QUEL NONNO GIOVANILE DI CUI AVEVA BISOGNO L’AMERICA

Come l’ha definito Beppe Severgnini, l’intelligente, l’acuto, il perspicace, il fine osservatore politico, quello che capisce tutto: guardatelo e ascoltatelo in tutta la sua brillantezza! Biden. Il demente. Il pedofilo. Quello della corruzione in grado di fare concorrenza a quella di Hillary Clinton. Quello degli affari sporchi (molto sporchi) con l’Ucraina. Quello che si addormenta e russa mentre l’interlocutore parla. Quello che scorreggia negli incontri ufficiali. Quello che ha distrutto il confine meridionale e fatto invadere gli Stati Uniti da clandestini, spesso affetti da covid. Quello che ha fatto affondare l’economia provocando un’inflazione da record e un picco di disoccupazione. Quello del disastro afghano. E se la maggior parte delle cose che ho ricordato sono venute dopo, la demenza, caro Severgnini, c’era anche prima. La pedofilia, caro Severgnini, c’era anche prima. La corruzione, caro Severgnini, c’era anche prima. Gli affari sporchi in Ucraina, caro Severgnini, c’erano anche prima.
E ora vediamo un altro paio di cosette.

Svelati i legami della famiglia Biden con la Cina.

Sean Hannity ha elogiato l’ultimo libro di Peter Schweizer, “Red-Handed: How American Elites Get Rich Helping China Win” come “fenomenale” e “da leggere assolutamente” durante un’intervista con l’autore nell’edizione di martedì del suo omonimo show radiofonico.
Hannity ha detto che avrebbe fatto una “serie di interviste” con Peter Schweizer, presidente del  Government Accountability Institute ed ospite del Drill Down oltre ad essere un collaboratore  senior  di  Breitbart News, “per arrivare in fondo a tutta” la documentazione del libro che espone la corruzione delle élite americane rispetto al Partito Comunista Cinese (PCC).
Red-Handed esamina come la strategia del governo cinese della “cattura dell’élite” prenda di mira figure di spicco degli Stati Uniti nel mondo degli affari, dello spettacolo, della politica e della tecnologia. Il PCC si procura influenza e complicità con tali figure attraverso lo sviluppo di relazioni finanziarie.
Il libro di Schweizer documenta un caso di un membro dell’élite del PCC che “se la ride” per il compromesso del governo cinese con Joe Biden.
Hannity ha dichiarato: “Tu parli di una scena. Tu fornisci anche una data. Era il 28 novembre 2020, solo poche settimane dopo le elezioni presidenziali americane, e di come apertamente parlino dell’accesso che ora hanno ai più alti livelli del governo degli Stati Uniti, e letteralmente, i membri del politburo [e] gli ambasciatori stanno quasi ridendo del fatto che – fondamentalmente – hanno compromesso il più alto funzionario eletto degli Stati Uniti d’America“.
Schweizer ha risposto:
“Questo è stato in un incontro a Pechino che si è tenuto poco dopo le elezioni. Un accademico, che è stato anche coinvolto in alcune operazioni di influenza straniera negli Stati Uniti a Washington, D.C., si è alzato di fronte a questo gruppo [di élite cinesi] ed ha parlato di tutti gli amici che Pechino ha ora negli Stati Uniti, ed ha parlato di Wall Street – e naturalmente ho un capitolo nel libro sui titani di Wall Street che sono intimi amici di Pechino – ma a due terzi del discorso dice: “Oh, e abbiamo il figlio del nuovo presidenteHunter Biden, che ha avviato tutte queste imprese. Chi lo ha aiutato ad avviare tutte queste attività?”
“È una scena incredibile, perché questa grande folla di centinaia di alti dirigenti cinesi e funzionari governativi inizia a ridere. Sanno la risposta, ed è davvero straordinario.”
“Questo non è un libro [potremmo] arrivare in fondo [se gli] dessimo tutte le tre ore del nostro show”, ha detto Hannity del nuovo libro di Peter Schweizer Red-Handed.
Schweizer: “Pechino ha potere” sulla famiglia Biden – “Questo richiede un’indagine.
Il collaboratore senior di Breitbart News Peter Schweizer ha detto martedì ad “Hannity” della Fox News che la Cina, la Russia e l’Ucraina hanno anche “assolutamente” informazioni compromettenti  sulla  famiglia  di Joe Biden.
Schweizer ha detto: “Quello che abbiamo scoperto è che circa 31 milioni di dollari sono stati dati alla famiglia Biden da cinque individui provenienti dalla Cina“.
Ha continuato: “Questi individui hanno tutti legami con i più alti livelli dell’intelligence cinese. Così quella che è stata una storia di corruzione e clientelismo è sempre più una storia di spionaggio, spionaggio e di sicurezza nazionale”.
Schweizer ha aggiunto: “Questo richiede un’indagine. Non si tratta solo di politici che ricevono denaro dal loro ufficio”.
Sean Hannity ha chiesto: “Questo dossier su Hunter, e sapevano essere un tossicodipendente. Gli piaceva assumere donne lavoratrici della notte – Lo diremo in questo modo. Lei crede che con tutta probabilità, e che le possibilità siano molto alte, per cui la Cina, la Russia, l’Ucraina, e molti di questi paesi abbiano  compromesso la famiglia Biden?
Schweizer ha detto: “Ohassolutamentenon c’è dubbio. Guarda, se il ministero cinese per la sicurezza dello stato sta cercando di impegnarsi nella ‘cattura dell’élite‘, come la chiamano loro, con i Biden e sono stati forniti 31 milioni di dollari, lo vedrebbero come un fallimento catastrofico dell’intelligence se non avessero ottenuto almeno una leva sulla famiglia Biden. Questo è ciò che rende questo così preoccupante e che richiede un’indagine, perché se non lo facciamo, il presidente sta per basare le decisioni sui suoi interessi finanziari familiari, e sul fatto che Pechino abbia una leva sulla sua famiglia“.
Il collaboratore senior di Breitbart News Peter Schweizer ha poi detto, sempre martedì a “Stinchfield“, un programma di Newsmax TV, che “ogni singolo accordo” che la famiglia di Joe Biden ha ottenuto in Cina è stato fatto con funzionari che erano collegati ai più alti livelli dell’intelligence cinese.
Il conduttore Grant Stinchfield ha chiesto: “Una domanda per te, se puoi, molto veloce. Ci sono accuse impressionanti e fatti realmente accaduti in questo libro. Ce n’è uno che ti colpisce che non potevi credere quando l’hai scoperto?
Schweizer ha detto: “La cosa che mi ha colpito di più sono state le informazioni sui Biden. Ho trovato questa storia sul loro coinvolgimento commerciale con la Cina nel 2018.”
E ha continuato: “Quello che abbiamo fatto in questo libro è stato usare il portatile di Hunter Biden, usando le email che abbiamo ottenuto da uno dei partner commerciali di Hunter Biden. Siamo risaliti a come sono avvenuti quegli affari. E quello che abbiamo scoperto è che ogni singolo affare che i Biden hanno condotto– ed il totale è di circa 31 milioni di dollari – ogni singolo affare che hanno condotto è venuto da un funzionario in Cina che era collegato ai più alti livelli dell’intelligence cinese. Ciò che voglio dire è che erano partner di persone come il viceministro della sicurezza dello stato, le cui responsabilità includono il reclutamento di stranieri, quindi questa è stata la più grande rivelazione per me”.
Schweizer ha aggiunto: “Ecco perché credo che dobbiamo fare la domanda e indagare se i Biden sono compromessi“.
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L’elefantino, qui.

