Ovvero: piove, ambientalista ladro!
L’italia del no è con l’acqua alla gola
Veti ambientalisti sulle infrastrutture chiave. Parla il geologo Fazzini
Il Foglio Quotidiano 18 May 2023 di ERMES ANTONUCCI
Roma. “L’emilia-romagna è da sempre all’avanguardia nella ricerca ambientale. Il problema è che negli ultimi dieci anni dal punto di vista infrastrutturale non è stato fatto nulla, tanto che il territorio è quello mediamente a più alto rischio idrogeologico. La spinta ambientalista all’interno della politica emilianoromagnola è stata talmente forte che non ha permesso di far nulla”. Lo dichiara al Foglio Massimiliano Fazzini, responsabile del team Rischio climatico della Società italiana di geologia ambientale.
Secondo Fazzini, geologo e docente di Rischio climatico all’università di Camerino i primi dati a disposizione sulle precipitazioni in Emilia-romagna “ci consentono di parlare di eventi eccezionali dal punto di vista meteorologico”: “In alcune zone tra Faenza e Forlì, tra l’evento del 2-3 maggio e quello delle ultime ore sono caduti 500 millimetri di pioggia, che rappresentano il 70 per cento della precipitazione media annua. Questo ci fa capire che la prima metà di maggio sarà sicuramente ricordata come eccezionale”. L’eccezionalità dell’evento, tuttavia, non deve impedire di riflettere su quanto è stato fatto (o non è stato fatto) sul piano della prevenzione dei rischi. “L’unica struttura che aveva cominciato a occuparsi seriamente del problema era Italia Sicura, la struttura di missione per la riqualificazione dell’edilizia scolastica e il dissesto idrogeologico, ma è stata cancellata”, afferma Fazzini.
“Adesso il nuovo governo sembrerebbe aver cambiato un po’ le cose. E’ stata fatta la rilettura del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, bloccato da sette anni. Ora però si devono fare i passi decisivi sul piano infrastrutturale”.
“Non si può sempre dire di no a tutto”, aggiunge il geologo. “Con questo nuovo clima bisogna regimare i corsi d’acqua, laddove occorra anche con opere impattanti sull’ambiente, ma sempre nel rispetto di quest’ultimo”, dichiara Fazzini: “Ad esempio, con l’invaso di Ridracoli, nel cesenate, si è risolto il problema dell’approvvigionamento idrico di cinque milioni di abitanti che d’estate popolano la riviera romagnola a scopo turistico. In altre parole, quando occorrono le opere bisogna farle. Non è che andiamo a tagliare cinquanta chilometri di bosco o andiamo a mettere a repentaglio la vita della gente”.
Per l’esperto, dunque, “dobbiamo adattarci e cercare di ridurre al massimo delle nostre potenzialità, tenendo conto dell’ambiente, il rischio effettivo, facendo sì che il rischio residuo sia il più basso possibile. Il rischio zero non esiste, purtroppo. E quindi: dove serve un’infrastruttura grande bisogna farla, dove è sufficiente un’infrastruttura piccola si interviene con l’infrastruttura piccola. Ma bisogna muoversi. Non si può dire sempre di no a tutto, perché altrimenti nel giro di dieci anni siamo rovinati”.
“Il 94 per cento del territorio italiano è messo come la pianura emiliano-romagnola – prosegue Fazzini – quindi i fondi del Pnrr andrebbero maggiormente destinati a opere finalizzate a contrastare il rischio idrogeologico”.
Tutto ciò chiama ovviamente in causa la politica. “Negli ultimi mesi – afferma Fazzini – ci siamo confrontati con i ministri Fratin, Salvini, Lollobrigida. Sono tutti favorevoli alle grandi opere. Il problema è che poi a gestire i soldi sono le regioni e spesso, nel momento in cui il segno politico della regione è opposto a quello del governo, si blocca tutto”.
Eppure, “l’adattamento al rischio” è la chiave fondamentale, “altrimenti continueremo a contare ogni volta morti su morti”, conclude il professor Fazzini.
Stenderei un velo pietoso su “questo nuovo clima” (verso la metà degli anni Novanta a Brunico è piovuto ininterrottamente – cioè tutti i giorni tutto il giorno – per tutto aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, venti giorni a settembre e quindici a ottobre, segnati sul calendario e contati), ma mi interessa riprendere questo articolo per la grande verità che contiene in merito al devastante comportamento dei cosiddetti ambientalisti, per il quale trovo un solo nome: cinismo. E non perdono occasione per dimostrarlo, pronti come sono a sacrificare l’intera umanità in nome della loro delirante ideologia. E a tutti coloro che per “salvare il pianeta” sono pronti a sacrificare l’umanità, vorrei mostrare questo disegnino esplicativo

– non che mi illuda che siano capaci di capire, sia ben chiaro.
