Questo è un articolo rigorosamente tecnico, ma mi sembra che possa essere sostanzialmente seguito anche dai non addetti ai lavori, visto che io non lo sono e ci sono riuscita. NOTA: la lettera che precede “in”, “out” eccetera non è una L bensì una I maiuscola che sta per intensità.
Effetto serra, tutti gli errori dell’Ipcc
Affinché vi sia equilibrio termico è necessario che l’intensità Iin della radiazione solare in ingresso nella Terra uguagli l’intensità Iout della radiazione da essa in uscita nello spazio: Iin= out . Della radiazione solare che giunge all’orbita terrestre, Isole , una parte – proporzionale ad un coefficiente, a, che si chiama coefficiente di albedo – viene riflessa, e una parte viene assorbita. Quest’ultima risulta essere Iin = (1 — a)Isole ∕4. In definitiva:
Iout = (1 — a)Isole ∕4
che, come si vede, dipende da due parametri: l’irradianza solare, sole , e l’albedo, a . L’effetto serra è quindi un numero, G , ed è dato dalla differenza tra la radiazione emessa dalla superficie della Terra e la parte di questa radiazione che attraversa l’atmosfera e va oltre nello spazio. Siccome la radiazione emessa dalla superficie della Terra è proporzionale [costante di proporzionalità σ = 5.67 x 10-8 watt/(secondi ∙ kelvin)] alla quarta potenza della sua temperatura (legge di Stefan-Boltzmann), allora l’effetto serra è
G = σT4 − (1 − a)Isole ∕4 (1)
[NOTA aggiunta dall’autore nei commenti: “Nelle unità della costante di Stefan-Boltzmann c’è un refuso: K (kelvin) deve essere elevato alla potenza 4. Un attento lettore (Mario T.) me l’ha segnalato e lo ringrazio.”]
un’equazione sufficientemente generale da applicarsi a qualunque pianeta, luna o asteroide. Per la Terra, i valori delle quantità dette sono: T = 289, a = 0.3, Isole = 1370 W∕m2, cosicché
G = 160 W∕m2
è l’effetto serra naturale, di cui 30 W∕m2 sono attribuiti alla presenza naturale della CO2. Questo effetto serra naturale fa sì che la Terra è più calda di 33 gradi: una Terra senza atmosfera sarebbe 33 gradi più fredda. Dall’equazione (1), la variazione in effetto serra è
ΔG = 4σT3 ΔT + IsoleΔa/4 (2)
dove, come s’usa di solito, la variazione di una quantità è stata indicata premettendo al suo simbolo la lettera greca delta maiuscola. Per chi non è familiare con la matematica accetti sulla fiducia il passaggio dalla (1) alla (2), ove si è assunto ΔIsole = 0, perché secondo l’Ipcc il valore dell’intensità della radiazione solare sull’orbita terrestre è costante.
Inserendo i valori σ = 5.67 x 10-8W∕(s ∙ K), T = 289 K e Isole = 1370 W∕m2, la relazione (2) diventa
ΔG = 5.67ΔT + 342Δa (3)
Ora:
Secondo l’Ipcc, la variazione di effetto serra dovuto ad un raddoppio della concentrazione atmosferica della CO2 vale
ΔG = 3.7 W∕m2
Si noti che questo è un aumento del 2.3% rispetto all’effetto serra naturale. Orbene, posto che l’effetto serra naturale (G = 160 W∕m2) comporta un aumento della temperatura di 33 gradi, se l’effetto serra diventa G + 3.7 = 163.7 W∕m2, quale sarà la corrispondente variazione di temperatura?
2) Secondo l’Ipcc la corrispondente variazione di temperatura è un aumento di 3 gradi:
ΔT = 3K
3) Inoltre, sempre secondo l’Ipcc – e secondo tutti i modelli climatici – un aumento della concentrazione atmosferica di CO2 comporta un AUMENTO dell’albedo, cioè Δa > 0.
Ma con ΔG = 3.7 e ΔT = 3 la relazione (3) diventa (in W/m2)
3.7 = 16.4 + 342Δa (4)
che può essere soddisfatta solo se Δa = – 0.037 , cioè la variazione di albedo è negativa. Ma come detto, secondo l’Ipcc – e secondo tutti i modelli climatici – un aumento della concentrazione atmosferica di CO2 comporta un aumento dell’albedo, cioè comporta un Δa positivo, ma in questo caso la (4) non verrebbe in nessun caso soddisfatta. Detto diversamente:
Sembra che all’Ipcc abbiano seri problemi con la fisica elementare!
Per cercare di mettere le cose a posto, all’Ipcc si sono inventati i cosiddetti meccanismi di feedack positivi. Dicono quelli dell’Ipcc: più CO2 significa più riscaldamento, ma più riscaldamento significa 1) più CO2 emessa dagli oceani, cioè più riscaldamento; 2) maggiore evaporazione d’acqua, cioè più riscaldamento (l’acqua è il principale gas-serra); 3) maggiore scioglimento dei ghiacci, cioè minore radiazione solare riflessa nello spazio, cioè più riscaldamento; 4) scioglimento del permafrost con immissione in atmosfera di metano, cioè riscaldamento (il metano è un altro gas serra). E più riscaldamento significa: etc., etc. Si noti che qui a innescare la reazione a valanga non è la CO2 in sé, ma il riscaldamento. Cioè, qualunque riscaldamento dovrebbe causare questa presunta reazione a valanga. Ma la cosa, come detto, è un’invenzione, perché è contraddetta dai fatti: i fatti sono che nell’ultimo mezzo milione d’anni la temperatura del pianeta ha oscillato con variazioni dell’ordine di 10 gradi attorno a temperature dell’ordine di 300 kelvin, cioè la temperatura ha oscillato con variazioni di appena il 3% intorno al suo valore medio; ma quando ci sono stati riscaldamenti naturali il pianeta ha reagito, di tutta evidenza, con feedback negativi e non con feedback positivi, altrimenti sarebbe entrato in ebollizione. Per usare le parole di Greta: non è andata in fiamme la nostra casa nel passato, e non andrà in fiamme nel futuro. Franco Battaglia, 12 gennaio 2023, qui.
Cuoci la pasta sul fornello, hai la macchina diesel, non consumi insetti, non hai la bandiera ucraina sul profilo… ti ammali, muori.
E un’altra dal libro di Antonio Polito “Riprendiamoci i nostri figli”:
i «negazionisti». Potremmo chiamare così coloro che […] in genere negano qualsiasi emergenza, perfino le ondate di caldo estive.
Cioè, avete capito? Se in estate capitano delle ondate di caldo, siamo di fronte a un’emergenza, un’emergenza talmente emergenziale che merita di essere accompagnata da un “perfino”: serve aggiungere altro?
Il futuro è fossile. Il libro di Alex Epstein per cambiare approccio su energia e clima
“Lo sviluppo umano richiede più petrolio, gas e carbone, non meno”. Ecco l’approccio più efficace per contrastare le false premesse e le aberrazioni della narrazione green
Alex Epstein non fa un lavoro qualunque. Il suo è un lavoro inusuale, che certamente molti considerano inutile: Alex Epstein è un filosofo. Un filosofo “pratico”, come ama definirsi, qualcuno che di lavoro pensa al modo in cui si pensa, e a come questo pensiero si applica alla vita pratica.
Da Rockfeller ad oggi Nel 2007, ad Alex viene chiesto di scrivere un lungo articolo sulla storia dell’antitrust nel suo Paese, gli Stati Uniti, e nelle sue ricerche si imbatte nella figura di John D. Rockefeller e ne rimane folgorato, comprendendo il ruolo eroico che il magnate ebbe per la società americana della seconda metà del XIX secolo. Nel giro di pochi anni, infatti, “la società agraria rurale di tutti gli Stati Uniti passò dal buio alla luce” grazie al petrolio bianco di Standard Oil, che permise di migliorare l’illuminazione delle case in quel periodo in cui l’elettricità e la lampadina non erano ancora state inventate. Epstein è diventato un esperto nel campo dell’energia iniziando a studiare un vero eroe della società moderna e come questo eroe sia stato poi gettato nel fango e dipinto come un criminale. È passato più di un secolo da allora e oggi ai piedi del patibolo ci sono i combustibili fossili, che a detta di molti stanno distruggendo il mondo e la società in cui viviamo. Dunque, prima ce ne sbarazziamo, meglio sarà per tutti. Epstein non concorda con questa visione e nel suo ultimo libro “Fossil Future” (Penguin Random House, 2022) usa la filosofia come chiave di lettura – in aggiunta a scienza, tecnologia, economia e tanto buon senso – per confutarla. Già nel 2014, Alex Epstein, con la pubblicazione del suo best-seller “The Moral Case for Fossil Fuels” guadagnò una certa popolarità proponendo un titolo quasi sacrilego: come è possibile, infatti, che qualcuno osi mettere nella stessa frase “moralità” e “combustibili fossili”? Nel nuovo libro “Fossil Future”, forte di anni di esperienza e studio del contesto in cui opera il movimento anti-combustibili fossili, Epstein ci offre nuove interpretazioni molto più approfondite e convincenti per comprendere uno dei miracoli dell’ingegno umano, il vero sangue che nutre la nostra moderna società libera e produttiva, e cioè lo sfruttamento delle fonti fossili: carbone, petrolio e gas.
L’importanza del contesto Da filosofo qual è, il suo è un approccio radicalmente differente nel modo di pensare. Innanzitutto, si preoccupa di chiarire il “framework”, cioè la struttura logica dalla quale si sviluppa il pensiero, dato che nella stragrande maggioranza dei casi è questo il fattore che influenza in modo importante ogni discussione. Per Epstein il contesto è fondamentale e la questione si può riassumere così: quando facciamo delle considerazioni su qualunque cosa, l’uso dei combustibili fossili ad esempio, o l’utilità delle “rinnovabili verdi”, siamo sicuri di avere considerato il contesto nella sua completezza? La sua tesi è che in questo specifico ambito ciò non avvenga mai. E lo dimostra il fatto che carbone, petrolio e gas siano accusati di ogni possibile malefatta, senza che gli venga mai riconosciuto di dare alla società alcunché di buono, di positivo. Al massimo qualcuno molto raramente concede che “in passato i combustibili fossili hanno permesso alla società di migliorare”. Un ottimo esempio di come il contesto non venga considerato in maniera completa è il libro del famoso scienziato Michael E. Mann, che nel suo libro “La Terra Brucia” (2017) elenca una serie di scenari drammatici legati all’agricoltura ed evidenzia il contributo a suo avviso tragico dei combustibili fossili nel fenomeno del riscaldamento globale. Ebbene, Mann non dedica nemmeno una parola al ruolo fondamentale che la meccanizzazione e l’uso di fertilizzanti sintetici, grazie ai combustibili fossili, hanno avuto in un settore chiave come l’agricoltura negli ultimi 50 anni in tutto il mondo. Solo considerando il contesto nella sua completezza, cioè valutando gli effetti positivi come quelli negativi, quando paragoniamo diversi modi di produrre energia, possiamo arrivare ad un confronto ragionevole ed esaustivo. Eppure questo non avviene praticamente mai. Perché?
La struttura logica È qui che entra in gioco un altro fattore fondamentale, che Epstein chiama “framework”, e cioè la struttura logica dalla quale muove qualsiasi ragionamento. Ogni struttura logica parte da determinati assunti, ma molto spesso questi assunti sono impliciti, anziché essere resi espliciti e condivisi tra coloro che intendono discutere di uno specifico tema, ed influenzano anche inconsapevolmente il modo in cui si ragiona e si discute. Epstein ritiene questo aspetto così importante da dedicargli la prima parte del libro, i primi tre capitoli. La mancanza di chiarezza sulla struttura logica rende possibili aberrazioni del pensiero comune che vediamo regolarmente in ogni discussione su clima, ambiente ed energia. Come, appunto, la negazione di ogni ruolo benefico dei combustibili fossili, o rappresentare con tinte fosche, addirittura catastrofiste, qualsiasi effetto che il “cambiamento climatico” – che Epstein non nega affatto – sta avendo sul pianeta e sulla società nella quale viviamo, tralasciando qualsiasi potenziale effetto neutro, o finanche positivo.
