Tradotto: co uno ze mona, zé mona. E il signor Gramellini modestamente lo nacque e lo è.
Laura ciao
Se alla tv spagnola Laura Pausini avesse cantato «Bella Ciao», oltretutto a meno di due settimane dal voto, i politici e i commentatori di destra le avrebbero dato della comunista e oggi tirerebbero fuori le foto di lei che serve i tortellini a qualche festa dell’Unità o i ritagli di giornale del maggio scorso in cui i profughi cubani la definivano filo castrista [processo alle intenzioni, nonché proiezione sulla controparte delle abituali attitudini della propria parte]. Poiché invece si è rifiutata di farlo per evitare strumentalizzazioni di parte, è stata strumentalizzata da entrambe le parti, con la destra che adesso la considera Giovanna D’Arco e la sinistra Claretta Petacci [BUM! Qualcuno ha sentito in giro qualcosa del genere? Il signor Gramellini non deve confondere il proprio cervello col baco con quello della gente normale].
Con maggiore prontezza di spirito, ma non è facile averla in certi momenti, forse avrebbe potuto intonare quella meravigliosa canzone dedicandola al popolo ucraino invaso da Putin [nel senso che sarebbe stata una buona idea dedicare Bella ciao ai nazisti? Nel senso che anche girandola così avrebbe in ogni caso dovuto cantarla? E non sfiora l’eccelsa mente del Nostro l’idea che potrebbe non avere fatto questa cosa non per mancanza di prontezza di spirito – altra illazione del tutto gratuita – bensì perché è un’idea troppo stupida per poter venire in mente a una persona normale?]. Avrebbe sparigliato le carte [forse sfugge al mona di turno che Laura Pausini fa di mestiere la cantante, non la sparigliatrice di carte] e spostato un po’ il tiro [spostato il tiro in che senso? Spostato quale tiro?], mentre la decisione di non cantarla le ha tirato addosso accuse di vigliaccheria e di fascismo che francamente appaiono esagerate [e sei riuscito a sbagliare anche questa: non sono esagerate, sono totalmente prive di fondamento: sono due cose diverse. Lo so che per certe menti è un concetto difficile, quindi non lo dico nella speranza che tu possa capire: lo dico e basta, semplicemente perché è così, e questo va detto].
«Bella ciao» inneggia all’amore e alla libertà [La libertà ok, ma l’amore dove sta esattamente nella canzone? Non dirmi che fumi roba così forte da darti addirittura le visioni], e chi ne ha fatto la colonna sonora della propria esistenza dovrebbe riconoscere a tutti la libertà di cantarla o di non cantarla, senza sottoporre l’una o l’altra scelta al verdetto di un autoconvocato tribunale della Storia intento a misurare il tasso di ideologia degli interlocutori [e allora perché dici che avrebbe dovuto avere la prontezza di spirito di cantarla dedicandola al popolo ucraino che da otto anni e mezzo sta massacrando i russofoni?]. È davvero un peccato che la canzone italiana più conosciuta al mondo dopo «Volare» venga percepita solo in Italia per ciò che non è: un canto di parte [ora ti spiego, visto che oltre che tonto sei anche ignorante. Se una parte, a guerra finita, cioè dopo che quelli che combattevano per la libertà hanno finito di combattere e sono tornati a casa, fabbrica a tavolino una canzone nuova che prima non esisteva prendendo la musica di una canzone che parla di tutt’altro, e la canta alle proprie manifestazioni reggendo la propria bandiera, sempre, regolarmente, senza eccezione, e tratta da nemico della propria parte chi, per qualunque ragione, non la vuole cantare, come potrebbe essere definita questa canzone? No, non preoccuparti di rispondere, è solo una domanda retorica, non vorrei davvero che a sforzarti troppo ti grippasse il cervello]. Vado a sentirmi «Bella ciao». In cuffia, così non disturbo nessuno [e scommetto che con questa battuta del cazzo sei anche convinto di essere ironico e spiritoso].
In compenso l’Oca Signorina riesce a fare perfino quasi peggio di lui
Laura, guarda: Bella ciao è una canzone che condanna la violenza della guerra, i soprusi contro i popoli aggrediti, la sacrosanta legittimità da parte di chi è oggetto di violenza di difendersi anche contro le armi [addirittura ANCHE contro le armi?! Ma roba da non credere!], la dignità che questa scelta comporta e anche la sofferenza che chi la compie è costretto ad affrontare, sia per sé che per i propri cari [no, quella per i propri cari nella canzone non c’è]. È una canzone politica, incredibilmente politica, squisitamente politica, ma di quella politica bella [cioè quella della tua parte], fatta dai cittadinə [purtroppo gli articoli omnigender non li hanno ancora inventati quindi per il momento tocca sopportare questi orrendissimi ibridi, ma vedrete che prima o poi riusciremo a scovare qualcosa anche lì], perché spiega che la libertà e [ma rileggere un momentino no? Proprio no?] la sola cosa per cui vale la pena combattere [io dopo “vale la pena” ci metterei un “di”: cosa ne dici prof con laurea, master e otto miliardi di titoli aggiuntivi che spari regolarmente in faccia a chi azzarda mezza briciola di critica?], rischiare la vita, perderla se necessario. È una canzone semplice e bella [non esistono cose belle: esistono cose che piacciono; tu per esempio ti piaci un sacco, ma non sarei pronta a giurare che tutti concordino con te], proprio perché dice tutte queste cose in maniera che tuttə possano capirle, e canticchiarle facilmente perché non richiede conoscenze di musica e forse neppure una grande intonazione. È una canzone del popolo, per il popolo, dalla parte del popolo. Quel popolo di cui tu però ti sei sempre fatta vanto di fare parte.
E quindi Laura, fammi capire: perché caspita non la vuoi cantare, eh? [Ma saranno cazzi suoi?! E mi raccomando, non dimenticarti il tuo “eh?” con la tua voce stridula e gracchiante, il dito puntato, il cipiglio severo e la mascella dura mussoliniana]
Ma non bastano tutte le disgrazie che abbiamo, da dover sopportare anche questi branchi di deficienti?
E adesso ascoltate questa bella canzone klezmer del 1919
barbara