CHE POI IL 27 GENNAIO

È stato anche il terzo anniversario del mio incidente, quello con le ginocchia tumefatte e i cavallucci marini e che no, non poteva andare peggio.
A tre anni di distanza posso provare a fare il punto della situazione.
Le gambe sono pesantemente disastrate, ci sono zone necrotizzate e vari punti che solo a sfiorarli quasi svengo dal dolore. Le ginocchia sono e restano distrutte. Seguendo il consiglio del marito della mia fisioterapista di Brunico, quando a un anno e mezzo dall’incidente la sensibilità ha cominciato a diminuire leggermente (e io ho smesso di dover girare in minigonna ogni volta che cambiava il tempo perché lo sfioramento del tessuto mi provocava un dolore insopportabile) ho preso a spazzolare con uno spazzolino di tasso spalmato di gel morbido le cicatrici cordoniformi grosse un dito, che nel giro di un anno si sono via via appiattite, pur restando dolentissime e notevolmente deturpanti. Contemporaneamente ho lungamente massaggiato le ginocchia con l’olio, e la pelle rattrappita dalla fitta ragnatela di cicatrici sottili si è, nel giro di un mezzo anno, ammorbidita e distesa abbastanza da permettermi almeno di accucciarmi, visto che di inginocchiarmi non se ne parla proprio, neanche su un cuscino.
La cartilagine del naso frantumata e rattoppata alla meno peggio, continua ad essere un problema: un mese fa, per dire, l’estetista nell’affrontare con forse eccessiva energia un punto nero, me l’ha rotta in due punti, scatenandomi un urlo belluino, e tuttora scrocchia e fa un male cane (male ha sempre continuato a farmene, comunque).
I tremendi problemi neurologici che si erano presentati subito dopo l’incidente, sono sostanzialmente risolti, ma mi è rimasta una certa difficoltà a concentrarmi intensamente su qualcosa per più di una decina di minuti (ma anche di concentrarmi blandamente per tempi lunghi), sono diventata ancora più ipersensibile ai rumori di quanto già non fossi prima, e in particolare ho problemi col telefono, perché la voce che mi entra direttamente nell’orecchio mi disturba notevolmente e dopo un po’ mi fa entrare in uno stato semiconfusionale.
Ho dovuto subire, tre mesi e mezzo dopo l’incidente, un intervento ginecologico a causa dell’ematoma – che aveva lasciato coaguli che ad un certo punto avevano cominciato a infettarsi provocando un ascesso – che l’atterraggio di faccia sull’asfalto dopo il volo di parecchi metri mi aveva causato, e del quale al momento non mi ero accorta.
Dall’assicurazione del mio investitore, come risarcimento danni, a fronte di spese documentate (e naturalmente ce ne sono sempre altre non documentabili) per oltre 3600 euro, con almeno un mese di sostanziale invalidità, molte settimane di dolori disumani, mesi di dolori solo vagamente umani, danni permanenti eccetera, ho ricevuto in tutto 6000 euro. Che se sapevo così quasi quasi non mi facevo neanche investire.
Poi, quando stavo cominciando a riprendermi, è iniziata tutta la serie di guai che in parte (in minuscola parte: questo dopotutto è un blog, mica il muro del pianto) conoscete anche voi. In compenso ho avuto la ventura, da quando mi sono trasferita qui, di incontrare ben quattro medici meravigliosi (equamente distribuiti: due uomini e due donne – e pazienza se in questo modo violo le norme delle teorie gender) per cui almeno qualche conforto ce l’ho.

E dunque – considerando poi che quell’incidente potrei anche non essere qui a raccontarlo – rallegriamoci con un buon bicchiere di vino: bicchiere che, come possiamo chiaramente capire dal suono degli strumenti, si va rapidamente moltiplicando. D’altra parte, sempre meglio un bicchiere in più che uno in meno, soprattutto se consideriamo che brave persone come Hitler e Beria non bevevano, non fumavano ed erano vegetariane.

barbara

 

UN PO’ DI ROBE

La bambina. Mamma bianca, papà nero, lei mulattina, sui due anni, un bijou. Veniva verso di me mentre stavo andando a fare colazione; in questi casi io mi fermo, per non mettere il bambino in condizione di venirmi a sbattere addosso, o di dover bruscamente scartare. Arrivata davanti a me si è fermata anche lei, con la testa in su per guardarmi in faccia. Ho allungato le braccia, lei ha alzato le sue e l’ho presa in braccio. Le ho fatto un po’ di coccole e poi l’ho rimessa giù, le ho fatto ciao ciao e mi sono riavviata verso il ristorante. Dopo qualche passo, sentendo i genitori parlottare e ridacchiare, mi sono girata: si era di nuovo allontanata da loro e mi stava seguendo. Allora le ho teso la mano e lei me l’ha saldamente afferrata; ho fatto ancora qualche passo, poi sono tornata indietro fino a suo padre, a cui ha dato l’altra mano, e lentamente ho staccato la mia (con bambini e animali, innocenti e senza malizia, in effetti, sono sempre in perfetta sintonia. È con gli adulti che mi capita, a volte, di avere problemi).

L’acquazzone. Un vero, autentico acquazzone tropicale. Sì, lo so che roba così c’è anche da noi, ne ricordo uno a Roma, nel luglio dell’86, che gli acquazzoni tropicali gli facevano una pippa, e un nubifragio, sempre a Roma nel dicembre dello stesso anno, che ha bloccato Fiumicino per un’ora intera, per non parlare di questo, ma insomma ragazzi, un acquazzone tropicale è pur sempre un acquazzone tropicale, e io me lo sono proprio goduto.
acquazzone 1
acquazzone 2
acquazzone 3
acquazzone 4
Che poi anche lì mi è andata bene da tutti i punti di vista: avevo visto in internet che la media, in quel periodo, è di 7-8 giorni di pioggia al mese, e quindi per due settimane avevo calcolato tre o quattro giorni, e invece ne ho avuti solo due, giusto quello che ci vuole per prendersi un momento di pausa e prendere un paio di foto da esibire.

Le cicatrici. Su raccomandazione della fisioterapista, ci ho schiaffato sopra una tonnellata di sunblock; ciononostante mi sono diventate di un bel color vinaccia. Quella sul ginocchio destro è praticamente un bassorilievo di un cavalluccio marino in grandezza naturale.
gin-dx  cavalluccio marino
Il mistero del WC. Il buco di scarico era molto piccolo, direi meno della metà del nostro, e lo scroscio dello sciacquone durava circa due secondi per la mandata completa e circa uno e mezzo per quella ridotta, e la ricarica non durava più di una dozzina di secondi, a riprova del fatto che l’acqua usata era davvero poca. E, incredibile ma vero, era sufficiente. Anche in un paio di occasioni in cui mi sono resa protagonista di una produzione decisamente sovrabbondante, è stato ugualmente sufficiente. All’arrivo avevo notato con un certo disappunto l’assenza dello scopettino, ma in effetti in due settimane non mi è mai accaduto di sentirne la mancanza.

Poi ho beccato anche un matrimonio
matrimonio
con una sposa che faceva concorrenza a Jennifer Lopez
culo sposa
E poi il mare, col suo oro
oro 1
oro 2
e col suo argento.
argento
barbara