La falsa premessa del “pianeta perfetto” La sua tesi è che il “sistema di conoscenza” dal quale la stragrande maggioranza della popolazione riceve informazioni è composto da entità tutte allineate secondo una medesima struttura di ragionamento, la quale dà per scontato che l’essere umano stia avendo un impatto negativo sul pianeta e che il pianeta, per essere mantenuto “come si deve” dagli esseri umani, dev’essere assolutamente intoccato, perché perfetto così com’è, senza che l’uomo abbia mai fatto nulla di buono. Emerge quindi una falsa dicotomia tra l’impatto negativo dell’uomo, da eliminare ad ogni costo, e la “premessa del pianeta perfetto” come pietra angolare di ogni discorso legato al clima e all’ambiente. In buona sostanza, il pianeta è perfetto così com’è ed ogni cosa che l’uomo può fare avrebbe un impatto negativo e va quindi rigettata. Il problema è che questa “premessa del pianeta perfetto” è talmente radicata nella visione comune – basti pensare all’identificazione del pianeta come se fosse un essere umano “con la febbre”, oppure alla definizione del nostro pianeta come “madre Terra” – e instillata nelle menti dei nostri figli sin dai primi giorni di scuola, o già in famiglia, che diventa molto difficile da mettere in discussione, perché data per scontata.
Una diversa prospettiva Eppure, in “Fossil Future” Alex Epstein riesce a metterla in discussione in modo molto convincente proprio perché parte da una diversa struttura di idee, che mette l’uomo ed il suo benessere al primo posto. Una struttura che egli definisce “human flourishing framework”, cioè quell’insieme di idee e di comportamenti che hanno permesso lo sviluppo della società umana da quella tribale ed agraria, che per millenni ha permesso ai pochi uomini sul pianeta di sopravvivere, fino a quella dei giorni nostri, con un pianeta reso sempre più ospitale grazie alla collaborazione, al commercio, alla scienza, alla tecnologia, alla compassione, e all’energia che come esseri umani sappiamo dedicare alle idee nelle quali crediamo. “Human flourishing” è quindi lo sviluppo umano ed Epstein chiarisce molto bene quanto sia direttamente legato all’uso di energia sempre più densa ed affidabile, ma anche meno costosa e facilmente disponibile per tutti, in modo che ogni essere umano possa beneficiare del lavoro di macchine che lo aiutino a fare ogni cosa. Macchine che funzionano tutte grazie all’energia che sappiamo trovare, estrarre, lavorare e convogliare verso le case, gli uffici, le fabbriche, gli ospedali, i centri di ricerca, gli stadi, i musei, ed ogni costruzione che ci permette di vivere meglio e più a lungo. Se questa prima parte del libro può apparire distante dal tema energia e clima, ben presto si comprende come sia fondamentale per fissare con chiarezza proprio quella struttura logica di idee e di valori fondamentali per scendere poi nel dettaglio delle questioni più controverse.
Il bias del “sistema di conoscenza” La seconda parte del libro è infatti dedicata ai benefici dell’uso delle fonti fossili nella nostra vita quotidiana da ormai oltre un centinaio di anni. Tale uso è talmente integrato nelle nostre vite che non ce ne accorgiamo praticamente mai, tranne forse quando facciamo rifornimento o paghiamo le bollette. Ma le fonti fossili giocano un ruolo fondamentale in ogni ambito e attività nella nostra moderna società. E qui Alex Epstein punta il dito contro un “sistema di conoscenza” che chiaramente si prefigge di mettere in cattiva luce ogni aspetto dei combustibili fossili (dal ruolo negativo di “Big Oil” all’inquinamento, con gli sversamenti accidentali di petrolio in mare, fino all’aumento dei prezzi e ad una presunta scarsità di carbone, petrolio e gas – tutti aspetti che dovrebbero convincerci a “lasciarli sotto terra”) e, invece, di occultarne qualsiasi beneficio. Epstein dedica molta attenzione al “sistema di conoscenza”, descrivendo come è composto e come lavora contro il nostro stesso interesse. Pur riconoscendo il ruolo fondamentale degli esperti e della libera ricerca, i problemi emergono nella fase di sintesi, quando enti come l’IPCC (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite), o le tante università e centri di ricerca che vivono di fondi di ricerca assegnati dai governi, troppo spesso compiono gli stessi identici errori di “framework” già descritti. Com’è possibile che in un rapporto IPCC di svariate migliaia di pagine non venga mai menzionato un effetto positivo dell’uso dei combustibili fossili, né un miglioramento della condizione umana? Per esempio, negli ultimi cento anni il numero di morti causate da eventi climatici è crollato del 98 per cento (dato elaborato da fonte EMDAT-CRED, Université catholique de Louvain), ma nessun documento dell’IPCC ne prende nota.
Se a livello di ricerca e di sintesi vengono omessi fattori importanti come questo, non ci dobbiamo poi stupire se i media di massa, come giornali e televisione, non riportano mai notizie positive su clima e ambiente, né propongono approfondimenti mirati ad accrescere la conoscenza su questi temi, ma si dispongono ad essere strumenti di una propaganda volta a terrorizzare chi ne sa poco, in particolare i giovani. Se non si adotta un sistema di valori di riferimento favorevole allo sviluppo umano, nella fase di valutazione tutto può prendere una piega anti-umana, proprio a causa della “premessa del pianeta perfetto”, secondo cui l’essere umano può solo distruggere il pianeta, qualunque cosa faccia.
CO2 solo negativa? Nella terza parte del libro Epstein si concentra sugli effetti, presunti o reali, delle fonti fossili sul clima e sull’ambiente, sottolineando come proprio grazie ad essi oggi siamo in grado di limitare e affrontare meglio anche l’impatto negativo del loro uso. È in questa parte, sugli effetti della CO2, che troviamo fatti in controtendenza rispetto alla narrazione mainstream, contestati più da un punto di vista ideologico che tecnico o scientifico. Siamo sicuri, si chiede Epstein, che l’aumento della CO2 in atmosfera abbia solo aspetti negativi? È possibile che ci siano effetti tutto sommato neutri, o magari anche positivi?
Energia e libertà Nell’ultima parte del libro Epstein sottolinea l’importanza del legame tra energia e libertà. Da una parte, la disponibilità di energia in assenza di libertà permette ai tiranni al potere di arricchirsi, tenendo la cittadinanza schiava e in povertà energetica. Dall’altra, godere della libertà ma trovarsi in una condizione di povertà energetica porta poco lontano, perché l’unica prospettiva in questo caso diventa la mera sussistenza. Nella nostra civiltà occidentale nemmeno ci accorgiamo di quanto la disponibilità di tanta energia a basso costo sia fondamentale per il mantenimento del livello di vita e di libertà di cui beneficiamo oggi.
Un approccio pro-umano L’ultimo capitolo, interessante per comprendere la forza di volontà e la convinzione che muove Epstein, è dedicato alla sua metodologia di persuasione, applicabile da chiunque per intavolare discussioni su qualsiasi tema. Epstein offre a tutti la ricetta per approcciare problemi complessi, ragionando in modo corretto e completo, e inserendo nel giusto contesto, quello pro-sviluppo umano, ogni informazione. Qui Epstein torna a parlare di “framework”: è fondamentale reimpostare ogni discussione cambiando la struttura di idee che è sempre implicita, mai dichiarata. Se si ammette che il pianeta deve rimanere intoccato dall’uomo, e che ogni impatto è da evitare, si parte già in salita, si concede una superiorità morale a coloro i quali in realtà partono da una premessa anti-umana. Se, al contrario, si riesce a impostare un approccio pro-umano in maniera esplicita, si vedrà che la stragrande maggioranza delle persone si troverà d’accordo. Se non si parte da un sistema di valori di riferimento condiviso tra chi sta argomentando su qualsiasi tema, la comunicazione diventa molto difficile, se non impossibile. Ecco perché “Fossil Future” è a nostro parere un libro che insegna molto più a discutere in modo corretto di energia e clima. Anche se già arrivare ad avere una discussione basata su logica e ragione su questi temi sarebbe un immenso passo avanti. Luca Bertagnolio, qui.
Probabilmente queste cose le sanno anche le vestali del pianeta da salvare, i Mosè della transizione energetica, i messia della regressione felice: molto semplicemente il loro obiettivo non è salvare il pianeta, che non ha alcun bisogno di essere salvato, meno che mai da degli idioti, ma semplicemente di distruggere noi. Poi ovviamente c’è il solito branco di topi lobotomizzati che seguono il pifferaio magico senza accorgersi dell’abisso verso cui li sta trascinando. Ogni tanto si legge che la terra “è stata progettata per tre miliardi di persone”. Ora, le possibilità sono due: 1: la terra – come tutto il resto – è stata progettata e creata da Dio, il quale ha detto “Prolificate e moltiplicatevi” e non ha aggiunto “e arrivati a tre miliardi fermatevi”, e quindi la storia della terra progettata per tre miliardi di persone è una colossale puttanata; 2: la terra – come tutto il resto – non deriva da nessun progetto, è frutto del caso, della casuale combinazione di atomi con tutto quel che segue, e la vita sulla terra, è a sua volta frutto del caso, della casuale combinazione di aminoacidi eccetera eccetera, e quindi la storia della terra progettata per tre miliardi di persone è una colossale puttanata. Tertium non datur: fatevene una ragione. E il carbone, intenzionalmente creato o frutto del caso che sia, è uno dei doni più benefici che ci siano stati dati.
Si affrettano a raccontarci come l’esplosione del vulcano Tonga, il 15 gennaio scorso, sia stata “500 volte più potente della bomba di Hiroshima”! (che era uno sputacchio all’epoca, figuriamoci oggi) Nessuno scienziato che ci racconti quante mila mila mila tonnellate di polvere, gas acidi e CO2 abbia scaraventato in atmosfera? L’esplosione del Pinatubo, nel 1991, abbassò le temperature a livello planetario per 2-3 anni. L’esplosione del Krakatoa nel 1883 fu seguito da 4 anni freddi fino all’eccezionalmente freddo 1887. Chiude la storia recente il Tambora, in Indonesia, che nel 1815 fece registrare la più grande eruzione conosciuta nella storia umana. L’eruzione portò a provocare quello che fu conosciuto come l'”Anno senza estate” nel 1816 provocando carestie in tutto il mondo.
Già, perché, checché ne pensino i gretardi, la civiltà si sviluppa con il caldo, l’agricoltura prospera con il caldo, la felicità fiorisce con il caldo (qualcuno si è chiesto come mai il più alto tasso di suicidi in Europa lo ha la Groenlandia e in Italia la Valdaosta?) la salute migliora con il caldo. A quelli poi che sostengono che possiamo influire significativamente sul clima e migliorarlo con le nostre scelte, vorrei chiedere che cosa propongano per controllare le eruzioni e soprattutto le esplosioni vulcaniche – e magari, già che ci siamo, anche i terremoti.
e cosiddetto (presunto. Supposto. Dichiarato) antropogenico. Inizio da due riflessioni, parzialmente a margine, piene di buon senso di Giovanni Bernardini.
Viviamo in un’epoca nichilista. Uno dei suoi aspetti è il nichilismo linguistico. Il nichilismo linguistico si esplicita nell’uso di termini ed enunciati privi di senso. Ne è pieno il misticismo ecologico. Vediamone alcuni. “Vogliamo un pianeta pulito”. Termini come “pulito” o “sporco” hanno senso solo se riferiti agli umani, non ne hanno nessuno se riferiti al “pianeta”. Forse che il petrolio è “sporco” mentre la neve è “pulita”? Una eruzione vulcanica è “sporca” o “pulita”? Una volta camminando in montagna mi sono imbattuto nella carcassa di un camoscio. Era in parte divorata dagli uccelli e coperta di formiche. Era qualcosa di “sporco” o di “pulito”?> “Il pianeta è malato”. Idem come sopra. La luna è “malata” perché non ha atmosfera? Era “malata” la terra quando sulla stessa non esistevano forme di vita? Si “ammalerà” il sistema solare quando il sole collasserà? “Salviamo il pianeta”. Si confonde la “salvezza” del pianeta col tentativo di salvaguardare certe caratteristiche dello stesso che noi umani riteniamo utili alla nostra sopravvivenza. Parlare di “salvezza del pianeta” e come parlare di salvezza dei milioni di stelle destinate ad essere risucchiate in un buco nero. Un puro non senso. Si potrebbe continuare. Il dibattito politico è ormai intossicato dalla ideologia nichilista che trasforma il linguaggio in un bla bla privo di senso. Gli slogan e gli anatemi stanno sostituendo il dibattito razionale. Davvero triste…
Questo pezzo è del 21 settembre, e già presagiva i bla bla bla del potente discorso di Santa Greta dei Dolori Climatici.
