenti, e allora sono criminali. Tertium non datur.

barbara

GEORGES LOINGER

Georges Loinger è un ebreo alsaziano. Quando Emanuel Segre Amar lo ha casualmente scoperto, lo ha contattato a Parigi, dove oggi vive, e nel corso del colloquio intrattenuto con lui, ad un certo momento ha chiesto: “Sarebbe disposto a venire a Torino per una conferenza, per raccontare anche ad altri tutte queste cose straordinarie che sta raccontando a me?”, e Georges ha risposto: “Ho già la valigia pronta”.
Georges Loinger ha 105 anni. Usa il bastone, ma non vi si appoggia più di tanto, sale e scende le scale con incredibile sicurezza, ha voce ferma e, soprattutto, una cristallina lucidità mentale e una memoria priva di ombre. E un sorriso di quelli che ti scaldano dentro. Gli oltre 1000 chilometri che ho percorso, fra andata e ritorno, per andarlo ad ascoltare, sono sicuramente stati fra i meglio spesi della mia vita (con un sentito grazie al Gruppo Sionistico Piemontese e alla Comunità Ebraica di Torino, che hanno organizzato questo straordinario evento).
La prima parte della conferenza è stata dedicata agli anni della guerra, con un non superficiale accenno a quelli che l’hanno preceduta, con i comizi di Hitler, i suoi roboanti proclami, la dichiarata intenzione di sterminio totale nei confronti degli ebrei; gli ebrei alsaziani, residenti in una zona di confine (soggetta a vari passaggi da uno stato all’altro nel corso della storia) e perfettamente bilingui, li ascoltavano, li capivano, e si rendevano conto che non si trattava di sparate a scopo propagandistico, ma di un preciso programma politico, e hanno deciso di non subire passivamente lo sterminio, ma di scegliere la resistenza armata: la prima resistenza del periodo hitleriano. Arruolatosi poi con gli alleati, viene fatto prigioniero e portato in Germania, dove svolge lavoro d’ufficio come interprete; lì viene a sapere, tramite la Croce Rossa, che sua moglie ha organizzato un rifugio in cui dà riparo a 123 bambini ebrei. Decide dunque che deve aiutare la moglie e fugge, attraversando a nuoto il fiume di confine e a piedi tutto il resto, mezza Germania e mezza Francia, insieme al cugino Marcel Mangel (meglio noto come Marcel Marceau) e inizia così la sua opera di salvataggio, che lo porterà a mettere in salvo oltre 1000 bambini, cercando anche, attraverso la Spagna (neutrale), finanziamenti negli Stati Uniti. Nell’ambito della rievocazione delle vicende belliche, ha trovato il giusto spazio anche il riconoscente ricordo dell’occupazione del sud della Francia da parte dell’Italia, fino all’8 settembre 1943; da parte dei carabinieri italiani, per la precisione, che non solo si sono sempre fermamente rifiutati di consegnare i “loro” ebrei ai tedeschi, ma hanno anche consentito loro il massimo possibile di libertà di movimento e di culto. Poiché era previsto che Georges Loinger avrebbe rievocato questa vicenda, era stato invitato alla conferenza il generale Gino Micale, comandante della Legione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta, accolto, in memoria di quanto fatto dall’Arma che egli rappresenta, da uno scrosciante applauso di (quasi) tutto il pubblico presente.
Finita la guerra, si dedica, nell’ambito della sua opera volta a contribuire all’immigrazione clandestina nella Palestina sotto mandato britannico, a un’impresa altrettanto grandiosa del salvataggio dei bambini: la vicenda di Exodus. Pochi, probabilmente, sanno che dietro a quella vicenda, in un ruolo di primo piano, c’è ancora lui, Georges Loinger: è lui, infatti, ad occuparsi delle modifiche necessarie a riadattare una nave costruita per trasportare 5-600 persone in modo che ne possa contenere 4500. Ed è sempre lui a organizzare il trasporto di tutte queste migliaia di sopravvissuti alla Shoah dalla stazione di arrivo al porto d’imbarco con 200 