OTTO ANNI DI COMA

Poiché non è bello parlare male dei morti, soprattutto quando sono appena morti, ho deciso di pubblicarlo adesso, finché è ancora vivo.

Otto anni di coma. Quasi uno per ogni mille ebrei deportati da Gush Katif: qualcuno parla di punizione divina per il crimine commesso, e vista la coincidenza numerica viene quasi voglia di crederlo. Dieci anni fa ti amavo, Arik, ti veneravo come un eroe per tutto ciò che avevi fatto per il tuo popolo e per la tua terra; se fossi morto allora ti avrei pianto come una vedova. Certamente niente e nessuno potrà mai cancellare gli immensi meriti che hai acquisito. Ma, altrettanto, niente e nessuno potrà cancellare il crimine della deportazione di ottomila ebrei dalle loro case, dalle loro terre, dai campi che avevano dissodato e coltivato e fatto fiorire – quelle case, quelle terre, quei campi da cui erano stati cacciati nel 1948 all’inizio dell’illegale occupazione egiziana, e a cui erano potuti tornare nel 1967 – e mai avrebbero potuto immaginare che a cacciarli di nuovo sarebbe stato un loro correligionario, un loro compatriota.
Ti sei lasciato irretire da un losco figuro che, accecato dall’ideologia, ha scelto di credere alle cifre demografiche ammannite dai palestinesi, nonostante tutti sapessero che erano false quanto un biglietto da sette euro; ti ha terrorizzato con lo spettro del sorpasso demografico – che non è avvenuto né mai avverrà perché, appunto, quelle cifre e quelle proiezioni erano FALSE – e tu ci sei caduto come un pollo, da falco che eri. E ora hai le mani sporche di sangue, Arik, tu e il tuo suggeritore: il sangue dei Fogel, il sangue delle vittime delle migliaia di razzi sparati dopo la deportazione degli ebrei da Gush Katif, il dolore dei loro parenti e amici, i feriti, i mutilati, gli invalidi permanenti, il terrore dei bambini di Sderot, i soldati persi nelle operazioni per arginare il terrorismo rinvigorito dalla tua sciagurata iniziativa.
Prima è venuto Rabin, con il disastro di Oslo, poi tu, a completare l’opera con la deportazione da Gush Katif. Avete pagato entrambi, ma le devastazioni che avete provocato rimangono.
Riposa in pace, tu, se puoi; ma le ferite che hai aperto continuano e continueranno a sanguinare.

barbara

MIRACOLO DI CAPODANNO

Perché dovete sapere che da dodici giorni, oltre che da un pc in coma farmacologico che in attesa della fine delle feste sto mantenendo in vita a suon di massaggi cardiaci, respirazione bocca a bocca e defibrillatore, sono afflitta anche da un micidiale mal di schiena. Di quelli che non riuscite a muovervi, che per sedervi e alzarvi vi tocca studiare strategie degne di Napoleone  ma con tutte le strategie di questo mondo, prima di avere completato l’operazione qualche strillo vi scappa lo stesso. Ecco, uno così. E me ne stavo qui con la mia cintura da motociclista –  che ho comprato apposta perché la prima volta che ne ho vista uno ho detto ecco cosa ci vuole per il mal di schiena e infatti avevo visto giusto, è proprio una mano santa, provare per credere – e sopra quella la cintura elastica e sopra quella il vestito di lana e sopra il vestito una sciarpa di lana girata intorno tre volte per tenermi caldo ma niente, il mal di schiena proprio non se ne voleva andare. E oggi pomeriggio improvvisamente alla radio parte un twist. Ora, voi capite, avevo dieci anni quando è venuto fuori, è stato il primo ballo che ho imparato. Poi dopo qualche anno è uscito lo shake, ma prima di quello avevo imparato il charleston e il can-can, così per sfizio. Insomma, voglio dire, il twist è parte integrante della mia storia, della mia vita, carne della mia carne e sangue del mio sangue! E così ho cominciato a ballare, quello tutto completo, con gli ondeggiamenti avanti e indietro, a destra e a sinistra, e poi l’accucciamento piegando le ginocchia fin quasi a toccare terra col sedere e poi di nuovo su… E quando la musica è finita il mal di schiena non c’era più. Ho tolto la sciarpa, ho tolto le due cinture, e adesso sono qui, senza un filo di male e mi muovo come una gazzella, come una libellula, come un colibrì: una botta di preadolescenza, ecco cos’era che mi serviva.