Gli esseri umani si procurano oggi ciò che è necessario alla loro esistenza usando tecniche, strumenti, modi di lavorare e produrre che hanno un impatto ambientale enormemente superiore rispetto a quelli usati in passato. Questa è una delle idiozie più largamente diffuse e propagandate dai mistici dello pseudo ambientalismo. La sostengono un po’ tutti, da papa Bergoglio a Greta Thunberg. In passato esisteva una dolce armonia fra uomo e natura, questa è stata brutalmente rotta dalla rivoluzione industriale. Da allora è iniziata la marcia dell’umanità verso la distruzione. Ma stanno così le cose? Vediamo. I nostri antichissimi progenitori erano cacciatori e raccoglitori. Si procuravano il cibo cacciando i più disparati animali e mangiando frutti erbe e bacche che trovavano sul loro cammino. Proviamo a fare un esperimento mentale. Tralasciamo ogni considerazione su tutti i beni diversi dal cibo di cui oggi disponiamo. Limitiamoci alla pappa e facciamoci la seguente domanda: cosa succederebbe se noi OGGI ci procurassimo il cibo usando solo caccia e raccolta? La risposta è incredibilmente semplice: nel giro di pochissimo tempo distruggeremmo ogni traccia di vita animale e vegetale sul pianeta e morremmo a centinaia di milioni. Lo stile di vita dei cacciatori- raccoglitori era quanto di più distruttivo per l’ambiente si possa immaginare. Come mai allora qualche millennio fa l’ambiente non era a rischio? La risposta di nuovo è semplicissima: l’ambiente non era a rischio perché il modo usato dagli umani per procurarsi da vivere impediva lo sviluppo demografico. Gli uomini erano pochissimi, la mortalità altissima, la vita breve e difficile. Per questo caccia e raccolta, per quanto distruttive, avevano effetti molto limitati. Le grandi rivoluzioni nei modi di produzione, a partire dalla invenzione dell’agricoltura e dell’allevamento nel neolitico, hanno introdotto modi di produrre più efficaci ed efficienti e a minor impatto ambientale. Questo e solo questo ha permesso il miglioramento delle condizioni di via degli esseri umani, l’allungamento della speranza di vita e lo sviluppo demografico. I veri ambientalisti oggi dovrebbero chiedere che vengano introdotti modi di produrre energia e beni sempre più efficaci ed efficienti che, proprio per questo, hanno un minore impatto ambientale. Il nucleare è uno di questi. Produce enormi quantità di energia a costi limitati e ad impatto ambientale zero. L’eolico fa l’esatto contrario: produce poca energia a costi elevatissimi e ad altissimo impatto ambientale. Non proseguo in un discorso che potrebbe diventare lunghissimo. Aggiungo solo una cosa: do per scontato che nessuno si proponga di ridurre di qualche miliardo di persone il genere umano. Molti mistici dello pseudo ambientalismo lo fanno: i più coerenti fra loro auspicano l’estinzione volontaria del genere umano (spero siano sinceri quando usano il termine “volontaria”). Altri, meno coerenti, a cominciare da Greta Thunberg, non arrivano a tanto ma questo è il senso delle loro farneticazioni: dobbiamo diventare tutti più poveri e ridurre drasticamente il nostro numero. Punto e basta. Resta aperto un problemino: CHI deve abbandonare questo mondo brutto e consumistico? Ovviamente non scoprono nulla di nuovo. Il vecchio signor Malthus li ha anticipati di oltre due secoli. E dire che la sinistra del suo tempo lo considerava un terribile reazionario!
Io un’idea l’avrei: una legge che imponga l’eutanasia immediata di chiunque affermi che la specie umana rappresenta un disastro, che la specie umana è la peggiore fra le specie viventi, che la specie umana è un errore biologico, che meriteremmo l’estinzione, che bisogna ridurre la popolazione e altre analoghe affermazioni: se pensate che la specie umana debba essere eliminata, siate coerenti e autoeliminatevi, prima lo fare e meglio è per tutti, a partire da voi. E passiamo ora a qualcosa di più prettamente scientifico con questo articolo di due anni e mezzo fa.
Riflessioni sul pubblico dibattito sulla teoria dell’AGW
Il successo e il clamore della recente testimonianza della giovane Greta ha riportato alla ribalta temi di attualità come clima e ambiente. Cosa c’è di fondato dietro la preoccupazione per la salute del pianeta, e quanto sono utili i richiami a politiche di intervento?
Luciano De Stefani – Componente del Consiglio Direttivo e della Giunta Esecutiva ALDAI-Federmanager
Le recenti manifestazioni dei giovani sulla necessità di proteggere l’ambiente hanno spinto due nostri colleghi ad intervenire sull’AGW, l’acronimo che indica il RISCALDAMENTO GLOBALE (GW) dovuto all’uomo (A = ANTHROPOGENIC). Essi sono membri di alcuni Gruppi di Lavoro della Commissione Studi ALDAI ed hanno scritto le loro idee sul riscaldamento globale del pianeta terra. Qui di seguito vi è il primo articolo di Giuliano Ceradelli, da 50 anni ingegnere del Politecnico di Milano e con una lunga esperienza tecnica e manageriale nel settore energetico in Italia ed all’estero. Egli è uno “scettico” della teoria AGW e ne spiega le ragioni. Il prossimo articolo seguirà a breve. Ambedue, come di consueto, verranno pubblicati prima sulla Rivista Dirigenti Industria Digitale.
Giuliano Ceradelli
Socio ALDAI-Federmanager
Prima di rispondere alla domanda proposta nel sottotitolo, è utile fare una premessa su cosa si intende per inquinamento. Spesso, troppo spesso si fa confusione tra clima e (inquinamento dell’) ambiente. Un noto quotidiano italiano il 3 maggio del 2017 titolava: “Mauna Loa – Emissioni CO2, record di anidride carbonica: sfondata quota 410 ppm (0.04% in volume), l’aria nel mondo non è mai stata così inquinata”. Mentre la CO2 e gli altri gas serra (Protocollo di Kyoto) – non sono inquinanti o tossici, va sottolineato che Mauna Loa-Kilauea è un vulcano tra i più grandi e attivi del pianeta e quindi ci viene spontaneo domandarci con quale criterio si sia scelto di localizzare proprio lì la stazione di rilevamento delle concentrazioni di CO2 in atmosfera, quando è chiaro che un vulcano è naturalmente prono ad emettere CO2 oltre ad altre sostanze inquinanti. Se quindi la CO2 e gli altri gas serra antropici del Protocollo di Kyoto non sono inquinanti, clima e inquinamento non possono e non devono essere confusi, a meno che si voglia creare ad arte sconcerto e confusione nelle menti di chi legge o ascolta. Vale la pena notare che nei paesi occidentali negli ultimi decenni sono stati compiuti notevoli progressi nel raggiungimento degli obiettivi di qualità dell’aria e si sono ridotti i livelli di tutti gli inquinanti atmosferici primari grazie alle innovazioni tecnologiche in vari settori, come quello dei trasporti, della produzione di energia, del riscaldamento e dell’industria, ma moltissimo evidentemente resta ancora da fare. Pertanto l’impegno dei più giovani e l’entusiasmo con cui si possono intestare grandi battaglie ideologiche, fatto encomiabile per quanto attiene in particolare all’inquinamento, dovrebbe essere incanalato dagli adulti nella giusta direzione e non dovrebbe essere confuso con la loro accoglienza acritica ed ipocrita da parte dei governi e delle organizzazioni internazionali. A loro spetta infatti educare i giovani a distinguere tra clima e inquinamento e a riconoscere le reali dimensioni del problema e cosa, negli anni, ha contribuito a ridurne l’impatto.
La teoria dell’AGW
La scienza ufficiale ritiene che ciò che era precedentemente chiamato Riscaldamento Globale (GW), ora chiamato per convenienza Climate Change, sia addebitabile all’azione dell’uomo, con le sue emissioni antropiche di CO2 connesse all’uso dei combustibili fossili. Si tratta di un postulato che, purtroppo per i sostenitori di tale tesi, trova poco riscontro nelle evidenze empiriche. Le svariate linee di evidenza empirica ci dicono semplicemente che il clima del nostro pianeta stà cambiando, come ha fatto altre volte nel passato, ma non ci dicono che ciò derivi in prevalenza dalle azioni umane. Anzitutto la CO2 è nutrimento per la flora che ci rende l’aria respirabile ed il mondo vivibile, ma non è il principale gas serra. Il principale agente nell’effetto serra – trascurato dal Protocollo di Kyoto – è invece l’acqua sotto forma di vapore che, a volte scalda (dense nubi trappola di radiazioni), ma a volte raffredda l’atmosfera e il suolo (precipitazioni). Per inciso, durante le precipitazioni (pioggia, neve, grandine) anche la CO2 presente in atmosfera precipita al suolo. La CO2, inoltre, non è solo di origine antropica. Grandi quantità vengono scagliate in atmosfera dalle eruzioni vulcaniche. Queste ultime sono fortemente clima alteranti, ma verso il freddo! Per inciso, sulla base di dati ufficiali (La Quere et al., 2013; IEA, 2013; IPCC 4th Assessment Report, 2007 ) le emissioni naturali annue – ossia non antropiche – di CO2 sono superiori a 770 miliardi di tonnellate, mentre le emissioni causate dall’uomo sono stimate in circa 39 miliardi di tonnellate (media su range SRES IEA: 29-49 mld ton CO2), ossia circa 20 volte meno delle emissioni naturali che occorrono spontaneamente. Con la teoria dell’AGW, la scienza si è nutrita di slogan a suon di previsioni catastrofiche sul cambiamento climatico diffondendo allarmismi che gli scettici ritengono ingiustificati. Spesso lo hanno fatto mescolando meteorologia e climatologia, che sono discipline scientifiche affini, ma diverse: l’una studia il tempo nel breve, l’altra il clima nel medio-lungo periodo (almeno 30 anni). Entrambe le discipline hanno una vocazione comune: fare previsioni future. Ma prevedere è alquanto complicato perché presuppone una completa conoscenza della realtà fisica che ruota intorno al nostro Pianeta, che ancora oggi è insufficiente, nonostante le rassicurazioni di molti scienziati sostenitori dell’AGW supportati dalla politica, in contrasto con altri scienziati che invitano invece alla prudenza su un tema assai complesso e poco conosciuto come è quello della scienza climatica. Qualche anno fa scoppiò lo scandalo del Climategate, emblematica situazione che descrive bene i guasti che possono derivare dalla politicizzazione della scienza. Si era creato un pericoloso meccanismo collusivo, che continua potenziato ancora oggi, tra alcuni interessi politici e commerciali e il gruppo di studiosi foraggiati dai finanziamenti. Ciò è preoccupante se si pensa alla rilevanza delle politiche che da anni sono state adottate, in Europa e altrove, nel nome proprio di questa visione dello “stato dell’arte” sul clima (Accordo di Parigi) Il risultato: ingenti somme di denaro pubblico vengono sprecate in misure e progetti che non hanno solide basi scientifiche e quindi non portano beneficio alcuno per l’uomo (es. gli incentivi alle così dette fonti rinnovabili, la Carbon Tax, ecc). Infatti anche se, per assurdo, si riuscissero ad azzerare le emissioni antropiche (su quelle naturali niente si può fare), bloccando così lo sviluppo mondiale ed incamminandoci in quella che viene definita la “decrescita felice”, forse si riuscirebbe, ad essere ottimisti, ad abbassare la temperatura media del pianeta di solo qualche decimo di grado! La scienza del clima non è ancora in grado di spiegare compiutamente il fenomeno del riscaldamento globale e ogni allarmismo riflette non certezze scientifiche, ma un’agenda politica o ideologica. In realtà numerosi sono i punti su cui la comunità scientifica è divisa o, semplicemente non è stata ancora in grado di trovare una risposta. Il motivo principale risiede nel fatto che i modelli dell’IPCC (Intergovermental Panel for Climate Change) esplorano il clima assumendo come dato di fatto che l’uomo e la sua attività sia il principale (l’unico dopo il 1970) attore della modifica del clima e la CO2. In realtà invece molti sono i meccanismi climatici che non sono noti nei dettagli: processi fisici, astrofisici, cosmologici, le maree luni-solari, le macchie solari, il vulcanesimo terrestre e sottomarino, i movimenti tellurici, l’inclinazione dell’asse terrestre, ecc e le leggi o i fattori che li regolano o li influenzano. Forse la chiave interpretativa del GW sta nell’effetto ionizzante dei flussi di alta energia di origine cosmica e solare. Queste energie interagiscono soprattutto con l’atmosfera come del resto, quando ci sono eruzioni, le