FRANCIA: IL TRIONFO DEL MULTICULTURALISMO

E’ la vita degli ebrei di Francia

Interi quartieri che si svuotano, proiettili a casa, omicidi e l’abbandono dell’intellighenzia.

di Giulio Meotti

ROMA – “Gli ebrei si sentono minacciati nelle loro case”, aveva detto appena il mese scorso Francis Kalifat, che guida le comunità ebraiche francesi. Due giorni fa, il portone di una casa nel Diciottesimo arrondissement di Parigi è stata imbrattata con la frase: “Qui vive la feccia ebraica”. Racconta un corposo dossier del mensile Causeur che “un nuovo antisemitismo imperversa nei sobborghi francesi e spinge molti ebrei a partire”. In un anno, ci sono stati due omicidi islamisti dentro alle case degli ebrei (Sarah Halimi e Mireille Knoll, che si aggiungono ad altre dieci uccisioni).
A fine agosto, un’ala del Parlamento francese è stata evacuata a causa di una lettera di minacce di morte contro un parlamentare di origine ebraica, insieme a diversi grammi di polvere bianca. Il “maiale sionista” è Meyer Habib, che da questa estate è protetto da quattro agenti della gendarmeria. “Hanno minacciato di decapitarmi”, ha rivelato Habib.
Il magazine Causeur di Élisabeth Lévy racconta l’islamizzazione dei quartieri ebraici. “In dieci anni, la comunità si è dimezzata, da 800 famiglie a 400, gli ebrei fuggono dall’islamizzazione”, testimonia David Rouah, presidente della comunità di Vitry-sur-Seine. “Quando usciamo dalla sinagoga, ci sputano, ci tirano lattine, uova, pomodori. Moto e auto ci suonano il clacson, gridando ‘Allahu Akbar’. Quando c’è un evento politico in Israele, i musulmani attaccano gli ebrei. Gli ebrei vogliono trasferirsi. Rimangono i poveri, chi non può permettersi di mettere i figli nelle scuole private o trasferirsi. Ebrei e poveri. Doppia punizione”.
A Villepinte ci sono 60-70 famiglie ebree delle 150 di dieci anni fa, ha spiegato Charly Hannoun, presidente della comunità: “La maggior parte è andata in Israele. Chi rimane si sta facendo la domanda: restare o andarsene?”
Tanti ebrei sono scappati nel 17esimo arrondissement di Parigi. Di 173 mila abitanti, 42 mila oggi sono ebrei. “E’ un esodo interno e quasi tutti i sabati si ricevono nuove famiglie”. Jean-Pierre S., direttore di una società di costruzioni, ha ricevuto una lettera con un proiettile accompagnato da “Allahu Akbar, siete tutti morti”. E’ solo una parte del numero del dossier di Causeur. “Sono estremamente preoccupato, tanto per gli ebrei francesi quanto per il futuro della Francia”, ha detto Alain Finkielkraut in un’intervista di poche settimane fa con il Times of Israel. “E’ il peggiore antisemitismo che abbia mai visto in vita mia e peggiorerà”. Finkielkraut ha raccontato che non si sente più sicuro a vivere nel quartiere dove è cresciuto con i genitori tra Place de la République e la stazione della Gare du Nord. “Quello che mi preoccupa molto è l’abbandono degli ebrei da parte di una parte importante dell’intellighenzia”, ha spiegato Finkielkraut. “Hanno scelto il loro campo, che è quello dei palestinesi contro gli israeliani, e in Francia, i musulmani contro gli ebrei. Questa è una delle cose più difficili con cui vivere oggi”.
Il New York Times ha appena raccontato che a Aulnay-sous-Bois da 600 famiglie ebraiche si è scesi a 100; a Le Blanc Mesnil da 300 a 100; a Clichy-sous-Bois da 400 a 80; a La Courneuve da 300 a 80. Ouriel Elbilia, rabbino, ha detto che il fratello a Clichy ormai non officia più i servizi in sinagoga: ché non c’è più nessuno. “Negli ultimi venti anni, intere comunità si sono trasferite”, ha detto Ariel Goldmann, che guida una agenzia di servizi sociali ebraici. “Questi posti si stanno svuotando”.
Per un quadro più generale, oggi a Montecitorio il Centro Machiavelli presenta il dossier realizzato da Fiamma Nirenstein sull’antisemitismo nell’Europa contemporanea. Si parla di “israelofobia” e di una nuova “malattia cognitiva della società”. C’è quel dato, terribile: E’ fuggito dall’Europa un ebreo su quattro”. I minatori erano soliti portarsi dietro dei canarini per avvertire la presenza di gas. Se cadevano a terra significava che l’aria era ammorbata. Gli ebrei sono i canarini delle società europee.