E dopo la distruzione della sicurezza statunitense, passiamo alla distruzione dell’approvvigionamento energetico.

Joe Biden è entrato in carica e, un anno dopo, abbiamo visto un 4% di surplus di produzione interna di petrolio e gas passare a ad un 4% di deficit.

Tratto e tradotto da un articolo di Stephen Moore per Fox Business.

Una volta, durante un incontro con l’allora candidato alla presidenza Donald Trump all’interno della Trump Tower sulla Fifth Avenue a New York, abbiamo discusso di politica energetica. Dissi a Trump che se ci fossimo dati da fare per produrre delle abbondanti riserve di petrolio, gas e carbone per l’America, gli Stati Uniti avrebbero potuto essere indipendenti dal punto di vista energetico in quattro anni.
Trump mi guardò da dietro la sua scrivania e scosse la testa: “Non voglio che l’America sia solo indipendente dal punto di vista energetico. Voglio che l’America sia dominante dal punto di vista energetico”.
Ci sono poche questioni in cui il presidente Donald Trump e Joe Biden abbiano differito più profondamente nelle proprie rispettive politiche come sulla produzione di energia.
Donald Trump è andato a tutta velocità sulla produzione di combustibili fossili. Ha eliminato le restrizioni alle trivellazioni, specialmente in stati come l’Alaska e sulle terre federali negli stati continentali. Ha dato il via libera ad oleodotti di vitale importanza. Ha bloccato nuovi regolamenti ambientali estremisti che avevano solamente lo scopo di soffocare le nostre forniture di petrolio e di gas. Ha riconosciuto la rivoluzione del petrolio e del gas di scisto come un’opportunità senza precedenti per ridurre la dipendenza dal petrolio straniero.
La politica energetica di Trump è stata una sorprendente storia di successo economico. Nel gennaio del 2021, esattamente un anno fa e l’ultimo mese di Trump in carica, per la prima volta da quasi 50 anni, gli Stati Uniti producevano più petrolio di quanto ne consumassero. Non eravamo più un importatore netto di petrolio dall’Arabia Saudita e dalle nazioni del cartello OPEC. Stavamo anche producendo più petrolio e gas dei russi e degli arabi.
Da quando Joe Biden è entrato in carica, un anno dopo, abbiamo visto un 4% di surplus di produzione interna di petrolio e gas scendere ad un 4% di deficit di petrolio e gas. Siamo passati dall’indipendenza energetica alla dipendenza energetica. Questo perché Biden ha dichiarato guerra all’energia americana.
Ha chiuso gli oleodotti ed ha invertito quasi tutte le politiche pro-trivellazioni di Trump. All’inizio di gennaio, Biden ha fermato le trivellazioni in centinaia di migliaia di siti petroliferi potenzialmente eccellenti in Alaska. È ossessionato dal cambiamento climatico, quindi ama l’energia eolica e solare e le auto elettriche che non consumano la benzina. Ma anche nelle ipotesi più ottimistiche, otterremo comunque la maggior parte della nostra energia elettrica, del carburante per i riscaldamenti e del carburante per i trasporti dai combustibili fossili per almeno i prossimi 25-30 anni.
L’unica domanda è se utilizzeremo i nostri combustibili fossili per tenere le luci accese e le auto in funzione da stati come Texas, Oklahoma, Nord Dakota, Wyoming, Pennsylvania, West Virginia e Ohio, oppure se li otterremo dagli arabi, dai russi, dagli iraniani e dai messicani. Dato che gli Stati Uniti hanno degli standard ambientali molto più severi di queste altre nazioni produttrici di petrolio, qualsiasi mossa per abbassare la produzione statunitense ed importare i combustibili dall’estero andrebbe ad aumentare le emissioni di gas serra. È una pessima politica economica, un pericolo per la nostra sicurezza nazionale e non è nemmeno “verde”.
Il costo economico dell’allontanamento dall’indipendenza energetica è già stimato in circa 1 miliardo di dollari di perdita di produzione economica ogni settimana e di circa 50 miliardi di dollari all’anno in meno.
La cosa peggiore di tutte (e una pietosa ed imbarazzante svolta degli eventi) ora che la produzione di petrolio è scesa a causa degli editti di Joe Biden, questo presidente va dai sauditi e dalle nazioni dell’OPEC e li prega di aumentare la loro produzione. È un occhio nero per l’America. Ci fa sembrare deboli, e ci ha reso più deboli.
I due maggiori vincitori della guerra di Biden all’energia americana sono stati il presidente cinese Xi Jinping e il presidente russo Vladimir Putin. Questi leader di nazioni che sono chiaramente nemiche degli Stati Uniti non possono credere alla loro fortuna di essersi trovati Joe Biden come presidente. Ha reso l’Europa occidentale e settentrionale dipendente da Putin per le forniture costanti di energia. Nel frattempo, in Cina, Xi dà una pacca sulla testa a Biden e promette che ridurrà i livelli di inquinamento cinese nel mentre costruisce decine di nuove centrali a carbone che bruciano carbone sporco, non pulito.
C’è qualcosa di tutto questo che abbia anche solo un briciolo di senso? Questa strategia mette l’America al primo posto? E a proposito, i numeri dell’indice dei prezzi al consumo sono appena stati rilasciati per il primo anno di mandato di Biden. I prezzi della benzina alla pompa sono aumentati del 52% in 12 mesi.
GrazieJoe.
FoxBusiness.com
Luca Maragna, qui.