alte colonne eruttive di vulcani esplosivi. E se l’ozonosfera viene perforata, i raggi ultravioletti solari entrano in atmosfera. D’altro canto gli effetti gravitazionali delle maree luni-solari sollecitano zone di faglia instabili del Pianeta, eccitandole (specie Indonesia e Oceano Pacifico) causando potenti e diffusi eventi tellurici (vulcani, terremoti e tsunami), che si uniscono alle periodiche fasi del Nino. Si producono pertanto complesse interazioni tra eventi clima-alteranti ed effetti di clima alterato con oscillazioni termiche annesse (variazioni climatiche) e, talvolta, manifestazioni di eccezionale energia distruttiva (eventi estremi). Dunque le cause prime sarebbero prevalentemente cosmiche, extraterrestri ed extrasolari e la CO2 (la quota parte antropica)? O non c’entra affatto, oppure, nella migliore delle ipotesi, può considerarsi una semplice concausa con un ruolo assolutamente marginale. La scienza si nutre di dubbio e scetticismo e non dovrebbe accettare dogmi, verità imposte su base maggioritaria, boicottaggi che impediscano di esprimere liberamente idee diverse e di discuterle con chi la pensa diversamente. Chi accetta tutte queste cose senza esprimere dubbi è più un “credente” che un seguace della scienza. Negli anni ’70 gli stessi “scienziati” che ci mettevano in guardia per un’imminente nuova era glaciale, da 30 anni ormai lanciano proclami catastrofisti del tipo “abbiamo solo 20 anni per salvare il pianeta” (COP24 di Katowice – Polonia) senza che sia visibile alcun effetto “sul pianeta” che non sia stato già visto nel passato, ma con tragici effetti sulla qualità della vita nei paesi occidentali, vessati da rozzi tentativi di trasferire ricchezza verso i paesi in via di sviluppo, vita che è peggiorata notevolmente, come testimoniano le recenti manifestazioni di piazza dei “gilet jaunes” in Francia. I modelli climatici utilizzano come variabile principale la CO2: in essi è contenuta, come unica “manopola” per cambiare il clima (tipo la manopola della sintonia di una radio), la quantità (concentrazione) di CO2. È questo che giustifica la lotta senza quartiere all’anidride carbonica in tutte le raccomandazioni dell’IPCC e il fatto che la maggioranza delle persone la consideri un veleno, quando in realtà è l’elemento fondamentale per la fotosintesi, da cui deriva, anche per l’aumentata concentrazione, un beneficio per la biosfera. Tutti conoscono cosa sia l’effetto serra, ma la correlazione tra CO2 e GW non è affatto biunivoca, né unidirezionale. Evidenze storiche del passato per es. periodo romano e periodo medievale caldi, quando la CO2 – in questo caso di origine prettamente naturale – era ad un livello, secondo i sostenitori dell’AGW, non superiore ai 280 ppm (0, 028% in volume), dimostrano che la relazione di causa-effetto non regge. Anzi altre evidenze paleo climatiche segnalano che in taluni periodi di correlazione tra CO2 e GW, è quest’ultimo che precede l’aumento di CO2, e non viceversa. E pensare che nell’ormai lontano 2001 il Working Group 1 dell’IPCC scriveva nel suo Report annuale: “In climate research and modelling, we should recognize that we are dealing with a coupled non-linear chaotic system, and therefore the long-term prediction of future climate states is not possible”. Beh, c’è stato da allora un bel cambiamento, perché seguendo il filone delle carriere professionali, delle prebende e dei finanziamenti, l’IPCC e le istituzioni scientifiche ad esso collegate, ora dichiarano, con la sicumera che li contraddistingue, che sono in grado di definire la temperatura terrestre con l’approssimazione del decimo di grado e dichiarano – quasi del tutto inascoltati, almeno stando ai fatti – che, se noi attuassimo le misure che ci raccomandano da anni, ciò consentirebbe di contenere l’aumento di temperatura del Pianeta entro i 2°C , evitando così … la sicura catastrofe e la sparizione dell’uomo dalla faccia della Terra! Con la popolazione mondiale di oltre i 7 miliardi di persone, in costante ed inarrestabile crescita in particolare nei paesi in via di sviluppo (Asia, Africa), di energia c’è sempre più bisogno e uno degli ormai annosi quesiti che riaffiora in discussioni, dibattiti e simposi in Italia e nel mondo riguarda la nostra possibilità di generare sempre maggiore energia elettrica usando i combustibili fossili. Possiamo farlo o invece dobbiamo, o avremmo dovuto già da tempo, come sostengono gli ambientalisti, gradualmente disfarcene perché “energia non pulita”? Considerando il quesito in un contesto globale, la domanda ha una sola risposta: se vogliamo preservare l’ambiente che ci circonda e renderlo sempre più vivibile dobbiamo essere liberi di usare anche i combustibili fossili, perché solo loro sono in grado di fornirci energia abbondante, sicura e a basso costo.
A conclusione della presente nota invitiamo il lettore ad esaminare il grafico di Fig.1 ( Institute for Marine and Coastal Sciences and Department of Earth and Planetary Sciences, Rutgers University, 71 Dudley Road, New Brunswick, NJ 08901, USA. Lamont-Doherty Earth Observatory of Columbia University, Palisades, NY 10964, USA. Department of Geology and Geophysics, Woods Hole Oceanographic Institution, Woods Hole, MA 02543, USA) che ci fa notare che i cambiamenti globali della temperatura superficiale di questi ultimi anni sono semplicemente un ritorno parziale al clima “normale” generale degli ultimi due millenni e che l’unico aspetto notevole dei cambiamenti climatici negli ultimi secoli è stato il raffreddamento anomalo che si è verificato durante la Piccola Era Glaciale. Infine, il riscaldamento su scala emisferica di qualche grado nell’arco di pochi decenni – e l’innalzamento globale del livello del mare si sono verificati in modo naturale o senza cambiamenti nella concentrazione di CO2 nell’atmosfera. E, per dirla in breve, non c’è nulla di remotamente straordinario negli ultimi decenni nel riscaldamento globale.
Dell’imminente glaciazione anzi no dell’imminente scioglimento di tutti i ghiacciai della terra anzi no ci stiamo raffreddando ma è per colpa del caldo lo stesso e comunque ci sono i cambiamenti climatici e comunque c’è l’emergenza climatica e da almeno una sessantina d’anni abbiamo dieci anni per invertire la rotta prima che il mondo sia distrutto, di questo abbiamo già abbondantemente parlato in questo blog. Oggi torno sul tema per dimostrare che OGGI ci sono i cambiamenti climatici, come possiamo vedere qui
Ah no, forse mi ero sbagliata, quelli c’erano anche mille anni fa, duemila anni fa, tremila anni fa, quattromila anni fa… No vabbè, però adesso ci sono gli eventi estremi di cui una volta quando non c’era il malefico essere umano o almeno quando non c’era questo consumismo selvaggio degli ultimi anni non c’era traccia. Giusto?
Ehm, no forse mi sono sbagliata di nuovo, non ci sono neanche quelli. PERÒ C’È LA CIODUE, LA FAMIGERATA CIODUE! Provate a negarlo se avete il coraggio. La ciodue che distruggerà il pianeta e tutta la vita su di esso. Guardate, lo dice anche questo signore qui che siamo pieni di ciodue.
Un giorno gli alieni atterreranno sulla Terra. Probabile che la troveranno ricoperta in buona parte di ghiacci, come ciclicamente accade al nostro Pianeta, che ha passato più tempo a battere i denti dal freddo nelle ere glaciali, che a godersi un piacevole tepore durante i fortunati periodi inter-glaciali come quello che stiamo vivendo (pur lamentandocene). Per ritrovare testimonianze di una civiltà umana ormai purtroppo estinta, gli alieni ricorreranno a carotaggi nel ghiaccio, che restituirà loro vestigia del passato di una gloriosa civiltà la cui auto-distruzione sarà diventata materia di studio presso tutte le università aliene della Galassia. Eh sì, perché gli alieni saranno davvero affascinati alla scoperta del modo originalissimo in cui una civiltà in apparenza progredita come quella umana riuscì a suicidarsi nell’incredibile convincimento che la CO2, il cibo delle loro piante e il mattone elementare della loro vita, fosse invece un pericoloso inquinante capace di alterare in modo catastrofico il clima del loro Pianeta. Da lì seguirono una serie di scelte economiche sciagurate che gettarono le economie occidentali nella depressione economica e nel caos, e prepararono le basi per un conflitto mondiale senza vincitori. In una missione dedicata a quella che fu l’Italia, i carotaggi avverranno nelle valli alpine, che saranno ricoperte da strati di ghiaccio spessi centinaia di metri, come accadde all’apice dell’ultima glaciazione. Gli alieni scopriranno anche in Italia (come negli altri paesi europei) gli stessi segni e testimonianze di come, a fronte di un cambiamento del clima terrestre verso condizioni molto più fredde, la “comunità scientifica” negò con forza l’evidenza. Ci si dedicò infatti inizialmente a raffinatissimi esercizi di “omogeneizzazione” dei data-set climatici per dimostrare che il passato era stato ancora più freddo, anche se nessuno se n’era accorto. Infine, si attribuì il troppo freddo al troppo caldo, in un inspiegabile esercizio oratorio che con la scienza non aveva niente a che vedere, ma che era perfettamente in linea l’approccio da “scienza molle” che si era deciso di dare alla ricerca in campo climatico. Ma la narrativa era dettata dai media, e la scienza si era messa diligentemente al servizio di chi i media li governava (e le ricerche sul clima le finanziava), come accade in tutte le civiltà in cui la concentrazione di poteri, ricchezze e associate influenze supera un livello critico ben noto agli studiosi e ai politici alieni. E poi quel finale tragicomico, con la popolazione intirizzita chiamata a sbrinare le pale eoliche e a rimuovere la neve dai pannelli solari, in un tentativo disperato di rendere utilizzabili le stesse fonti energetiche che già mostravano tutta la loro inefficienza in condizioni climatiche più favorevoli. Le stesse fonti energetiche su cui gli umani facevano incredibilmente affidamento per salvarsi dalla morte imminente per “troppo caldo” profetizzata dagli scienziati di allora. Ma tra tutti i carotaggi ce ne sarà uno che lascerà gli alieni decisamente interdetti. Si tratterà di un manifesto pubblicitario di un “body contenitivo”: un capo di biancheria che gli alieni liquideranno irrispettosamente come un paio di mutandoni elastici per terrestri con problemi di linea. Ma ad attrarre l’attenzione sarà una nota sul manifesto pubblicitario, in apparenza criptica: “Emissioni CO2 compensate”. Un vero rompicapo per gli alieni, inizialmente incapaci di comprendere l’associazione tra l’acquisto di un bene voluttuario come un paio di mutandoni smagrenti, e la questione scientifica politico-economica delle emissioni di CO2. Trattandosi di una civiltà progredita, gli alieni riusciranno comunque a capire che il riferimento alla “compensazione” andava inteso come una forma di auto-tassazione dei produttori di mutande per flagellarsi davanti ai loro clienti del fatto di emettere CO2 nel processo produttivo della lingerie. Ridicolo e grottesco, certo, ma comunque comprensibile alla luce del fatto che i terrestri, sulle fondamenta di quella scemenza assoluta del pericolo-CO2, avessero costruito un monumento alla stupidità che non risparmiava assolutamente nulla, nemmeno la biancheria intima. Semmai gli alieni ne faranno una questione di marketing: considerata l’ignoranza media dell’essere umano (ritenuta dagli alieni la causa prima della sua propensione ad accettare come realistiche e credibili le ridicole profezie climatiche veicolate dai media di allora), cosa avrebbe potuto capire l’acquirente di mutande da quel riferimento alle emissioni “compensate”? Intrigati dal mistero, e solleticati dall’argomento invero pruriginoso (anche gli alieni indosseranno le mutande per nascondere e al tempo stesso valorizzare le loro vergogne?) avranno fatto alcune ipotesi:
Il terrestre avrà colto l’essenza del messaggio pubblicitario? Ovvero che il produttore di mutande con quella curiosa espressione intendeva in effetti avvertirlo che il costo della biancheria sarebbe aumentato a causa delle tasse sulle emissioni di CO2? Gli alieni concluderanno di no: perché sarebbero state necessarie conoscenze economiche che il terrestre medio decisamente non aveva.