(Il Foglio, 26 settembre 2018)

Gli atti di intimidazioni, minacce, aggressioni verbali e fisiche contro gli ebrei, attacchi vandalici su sinagoghe e cimiteri durano da decenni, con una interessante particolarità: quando la matrice era presumibilmente neonazista, l’intera Francia si levava indignata; ora che sono indiscutibilmente di matrice islamica, non fiata più nessuno (ma il cattivo pericolosissimo fascista razzista eccetera eccetera e naturalmente antisemita è Orban. Con Salvini a fargli da valletto).
Coexistence
barbara

ILAN: SUA MADRE AVEVA RAGIONE

Quello che segue è un brano che ho postato qui poco meno di tre anni fa, e che ritengo utile riproporre, dopo quanto accaduto ieri a Bagneux, luogo del martirio di Ilan.

La gelida umidità di quel giorno perduto d’inverno ci trafigge le ossa e ci obbliga ad abbassare la testa. Avrei voluto riuscire a restare diritta, ma guardiamo i nostri piedi che sprofondano nel fango. È piovuto per tutta la settimana. I sentieri del cimitero non si distinguono più dalle sepolture. Ad ogni istante temiamo di inciampare e, nel buio, avanziamo a piccoli passi, dandoci la mano, come una banda di clandestini.
Perché è stata scelta l’alba per autorizzarci a riesumare il corpo di Ilan? Non avremmo potuto farlo uscire di qui in pieno giorno e alla vista di tutti? Avrei voluto che tutti noi vedessimo dissotterrare mio figlio assassinato all’età di ventitré anni, ma la prefettura di polizia ci ha convocati questo mercoledì 7 febbraio 2007 alle sei del mattino, e Ilan lascerà il cimitero di Pantin come ha lasciato la vita: in silenzio. Quando lo hanno ritrovato, esattamente un anno fa, non riusciva nemmeno a pronunciare il suo nome. Giaceva nudo lungo un binario ferroviario, solo un rantolo gli usciva dalla bocca. Aveva la testa rasata, le mani legate, il suo corpo interamente coperto di bruciature. Due poliziotti mi hanno detto signora, neanche a un animale si fa quello che hanno fatto a lui.
La sua stele è la ventunesima della terza fila nel viale dei Sicomori. La raggiungiamo infine e cerchiamo di formare un piccolo cerchio intorno ad essa. Il «primo cerchio», la famiglia, gli amici migliori, quelli che Ilan amava riunire quando soffiava sulle candeline dei suoi compleanni. Volati via. Come è possibile che noi siamo lì per lui, senza di lui? In questa mattina così fredda e così nera, come è possibile… Il rabbino intona una preghiera. Canta, ma ho la sensazione che pianga, tanto la sua voce è fievole. A meno che non siano i miei singhiozzi a deformarla? Li sento risuonare dentro di me, e stringo i pugni in fondo alle mie tasche per impedire che esplodano. Voglio essere degna, è tutto quello che mi resta. Guardo lontano. Fisso i piccoli riquadri di luce che si accendono qua e là nelle file di edifici che chiudono l’orizzonte, immagino che siano centinaia di lumi accesi per Ilan. Da tutte le altre parti, la notte resiste. Così ostile che ci costringe ad abbreviare la cerimonia. Il rabbino accelera, e le sue parole volano via nel brusio della città che il vento ci porta a raffiche. Non c’è quiete in questo cimitero nella regione di Parigi, né pace, né silenzio, solo un rumore sordo e incessante che impedisce il riposo dei morti. Forse è per questo che desideravo seppellire Ilan a Gerusalemme…