E infine ci sarebbe quella piccola faccenda dell’Ucraina, che il demente e la serva Europa di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province ma bordello vogliono attirare nella NATO, ossia imporre alla Russia una potenza nemica sui suoi confini, provocando l’inevitabile – e comprensibile – reazione russa, e offrendosi poi di proteggere l’Ucraina dall’aggressore russo, e a quanto pare sta già inviando forze militari in loco. E se continua così, riuscirà davvero a far scoppiare la guerra. E i primi ad allarmarsi sono proprio gli ucraini.

Giovanni Bernardini

Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha invitato Joe Biden a smetterla di seminare panico strillando che la guerra è alle porte.
E’ un particolare che la dice lunga sulla natura del presidente americano, la cui elezione, alquanto, diciamo così… sospetta, venne salutata come “il 25 aprile del mondo” da alcuni “giornalisti”, si fa per dire, di casa nostra…

Fulvio Del Deo

UCRAINA – Lo “scoop” di ieri della Reuters (la Russia sta ammassando rifornimenti di sangue e medicinali in vista dell’invasione) è stato smentito dalla vice ministra ucraina della Difesa Anna Malyar che ha detto che “il proposito di simili notizie è seminare il panico nella nostra società”. (Notizia completa qui, attivare traduttore automatico)

E anche qualcun altro comincia a preoccuparsi e mobilitarsi.

Fulvio Del Deo

CROAZIA – Il presidente Milanovic insiste: “Per l’Ucraina non c’è posto nella Nato. La situazione al confine russo-ucraino è grave e risponde principalmente agli interessi della politica interna americana e di Joe Biden. In materia di sicurezza internazionale, Washington si comporta in modo contraddittorio e incoerente”.

E d’altra parte l’abbiamo sempre saputo che Biden alla presidenza avrebbe significato guerra; e così, dopo i quattro anni dell’unico fra l’ultima mezza dozzina di presidenti che non solo non ha cominciato nessuna guerra, ma è riuscito a portare al tavolo della pace stati che erano in guerra da sempre, abbiamo quello che riuscirà a far fare la guerra a due stati che, pur fra varie tensioni e conflitti passati, ad entrare in guerra in questo momento non ci pensavano proprio.

barbara

DENTRO E FUORI

Cominciamo dal fuori, che si fa prima.

La vera variante inglese: sui vaccini il modello è quello del “negazionista” Johnson