Allora forse il terrestre avrà ritenuto che le mutande servissero a contenereinopinate e imbarazzanti flatulenze? In effetti il produttore avrebbe potuto “compensarle” grazie ad un sistema di contenimento a micro-filtri adsorbenti collocato nella parte posteriore della mutanda… Col risvolto climaticamente virtuoso di ridurre le emissioni in atmosfera di gas-serra di origine intestinale.
Oppure il terrestre avrà pensato ad un sistema di sconti per chi era afflitto da problemi di meteorismo? Qualcosa del tipo: compra le mie mutande e ti ri-compenso se emetti molte flatulenze? Sarebbe servito un certificato medico per usufruire dello sconto? O piuttosto una dimostrazione dal vivo in negozio in appositi stanzini dotati di gas detector?
O al contrario, il potenziale acquirente le avrà viste come qualcosa di minaccioso? Del tipo: guarda che se emetti troppe flatulenze finirai per far aumentare i gas-serra. E quindi le mutande me le paghi di più! Una interpretazione non lontana dal punto 1) ma più alla portata del terrestre medio.
E infine un’ultima ipotesi: ovvero che l’acquirente di mutande avrebbe liquidato la pubblicità con una alzata di spalle, come l’ennesima clima-cazzata. E come l’ennesimo, goffo esempio di “virtue-signalling” da parte dell’azienda di turno.
Ipotesi, quest’ultima, scartata con decisione dagli alieni. Perché se ci fosse stata una coscienza vera e diffusa della ridicolaggine e della ascientificità della narrativa allora dominante sul “Climate Change”, forse gli esseri umani si sarebbero salvati. E forse, delle clima-cazzate del ventunesimo secolo avrebbero potuto ancora raccontare di persona, tra le risate generali degli umani e degli alieni stessi. (qui)
Poi guardate qui
e ditemi se possono sussistere dubbi sul fatto che sia ritardata, per non parlare di quel ghigno da psicopatica – da psicopatica pericolosa, maligna, perfida, sadica, così, insomma. E tocca perfino assistere a questo
Precisando che la ritardata bianca, anche se dimostra 11 anni, ne compirà 19 fra tre mesi, mentre la ritardata nera ne ha 23. Mala tempora currunt, fratelli, e nessuno che vada in giro ad agitare qualche campanello per svegliare il branco di idioti che si accoda a queste pericolose stronzette analfabete. E alla fine di tutto, non resterà che questo:
Ecco il mostro “green” Ue del Commissario Stranamore: una minaccia mortale per famiglie e imprese
Il 14 luglio 2021, la Commissione europea se ne è uscita con un pacchetto di proposte volte a “ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990 … affinché l’Europa diventi il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050”. Variamente definita come Green Deal europeo ovvero Fit for 55, il pacchetto consiste in un groppo di proposte legislative e normative, giornalisticamente definito come il Mammut. Alla grande industria pesante (imprese produttrici di energia elettrica e industrie ad alta intensità energetica) già oggi è imposto di acquistare speciali diritti (detti quote di emissione) per emettere CO2. Tale imposizione viene resa oggi assai più pesante e, al contempo, essa viene estesa ai distributori di combustibile per gli edifici: i quali, naturalmente, ne gireranno il costo su quelle imprese e quelle famiglie che ancora, d’inverno, ardiscono a riscaldare i propri uffici e le proprie case. E pure alle famiglie che ancora osano avere la cucina a gas. Idem ai distributori di carburante per il trasporto stradale, con conseguente aumento del prezzo del pieno alla pompa. Ciò che vale per le famiglie, ma anche per camionisti, agricoltori e pescatori. Per questi ultimi, però, si aggiunge la revisione della direttiva sulla tassazione dell’energia, che intende procedere “eliminando le esenzioni obsolete e le aliquote ridotte, che attualmente incoraggiano l’uso di combustibili fossili”: in pratica, pagherebbero il diesel come lo pagano i privati, cioè oggi il doppio, ma domani anche il triplo, considerato l’effetto combinato dei due provvedimenti. Per soprannumero, gli agricoltori dovranno, entro il 2035, “raggiungere la neutralità climatica, comprese le emissioni agricole diverse dal CO2, come quelle derivanti dall’uso di fertilizzanti e dall’allevamento”. Con tanti saluti alla spesa a buon mercato: al pesce fresco ed alla bistecca, ad esempio, che diverranno un bene di lusso per raffinati residenti in ZTL … tutti elettori del Pd, naturalmente. Vero è che “tutte le autovetture nuove immatricolate a partire dal 2035 saranno a zero emissioni”. Sicché, forse è un bene che le famiglie cessino di scaldare le proprie abitazioni d’inverno … così risparmieranno abbastanza per comprarsi un’auto elettrica, a rate. Pure in settori nei quali è già presente, l’imposizione delle quote di emissione per emettere CO2 verrà reso più stringente: nel settore aereo, ad esempio. Insieme all’altra misura del pacchetto (ReFuelEU Aviation), che impone ai “fornitori di combustibili di aumentare la percentuale di carburanti sostenibili per l’aviazione nel carburante per gli aviogetti caricato a bordo negli aeroporti dell’Ue”, con tanti saluti ad uno degli ultimi miti europei: i voli low cost. Altrove, la misura assume toni sfacciatamente protezionistici: l’estensione al trasporto marittimo, ad esempio, non può che servire da volano alla de-globalizzazione. Tanto più in quanto unita all’altra misura del pacchetto (FuelEU Maritime), che impone “un limite massimo al tenore di gas a effetto serra dell’energia utilizzata dalle navi che fanno scalo nei porti europei”. Sempre ammesso che le si possa imporre pure alle flotte mercantili battenti bandiera di Stati abbastanza fortunati da non appartenere alla Unione europea, ad esempio: se una nave giunge a Napoli appena rifornita di gasolio nella libera Tunisi, la Ue le impone di vuotare i serbatoi?! Così pure i dazi verdi (CBAM – carbon border adjustment mechanism), imposti al fine di compensare le quote di emissione pagate dall’industria che produce nella Ue ma non da quella che produce fuori dalla Ue. Ancorché il sempre patetico Gentiloni si sgoli a sostenere di agire “nel pieno rispetto degli impegni assunti nell’ambito del WTO”, fuori dal mondo fatato di Bruxelles i suoi dazi verdi sono interpretati per quello che sono: dei dazi. E, come tali, chiameranno la reazione del resto del mondo, in forma di contro-dazi. In un divertentissimo sforzo di dirlo senza dirlo, The Economist fa mostra di non volerli considerare dazi, ma solo per affondarli con un diverso argomento, questo: “attuare la politica in modo equo significherebbe accertare quanto carbonio è stato emesso nella produzione di una data importazione e fino a che punto i governi stranieri avevano già tassato tali emissioni. Nel 2018, la Commissione europea ha affermato che sarebbe chiaramente ingestibile. Non è cambiato molto da allora”. È questo un problema ben noto a chi abbia gli occhi per guardare, sul quale regolarmente si infrangono le proposte di tassazione verde. A cominciare dalla italianissima plastic tax: siccome essa tasserebbe la plastica vergine ma non quella riciclata, teoricamente l’importatore alla frontiera dovrebbe dichiarare di quanta plastica vergine è fatto un determinato imballo (quello di un computer, ad esempio), ma senza che il doganiere abbia modo di effettuare alcuna verifica, sicché è scontato che tutti gli imballi importati verrebbero dichiarati in plastica riciclata e, per conseguenza, la produzione di plastica per imballo in Italia cesserebbe del tutto. Così è fatto il mondo dei gretini. Questa marea di nuove tasse, andrà a finire: in parte nelle casse dell’Unione, la quale ci pagherebbe una quota del mitico Recovery Fund (a sua volta al 37 per cento destinato “all’azione per il clima”); in parte agli Stati membri (in particolare le quote di emissione). Ma, questi ultimi dovranno poi spendere la totalità delle tasse così raccolte “per progetti connessi al clima e all’energia”. Ad esempio, dovranno “installare punti di ricarica e di rifornimento a intervalli regolari sulle principali autostrade: ogni 60 km per la ricarica elettrica e ogni 150 km per il rifornimento di idrogeno”; “sarà tenuto a ristrutturare il 3 per cento dei suoi edifici ogni anno”; dovrà “produrre il 40 per cento della nostra energia da fonti rinnovabili entro il 2030”; si vedrà assegnato “obiettivi rafforzati di riduzione delle emissioni per quanto riguarda gli edifici, il trasporto stradale e il trasporto marittimo interno, l’agricoltura, i rifiuti e le piccole industrie”; tutti insieme, dovranno “piantare tre miliardi di alberi in tutta Europa entro il 2030” e assorbire “carbonio dai pozzi naturali, per 310 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 entro il 2030”. Di particolare interesse, per l’Italia, la questione del patrimonio edilizio: la Commissione giudica “inefficiente dal punto di vista energetico” circa 3/4 del patrimonio edilizio dell’Unione. Laddove, per edificio efficiente da un punto di vista energetico, essa non può che intendere un edificio quanto di più lontano dalla tradizione edilizia latina (che è fatta di pietra) e vicina alla tradizione edilizia germanica (che è fatta di legno: come quelle migliaia di case in legno, anche a più piani, in questi giorni travolte dalle piene fra la Mosella ed il Reno). Immaginare come ciò sarà possibile in presenza delle nostre Soprintendenze, rende l’intera questione farsesca. Senza dimenticare che la gran parte di tali spese, andrebbe nell’acquisto di materiale (batterie, impianti di ricarica, pannelli solari, …) di produzione non nazionale, ma estera: importati. In particolare dalla Cina e dalla Germania. Con conseguente sciupio del nostro avanzo commerciale: ingentissimo e che costituisce, oggi, la nostra vera forza. Ciliegina sulla torta, “la direttiva sull’efficienza energetica fisserà, a livello di Ue, un obiettivo annuale vincolante più ambizioso di riduzione del consumo di energia”, intesa come consumo globale di energia, cioè pure l’energia elettrica. Casomai a qualcuno fosse venuto in mente che l’obiettivo dell’Unione sia l’elettrificazione: no, l’obiettivo dell’Unione è il ritorno all’età della pietra. Fondamentalmente, il mostruoso pacchetto sarebbe stato scritto sotto dettatura tedesca: “la Germania ha avuto ciò che voleva” – scrive Politico. In uno sforzo che si dice elettorale: nel senso di sostegno alla campagna elettorale della CDU in vista delle elezioni nazionali tedesche di settembre, nelle quali l’avversario principale della CDU sono i Verdi. Un altro indizio di germanicità del pacchetto è nell’enfasi, posta da Von der Leyen, nel dare per scontato che “l’economia basata sui combustibili fossili ha raggiunto i suoi limiti” (in ciò consiste la cosiddetta economia decarbonizzata). Ebbene, la Germania è, notoriamente, una potenza industriale priva di una propria grande industria petrolifera: Total è francese, Shell inglese, Eni italiana … ma una Eni tedesca non c’è. Dunque, per la Germania, cosa vi sarebbe di meglio che toglierla pure agli altri Paesi? Di tale sospetto troviamo una sfolgorante conferma nelle parole di Jeffrey Sachs (quello che consigliava Eltsin) su La Repubblica: “l’epoca dei combustibili fossili è finita” … e qui fa il pappagallo della Von der Leyen; “bisogna smantellare la rete di potere e interessi sostenuta dall’industria dei combustibili fossili”; chi la difende è affetto da “corruzione, ignoranza e avidità”. Epperò la Ue “soffre meno della potenza dell’industria del fossile” … espressione che non può che riferirsi alla sola Germania. Terzo indizio di germanicità troviamo nelle conclusioni logiche di Sachs: la Ue “potrebbe lavorare a un accordo con la Cina, visto che l’America si è incartata in una sorta di Guerra Fredda con Pechino, che distoglie attenzione ed energie dalla questione climatica”. Infatti, il maggiore produttore di CO2 al mondo è la Cina e di gran lunga. Sicché, ogniqualvolta Washington invita Berlino a riallinearsi contro Pechino, Berlino risponde che della Cina abbiamo bisogno “per affrontare la sfida del cambiamento climatico”. Che poi Berlino non abbia la benché minima intenzione di rompere con Pechino per motivi del tutto diversi, sarà certamente un caso. La Commissione è la prima ad ammettere che il Mammut implica “trasformare radicalmente la nostra economia e la nostra società”. Anzi, se ne fa vanto. Timmermans, in particolare, vuole la “lotta contro la crisi climatica e la perdita di biodiversità” e, interrogato circa le conseguenze socio-economiche della propria follia, si dice “più preoccupato dalla crisi climatica, più preoccupato dall’ecocidio che ne può derivare”. In ogni caso: “We have no other option” … TINA, come un Mario Monti qualunque. Grazie al cielo, il Commissario Stranamore si è trovato di fronte una mezza rivoluzione di palazzo. La Francia, in particolare, memore dei gilet gialli. Ma pure tutto l’est Europa e (pare, ma non è confermato) persino il governo italiano. Sicché, il meraviglioso piano verde rischia seriamente di trovarsi subito impantanato: “l’approvazione potrebbe richiedere anni”, fanno sapere diplomatici degli Stati membri. Il che ci pare cosa buona e giusta. Perché non vogliamo tornare all’età della pietra e perché non vogliamo morire cinesi, anzitutto. Ma pure per amore di buon senso: la rivoluzione normativa non può precedere una rivoluzione tecnologica, ma solo seguirla. Non si può vietare per legge l’uso delle candele, se ancora non è stata inventata la lampadina. Non si può vietare per legge l’uso delle carrozze a cavallo, se ancora non è stato inventato il motore a scoppio. Il che è, però e precisamente, ciò che pretenderebbe di fare l’Ue. Così il commissario per l’energia: “Dobbiamo trasformare l’evoluzione delle energie rinnovabili in una rivoluzione” … come se Volta lo avesse creato per decreto Napoleone, come se Edison lo avesse creato per legge il presidente Rutherford B. Hayes. La Ue vuole aiutare una rivoluzione tecnologica? Allora, investa prima decine di miliardi nella ricerca sull’idrogeno, ne attenda i risultati e solo dopo modifichi le normative. Nel frattempo evitando di dissanguare i propri sudditi con tasse nuove e tiranniche. Musso, 19 Lug 2021, qui.