L’ho desiderato subito, fin dall’inizio, per me era chiaro. Ma suo padre e le sue sorelle la pensavano diversamente. Volevano tenerlo vicino a loro, potergli fare visita ogni volta che ne sentissero il bisogno. Ilan dunque è stato sepolto qui a Pantin, venerdì 17 febbraio 2006.
Centinaia di persone erano venute quella mattina a salutarlo per l’ultima volta, forse un migliaio, chi lo sa? C’erano tante persone che non conoscevo, e tanti altri che non vedevo da anni… Credo che ognuno pensasse al proprio figlio, al proprio fratello. Sì, ognuno deve aver immaginato suo figlio in quella bara, al posto del mio. Un brivido di angoscia percorreva la folla.
Sono tornata sulla tomba di Ilan in marzo, in aprile, in maggio, e poi tutti gli altri mesi fino a questo mercoledì 7 febbraio, primo anniversario della sua morte. Per tutta la durata di questo anno non ho mai abbandonato l’idea di trasferire i suoi resti in Israele. Sentivo che era mio dovere di madre offrire a mio figlio un riposo che giudicavo impossibile qui. Perché è qui, su questa terra, che Ilan è stato affamato, picchiato, ferito, bruciato. Come riposare in pace in una terra dove si è tanto sofferto? Questa domanda, alla quale né le mie figlie, né il mio ex marito hanno saputo rispondere, ci ha convinti che Gerusalemme doveva essere la sua ultima dimora.
Due figure che fino a quel momento erano rimaste in disparte avanzano sulla tomba e mi chiedo chi siano questi uomini. Parenti, amici? Sono solo dei becchini che vengono a dissotterrare mio figlio a colpi di vanga.
Ogni colpo mi fa l’effetto di una contrazione, e la violenza con cui queste contrazioni squassano il mio ventre, in modo così regolare, mi fa credere per un attimo, povera pazza, che Ilan uscirà dalla terra nello stesso modo in cui è uscito dal mio ventre. Mi dico tieni duro, sii coraggiosa. Non perdo d’occhio i due ragazzi che tirano le corde per issare la bara di Ilan, sento il legno che urta le pareti della fossa e, come il giorno della sua nascita, devo urlare per sfuggire a questo dolore. Sì, urlo. Con tutte le mie forze. Con tutta la mia anima. Ma il grido di una madre che partorisce non ha niente in comune con quello di una madre che riesuma suo figlio: questo è un grido senza liberazione.
La bara di Ilan finalmente raggiunge la superficie. Guardo, senza crederci, questa lunga scatola passare all’altezza dei nostri visi come un’ombra gigantesca. È possibile che il mio bambino sia lì dentro? Il bambino che ho portato, messo al mondo, nutrito al seno? È possibile che quel corpo sia ormai una «spoglia»?
I becchini la buttano sul carro funebre, e le porte si chiudono con uno scatto metallico. La macchina si avvia lentamente, poi si allontana. Si allontana. Si allontana… e io penso ecco, è finita. Ilan se ne va. Ilan lascia il cimitero di Pantin, lascia Parigi, lascia la Francia, e voi che l’avete massacrato, non potrete mai più fargli del male. Sono venuta a cercarlo per questo motivo, ora lo so, l’ho fatto uscire di qui perché un giorno voi sarete liberi, e sareste potuti venire a sputare sulla sua tomba.
Ruth Halimi – Émilie Frèche, 24 giorni La verità sulla morte di Ilan Halimi, Belforte, pp. 23-25