Vuoi vedere che aveva ragione Boris Johnson? Il piano di vaccinazioni inglese corre a tutta velocità dopo lo smarcamento di Londra dall’Unione europea e nel Regno Unito si parla di fine del lockdown, progetti per le vacanze estive, ripresa dell’economia, mentre la sterlina è ai massimi da tre anni. Un mondo di distanza rispetto a come la Commissione Von Der Leyen ha pasticciato sulle dosi e sui contratti con le case farmaceutiche: infatti mentre Israele, Regno Unito e Stati Uniti volano, Berlino, Parigi e, ahinoi, Roma restano ferme al palo.
Con oltre 18 milioni di vaccinati il Regno Unito vede la fine del terzo lockdown, istituito ormai due mesi fa, dopo la scoperta della cosiddetta “variante di Kent”, e l’allentamento delle restrizioni introdotte per contenere il Covid. Prime tra tutte il rientro a scuola a partire dall’8 marzo. Dal 29 marzo sarà possibile incontrare fino a 6 persone diverse da quelle del nucleo famigliare. Misure prese con cautela ma che segnano un parziale ritorno alla normalità. Nei mesi scorsi il leader Tory era stato sottoposto a pesanti critiche che avevano fatto salire la tensione in un partito in maggioranza anti-chiusurista. Tra i membri del Covid Group si era parlato anche di sfidare la leadership di BoJo. Steve Baker aveva prima scritto una lettera in cui paventava un nuovo contest per stabilire un percorso che avrebbe portato a sfidare Johnson, e poi aveva ritrattato sostenendo che Johnson fosse la migliore guida per i Conservatori in questo momento.
Il successo del piano vaccini ha riportato i Conservatori in vantaggio di 5 punti nei sondaggi, una cosa che non si vedeva da prima dell’estate. Mentre allo scoppio della pandemia il premier appariva titubante e quasi restio a prendere delle decisioni gravi ma per il bene del Paese, ora Johnson appare come un leader lungimirante, che aveva visto prima di tutti come le vaccinazioni fossero l’unica via d’uscita dalla pandemia. Dalla leadership nel Gavi a quella nel G7 – dove il Regno Unito si è anche speso per la fornitura dei vaccini in esubero ai Paesi in via di sviluppo – il “modello inglese” sta facendo il giro d’Europa, tanto che pare che pure il neo presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, guardi a Londra per dare un’accelerata al piano italiano.
Sembrano passati secoli da quando il Guardian titolava “Con la Brexit i vaccini arriveranno in ritardo nel Regno Unito”, e la stampa europea accusava, ingiustamente, Johnson di “negazionismo”, deridendo il suo piano vaccini con titoli come “Gli scimpanzè rigettano i vaccini di Johnson” (sic). Ora anche gli inglesi più filo-europei stanno iniziando a vedere il lato positivo dell’uscita dall’Unione europea.
Johnson è lieto di passare la palla della crisi interna a Sir Keir Starmer, il leader del Labour. Starmer è apparso sulle tv britanniche per tutto il week-end, dalla Bbc a Sky News, per ribadire la credibilità della sua leadership e del suo nuovo corso centrista, post-Brexit e patriottico. All’interno del movimento il rinnovo nelle cariche del maggiore sindacato affiliato ai laburisti, Unite, sta mettendo sul piede di battaglia la sinistra che si rifà all’ex leader Jeremy Corbyn. Starmer, che in aprile festeggerà il suo primo anno da Leader dell’Opposizione, sembra faticare a tenere insieme riformisti che si ispirano alla Società Fabiana e a Compass, e i radicali come l’ormai ex leader di Unite, Len McCluskey. Un report interno al Labour avverte: per vincere nel 2024 servirà un miracolo.
Daniele Meloni, 22 Feb 2021, qui.

Un miracolo, o delle miracolose macchinette da voto: funzionano che è una meraviglia.
E passiamo al dentro. Dentro la famigerata UE, ovviamente.

Un anno di Covid in Italia e i nemici della libertà sono sempre gli stessi: il virus, la paura e gli ipocriti

La notte del 21 febbraio 2020 viene accertato il primo caso italiano di positività al Sars-Cov-2: Mattia Mestri, 38 anni, ricoverato all’ospedale di Codogno.
Di lì a poche settimane, l’Italia avrebbe affrontato un evento di portata storica, senza dubbio il più drammatico dall’inizio della storia repubblicana: il lockdown.
In un primo momento, la misura viene circoscritta a determinate zone con un indice di trasmissibilità (Rt) stimato tra 2 e 3 (l’intera Lombardia insieme a molte province emiliane, venete e piemontesi), interessando un totale di circa 15 milioni di italiani. 
Nonostante tutto, ben presto ci si accorge dell’inefficacia dei provvedimenti. Nella notte tra il 7 e l’8 marzo, esattamente alle 2.30 e dopo ore di panico che hanno portato folle di italiani a salire su qualsiasi treno diretto verso Sud, il premier Giuseppe Conte decide di estendere le restrizioni a livello nazionale, ufficializzando il lockdown totale nazionale l’11 marzo.
Si può uscire – rigorosamente con autocertificazione alla mano – solo per comprovate esigenze di lavoro, di salute e per andare al supermercato. Qualsiasi evento pubblico è sospeso ed il motore produttivo del Paese viene spento.
Nonostante le iniziali rassicurazioni – il 27 gennaio Conte si presentava in televisione da Lilli Gruber esclamando il celebre “siamo prontissimi!” – nulla era stato pianificato: non ci sono mascherine, respiratori, camici, il piano pandemico è aggiornato al 2006 e le strutture sanitarie sono impreparate. 
Solo pochi giorni prima, i memorabili hashtag – ben presto scomparsi dai social – #AbbracciaUnCinese e #MilanoNonSiFerma, accompagnati dall’aperitivo a Milano del segretario del Pd Nicola Zingaretti (tra i primi politici a contagiarsi) e dalle foto al ristorante dei sindaci di Bergamo e Cremona, rispettivamente Giorgio Gori e Gianluca Galimberti. 
In questo contesto, il presidente della Lombardia Fontana, subito dopo la notizia della positività di una sua collaboratrice, appariva in un video indossando una mascherina chirurgica. Inutile ricordare le reazioni di giornali e politica: ondate di sdegno e Fontana colpevolizzato per aver contribuito a diffondere l’immagine dell’Italia come “Paese untore”.
Come ben sappiamo, pochi giorni dopo sarebbe cominciata la caccia mediatica (e non solo) all’untore senza mascherina, al runner e a chi portava a spasso il cane oltre 200 metri da casa.
Al di là di questi incredibili scivoloni ormai passati nel dimenticatoio, il coronavirus non ha innescato solamente la più grande crisi sanitaria dalla fine del secondo conflitto mondiale, ma ha creato una fortissima saldatura tra i due più grandi traumi del XXI secolo: l’attentato alle Torri Gemelle e la crisi economica del 2008.
Il primo fu un atto sconvolgente che mise a nudo le fragilità – anche della più grande democrazia occidentale – sul piano della sicurezza, mentre il crash finanziario certificò le nostre debolezze sotto il profilo economico (tristemente celebre è la foto del pensionato greco che piange davanti ad una banca di Salonicco).
La pandemia riassume malvagiamente il tutto: la facile perdita della libertà e della sicurezza, uno shock sanitario senza precedenti, un tracollo economico che ha trascinato nel baratro 500.000 imprese, oltre ad un milione di italiani che si trovano oggi in povertà assoluta. Dopo un anno di pandemia, i nemici sono sempre gli stessi di 12 mesi fa: il virus e la paura.
Matteo Milanesi, 22 Feb 2021, qui.