camion. Ora, proviamo a ricordare cos’era l’Europa poco dopo la fine della guerra, strade bombardate, ponti distrutti, passaggi ostruiti; e proviamo a immaginare che cosa significasse reperire anche solo un paio di mezzi di trasporto, per non parlare di centinaia. E lui niente, lo racconta così, con nonchalance, come uno che dicesse “poi siamo andati a comprare il pane” – ossia con quella totale inconsapevolezza della propria grandezza che hanno i veri grandi. Le vicende legate all’Exodus sono note: si trattava di una provocazione costruita da Ben Gurion allo scopo preciso di creare un caso mondiale che attirasse l’attenzione sulla drammatica situazione dei sopravvissuti alla Shoah cui la Gran Bretagna impediva l’ingresso in Eretz Israel, e spesso accampati in campi di raccolta che troppo ricordavano i campi nazisti. E quanto avvenuto all’arrivo della nave al porto di Haifa, con le forze armate britanniche che sparano sui sopravvissuti e li costringono a tornare indietro, in quell’Europa che li aveva sterminati, in quell’Europa ancora maleodorante delle decine di migliaia di tonnellate di carne umana bruciata, in quell’Europa in cui a nessun costo volevano mai più rimettere piede, riuscì effettivamente a scuotere le coscienze.
Terminata la seconda parte, si erano fatte le otto di sera, e Georges Loinger, che era uscito di casa la mattina per atterrare a Torino nel primo pomeriggio e, a parte un’oretta di riposo in albergo, non si era mai fermato e in quel momento stava parlando da un’ora e mezza, ha dichiarato di essere un po’ stanco e di non sentirsi di affrontare la terza parte programmata. Di questa ha perciò brevemente parlato Emanuel Segre Amar, ma quando ha terminato la sua esposizione, il nostro incredibile Georges ha ripreso la parola per aggiungere ancora qualche dettaglio, per precisare, per chiarire, per completare. Si tratta di un episodio pressoché sconosciuto, avvenuto nel 1959. Il gesuita Michel Riquet, amico di Loinger, decide di dare vita a un atto simbolico di grande impatto di riconciliazione fra tedeschi e francesi, e organizza il primo congresso eucaristico, riunendo appunto cattolici francesi e tedeschi; e affinché questa simbologia sia davvero potente, vuole che questo incontro tra francesi e tedeschi avvenga su una nave israeliana. A questo provvederà appunto Georges Loinger, all’epoca direttore della compagnia di navigazione israeliana ZIM, procurando una nave capace di ospitare 350 persone. Ultima tappa del percorso – per rendere ancora più luminosa questa simbologia di riconciliazione – sarà la città di Barcellona: la prima presenza ebraica ufficiale in terra di Spagna dopo la cacciata del 1492. Al viaggio prese parte anche Georges Loinger, che consegnò al sindaco di Barcellona una Bibbia donata dal vice sindaco di Gerusalemme.
Aggiungo ancora qualche nota di colore, diciamo così, a margine. Tra il pubblico, accorso numeroso ed entusiasta ad ascoltare questo straordinario personaggio, attore e testimone allo stesso tempo, brillavano alcune consistenti assenze, che non specificherò, per carità di patria, come si suol dire; dirò solo che qualcuno ha ritenuto l’ideologia più importante della conoscenza (Georges Loinger è fortemente filoisraeliano) e qualcun altro è rimasto schiavo delle proprie personali antipatie nei confronti di chi ha voluto e organizzato l’evento e ha scelto, pertanto, di boicottarlo.
Ancora un’ultima cosa: questa di Torino è stata la prima conferenza in Italia di Georges Loinger; a quanto pare ci ha preso gusto, e ha accolto con piacere la proposta avanzata da Emanuel Segre Amar di organizzare, finita l’estate, altre tre conferenze: a Roma, a Venezia e a La Spezia. E magari per allora avrà portato a termine il quinto libro, in cui ci insegnerà come restare giovani e brillanti a cent’anni suonati.
George Loinger
barbara