Dice l’Enrico che vuole rendere obbligatorio l’asilo. Evidentemente ha paura che a lasciarli fino a sei anni in mano ai genitori possano subire il lavaggio del cervello e imparare mostruosità che poi una volta ficcate in testa non gliele togli più, tipo che i bambini possono nascere solo dalla mamma e non dal papà, che Biancaneve è una bella fiaba, che lui non vale meno di un altro bambino solo perché è bianco, e altre simili bestialità, e dato che, come tutti sappiamo, prevenire è meglio che curare, bisogna intervenire prima che il disastro si consumi. E per commentare la geniale trovata lascio la parola a Giulio Meotti.
Vogliono le materne di stato obbligatorie per fare lo svezzamento al conformismo
Non per insegnare a leggere e scrivere prima, ma per anticipare il lavaggio del cervello come già succede in America, Canada e Nord Europa. L’Italia è meravigliosamente arretrata e così deve restare
Il segretario del PD, Enrico Letta, ha chiesto l’estensione della scuola obbligatoria ai bambini della materna. E ha ragione chi fa notare ai suoi critici che è “in linea con la tendenza europea”. La domanda è un’altra: perché anticipare la scuola di stato, che fin dalle elementari è pesantemente politicizzata? Per insegnare a leggere e scrivere prima del tempo? O c’è altro in questa “tendenza”?
In Svezia, racconta il New York Times, gli asili nido pubblici sono “neutri” al gender. A Nicolaigarden, per citarne uno, un asilo accanto al Museo del Premio Nobel per la Pace a Stoccolma, le bandiere arcobaleno adornano le pareti, i maschi spingono i passeggini e le femmine giocano con il trattore, ci sono le bambole senza sesso, una triste, l’altra felice, e ovviamente nessuno viene chiamato “mamma” o “papà”.
Il governo della Scozia ha da poco introdotto linee guida obbligatorie per la scuola descritte dal Telegraph: “Dai quattro anni si può cambiare genere a scuola senza il consenso di madre e padre”. Il Times racconta che nelle scuole d’Inghilterra dai cinque anni i bambini sono esposti alla teoria transgender. Il governo socialista in Francia l’ha chiamato “ABC dell’uguaglianza di genere“. Ai bambini delle scuole materne sono stati consegnati libri come Papa porte une robe (Papà indossa un abito da donna). Nella Gironda francese, il nuovo collegio di Marsas ha di recente aperto una “scuola senza gender”. Scuole dégenrer sono state aperte un po’ ovunque a Bordeaux come a Strasburgo.
“Cerchiamo insegnanti per la scuola da 3 a 6 anni e un nuovo percorso di apprendimento sulla diversità sessuale e di genere”, recita un annuncio dei sindacati insegnanti in Olanda, cui ha risposto Geert Wilders: “Per favore, lasciate che i bambini siano bambini. Le scuole devono insegnare loro a leggere, scrivere e contare, smettetela con questa follia woke”.
La scuola in America è diventata un gigantesco campo di battaglia culturale. Già da molti anni in California ai bambini delle materne si impartiscono lezioni transgender spesso senza il consenso dei genitori. Notizia di queste ore che la città di Sacramento ha introdotto nelle sue scuole una forma radicale di insegnamento del transgender. E, si legge dal bravo Christopher Rufo, che “il distretto scolastico di Evanston-Skokie (Illinois) ha adottato un curriculum che insegna agli studenti della scuola materna fino alla terza elementare a celebrare la bandiera transgender e a spezzare il ‘genere binario’ stabilito dai ‘colonizzatori bianchi’”. Sempre Rufo dal City Journal di questo mese: “A Portland la rivoluzione sessuale inizia dalla materna”. Ma non solo gender, anche razza. Racconta il New York Times che i bambini della scuola materna della Riverdale Country School a New York imparano a identificare il colore della propria pelle mescolando le varie tinte a tempera. “Invece di insegnare a tutti i nostri bambini ad essere orgogliosi del loro paese, la teoria critica della razza insegna ai bambini fin dall’asilo a vergognarsi del colore della loro pelle”, ha detto l’ex vicepresidente americano Mike Pence.
“La guerra del Canada ai bambini” su The Critic: “Il sistema scolastico canadese è così completamente conquistato dall’ideologia di genere che molte scuole ora assomigliano a campi di rieducazione. Ai bambini fin dall’asilo viene regolarmente insegnato che è possibile nascere nel corpo sbagliato senza il consenso dei genitori”. Dalla CBC canadese: “I bambini del Quebec faranno educazione sessuale all’asilo”. In Norvegia una organizzazione finanziata dalla Commissione Europea distribuisce kit (“Toolbox for Gender-Conscious and Equitable Early Childhood Education Centers”) alle scuole materne per educare i bambini all’Lgbt. E in Spagna, racconta El Mundo, il governo socialista ha appena introdotto l’autodeterminazione di genere nel pre-scuola.
Soltanto chi non ha occhi per vedere o cervello per capire può negare che siamo di fronte a un gigantesco assalto all’educazione occidentale.
La domanda è: a cosa serve tutto questo?