No, caro Milanesi: IL nemicO è sempre lo stesso: il governo. E dopo 13 mesi di dittatura terrorista sarebbe ora che ci ribellassimo davvero, altro che mettere a Palazzo Chigi un’altra marionetta al posto della marionetta di prima da parte del burattinaio di sempre. E per l’Italia

barbara

LO SCENARIO CHE SI PROSPETTA

Cominciamo coi programmi esplicitamente dichiarati.

I “democratici” sognano già il pogrom contro i trumpiani

Joe Biden ha vinto le elezioni. Sarà “il presidente di tutti”, assicura lui. Speriamo. Lo dovrebbe spiegare soprattutto ai suoi compagni di partito. Quelli che ora si lamentano del Donald Trump eversivo, che non riconosce il vincitore, dopo che per tre anni hanno cercato di cacciarlo dalla Casa Bianca con la bufala della sua vittoria frutto di un trucco dagli hacker russi.
Quelli come Alexandria Ocasio-Cortez, la deputata progressista che piace alla gente che piace. La quale, ancor prima che i principali media Usa attribuissero Nevada e Pannsylvania a Biden, già proclamava la sua sete di vendetta. Così, su Twitter: “Qualcuno sta prendendo nota degli adulatori di Trump per quando proveranno a tirarsi indietro, o negheranno in futuro la loro complicità?”. Chiaramente Twitter, che ha battuto il record di censure nei confronti del candidato sconfitto, non ha nulla da ridire su questa chiamata alle armi.
Precisamente, cos’è che vuole, la signorina? Liste di proscrizione? La pubblica gogna? Visite a domicilio con annesso rogo, come facevano in Italia i partigiani a guerra finita? La revoca dei diritti politici per i complici del regime di destra? Il pogrom dei trumpiani?
Ce lo chiediamo, perché se Biden vuole essere il presidente di tutti gli americani, se i suoi avversari non sono nemici, questi campioni di democrazia dovrebbe isolarli. E invece, ne ha nominata una sua vice alla Casa Bianca.
Del resto, la sinistra che ormai ha trovato il suo motore ideologico nella guerra permanente delle minoranze, appositamente rieducate al rancore, ragiona così ovunque. Anche da noi. Dove, nel clou della crisi da coronavirus, che ammazza i malati e pure gli imprenditori, la maggioranza giallorossa, quella che sostiene un governo incapace di riorganizzare gli ospedali e convinto di “ristorare” i lavoratori distribuendo briciole, ha urgentemente approvato la legge anti omofobia.
Già ce lo vediamo, il crescendo rossiniano. Partono con la scusa dei crimini d’odio, poi stilano la lista dei collaborazionisti del sovranismo, infine ti sbattono in galera per le tue opinioni. E chissà se si accontenteranno. Non esagerare – direte – ci protegge la Costituzione. Sicuri? Avete visto che è bastato un microrganismo, per ridurla a carta straccia?
Alessandro Rico, 8 novembre 2020, qui.

E passiamo ai pericoli concreti.

Le 3 insidie di una presidenza Biden

Man mano che passano le ore, diventa sempre più probabile che Joe Biden la spunti. A meno di un colpo di coda di Donald Trump e al netto di ricorsi e riconteggi delle schede, il senatore settantasettenne dovrebbe diventare il quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti. Il suo mandato potrebbe riservare sorprese positive, ma nasconde anzitutto delle insidie. Eccone tre, le più allarmanti.