Marcello Mazzoleni
Ieri sera ne ho bloccato un altro.
Dopo due o tre messaggi in cui lo stavo aiutando a capire che i ghiacciai in epoca medioevale e fino a tutto il Cinquecento non esistevano sulle Alpi, nonostante gli avessi condiviso delle mappe e dei documenti, questo era ancora convinto che negli ultimi decenni sta accadendo qualcosa di mai visto prima. Gli ho anche spiegato che, ad esempio, dove oggi c’è il ghiacciaio dell’Aletsch, lo spessore massimo del ghiaccio attuale è di circa 900 metri. Fino all’inizio del Seicento lì sotto quasi un chilometro di ghiaccio attuale, passavano delle strade, c’erano delle malghe e dei pascoli. E questo, imperterrito, ancora a darmi contro.
Ma ci rendiamo conto di quanta ignoranza ci sia in giro e di come neanche di fronte all’evidenza della storia questa gente continui imperterrita nelle proprie ideologie?
Leggiamo uno stralcio della storia dei ghiacciai, tratta dal sito della Regione autonoma Valle d’Aosta, dove ben si capisce quale sia stata l’unica vera crisi climatica degli ultimi millenni e perché. Buona lettura.
“…nel periodo del Sacro Romano Impero e della organizzazione feudale dell’Europa sulle Alpi, prendono vita numerosi stati di valico istituiti a controllo e a servizio delle vie transalpine, arterie vitali della grande unità politica. Fra di essi vi è quello dei Conti di Savoia il cui fulcro fu per secoli la Valle d’Aosta con i passi del Piccolo e del Grande San Bernardo.
Il limite climatico delle colture cerealicole si spinge fino all’altitudine di 2300 m. Lo conferma la presenza di settori attrezzati per la trebbiatura del grano in fienili di dimore dell’alta valle di Ayas e di Valgrisenche poste a quell’altitudine, ora diventate stagionali ma costruite nei tempi in cui lassù si poteva abitare tutto l’anno.
Riguardo allo stato dei ghiacciai l’Abbé Henry, noto ricercatore tanto in campo storico quanto in campo naturalistico, scrive in una sua relazione (NOTA 10); “Entre le 1300 e le 1600 les glaciers devaient être très petits et réduits à leur minimum… Sa découle d’un grand nombre de documents tels que les Reconnaissances de l’époque ou le mot glacies est introuvable. Une autre preuve que les glaciers étaient alors très petits et très recules c’est que les passages par les cols élevés de montagne étaient alors très faciles et très fréquentés: on allai communément, on faisait passer vaches et mulets de Prarayé à Evolène par le Col Collon (3130 m), de Zermatt à Evoléne par le Col d’Hérens (3480 m); de Valtournenche à Zermatt par le Col de Saint-Théodule (3380 m).
Il Colle del Teodulo – oggi centro di uno dei più prestigiosi comprensori sciistici – nel Basso Medioevo fu a tutti gli effetti un itinerario “Europeo” sulla via transalpina che univa il porto di Genova con quello di Amsterdam. Tutte le carte geografiche del ‘500 e del ‘600, comprese quelle del grande cartografo olandese Mercatore, rappresentano il “Mons Silvius” – tale era il suo nome in latino – e il villaggio di Ayas, suo principale centro di servizi. In quelle redatte nei paesi d’oltralpe compare la dizione: “Krëmertal”, ovvero “Valle dei mercanti” posta fra i toponimi di Ayas e del valico del Teodulo.
Il controllo delle strade che dalla valle della Dora salivano al colle del Teodulo, era esercitato dagli Challant, la più prestigiosa famiglia nobiliare valdostana che proprio da quel traffico traeva la sua ricchezza e la sua rinomanza a livello europeo.
In questo periodo caldo dai traffici assai vivaci, prese origine la millenaria fiera di Sant’Orso che tutt’ora si celebra il 31 gennaio nel cuore dell’inverno, una stagione che pare ben poco propizia ad un gran concorso di gente, soprattutto in passato quando non esistevano i mezzi spazzaneve. Il più antico documento che riguarda questa rassegna risale al 1305 ma pare che allora essa già fosse secolare, era esclusivamente dedicata agli attrezzi agricoli e si svolgeva nei tre giorni che precedevano la festa di Sant’Orso e nei tre che la seguivano. Questa grande fiera invernale è una testimonianza della mitezza che doveva caratterizzare la stagione fredda durante gli otto secoli dell’Optimum climatico del basso medioevo.