Lo spiegò quarant’anni fa un grande studioso americano, Christopher Lasch, che era un intellettuale democratico (Jimmy Carter gli chiese di aiutarlo a scrivere il discorso, pronunciato nel 1979, sulla “crisi di fiducia” della nazione). Il libro di Lasch si intitola Rifugio in un mondo senza cuore. La famiglia in stato d’assedio e quando uscì il New York Times lo definì “uno dei libri più strani e inquietanti apparsi negli ultimi anni”. Lasch pubblicò il libro nel 1977, quando tutta la cultura americana spingeva verso l’indebolimento e lo smantellamento della più antica e stabile (fino ad allora) forma di relazione umana: la famiglia. Uno dei capitoli del libro sulla famiglia si intitola “al capezzale di una società malata”. Parlava di un “nuovo vangelo fatto di relativismo, sviluppo personale e maturità psichica”. Lasch attacca “neofemministe, paladini della ‘controcultura’, sociologi di sinistra, profeti della ‘nuova storia sociale’”, e i giornalisti che divulgano le idee di questi intellettuali. Secondo Lasch, la fine della famiglia come cellula di base della società, al suo centro, protetta, valorizzata, avrebbe scosso anche le basi del liberalismo: “Incapace di spiegare la persistenza della religione, l’attaccamento alla famiglia e un’etica della responsabilità personale se non come espressioni di falsa coscienza, la sinistra si ritrova oggi senza un seguito. La sinistra non vede se non intolleranza e superstizione nella difesa popolare della famiglia o nell’atteggiamento popolare nei confronti dell’aborto, del crimine e del curriculum scolastico. La sinistra non si schiera più col senso comune, come ai tempi di Tom Paine. Ha finito anzi per vedere nel senso comune – nella saggezza e nei costumi tradizionali della comunità – un ostacolo al progresso e all’illuminismo. Dato che identifica la tradizione con il pregiudizio, è ormai incapace di parlare con la gente ordinaria in un linguaggio che questa possa essere in grado di capire. Parla sempre più spesso un suo proprio gergo, il gergo terapeutico delle scienze e delle professioni sociali, che sembra servire più che altro a negare ciò che tutti sanno”.
Il sociologo di Harvard Carle Zimmerman, citato da Lasch, nel 1947 aveva già scritto un libro per spiegare come ci trovassimo ad attraversare la stessa crisi familiare che aveva preannunciato la caduta della Grecia e di Roma antiche. In tutte le civiltà, ha spiegato Zimmerman in Family and Civilization, esistono tre tipi di famiglia. La famiglia di fiducia è tribale e clanica e domina le società agrarie. Il modello familiare “domestico” è ricco di legami forti e si trova nelle civiltà in via di sviluppo. Il modello finale di famiglia è quella “atomistica”, ha legami deboli ed emerge nelle civiltà in decadenza. “Siamo entrati in un periodo di demoralizzazione paragonabile ai periodi in cui sia la Grecia che Roma sono passate dalla crescita alla decadenza” ha scritto Zimmerman. “Divorzio, esperienze sessuali prematrimoniali, promiscuità sessuale, omosessualità, versatilità nel sesso, controllo delle nascite portato all’eccesso, diffusione del controllo delle nascite a ogni fascia della popolazione, antagonismo alla genitorialità, disprezzo per la famiglia, anche nei cosiddetti circoli colti, tutto aumenta rapidamente. Nonostante le nostre parole virtuose, e senza nemmeno l’onestà intellettuale dei Greci e dei Romani, siamo arrivati fino a loro e sembrerebbe che andremo ancora più lontano”.
Il dissidente sovietico Vladimir Bukovskij nel suo capolavoro autobiografico Il vento va e poi ritorna racconta che nel sistema comunista tutto quello che veniva chiesto al cittadino-modello, formato fin dagli asili e le materne in strutture di stato ferocemente ideologizzate, era “alzare la mano quando c’era da alzarla”. Vogliono ancora questo, anche in un sistema politicamente liberale ma ideologicamente coercitivo.
Poi vorrebbe anche allungare la scuola dell’obbligo fino alla maturità, e sinceramente non so quale dei due deliri sia più nefasto: ma ve lo immaginate un povero disgraziato negato per lo studio, senza il minimo interesse per quello che si fa a scuola, costretto a stare seduto in un banco fino a 19 anni, magari anche un paio di più se, vista la mancanza di interesse, si fa bocciare, e con la piena consapevolezza di stare buttando via la sua vita? Questo per me assomiglia molto da vicino a un crimine contro l’umanità. L’obbligo dovrebbe fermarsi alla terza media, e permettere a chi ha voglia di lavorare di andarsi a costruire un futuro. Anzi, la scuola media dovrebbe tornare come era prima: quella di studio per chi vuole proseguire, la commerciale per imparare a lavorare in ufficio, e vi posso garantire che quelli che ne uscivano a 14 anni erano altrettanto preparati, se non di più, di quelli che oggi escono a 19 dall’istituto tecnico commerciale, e l’avviamento professionale, in cui accanto a qualche approfondimento culturale, si cominciava a imparare un mestiere. Perché chi non ha interesse a studiare, tenetelo a scuola altri due anni, o tre, o cinque, o trenta, l’unica cosa che imparerà è a odiare chi ve lo ha costretto e a impedire al resto della classe di lavorare per combattere la noia. E di queste cose già alle medie, coi miei trentasei anni in cattedra, potrei raccontarne da farci notte e poi giorno e poi di nuovo notte.
barbara