Più polarizzazione
La coppia Biden-Kamala Harris è quella più votata nella storia delle elezioni americane. Un’ottima premessa, se l’intento del democratico è di pacificare un’America divisa, che probabilmente – visto anche il record di affluenza, la più alta degli ultimi 120 anni – ha concepito questo voto come un referendum su Trump. Nel discorso con cui di fatto anticipa la vittoria finale, Biden ha pronunciato una frase molto bella: “Dobbiamo smetterla di trattare i nostri avversari come nemici. […] Io ho fatto campagna da democratico, ma governerò da presidente americano”.Il problema è che questo nobile progetto cozza con quello che è il motore ideologico della sinistra: la cosiddetta “politica delle identità”. Un’ideologia che alimenta il rancore delle minoranze, facendo leva sul conflitto permanente. E che ha offerto alla destra trumpiana un assist per raccogliere il senso di accerchiamento della maggioranza silenziosa, innescando un circolo di azione e reazione. La polarizzazione della società Usa viene da lì.I democratici sono dunque disposti a rinunciare alla politica delle identità? Biden lo ha spiegato alla sua vice, la Harris, che su questa modalità ha costruito la propria carriera? E agli Obama? Di sicuro, la debolezza di Sleepy Joe, tanto moderato quanto privo di spina dorsale, non lo mette al riparo dal pericolo di trasformarsi nel burattino della sinistra radicale.E non lo aiutano, nel proposito di pacificazione nazionale, neppure le polemiche che accompagneranno la sua elezione – e delle quali non si può dare la colpa a Trump, che ha tutto il diritto di chiedere verifiche sul voto e che, a sua volta, è stato sottoposto a un costante fuoco di fila da parte dello schieramento opposto, culminato nel tentativo di farlo fuori tramite impeachment.Ancor più complicato sarebbe lo scenario in cui i democratici non fossero in pieno controllo del Senato, con la Corte Suprema già a schiacciante maggioranza conservatrice. Ne risulterebbe una presidenza dimidiata, incalzata a destra dal trumpismo, al quale il Partito repubblicano è ancora lungi dal trovare un’alternativa, e a sinistra dai movimenti estremisti. I vari Antifa e Black lives matter possono essere tenuti a bada per un po’, ma non rimarranno eterni burattini nelle mani dei democratici. Se la Casa Bianca non concretizzerà almeno una parte della loro agenda, è probabile che le si rivolteranno contro. Se lo farà, d’altronde, le sarà difficile stemperare il clima da guerra civile razziale, su cui l’asinello blu soffia da decenni.

La resa al Dragone
La seconda insidia ha a che fare con l’atteggiamento di Washington nei confronti della Cina. Il Dragone, come l’Unione sovietica, è considerato univocamente, da repubblicani e democratici, un avversario strategico. Ma come sarà condotta la nuova guerra fredda dipende da una cornice teorica. In sostanza, o si mira a ridimensionare la Cina, neutralizzando l’impatto del suo funambolismo sul sistema globale, oppure ci si rassegna a gestire ed edulcorare il declino degli Usa.Trump, al netto della distorta narrazione mediatica di questi anni, è stato piuttosto bravo nell’alzare i toni quando era opportuno, costringendo Pechino a sedersi al tavolo delle trattative e a placare la propria aggressiva concorrenza internazionale. The Donald è notoriamente un ottimo negoziatore e lo ha dimostrato in varie occasioni, dagli accordi di Abramo al dialogo con la Corea del Nord. Punta a 10, spara a 100 e magari porta a casa 50.Viceversa, il timore è che Biden propenda per l’altro approccio. Che è perdente in partenza, esattamente come lo sarebbe stato, sul lungo periodo, il tentativo americano, negli anni Settanta, di congelare i rapporti di forze con l’Urss, nella convinzione che l’America non potesse confidare né in una sconfitta militare, né in un tracollo politico dei sovietici. Ci volle la muscolarità di Ronald Reagan, per soggiogare l’“impero del male”. Gli Stati Uniti rimangono militarmente, tecnologicamente ed economicamente più forti del Dragone, che d’altro canto non ha pretese egemoniche e punta essenzialmente al riscatto nazionale, entro i cento anni dalla rivoluzione maoista (2049).L’Occidente si è già fatto sfuggire il potenziale treno anticinese della pandemia. S’è svegliato in un mondo in cui Pechino ha disseminato pedine fondamentale in tutte le istituzioni multilaterali. Giocarsi le proprie carte su un appeasement, per Washington (e per i suoi alleati), sarebbe esiziale.

La globalizzazione
Governare la globalizzazione è diventato imperativo. Non saranno la sconfitta di Trump e gli smacchi dei populisti in Europa a dimostrare che, tutto sommato, quella sovranista era solo una parentesi. Le nazioni rimangono centrali, gli Stati stanno riemergendo quali istituzioni tutt’altro che superate. E non è stato ancora risolto il problema delle classi medie occidentali, danneggiate dalla religione globalista.Su questo, la ricetta di Biden appare molto lacunosa. Il candidato democratico dovrebbe aver in parte riconquistato l’operaia muraglia blu del Midwest, ma è anche del tutto subalterno all’agenda ambientalista, uno dei grimaldelli globalisti per cui è passata la distruzione dell’industria. Con costi umani elevatissimi: quelli che, nel 2016, spostarono verso il rosso il tradizionale blue wall.Biden è pronto a riportare gli Usa pienamente nell’alveo delle liturgie mondialiste: Oms, trattati internazionali, liberoscambismo. Aver ignorato che il paradigma ereditato dagli anni Novanta è decotto è stata una delle cause del tracollo della sinistra occidentale. Se il probabile presidente Usa decidesse di voltarsi dall’altra parte anche stavolta, danneggerebbe il Paese e il suo stesso partito. Specie con la Corte Suprema ostile, un Senato malsicuro e una vittoria molto meno convincente delle aspettative, oltre che contestata. Così, per la sinistra, Biden finirebbe per essere il canto del cigno.
Alessandro Rico, 5 novembre 2020, qui.

Per non parlare di quello che accadrà al Medio Oriente e al lavoro pazientemente portato avanti da Trump per porre fine a uno stato di guerra che durava da quasi un secolo. Qualcuno poi, comprensibilmente, si chiede quanto tempo ci metterà Biden a porre rimedio a questa anomalia:

Passando alle chiacchiere da mercato del pesce, leggo da Giovanni Bernardini che

Un giornalista delle sempre più incredibili reti Mediaset ha twittato: “che farà Melania? Si mette sul mercato?”