Come già detto in altre occasioni, l’ecologismo è una religione fondamentalista estremamente pericolosa, e il paragone più vicino è quello con l’islam: i sacerdoti, tramite il lavaggio del cervello, convincono i propri fedeli che per avere il paradiso l’unica via è il terrorismo suicida. Riusciremo a uccidere i cattivi maestri prima che loro uccidano noi? PS: quanto alle auto elettriche, l’elettricità si raccoglie sugli alberi, giusto?
Ho voluto ascoltare il discorso pronunciato da Greta a Davos. Di mio non l’avrei fatto: Greta non è così importante da meritare queste attenzioni. Dovrebbe invece essere protetta da chi ha il dovere di farlo e invece la usa. Però, mi son detto, vista la messe di personaggi importanti che pendono dalle sue labbra, vista la farsa collettiva cui ci tocca assistere, perché non sentire che ha da dire ‘sta bimba?
Orpo… ha ragione, ha pienamente ragione Greta! Di colpo mi sto rendendo conto di essere l’unico al mondo che sta ascoltando Greta. Tutti i suoi stimatori, quelli che dicono che siamo sulla soglia di una catastrofe ambientale, stanno ignorando la piccola. Eccetto io, che però verso la bimba ho sentimenti di pietà. Quanto a stima, mi devo ricredere: la logica di Greta è stringente. Perché se (un colossale “se”) siamo in emergenza climatica e al soglio di una catastrofe planetaria per colpa della CO2, allora bisogna fare esattamente quel che a Davos Greta ha detto di fare. Ecco, dunque, cos’ha detto.
«Non vi stiamo dicendo di affidarci a tecnologie che oggi neanche esistono e che la scienza dice che forse mai esisteranno. Non vi stiamo dicendo di continuare a parlare di “zero emissioni nette” o di “neutralità carbonica”, continuare a imbrogliare e giocare coi numeri. Non vi stiamo dicendo di far finta di azzerare le vostre emissioni semplicemente pagando qualcun altro per piantare alberi in Africa, mentre allo stesso tempo in Amazzonia le foreste stanno sparendo ad una velocità infinitamente maggiore».
«Siamo chiari, una volta per tutte. Non è di una economia “a basso” valore di carbonio che abbiamo bisogno. Non dobbiamo “diminuire” le nostre emissioni. Le nostre emissioni devono in-ter-rom-per-si. Dobbiamo dimenticarci delle “nette” zero emissioni: noi abbiamo bisogno di reali zero emissioni. Perché obiettivi di nette zero emissioni, per giunta distanti nel tempo, non significheranno nulla. Qualunque vostro progetto che non include tagli radicali di emissioni a cominciare da oggi, è completamente insufficiente. A noi non ce ne può importar di meno della vostre politiche. Perché, nel caso non ve ne foste accorti, il mondo sta già bruciando. E allora noi chiediamo che sia immediatamente interrotta ogni azione di estrazione ed esplorazione di combustibili fossili, nonché ogni sussidio e investimento su essi. E ciò deve accadere non entro il 2050, il 2030 o perfino il 2021: noi vogliamo che tutto ciò sia fatto ora».
La piccola Greta ha pienamente ragione. Se (un colossale “se”) stiamo bruciando, se (altro colossale “se”) è assolutamente vitale che si rimanga entro gli 1.5 gradi dalle temperature pre-industriali [siccome un grado ce lo siamo già giocato, allora dovremmo evitare che le temperature aumentino di mezzo grado], e se (terzo colossale “se”) è la nostra CO2 ciò che fa aumentare le temperature, allora dobbiamo assolutamente interrompere le nostre emissioni da oggi. Non dal 2050 o dal 2030, e neanche dal 2021: da oggi.
Domattina, quando alle 6 vi svegliate, statevene a letto: inutile alzarsi, che la luce non s’accende e, se il tempo è bello, dovete attendere le 9. Non tentate di farvi un caffè: niente gas. Né provate a bere un bicchiere di latte freddo: potrebbe esser andato a male, perché il vostro frigo è spento da diverse ore. Digiuni andrete al lavoro a piedi. Quale lavoro? Ma per campi, a raccogliere qualche radice da masticare e a industriarvi (si fa per dire) a coltivare qualcosa di cui poi vi nutrirete. Tutti insieme dovremo riorganizzare le nostre vite e viverle come i nostri antenati di decine di generazioni fa. Niente gas, carbone, benzina o petrolio. E non dal 2050 o 2030, e neanche dal 2021: da oggi. Parola di Greta.
E, a margine della conferenza di Davos, giusto per non farci mancare niente
Le fake news contro Trump a Davos
Trump parla a Davos criticando l’allarmismo apocalittico di certi ambientalisti e vantando il clima economico positivo creato dalla sua amministrazione. Il giorno dopo, la BBC pubblica il fact checking al discorso di Trump. Forse è il caso di darci un’occhiata. Credo si capiscano due cose: a quale livello di faziosità siano arrivati i media mainstream nel nome della loro crociata anti-populista e come il fact checking, come era ovvio fin dall’inizio, sia spesso un’etichetta retorica per dare una parvenza di obiettività alle proprie opinioni.
Cominciamo con il primo punto analizzato dal fact checker. Il Presidente dichiara che “gli Stati Uniti sono tra i paesi con la miglior qualità dell’acqua e dell’aria”. Il fact checker conferma che sì, la qualità dell’aria negli Stati Uniti è considerata la 10ma al mondo. Idem per l’acqua. Ma solo dopo aver sottolineato e premesso che l’amministrazione Trump avrebbe allentato le leggi per la protezione dell’ambiente. È già questo fa un po’ cadere le braccia. L’affermazione di Trump è vera o no? Se è vera, come ammette lo stesso fact checker, perché intorbidire il tutto alludendo al fatto che sì, la qualità dell’aria sarà anche buona ma Trump non è un ambientalista?
Trump ha poi affermato che gli Stati Uniti sono nel mezzo di un boom economico e di aver creato sette milioni di posti di lavoro, il tutto ciò mentre gli “esperti avevano previsto decenni di bassa crescita e difficoltà economiche”. Il fact checker parte quindi a testa bassa con l’obiettivo evidente di smentire la narrativa del Presidente. La crescita del prodotto interno è stata tra il 2% e il 3% annuo con Trump. Attenzione però, avverte il fact checker, con Clinton aveva raggiunto il 4%. E una volta, sotto Obama, c’era stato un quadrimestre dove si era raggiunto il 5,5%. “Un picco mai toccato da Trump”, conclude, soddisfatto, il fact checker, dimenticando convenientemente di far notare tutti i quadrimestri dell’Obamanomics in cui l’economia ha fatto un bel -1% o peggio.
Per quanto riguarda i posti di lavoro, viene sottolineato che “Obama ne aveva aggiunti 7,8 milioni e che la crescita dell’occupazione negli Usa continua ininterrotta da 110 mesi. Trump quindi sta solo “continuando un trend”. Anche qui un’altra conveniente dimenticanza. Obama ha cominciato il suo mandato con la crisi subprime del 2008, la più grave crisi finanziaria dopo il crack del 1929 con la disoccupazione schizzata al 10%. Partendo da questo abisso, anche solo per semplice inerzia, l’economia non poteva che guadagnare posizioni anno dopo anno, con la disoccupazione scesa al 6%. Ma come come si può capire dalla legge dei rendimenti decrescenti, passare dal 10% al 6% di disoccupati (in 8 anni) è una cosa, scendere dal 6% al 3,5%, messo a segno da Trump, è obiettivamente un risultato eccezionale.
L’amministrazione Trump vanta il minor livello di disoccupazione negli ultimi 50 anni e l’incremento di posti di lavoro è ancora più rilevante nei riguardi dei non laureati (cioè della working class) e delle minorities, neri e ispanici (che “soffrirebbero terribilmente sotto Trump”, secondo alcuni giornalisti italiani). Tutti questi fatti non vengono menzionati nell’analisi fattuale del fact checker. In quanto all’ultima affermazione sulle previsioni negative degli esperti di economia, il fact checker ammette candidamente di “non sapere bene a quali esperti” si riferisca il presidente.
Viene il dubbio che sia vissuto in una grotta negli ultimi dieci anni. Perché, veramente, non è poi così difficile ricordare tutti i discorsi sulla “stagnazione secolare” e tutti i vari economisti illuminati, come Krugman o Stiglitz, pontificare su una nuova normalità, dove globalizzazione e l’automazione avrebbero prodotto bassi tassi di crescita e alta disoccupazione in tutte le economie avanzate. La crescita economia sotto Obama era stata decente, non certo travolgente, ma questo era il massimo di cui aspettarsi dopo la crisi del 2008.
Dopo la vittoria di Trump, questi stessi esperti avevano poi subito vaticinato il disastro economico e una borsa che non si sarebbe ripresa “mai più” (Krugman). Ora ci parlano invece di “continuazione del trend”. Ci fermiamo qui. C’è da chiedersi se i media mainstream sarebbero stati ugualmente critici e solerti se il Presidente in carica si fosse chiamato Hillary Clinton. Il giorno dopo, a Davos, ha parlato Greta Thunberg. Dalla BBC, guarda caso, nessun fact checking sul discorso dell’amabile Greta.
Non mi sembra ci sia molto da aggiungere. Sempre più vanno in scena stupidità, ignoranza, arroganza nel primo caso (con l’aggiunga di sfruttamento e abuso di minore a scopo di lucro e circonvenzione di incapace) e malafede ideologica nel secondo. E i “grandi della Terra”, come ha ricordato qualcuno, hanno calorosamente applaudito “la piccola Greta”, dopodiché sono risaliti sui loro jet privati e sono tornati alle loro confortevoli case.