Fra il 1550 e il 1850 ha luogo la più grave crisi climatica del tempi storici denominata dagli specialisti il Pessimum climatico della Piccola Età Glaciale.
Essa provocò un abbassamento di almeno 500 metri dei limiti climatici delle colture, del bosco, del pascolo e delle nevi persistenti determinando un lungo innevamento annuo dei valichi e addirittura la glacializzazione dei più elevati e insieme la perdita di una grande quantità di terre coltivabili. Venendo a mancare contemporaneamente i proventi legati ai traffici transalpini e quelli delle più elevate terre agricole, il periodo della Piccola età glaciale fu per le valli alpine un‘epoca di estrema povertà.
In valle d’Aosta il contraccolpo fu durissimo: da ganglio dei traffici europei la Regione si trasformò in cellula chiusa in se stessa; le attività economiche si ridussero ad una agricoltura volta esclusivamente all’autosussistenza e tanto misera che viene definita dagli studiosi francesi “de acharnement”; la popolazione, poverissima e denutrita, venne falcidiata dalla peste e da malattie endemiche, molte delle quali riconducibili alla malnutrizione e alle grandi fatiche che in tali condizioni ambientali i lavori agricoli richiedevano.
Le condizioni del clima determinarono, nel corso della Piccola età Glaciale, la più imponente crescita volumetrica, areale e lineare dei ghiacciai verificatasi negli ultimi due millenni.
Dopo la metà del secolo XIX inizia il riscaldamento climatico tuttora in corso.
La fine della piccola età glaciale è segnata da una improvvisa forte diminuzione delle precipitazioni e da un sensibile innalzamento delle temperature: all’osservatorio meteorologico del Gran San Bernardo nei vent’anni successivi al 1856 le precipitazioni annue risultano meno di 1600 mm e l’altezza della neve caduta di 870 cm nei confronti di medie di lungo periodo assai più elevate; le temperature medie annue che fino al 1860 erano state attorno ai -1,9 °C si innalzano bruscamente a -1,5 °C”
Chi fosse interessato ad approfondire l’intero articolo dal quale ho tratto questo passaggio, ed estendere l’analisi agli ultimi ottomila anni di variazioni climatiche in Valle d’Aosta può approfondire a questo link
https://www.regione.vda.it/…/aspx/environnement.aspx…
A me spiace continuare a bloccare gente, ma di fronte a tanta ignoranza, a tanta ideologia frutto della becera propaganda in atto e a tanta mancanza di voglia di capire come stanno le cose non posso fare altro.
E questo pure mi dava del negazionista perché metto in ragionevole dubbio strampalate stime e congetture future. E lui che negava le certezze della storia? Ma ci rendiamo conto???
E intanto, questa foto di ieri

ci mostra come sulle stesse strade che anticamente erano percorse tutto l’anno, oggi si stia facendo molta fatica, nonostante le frese e gli strumenti tecnologici attuali, a garantire il passaggio di una tappa del Giro d’Italia nella seconda metà di maggio. Con i valichi alpini che restano aperti a malapena quattro mesi all’anno. E il negazionista poi sono io.
Ma per favore.
E giustamente ricorda, tra le altre cose, che caldo significa prosperità, economica, sociale e culturale, e freddo significa miseria, fame, e regresso su tutti i fronti.
DUE MODI…
Ci sono due diversi modi di rapportarsi alle avversità atmosferiche.
Il primo è quello pragmatico: ci si dota degli strumenti tecnici in grado di ridurre le conseguenze negative dei fenomeni meteorologici negativi e si mettono in atto le politiche conseguenti. Ci si dota di una rete idrica efficiente per far fronte ai periodi di siccità, si costruiscono argini, si dragano i fiumi e si puliscono i boschi per far fronte alle piogge torrenziali, si acquistano spazzaneve per far fronte alle nevicate…
Il secondo è quello ideologico. Non si cerca di far fronte agli eventi climatici negativi ma di cambiare il clima. Si teorizza un “clima amico” privo di piogge torrenziali, periodi di siccità, nevicate eccessive e si addebitano tutti gli eventi climatici negativi all’”umana follia”. Si prendono misure costosissime per “cambiare il clima” che cambiano solo, in peggio, la situazione economica e si chiacchiera moltissimo sulle transizioni ecologiche, il nuovo modo di consumare, nuovi modelli di vita eccetera.