Come prostituta, intende dire? Caro signor giornalista, non si dovrebbero misurare gli altri col proprio metro: il fatto che VOI siate dei prostituti non significa che anche il resto del mondo lo sia. Qualcun altro invece insinua che voglia divorziare: forse ignora che la signora Melania non ha sposato un presidente, pensando magari che lo restasse a vita, e pronta quindi a lasciarlo quando dovesse smettere di esserlo: lo ha sposato 15 anni fa, quando la politica era lontanissima da lui. E leggo ancora, sempre da Giovanni Bernardini, che

Un altro della “Stampa” ha definito la vittoria (salvo verifiche) di Biden il 25 APRILE DEL MONDO.

Cioè Trump = Hitler, guerre su mezzo pianeta, decine di milioni di morti, razzismo a manetta, un continente in macerie… E che dire dell’ineffabile Severgnini?

Ineffabile in senso letterale: non si trovano parole per commentarlo.
Io comunque non ho ancora perso la speranza che la catastrofe si possa scongiurare.
Un’ultima cosa, dedicata a quelli che sanno esattamente che tipo di persona è Trump, perché si informano

barbara

CASSANDRE

È così che le “persone di buon senso” chiamano coloro che lanciano allarmi e preannunciano catastrofi imminenti: cassandre. Con irrisione. Con disprezzo. Con il senso di superiorità di chi, sentendo gridare al lupo, sa che il lupo non c’è, e si sente quindi in diritto di sbeffeggiare chi invece di godersi la vita sta lì a lanciare oscure profezie. Fanno di tutto, costoro, per dimenticare che Cassandra non era una povera demente. Fanno di tutto, costoro, per dimenticare che non una delle catastrofi preannunciate da Cassandra ha mancato di verificarsi. Fanno di tutto, costoro, per dimenticare che non uno di coloro che la sbeffeggiavano è scampato, quando la catastrofe è puntualmente arrivata. NON UNO.
no-Gronda
barbara

UN INTERO VILLAGGIO

Quello adottato da Israele.

Un villaggio nepalese da “adottare”. Ricostruendolo dalle fondamenta, ripristinando i servizi di base e anche quelli accessori, prestando soccorso alla popolazione, mostrando il volto di un’umanità che non torce lo sguardo altrove ma è impegnata per alleviare le sofferenza di chi ha perso tutto in pochi secondi. È la nuova sfida di Israele, già in prima fila da giorni nell’azione di assistenza straordinaria attivata poche ore dopo il sisma. “Quando nella storia recente si sono verificati cataclismi naturali Israele c’è sempre stato. Siamo stati ad Haiti, in Giappone e in Turchia. Siamo e resteremo ancora a lungo in Nepal” ha affermato il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. L’adozione del villaggio nepalese, che verrà individuato nei prossimi giorni, prevede un’azione intensiva sul territorio che si svolgerà nell’arco di alcuni mesi, concertata direttamente con il governo centrale di Katmandu. “Appena la situazione sarà maggiormente stabilizzata, ci confronteremo con il governo e con i nostri professionisti così da individuare la strada più efficace da percorrere”, conferma il direttore generale del ministero Nissim Ben Shitrit. (qui)
Israele in Nepal

E questi qua, pensa un po’, non solo non ci pensano minimamente a boicottare, ma ringraziano pure. E in ebraico, per giunta.

Qui le spiegazioni per chi non sa l’ebraico. Se non sai neanche il francese fattelo tradurre da bing o da google translate, però potresti anche darti da fare e studiarlo, eh!

barbara

E DOPO UN ATTIMO DI TREGUA

Dopo il doveroso attimo di tregua (ogni tanto bisogna pur tirare il fiato) torniamo a calarci nella drammatica realtà dei nostri giorni: sto parlando della tragedia che si è consumata a Ginevra, per commentare la quale penso che la cosa migliore sia cedere la parola a Ugo Volli.