barbara

LIMBO

Limbo è quello in cui ti trovi a vivere fra il momento in cui ti risvegli dal coma e quello in qui saprai quale sarà la tua condizione definitiva. Quello durante il quale ogni notte ti svegli urlando, nelle narici l’odore del sangue e della carne bruciata e della sabbia del deserto afghano, e nel corpo il dolore dilaniante di una gamba sbriciolata e altro ancora. Quello in cui non sai se la vita ti offrirà ancora una chance o se il futuro è morto per sempre.
Limbo è quello in cui ti trovi a vivere quando non hai più un’identità, un nome, una famiglia, un lavoro, un passato e un futuro, e non hai ancora una nuova identità, un nuovo nome, una nuova vita da vivere. Quello in cui ti ripugna mentire ma non puoi fare a meno di ingannare. In cui avresti tanta voglia di costruire ma l’unica cosa che puoi fare è distruggere, per non lasciare tracce.
Limbo sono quasi 500 pagine da leggere tutte di fila – e per il sonno perso pazienza, prima o poi lo recupererai (senza contare che una che sa ancora che la battigia si chiama battigia, merita di essere letta a prescindere).

Melania G. Mazzucco, Limbo, Einaudi

barbara

SI CHIAMA SELEZIONE NATURALE

Sto parlando di quella cosa che fa sì che un coglione si arrampichi su un traliccio dell’alta tensione, dica adesso tocco i fili e poi tocca i fili resta folgorato e precipita. Dice sì occhei, e qual è il problema. Il problema è che adesso un ospedale sta spendendo una barca di soldi miei per combattere contro la selezione naturale, e come se non bastasse, sempre per questo insano scopo, tiene occupato uno dei pochi preziosissimi posti in rianimazione, privandone qualche persona per bene che ne avrebbe bisogno. Poi leggi che in tutta Italia maree di persone sono in giro a protestare, bloccano stazioni, bloccano ferrovie, bloccano autostrade, praticamente bloccano mezza nazione, bloccano chi si muove per lavoro – e già, loro magari non lo sanno, ma c’è anche gente che lavora, al mondo – chi per motivi familiari chi per motivi di salute e niente, tutti lì bloccati. E per che cosa protestano questi qua? Forse contro i coglioni che occupano abusivamente i posti in rianimazione arrampicandosi sui tralicci? Contro gli ospedali che sperperano i nostri soldi per contrastare la selezione nautrale? Nooooooooo, ma neanche per idea! Quelli protestano per… boh, non si sa. Come negli anni Settanta che incontravi qualche compagno di università e ti diceva vieni a manifestare? Per che cosa? Boh non so, ho sentito che si manifesta in piazza Taldeitali, intanto andiamo poi si vede. Che se questi qua fossero dotati di pensiero, magari si renderebbero conto che se i loro bisnonni e trisnonni e quadrisnonni e via aveggiando fossero stati come loro, oggi non avremmo un solo chilometro di ferrovia, né un chilometro di strada, né scuole né ospedali né asili né ospizi ecc. ecc. Ma il dono del pensiero non fa parte del loro patrimonio e quindi via, si protesta e si blocca. Verrebbe quasi voglia di rimpiangere Bava Beccaris, se non fosse che i bava beccaris sono geneticamente predisposti a impallinare unicamente gli innocenti, mentre quando si tratta di dare una mano alla natura nella salutare opera di selezione naturale, si imboscano come talpe con l’itterizia.

barbara