Come già spiegato una volta, Greta intende il suo mutismo selettivo nel senso che “parlo solo quando ho qualcosa da dire” (ehm…) L’osservazione delle sue esibizioni sembrerebbe però dirci qualcosa di molto diverso, è cioè che Greta parla unicamente quando qualcuno le ha scritto un testo da leggere, a volte anche quando si tratta di chiacchierare del più e del meno, ma la capacità di parlare scompare istantaneamente nel momento in cui qualcuno le pone una domanda, una qualsiasi, a proposito del clima o di qualunque argomento serio. L’abbiamo già vista in questo video che ora vi ripropongo
e qui potete leggere l’articolo con le spiegazioni in merito. E rivediamo esattamente la stessa scena ora: assolutamente incapace di rispondere alla domanda più semplice e banale, addirittura incapace, si direbbe, di comprendere la domanda, totalmente persa se non ha un testo davanti:
Perfettamente capace di rispondere alle accuse di Greta sembra invece Luca Donadel
E anche Adriano Scianca.
Cara Greta, se cerchi chi ti ha rubato i sogni, guarda al Terzo mondo
Roma, 27 set – Chi ha rubato i sogni di Greta Thunberg? Qualche giorno fa, l’adolescente svedese a cui è stato affidato il compito di neutralizzare ogni discorso serio sull’ambientalismo ha tuonato così davanti ai capi di Stato mondiali riuniti all’Onu: “Mi avete rubato i sogni”. Accettando solo per un secondo questa grottesca impostazione empatico-virale del problema, resta comunque un dubbio: chi ha rubato i sogni di Greta? Chi è responsabile dell’emergenza climatica? Chi deve cambiare modello? La risposta del qualunquismo ecologico è semplice: “i governanti”. Se non, direttamente, “l’uomo”. Come se tutti i governi, le comunità umane, i modelli di società fossero identici. E invece, elevandosi appena un pochino al di sopra del livello zero del discorso, si scopre che così non è. Proviamo quindi, senza alcuna velleità di completezza, a mettere insieme un po’ di dati in ordine sparso.
I fiumi più inquinati sono in Asia e Africa
Secondo dati della Banca Mondiale, risalenti al 2014, i 10 Paesi (11, in realtà, dato che all’ottavo posto ci sono due Stati ex aequo) del mondo che emettono più anidride carbonica pro capite sono: Qatar, Curaçao, Trinidad e Tobago, Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi, Brunei, Arabia Saudita, Saint Martin, Lussemburgo, Stati Uniti. Si tratta di una statistica che lascia il tempo che trova, dato che non si può pensare che il problema del mondo siano le emissioni di Trinidad, ma in cui spicca l’assenza quasi totale di Stati europei. Secondo un recente un rapporto di IQAir AirVisual e Greenpeace, invece, è in India che si trovano 7 delle 10 città più inquinate al mondo, che salgono a 22 se si guarda alle 30 località peggiori.
Passando dall’aria alle acque, sappiamo che ogni giorno circa 8 milioni di tonnellate di plastica entrano negli oceani. Ma, cosa significativa, l’80% di questa materia inquinante proviene da solo 10 fiumi. Che, secondo un report del 2017, sono: lo Yangtze (Cina), lo Hai He (Cina), il Fiume Giallo (Cina), il Mekong (6 Paesi attraversati, tutti in Asia), il Pearl (Cina e Vietnam), l’Indo (Cina, India e Pakistan), il Gange (India e Bangladesh), l’Amur (Russia e Cina), il Nilo (7 Paesi attraversati, tutti in Africa), il Niger (7 Paesi attraversati, tutti in Africa). Ma allora perché si continua a dire che abbiamo un problema con “i politici” o con “l’uomo”, quando è cristallino che in realtà abbiamo un problema con i Paesi emergenti? Forse perché prendersela con i governanti in generale non disturba nessuno, mentre cercare di far cambiare politica ambientale alla Cina richiede qualche risorsa politica che vada oltre le capacità di una liceale indignata?
L’agricoltura italiana emette meno gas serra
Ma non è solo fra macroaree e continenti che si registrano significative differenze nell’impatto ambientale delle attività antropiche. Anche all’interno dell’Ue, per esempio, ci sono modelli e modelli. Con 569 tonnellate per ogni milione di euro prodotto, la nostra agricoltura emette per esempio il 46% di gas serra in meno della media Ue e fa decisamente meglio di Spagna (+25% rispetto al nostro Paese), Francia (+91%), Germania (+118%) e Regno Unito (+161%). Passando a un altro dogma del qualunquismo ambientalista, ovvero l’eterno “mangiamo troppa carne e così facendo distruggiamo il pianeta”, si può rintracciare l’origine di questo tipo di argomento in un rapporto allarmistico della Fao del 2006, in cui si stimava che le produzioni animali contribuissero per il 18% alle emissioni globali di gas serra e che fossero responsabili della produzione del 35-40% del totale di metano generato dalle emissioni legate all’attività antropica. Stime più recenti della stessa Fao, tuttavia, riducono al 14% il contributo degli allevamenti animali alle emissioni globali dovute alle attività antropiche. Laddove esiste una zootecnia tecnologicamente sviluppata (tanto per farla finita con l’idea che la tecnica sia sempre nemica dell’ambiente), gli allevamenti producono dal 2 all’8 % del totale delle emissioni.
Ed è poi vero che ne consumiamo troppa? Gli ultimi studi segnalano che in Italia il consumo reale pro-capite di carni totali corrisponde a 104 grammi al giorno (e non a quasi 300 gr come invece si pensava) pari a 728 g alla settimana e 37,9 kg all’anno. È la metà dei famosi 71 chili che spesso sentiamo citare nelle discussioni allarmistiche. E ben al di sotto dei 125 chili annui attribuiti dalle statistiche a ciascun americano (ma bisognerebbe vedere l’attendibilità della statistica). Considerando solo la carne bovina, il consumo reale scende a 29 grammi al giorno pro capite, una quantità che si piazza al di sotto delle raccomandazioni dell’Oms che fissano a 100 gr il consumo giornaliero di carne rossa.
Contro il qualunquismo ambientalista
E così via, si potrebbe continuare all’infinito. Come detto, non si pretende di voler fornire qui uno studio organico, esauriente e definitivo sull’argomento. Non si vuole nemmeno sostenere la posizione reazionaria che intende negare sic et simpliciter l’esistenza di un problema. Ma la questione resta più complessa di come non la faccia la propaganda ambiental-qualunquista e andrebbe impostata tenendo conto di tutti i dovuti fattori geopolitici. Certamente anche lo stile di vita italiano ed europeo ha bisogno di una rivoluzione integrale. Ma l’insistenza del pensiero unico nel mettere sotto processo solo esso, laddove il cuore del problema ambientale è palesemente altrove, rivela una cattiva fede politica e un vizio di forma spirituale che non possono passare sotto silenzio.
E per concludere un’interessante riflessione del noto climatologo Franco Battaglia.
Se il Gretinismo fosse nato nel 1920…
Forse possiamo provare a riflettere sul Gretinismo – questa nuova faccia dell’ambientalismo che sembra aver obnubilato le menti del pianeta, comprese quelle più raffinate e insospettabili – guardando le cose da un altro punto di vista. Bisogna essere consapevoli che la legittimità d’esistenza che si dà oggi a Greta e ai Gretini, questi avrebbero potuto averla anche un secolo fa, diciamo nel 1920, quando le emissioni di CO2 erano attive già da almeno mezzo secolo e il possibile problema oggi sollevato da Greta era già allora ben noto.
Supponiamo ora che la richiesta pressante della ipotetica Greta del 1920 di raggiungere le emissioni – zero fosse stata effettivamente esaudita, e nel 1950 si fosse raggiunto l’agognato obiettivo. Oggi non avremmo auto, autobus, metropolitane, autostrade, fabbriche, industrie, televisione, telefonia mobile, internet, ambienti riscaldati d’inverno e rinfrescati d’estate. Non ci sarebbero frigoriferi né lavatrici, aerei o navi da crociera e neanche treni, né lenti né, tanto meno, ad alta velocità (almeno la Tav non sarebbe stata un problema; neanche lessicale di genere, circostanza che ci avrebbe evitato questa caduta nel ridicolo). In pochi anni, l’umanità sarebbe tornata allo stile di vita del 1850. Chissà, forse la schiavitù avrebbe smesso di essere quel tabù che era nel 1920, e che non era tale nel 1850, quando invece era pratica legittima nell’America di allora, popolata da 30 milioni d’abitanti con 4 milioni di schiavi.
Ecco questo è ciò che ci aspetta se davvero dovesse raggiungersi il livello-zero d’emissioni. Perché, piaccia o no, quasi il 90% di ciò che facciamo lo facciamo emettendo CO2. Né sappiamo farlo diversamente. Non è vero, direbbe il Gretino d’oggi: per esempio, col fotovoltaico produrremmo energia elettrica. No, se dovessimo affidarci a esso, le televisioni potrebbero chiudere: i massimi ascolti sono quelli della prima serata, ma di sera il sole non brilla. E anche i treni di notte si fermerebbero. E anche di giorno, in tutti quei momenti che, col cielo coperto, il sole insiste a non brillare. E col vento non è diverso. Se avete mai assistito alla Barcolana, la spettacolare regata di barche a vela che si svolge la seconda domenica d’ottobre a Trieste, avrete visto che se il vento si ostina a non soffiare, le barche biancheggianti sulle acque come branchi di pecore pascenti – direbbe il poeta – rimangono sconsolatamente ferme.
Viste le cose da questa prospettiva, mi chiedo se i vari Gretini che hanno tanto pontificato sugli organi d’informazione d’ogni ordine e grado torneranno in qualche modo sui propri passi. Temo di no, perché l’essenza del Gretinismo è la granitica incapacità a distinguere il sogno dalla realtà. A differenza dei Gretini, la piccola Greta – o chi per lei – se n’è accorta, e s’è definita essa stessa “una che sogna un mondo migliore”. Il verbo è sapientemente pesato: non “desidera”, non “spera”, non “s’impegna per”, ma “sogna”. I Gretini sono quelli che hanno preso per realtà concreta ciò che la loro sacerdotessa li ha avvertiti essere sogno.
Quanto a Greta, quello suo all’Onu non era un discorso accorato e men che meno pensato: parlava una arrabbiata. Indemoniata, direi. Invece di ringraziare la generazione che l’ha partorita e che le ha consentito di stare al caldo in un Paese decisamente inospitale per il freddo che fa, essa inspiegabilmente ha sputato astio e veleno sui propri genitori, nonni e bisnonni. Ma le spiegazioni neanche c’interessano: essa non è così importante da meritare alcuna nostra ricerca nelle làtebre della sua mente per cercare di capire cosa vi è nascosto. Dovrebbero però indagare, a nostro avviso, gli attivisti di Telefono Azzurro e i magistrati, per capire perché nessun adulto protegga dai trafficanti di bambini questa ragazzina, la cui patologia la rende così vulnerabile – ci dice la medicina – a monotematiche fissazioni.
Questa espressione, “trafficanti di bambini”, Franco Battaglia l’ha usata anche in televisione, inducendo “NeXt quotidiano” a scrivere: “Il professor Franco Battaglia ha dato spettacolo ieri a “Otto e mezzo” da Lilli Gruber” (La veritààà ti fa maaleee, loo sooooo)
(Post lungo. Vi ho fatto battere la fiacca più che a sufficienza, adesso è ora di tornare al lavoro)
Inizio con qualche foto, partendo con la rabbiosa accusa della nostra martire, rivolta, suppongo, a tutti noi
Proseguo con questa, che dimostra inconfutabilmente che il livello di delirio si sta pericolosamente alzando
Il Toscano irriverente commenta: “Telling bullshit is not a superpower”, io osservo che da superpower a Übermensch il passo non è lunghissimo, e i toni messianici che, da buona commediante fortemente indottrinata, esibisce nelle sue seguitissime rappresentazioni, mostrano che vi si è avviata di buona lena. E tra il Savonarola e il profeta Geremia, la sentiamo declamare, passando dall’una all’altra di queste terrificanti espressioni
cose come questa
”People are suffering, people are dying, entire ecosystems are collapsing. We are in the beginning of a mass extinction and all you can talk about is money and fairytales of eternal economic growth.”