Infatti… Questa è la stele che lo ricorda,
stele Ilan
posta nel 2011, a cinque anni dalla sua morte, fatta a pezzi nel 2015 e sostituita da quest’altra. E mi torna alla mente la profanazione del cimitero ebraico di Carpentras, nel maggio del 1990, con lapidi spaccate, cadaveri tirati fuori dalle tombe, uno impalato con l’asta di un ombrellone. Chi ha potuto fare a Ilan quello che gli ha fatto da vivo, e gli abitanti del condominio che quando lo sentivano urlare per le sevizie a cui veniva sottoposto accorrevano a godersi lo spettacolo, chissà cosa potrebbe fare se, anziché una semplice stele, avesse a disposizione una tomba e un corpo. Grazie, mamma Ruth, per averlo portato in salvo.

barbara

LIBERTÉ EGALITÉ FRATERNITÉ

Boom di attacchi antisemiti dopo Tolosa. Francia sotto choc

Giulio Meotti

Due giorni fa, vicino alla scuola ebraica Beth Menahem di Villeurbanne, un sobborgo di Lione, tre ebrei con la kippah sono stati aggrediti a sprangate al grido di “sporco ebreo”. I dieci aggressori sono stati poi identificati come maghrebini. Il premier francese, Jean-Marc Ayrault, ha parlato di emergenza antisemita. Nei giorni scorsi un ebreo di Villeurbanne era stato attaccato con proiettili di gomma da un’auto in corsa.
La Francia si risveglia sull’incubo Tolosa, dove lo scorso 19 marzo quattro ebrei (un rabbino e tre bambini) sono stati assassinati da un islamista, Mohammed Merah. Finora non si conosceva l’impatto che l’attentato aveva avuto sul tessuto comunitario francese. Adesso arrivano i dati, in accordo col ministero dell’Interno francese, diffusi dal Service de Protection de la Communauté Juive, l’organismo che gestisce la sicurezza della più grande comunità ebraica d’Europa. Soltanto nei dieci giorni successivi alla strage si sono registrati in Francia 90 attacchi antisemiti.
Nove al giorno. In totale, fra marzo e aprile, 148 attentati, 43 dei quali “gravi”. Oltre agli attacchi a sinagoghe, centri comunitari, cimiteri e scuole ebraiche, ci sono gli affronti che ogni giorno gli ebrei devono subire per strada, o a scuola. Jöel Mergui, presidente del concistoro delle comunità ebraiche, ha detto che “non passa settimana senza che ci siano attacchi antisemiti in Francia”. L’artista Ron Agam ha dato la colpa agli imam: “Le autorità francesi devono fermare il lavaggio del cervello di decine di migliaia di musulmani di Francia. E’ inaccettabile che questa cultura razzista e antisemita sia tollerata da un numero significativo di musulmani”.
Il rabbino capo di Lione, Richard Wertenschlag, dove è avvenuto l’attentato, ha definito la situazione “insostenibile”. Un mese fa, nel presentare il rapporto del Kantor Center for the Study of Contemporary European Jewry all’Università di Tel Aviv, il presidente del Consiglio ebraico europeo Moshe Kantor aveva detto che l’antisemitismo in Europa è una “bomba ad orologeria”, che si tratta di una vera e propria “esplosione” di odio e persecuzione e che “il conflitto mediorientale è stato esportato in Europa”. Il 42 per cento degli attacchi sono individuali, il 20 alle proprietà ebraiche, il 18 alle sinagoghe, il 14 ai cimiteri e l’8 alle scuole ebraiche. Fra le nazioni che spiccano per antisemitismo ci sono Francia e Inghilterra, che assieme al Canada, sono i paesi in cui hanno luogo ben il 63 per cento di tutte le aggressioni antiebraiche nel mondo.
Secondo il ministero per l’Immigrazione israeliano, duemila ebrei francesi ogni anno stanno abbandonando la Francia alla volta dello stato ebraico. Avi Zana, direttore dell’Ami, l’organizzazione che fornisce assistenza a chi lascia la Francia alla volta di Tel Aviv, ha detto che potrebbe innescarsi una “fuga di massa”. Daniel Ben-Simon, parlamentare alla Knesset, ha anche scritto un libro, “French Bite”, per raccontare come gli ebrei francesi non si sentano più al sicuro. Simbolo di questa emigrazione di massa sono le acquisizioni immobiliari compiute in Israele in questi anni dagli ebrei parigini e della Provenza. Schiere di villette e appartamenti vuoti e pronti in caso in Francia la situazione volga al peggio, come a Tolosa. Il maggiore immobiliarista di Tel Aviv, Yitzhak Touitou, allo Spiegel ha rivelato che “un terzo dei miei acquirenti sono francesi”.
Il giornale israeliano Jerusalem Post, citando statistiche governative, parla di un ventisei percento di ebrei francesi pronti a partire per lo stato ebraico, dove già vivono centomila cittadini con passaporto francese. L’ex rappresentante dell’Agenzia ebraica in Francia, Menahem Gourary, parla della partenza probabile di 30- 33.000 ebrei verso Israele. Considerando lo scenario post Tolosa, il numero potrebbe drammaticamente salire.
IL FOGLIO 07/06/2012

La Francia, già, la douce France. La Francia di Dreyfus, la Francia di Vichy, la Francia di Carpentras, la Francia della tecnologia e del materiale nucleare forniti a Saddam Hussein, la Francia in cui una studentessa ebrea viene aggredita dai compagni e condannata a pagare una multa stratosferica per avere denunciato l’aggressione (Ebrea aggredita deve pagare), la Francia di Ilan Halimi, la Francia delle sinagoghe incendiate, devastate, distrutte, degli ebrei aggrediti per strada – ma guai a chiamarlo antisemitismo. La Francia, sì.


barbara