Finalmente siamo arrivati a Monaco
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,
ve lo avevo annunciato con un paio di settimane di anticipo per via dell’imprevisto intervento francese, ma stavolta, con la firma degli accordi di Ginevra, l’Impero americano è veramente morto. Dopo aver tentato di “guidare da dietro” la guerra alla Libia, col risultato che si è visto, la dissoluzione del paese in parti tribali e la reintroduzione della Shari’a; dopo essersi ritirato precocemente dall’Iraq, con un identico risultato e in più l’egemonia iraniana; dopo aver tentato di instaurare un regime islamista in Egitto e regalato alla concorrenza russa, ora l’Egitto tornato su una strada di laicità (non ditemi che c’entra la democrazia, perché le elezioni che hanno eletto Morsi erano chiaramente taroccate); dopo aver fatto giravolte infinite sulla Siria minacciando un intervento, poi riducendolo a “piccolissimo”, infine cedendo alla Russia, grande protettrice di Siria e Iran; adesso Obama cede su una politica trentennale di contenimento e lascia agli ayatollah mano libera in Medio Oriente.  Il risultato sarà un Iran economicamente ricco, senza più vincoli nel procurarsi le armi, in condizione di produrre la bomba atomica in tre settimane, per nulla pacificato nei confronti di Israele.
Un disastro: l’8 settembre americano. Tutti a casa, ma non la fine della guerra, bensì il suo inizio.
Quando cadono gli imperi, o si suicidano, come in questo caso, non succede un’idilliaca libertà generale, ma la legge della jungla. Tutti si armano (in questo caso tutti in Medio Oriente si forniranno di un armamento nucleare) e ciascuno combatte per sé.
Lasciatemi spiegare il punto fondamentale, che i giornali non hanno mai raccontato, tutti intenti a cantare le lodi della pace raggiunta, come facevano in Inghilterra nei confronti di Chamberlain che tornava da Monaco con un accordo in cui cedeva a Hitler la Cecoslovacchia.
Il punto è l’arricchimento dell’uranio. Dovete sapere che l’Uranio si presenta in natura in diversi isotopi, cioè sostanze che hanno le stesse proprietà chimiche, ma diversi comportamenti fisici. L’isotopo di peso atomico 238 è il 99% ed è fisicamente inerte. Quello di peso atomico 235 è radioattivo, cioè tende a spaccarsi spontaneamente emettendo neutroni ed energia.
Anche se è colpito da un neutrone, un atomo 235 si scinde. È dunque possibile un processo a catena, che dipende dalla massa del materiale e dalla percentuale di presenza dell’isotopo 235. Le centrali nucleari tradizionali funzionano con qualche tonnellata di uranio, in cui la presenza del 235 è arricchita al 2 o 3 %, “moderata” da acqua e grafite; dal 20% in poi vi sono le condizioni perché il processo diventi esplosivo, ma con l’arricchimento al 90% bastano 50 chilogrammi per una bomba atomica, che viene fatta brillare con dell’esplosivo tutto attorno che la fa implodere e concentrare abbastanza perché il processo porti all’esplosione nucleare che conosciamo.
Vedete che il processo di arricchimento è decisivo; esso si compie di solito con delle centrifughe che separano gli isotopi in base al loro peso. Dato che la separazione è proporzionale, la parte difficile è portare la concentrazione al 20%, l’arricchimento ulteriore è facile e veloce. Non vi sono praticamente  usi civili per l’uranio arricchito oltre il 3%.
L’Iran afferma il suo diritto ad arricchire l’uranio quanto vuole (il che significa armarsi di bombe atomiche). Il trattato gli impone di arrestare l’arricchimento, ma non di smantellare le sue 18.000 centrifughe, solo di fermarle.
Si è calcolato che rispetto alla massa di uranio arricchito che dichiara, bastano 3 settimane per avere la quantità di materiale fissile necessario per una bomba. Questo senza contare i siti clandestini che continuano a essere scoperti (e chissà quanti ce ne sono).
In sostanza le sanzioni vengono tolte in cambio di una sospensione ovviamente reversibile, alla soglia della bomba atomica, raggiungibile in pochissimo tempo una volta che la comunità internazionale abbia altro da fare. Un accordo di sospensione del genere fu fatto nel 2004 con la Corea del Nord, e dopo tre anni i coreani fecero esplodere la loro prima atomica. A modo loro, del resto, gli ayatollah sono onesti: sono passati appena un paio di giorni dacché il vero capo dell’Iran (che non è il bravo attore comico Rohani, ma la “guida suprema” che in tedesco si traduce Führer), ha detto che Israele è un “cane rabbioso” destinato a essere soppresso).
Chiaro, no, che cosa vogliono farsene del loro uranio arricchito? Pur di andarsene a casa, l’America di Obama ha fatto agli ayatollah un “incredibile regalo di Natale“, come ha detto Netanyahu e in sostanza ha certificato la propria uscita dal Medio Oriente, e con ciò la fine del “secolo americano”. Obama stesso aveva dichiarato questo programma all’Onu a settembre, con un discorso in cui annunciava al mondo il suo bye-bye. Senza essere complottisti e pensare che queste scelte derivino da un’appartenenza islamica su cui spesso si è parlato , è chiaro che vi è una base ideologica per lo smantellamento dell’Occidente (che da un secolo è il nome collettivo degli alleati dell’impero americano).
Di fine dell’impero parlano con soddisfazione da tempo gli intellettuali della sinistra americana e lo scenario è spesso stato analizzato nel dettaglio. Ora siamo arrivati alla sua certificazione ufficiale. Non rallegriamoci però noi europei. Perché la nostra pace durata quasi settant’anni è stata garantita dall’ombrello americano che per noi ha, per esempio, contenuto le pretese russe e ha reso impossibile una guerra fra gli alleati. Ora l’ombrello non c’è più e la pioggia farà presto a raggiungerci.
Da Sudest, dove l’aggressività islamica non si fermerà certo più alla lenta invasione degli immigrati; e da Est, dove la Russia è impaziente di riconquistare il suo impero continentale. A questa svolta è assai più preparato Israele, che sa da sempre di doversi difendere, di un’Europa che si sogna accogliente e disarmata.
Meno di un anno dopo gli accordi di Monaco, quando un trionfante Chamberlain fu acclamato per aver ceduto a Hitler, scoppiava la seconda guerra mondiale. Che il cielo non voglia che anche a noi sia riservata la stessa sorte. (Ugo Volli su Informazione Corretta; qui qualche altro importante dettaglio)

Il Patto di Monaco, di 75 anni fa, ha aperto la porta alla seconda guerra mondiale, che è costata oltre settanta milioni di morti. E non c’era, allora, la bomba atomica (la somma dei morti di Hiroshima e Nagasaki rappresenta lo 0,2% del totale dei morti a causa della guerra): il solo pensare alle possibili conseguenze di questa nuova capitolazione, mette i brividi (io, personalmente, sono terrorizzata). Sembra, per fortuna, che Israele non sia del tutto sola a fronteggiare l’apocalisse che si avvicina, ma questo non basta certo a farci dormire sonni tranquilli.

NB per i lettori: se per caso coltivaste la bizzarra idea che difendersi dall’annientamento sia un diritto, se per caso foste dell’assurda opinione che uno stato abbia il dovere di difendere i propri cittadini, se per caso foste così folli da pensare che sia giusto cercare di restare vivi, ebbene, signori, VOI SIETE NAZISTI, sappiàtelo (nei commenti alla fine del blogroll).
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barbara