Ma vediamo questo breve video
Parecchie cose impressionano: l’insulsa retorica delle frasi che sputa fuori, la recitazione (difficile pensare che rabbia e odio – soprattutto odio – siano davvero spontanei quando vengono manifestati mentre si sta leggendo) decisamente eccessiva, i coglioni che applaudono, forse non avendo capito che è esattamente di loro che sta parlando, i due burattini seduti al suo fianco che fanno sì sì con la testolina come i cagnetti sul lunotto posteriore della macchina, e quell’allucinante “non vi perdonerò mai” che fa venir voglia di dire oh oh oh, sveglia! Ma chi cazzo credi di essere? E se avete ancora una manciatina di minuti provate a fare un esperimento che ho fatto io: togliete l’audio e riguardatelo: il viso contratto, gli occhi sbarrati, le parole sputate, i gesti concitati… No, non scriverò che cosa mi ricorda, però me lo ricorda. Poi arriva il momento drammatico:
Trump incrocia Greta Thunberg: lo sguardo che fulmina il PresidenteUsa (qui)
e infatti si vede benissimo che il povero Trump si sta cagando addosso, mentre nei commenti al video qualcuno ha scritto: “Reports are saying that her cold stare just lowered the planet by 2 degrees” (viene riferito che il suo sguardo freddo ha appena abbassato la temperatura del pianeta di due gradi). Su Trump invece penso che valga la pena di leggere questo.
Ma lasciamo per il momento la cialtroncella ignorante, per dedicarci alla scienza vera.
Mentre Greta sbrocca all’Onu, ascoltiamo gli scienziati: in 500 dicono che la nostra casa non è in fiamme
di Federico Punzi[lo conosco da una vita: è una garanzia]
Ieri, al vertice sul clima in occasione della 74esima sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu, Greta Thunberg ha pronunciato un discorso che qualcuno ha definito “iconico”, ma che ad un osservatore disincantato è apparso solo molto scomposto, squilibrato, ai limiti del parossismo (guardare per credere).
Tra smorfie e lacrime di rabbia, Greta ha letteralmente perso il controllo, qualsiasi freno, scagliandosi contro i leader mondiali – a molti dei quali in questi mesi ha stretto la mano e sorriso lei stessa – e confermando tutte le peggiori impressioni, di cui abbiamo scritto ieri, sul movimento di cui è ispiratrice e testimonial: il suo fanatismo, il catastrofismo, i toni apocalittici, millenaristici, e il pregiudizio anti-capitalistico.
“Venite a chiedere la speranza a noi giovani? Come vi permettete? Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia con le vostre parole vuote”, ha tuonato esibendo una retorica davvero degna di miglior causa, pensando ai milioni di bambini nel mondo a cui davvero, tutti i giorni, vengono “rubati sogni ed infanzia”. Bambini che tribolano nella fame, nella miseria, nello sfruttamento sessuale, nelle guerre. Anzi, come abbiamo cercato di spiegare ieri, è proprio la religione di Greta che rischia di “rubare i sogni” di miliardi di persone, negando loro la possibilità di sviluppo, di benessere, con ricette che in nome dell’ambiente sacrificano la crescita economica. Ed è lei stessa a rivendicarlo, rimproverando ai leader “tutto ciò di cui parlate sono soldi e favole di eterna crescita economica? Come vi permettete?”.
Quindi, il pentitevi o morirete tutti: “Le persone stanno soffrendo, stanno morendo. Interi ecosistemi stanno collassando. Siamo all’inizio di un’estinzione di massa… Il mio messaggio è che vi teniamo gli occhi addosso”.
Ma almeno una cosa, ieri, Greta l’ha detta giusta: “Non dovrei essere qui, dovrei essere a scuola, dall’altro lato dell’oceano”.
A proposito di scuola, sempre ieri in Italia il ministro dell’istruzione Fioramonti (quello che vuole tassare le merendine) ha pubblicato una sua circolare in cui si invitano le scuole a giustificare le assenze degli studenti che venerdì 27 settembre parteciperanno al Global Strike di Greta, “stante il valore civico che la partecipazione riveste”, si legge. E se gli studenti vorranno partecipare a scioperi contro la guerra il lunedì, contro la povertà il martedì e via dicendo di nobile causa in nobile causa, godranno della stessa giustificazione? Come ciascuno può facilmente comprendere si tratta di un precedente scivoloso, dato che ciascun ministro potrebbe in futuro riconoscere lo stesso “valore civico” nella partecipazione alle manifestazioni politiche che condivide.
Dai FridaysForFuture ai sabati fascisti è un attimo.
Ma mentre tutti i riflettori sono puntati sulla giovane attivista svedese, facciamo come dice Greta, ascoltiamo gli scienziati. Nell’indifferenza delle istituzioni e dei media mainstream, 500 di loro hanno indirizzato al segretario generale dell’Onu Guterres una lettera contro l’allarmismo climatico. Lanciata da Guus Berkhout, geofisico e professore emerito presso l’Università dell’Aia, l’iniziativa è il risultato di una collaborazione tra scienziati e associazioni di 13 Paesi. Pubblicato in un momento in cui l’agenda internazionale pone di nuovo il clima in cima alla lista delle preoccupazioni, questa “Dichiarazione europea sul clima” ha lo scopo di far sapere che non c’è urgenza né crisi climatica. Chiede quindi che le politiche climatiche vengano completamente ripensate, riconoscendo in particolare che il riscaldamento osservato è inferiore al previsto e che l’anidride carbonica, lungi dall’essere un inquinante, ha effetti benefici per la vita sulla Terra.
Di seguito riportiamo una traduzione della lettera:
Eccellenze,
Non c’è emergenza climatica
Una rete mondiale di oltre 500 scienziati e professionisti esperti del clima e di campi correlati hanno l’onore di inviare alle Vostre Eccellenze l’annessa “Dichiarazione europea sul clima”, di cui i firmatari di questa lettera sono gli ambasciatori nazionali.
I modelli di divulgazione generale sul clima su cui si basa attualmente la politica internazionale sono inadeguati. È pertanto crudele nonché imprudente sostenere la perdita di trilioni di dollari sulla base dei risultati di modelli così imperfetti. Le attuali politiche climatiche indeboliscono inutilmente il sistema economico, mettendo a rischio la vita nei Paesi a cui è negato l’accesso all’elettricità permanente a basso costo.
Vi invitiamo a seguire una politica climatica basata su solida scienza, realismo economico e reale attenzione a coloro che sono colpiti da costose e inutili politiche di mitigazione.
Vi invitiamo inoltre a organizzare con noi all’inizio del 2020 un incontro costruttivo di alto livello tra scienziati di fama mondiale di entrambe le parti del dibattito sul clima. Questo incontro renderà effettiva l’applicazione del giusto e vecchio principio di buona scienza e giustizia naturale secondo il quale le due parti devono poter essere ascoltate in modo completo ed equo. Audiatur et altera pars!
Rispettosamente,
Gli ambasciatori della Dichiarazione europea sul clima: Guus Berkhout, professore (Paesi Bassi) Richard Lindzen, professore (Stati Uniti) Reynald Du Berger, professore (Canada) Ingemar Nordin, professore (Svezia) Terry Dunleavy (Nuova Zelanda) Jim O’Brien (Irlanda) Viv Forbes (Australia) Alberto Prestininzi, professore (Italia) Jeffrey Foss, professore (Canada) Benoît Rittaud, docente (Francia) Morten Jødal (Norvegia) Fritz Varenholt, professore (Germania) Rob Lemeire (Belgio) Viconte Monkton of Brenchley (Regno Unito)
Dichiarazione europea sul clima
Non c’è emergenza climatica Questo messaggio urgente è stato preparato da una rete globale di 500 scienziati e professionisti. La scienza del clima deve essere meno politicizzata, mentre la politica del clima deve essere più scientifica. Gli scienziati devono affrontare apertamente le incertezze e le esagerazioni nelle loro previsioni sul riscaldamento globale, e i leader politici devono valutare in modo spassionato i benefici e i costi reali dell’adattamento al riscaldamento globale, nonché i costi reali e i benefici attesi della mitigazione.
Un riscaldamento è causato da fattori naturali e antropici La documentazione geologica rivela che il clima della Terra varia da quando esiste il pianeta, con fasi naturali fredde e calde. La piccola era glaciale si è conclusa solo di recente, intorno al 1850, quindi non sorprende che oggi stiamo vivendo un periodo di riscaldamento.
Il riscaldamento è molto più lento del previsto Il mondo si è riscaldato con un ritmo inferiore alla metà di quanto era stato inizialmente previsto, e meno della metà di ciò che ci si poteva aspettare basandosi sulla forzatura netta umana e allo squilibrio radioattivo. Questo ci dice che siamo lungi dal comprendere il cambiamento climatico.
La politica climatica si basa su modelli inadeguati I modelli climatici presentano molte carenze e sono difficilmente sfruttabili come strumenti decisionali. Inoltre, probabilmente esagerano gli effetti dei gas serra come la CO2. Infine, ignorano il fatto che arricchire l’atmosfera con CO2 è benefico.
La CO2 è il cibo delle piante, il fondamento di tutta la vita sulla Terra La CO2 non è un inquinante. È essenziale per tutta la vita sulla Terra. La fotosintesi è una benedizione. Più CO2 fa bene alla natura, rende la Terra verde: l’aggiunta di CO2 nell’aria ha portato ad un aumento della biomassa vegetale globale. È anche buono per l’agricolutura, aumentando i raccolti in tutto il mondo.
Il riscaldamento globale non ha per forza causato disastri naturali Non ci sono prove statistiche che il riscaldamento globale stia intensificando uragani, alluvioni, siccità o altri disastri naturali simili, né che li renderebbe più frequenti. Al contrario, le misure di mitigazione della CO2 sono devastanti quanto costose. Le turbine eoliche uccidono uccelli e pipistrelli e le piantagioni di olio di palma distruggono la biodiversità delle foreste tropicali.
L’azione politica deve rispettare le realtà scientifiche ed economiche Non c’è emergenza climatica. Non vi è quindi motivo di panico e di allarmarsi. Ci opponiamo fermamente alla politica inutile e irrealistica di neutralità carbonica proposta per il 2050. Fino a quando non emergeranno approcci migliori, il che certamente accadrà, abbiamo ampio tempo per riflettere e adattarci. L’obiettivo della politica internazionale deve essere quello di fornire energia affidabile ed economica, permanentemente e in tutto il mondo. (qui)
Avrei voluto tradurre e postare uno splendido articolo segnalato ieri dall’amico Myollnir, ma purtroppo è stato rimosso: conteneva un elenco di una cinquantina di catastrofiche previsioni climatiche fatte nell’ultimo mezzo secolo che il clima ha puntualmente (per pura cattiveria secondo me) evitato di realizzare: se faremo questo e non faremo quest’altro entro dieci anni le calotte polari saranno completamente sciolte, interi stati saranno sommersi eccetera eccetera. Come Greta, insomma, che oltre a tutto il resto non è neanche capace di essere originale. È stato rimosso, dicevo; cercando in rete ne ho trovato uno che presenta le stesse cose, solo che invece dell’elenco delle catastrofiche previsioni ci sono le foto degli articoli che le contengono, comunque se avete voglia di vederlo – è straordinariamente interessante, e utilissimo come promemoria per quando il prossimo messia verrà ad annunciarci un’altra volta che abbiamo i giorni contati – lo trovate qui. E per chiudere in bellezza, è arrivato el merendinero POST SCRIPTUM: ho visto che qualcuno ha preso a chiamarla Cassandra; niente di più sbagliato: Cassandra preannunciava cose vere e nessuno le credeva, Greta dice puttanate senza fondamento e le credono tutti.
POST POST SCRIPTUM, FUORI TEMA: stasera ho brindato.
Mi è venuto voglia di riproporre queste breve post di dieci anni e mezzo fa.
Dov’è finito?
Il buco dell’ozono, dico. Quello – vi ricordate? – che un giorno sì e l’altro pure campeggiava sulle prime pagine di tutti i giornali. Quello che aumentava a velocità supersonica, che ogni dodici secondi raddoppiava e che se andava avanti così in breve tempo avrebbe raggiunto le dimensioni dell’universo tutto. Quello che provocava il cancro alla pelle e ogni sorta di altre orrendissime malattie, quello che infiniti addusse lutti agli Achei molte anzitempo all’Orco generose travolse alme d’eroi e di cani e d’augelli orrido pasto lor salme abbandonò. Quello. Che fine ha fatto? Quest’anno non si porta più? Che cosa si portasse nella prima metà del 2009 in effetti non lo ricordo, però sappiamo con certezza che quest’anno si porta il ciodue. E fra tutte le immagini trovate in rete, questa mi sembra la più adeguata. Anzi, doppiamente adeguata:
E direi che ci sta bene anche questa:
barbara