Poi arrivano i disastri…
Quale dei due modi sono stati messi in atto nel nostro paese?
E a proposito di eventi climatici negativi, anzi, estremi (oggi è tutto estremo, ve ne siete accorti? Il caldo è sempre equatoriale, il freddo sempre polare, le piogge sempre torrenziali…) non posso non rubare questa chicca all’amico Enrico

E infine un po’ di politica in senso stretto.
Alluvione, piove governo ladro? Bussare a Bonaccini e Schlein
Mai l’espressione “piove governo ladro” poco c’azzecca come in questa alluvione in Emilia Romagna. Checché ne dica Saviano, non solo l’esecutivo Meloni poco poteva farci con le piogge di questi giorni essendo al potere solo da sei mesi. Ma se c’è qualcuno a cui andare a bussare quello è il governo della Regione colpita dal disastro, che da sempre è nelle salde mani dei dem (e dei loro antenati) e che all’ultimo giro vedeva nientepopodimenoche l’attuale presidente del Pd nel ruolo di governatore e la segretaria in quello di vicepresidente.
I danni in Emilia Romagna
Se piove, piove. E le colpe sono sempre difficili da individuare: dunque non saremo noi a puntare il dito per forza contro chi guida la regione. Però oggi il Corriere di Bologna fa notare un confronto interessante tra due eventi simili e vicini sia in ordine di tempo che dal punto di vista geografico. In Emilia Romagna sono caduti in 24 ore qualcosa come 300 millimetri di pioggia, una quantità enorme in troppo poco tempo. Sono esondati fiumi, crollati ponti, interi Comuni sono stati sommersi e l’acqua ha ucciso almeno 13 persone. Per non parlare dei danni incalcolabili alle coltivazioni, alle strade, agli edifici pubblici e a quelli privati. Un disastro a tutti gli effetti che però ha un “precedente”, pure peggiore dal punto di vista della quantità di acqua piovuta ma con meno effetti catastrofici.
L’alluvione in Veneto
Nel 2018 in Veneto la tempesta Vaia colpì le montagne del Nord-Est con venti fortissimi e ben 715 millimetri di pioggia caduta in 70 ore. Più del doppio rispetto all’Emilia Romagna, fa notare il Corriere, eppure “non ci furono allagamenti paragonabili a quelli dell’Emilia Romagna di questi giorni”. Come mai? Merito delle infrastrutture. Il Veneto ha realizzato opere anti alluvionali per un miliardo e mezzo di euro dopo l’alluvione che nel 2010 devastò il Padovano e il Vicentino. La Regione ha messo a punto bacini di laminazione e altri importanti interventi strutturali al territorio. “Finora – ha spiegato Giampaolo Bottacin, assessore all’ambiente e alla Protezione civile del Veneto – abbiamo completato 5 bacini, investito 400 milioni in opere di consolidamento, 320 milioni in opere di manutenzione. E siamo solo a metà. Già oggi, però, possiamo dire che c’è stata una svolta importante. Lo testimoniano gli eventi impattanti del 2018, 2019 e 2020”.
Storia diversa in Emilia Romagna, dove 22 fiumi su 23 sono esondati provocando il disastro cui stiamo assistendo. Anche qui la Regione aveva previsto di costruire delle vasche dove far convogliare i fiumi in caso di alluvioni, ma molte sono ancora in corso d’opera. “Tra il 2015 e il 2022 sono stati destinati oltre 190 milioni di euro per la realizzazione di 23 bacini ma all’esplodere dell’ultima emergenza solo 12 erano funzionanti – scrive il Corriere – Nove sono ancora da finire, altri due funzionano in parte”. Colpa di Elly e Stefano? Difficile dirlo, anzi. Ma una cosa è certa: fosse successo in una regione governata dal centrodestra, oggi gli amministratori sarebbero già sul patibolo. Invece al momento nessuno osa bussare agli uffici del governo regionale targato Pd. (Qui)
In pratica funziona così

Oggi di fare quei lavoretti insulsi non abbiamo più tempo perché siamo troppo occupati a fermare e contrastare i cambiamenti climatici per salvare il pianeta, e tra oche ritardate e galline isteriche, finiremo tutti sommersi.
barbara